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Buchi neri: sono davvero oggetti singolari?



Il terreno nel quale devono incontrarsi e raccordarsi le due grandi teorie della fisica moderna, la Relatività generale e la fisica quantistica, è il luogo più sconosciuto dell’universo: il centro dei buchi neri. Più precisamente, tutto quel che c’è dentro l’orizzonte degli eventi, il limite osservabile oltre il quale la luce stessa è catturata dalla gravità e non può più uscire, oggi conosciuto come singolarità. Il terreno nel quale si sono incontrati fisici di tutto il mondo per parlarne, invece, è Trieste. È successo nel novembre 2024, e dalla discussione è nato un articolo, pubblicato questa settimana nel Journal of Cosmology and Astroparticle Physics. Fra gli organizzatori dell’incontro e coautori dell’articolo c’è anche Stefano Liberati, nato a Roma e ora professore ordinario alla Sissa di Trieste. L’abbiamo raggiunto durante un meeting di lavoro a Bruxelles, per farci raccontare di più su questa discussione.


Stefano Liberati, professore ordinario di fisica delle particelle alla Sissa, Trieste. Attualmente è presidente della Sigrav – Società italiana di relatività generale e fisica gravitazionale, direttore dell’Ifpu – Istituto di fisica fondamentale dell’universo, e coordinatore nazionale dell’iniziativa specifica Infn Quagrap sulla fenomenologia della gravità quantistica. È anche membro del consiglio scientifico di Sissa MediaLab e svolge attività editoriale per le riviste internazionali Jcap, Universe, e Proceedings of the Royal Society A. Crediti: Stefano Liberati

Innanzitutto, cos’è una singolarità?

«È una regione dove la Relatività generale non è predittiva e quindi sono punti dove lo spaziotempo non è definito. A volte si dice che la curvatura dello spaziotempo e la densità di energia esplodono (vanno all’infinito) ma a essere rigorosi non c’è un “lì” ben definito. Possiamo solo dire che “lì” gli aspetti quantistici della gravità non sono trascurabili».

Per questo nell’incontro che avete fatto lo scorso novembre avete parlato di buchi neri “alternativi” a quelli descritti dalla Relatività generale?

«I buchi neri descritti dalla Relatività generale sono strutture “incomplete”. Solitamente si presume che qualunque effetto esercitato dalla gravità quantistica sulla singolarità non influenzi le osservazioni esterne. Tuttavia, il fatto che differenti modi di “completare” la soluzione di un buco nero possano generare fenomenologie diverse, potenzialmente testabili in futuro, sfida questo presupposto. In altre parole, potremmo ottenere indizi su ciò che accade alla singolarità senza dover necessariamente accedere alla regione “singolare” stessa».

Quindi le altre soluzioni che avete discusso si allontanano dalla Relatività o la includono?

«Le soluzioni che abbiamo discusso sono, se vuole, anche una conseguenza dei limiti della Relatività Generale e di quanto ci aspettiamo dagli effetti della gravità quantistica, che generalmente evitano la formazione della singolarità: la relatività generale è incompleta perché prevede un punto dove non è più predittiva, ma gli effetti della gravità quantistica suggeriscono come estendere lo spaziotempo oltre quel punto e ottenere oggetti regolari (nel senso di non-singolari)».

Queste teorie alternative, che voi chiamate appunto non-singolari dato che evitano l’esistenza di una singolarità al centro del buco nero, sono una novità recente?

«Sebbene idee di questo tipo siano presenti fin dalla fine degli anni Sessanta, nell’ultimo decennio questo studio ha avuto un impulso importantissimo grazie all’osservazione diretta delle onde gravitazioni e alle immagini dei buchi neri prodotte dall’Event Horizon Telescope. Come dicevamo, non stiamo parlando di teorie alternative, ma dell’idea che gli effetti quantistici della gravità debbano in ultima istanza evitare la realizzazione di una singolarità, regolarizzandola e producendo quindi uno spaziotempo ovunque ben definito, regolare. Questi oggetti possono essere esteriormente molto simili ai buchi neri della relatività generale ma non completamente uguali e quindi offrono una possibilità di testare indirettamente deviazioni dalla teoria standard».

Vogliamo descriverle, allora, queste altre possibilità generate dalla gravità quantistica?

«Ce ne sono, essenzialmente, tre. Una prima possibilità è che si produca un buco nero con un orizzonte esterno (il bordo oltre il quale neanche la luce può sfuggire) ma che abbia anche un orizzonte interno. All’interno di questo secondo orizzonte si ha una regione regolare con una metrica spesso (ma non necessariamente) simile a quella di un universo in espansione. Per analogia pensi a una pesca: il bordo esterno è il solito orizzonte del buco nero, il bordo interno della polpa è l’orizzonte interno e il nocciolo è la regione con una metrica cosmologica che “supporta” l’intera struttura e previene che collassi. Questi sono i tipici buchi neri regolari».


Rappresentazione schematica di un buco nero che ammette una regione di “singolarità” al centro (a sinistra), secondo la Relatività generale, e delle due alternative non singolari: il buco nero regolare con due orizzonti, uno interno e uno esterno (al centro), e il wormhole (a destra). Crediti: Sissa Medialab/ Immagine di sfondo di Eso/Cambridge Astronomical Survey Unit (eso.org/public/images/eso1101a…)

E fra i due orizzonti, ovvero nella “polpa”, che cosa c’è?

«C’è la regione di intrappolamento, ovvero la regione dove anche i raggi di luce che tenderebbero ad andare verso l’estero sono curvati verso l’interno, fino ad accumularsi sull’orizzonte interno. Dentro l’orizzonte interno i raggi di luce si possono invece muovere verso l’esterno, ma finiscono per accumularsi dietro l’orizzonte interno senza attraversarlo».

La seconda?

«Una seconda alternativa è che invece di un orizzonte interno (un bordo interno della regione dalla quale neppure la luce può scappare) ci sia un raggio minimo e che oltre quello tutto si inverta, ovvero che tutto quello che collassando raggiunge quel raggio da li in poi si riespanda. Questo è il caso in cui all’interno dell’orizzonte del buco nero ci sia un wormhole ovvero un passaggio che si connette con una regione che espelle tutto quello che è stato ingoiato dal buco nero. Questa è un tipo di soluzione che si può descrivere anche come una transizione da buco nero a buco bianco di cui, per esempio, ha parlato anche Rovelli in un suo recente libro. Alcuni modelli di gravità quantistica favoriscono questa soluzione, che noi chiamiamo black-bounces o hidden wormholes».

Ma questi hidden wormholes potrebbero esistere davvero?

«In realtà al momento delle tre possibilità questa sembra quella meno afflitta da potenziali instabilità, anche se è presto per dirlo definitivamente. Se ci fossero instabilità, oggetti ultracompatti senza orizzonte corrispondenti agli hidden wormholes sarebbero dei wormholes come quello di Interstellar, se ha visto il film. Ovvero un’evoluzione degli hidden wormholes potrebbe lasciare come relitto un wormhole attraversabile. Ma non abbiamo evidenza al momento di un meccanismo che comporti tale evoluzione».

L’ultima?

«Infine, un’altra possibilità, la più radicale, è che l’oggetto non possieda neppure un orizzonte, risultando simile a una stella, ma estremamente più compatto, persino rispetto a una stella di neutroni. Esistono soluzioni statiche di questo tipo, generalmente sostenute da effetti quantistici del vuoto. Tuttavia, non è ancora stato dimostrato che tali oggetti possano formarsi direttamente attraverso un collasso gravitazionale. È anche ipotizzabile che, poiché un buco nero regolare è soggetto a una serie di instabilità legate al suo orizzonte interno, possa evolvere in un tale oggetto privo di orizzonte».

Una domanda un po’ provocatoria: queste soluzioni parlano sempre di cose che sono dentro l’orizzonte degli eventi. Ma se quella regione non è esplorabile a livello osservativo, come facciamo a capire se una di queste è valida? Non si corre il rischio che sia pura speculazione?

«Il punto è che le modifiche all’interno dell’orizzonte comportano una soluzione che, globalmente, è leggermente diversa da quella della Relatività generale e quindi, almeno in teoria, testabile con osservazioni esterne: sia attraverso le onde gravitazionali che potrebbe emettere, sia attraverso le caratteristiche della sua ombra/immagine. È su queste possibilità che molta ricerca si sta concentrando al momento. Per trovare qualcosa bisogna sapere dove andare a cercarla».


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