I centri truffa nel sud-est asiatico: una nuova forma di schiavitù
In occasione dell’apertura dell’ottantesima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali della Santa Sede, ha rivolto all’Assemblea un discorso sulla missione delle Nazioni Unite a ottant’anni dalla loro fondazione[1].
Sottolineando «l’importanza che continua ad avere la cooperazione multilaterale nell’affrontare le questioni globali», ha richiamato l’attenzione dell’Assemblea sia sulla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, sia sui «pilastri fondanti di pace, giustizia e verità» enunciati da papa Leone XIV, il 16 maggio 2025, nel discorso ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Fra le molte sfide poste dalla contemporaneità a questa cooperazione multilaterale, ha messo in risalto i «centri truffa» (scam centers, in inglese) del Sud-est asiatico. Queste strutture, gestite dal crimine organizzato, sono operazioni sofisticate in cui la tratta di esseri umani fornisce manodopera forzata per la commissione di reati informatici su larga scala. I centri truffa danneggiano non solo le vittime ingannate e convinte a inviare denaro, ma anche le persone costrette a lavorare al servizio delle organizzazioni criminali.
Essi costituiscono dunque gravi violazioni della dignità delle persone coinvolte e serie minacce allo Stato di diritto e alla credibilità dei governi. Operano, infatti, in aree caratterizzate da debole presenza statale, spesso lungo le frontiere o in regioni contese del Sud-est asiatico. Per questo meritano particolare attenzione da parte delle organizzazioni chiamate a promuovere relazioni multilaterali sane fra gli Stati, in primo luogo le Nazioni Unite e l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (Asean).
I centri truffa: una nuova forma di schiavitù
I centri truffa sono una forma di criminalità organizzata che non si può descrivere con precisione. La loro storia aiuta a comprendere che cosa siano stati e che cosa potrebbero diventare in assenza di una concreta ed effettiva cooperazione fra le comunità colpite.
La loro nascita e la loro evoluzione sono state fortemente influenzate dalla pandemia di Covid-19. Molti erano sorti come centri dedicati al gioco d’azzardo, spesso situati in zone dove il controllo dello Stato era relativamente debole. Erano legati al crimine organizzato, che traeva profitto sia dai guadagni dei casinò sia dalle opportunità di riciclaggio. Quando la pandemia ha reso impossibili o difficoltose le attività in presenza, i sindacati criminali che li gestivano ne hanno aggiornato la funzione, orientandosi verso la frode informatica[2]. Questa trasformazione rivela quanto sia mutevole e adattiva la natura di tali organizzazioni e la possibilità che si trasformino ancora in futuro, il che rende l’azione delle forze dell’ordine ancora più complessa.
Una recente dichiarazione delle Nazioni Unite descrive questi centri come «traffico di esseri umani su vasta scala a fini di lavoro forzato e di criminalità forzata all’interno di complessi situati nel Sud-est asiatico, dove centinaia di migliaia di persone di varie nazionalità sono intrappolate e costrette a commettere frodi online o a collaborare con le operazioni criminali»[3]. Le truffe comprendono un’ampia varietà di schemi online: dai raggiri sentimentali alle frodi d’investimento, dal furto d’identità al phishing, fino alle truffe in criptovalute e ai falsi arresti digitali. Le strategie si perfezionano costantemente. Come osserva mons. Gallagher, i centri truffa si concentrano soprattutto nel Sud-est asiatico – in Cambogia, Myanmar, Laos, Thailandia e Filippine –, spesso in aree lontane da una reale capacità d’intervento statale. Alcune di queste «fabbriche di frodi» sono diventate tristemente famose grazie a inchieste giornalistiche e a interventi governativi, come il KK Park in Myanmar, che la giunta militare dichiara di aver perquisito nell’ottobre 2025, o la struttura di Bamban nelle Filippine[4]. Questi centri si spostano per sfuggire alle autorità e si espandono dove trovano condizioni favorevoli: per esempio, di recente se ne registra la proliferazione lungo il confine tra Myanmar e Thailandia.
Il personale è costituito per lo più da individui trattenuti contro la propria volontà, sequestrati o ingannati e costretti a lavorare. Le stime sono incerte, ma, secondo l’Onu, centinaia di migliaia di persone sarebbero state trafficate per questa industria[5]. Le vittime provengono da vari Paesi, in prevalenza dell’Asia sud-orientale. Spiega l’organizzazione International Justice Mission: «I criminali usano le piattaforme di social media per pubblicizzare falsamente lavori redditizi con stipendi elevati e condizioni ideali. I trafficanti organizzano tutto ciò che serve per rendere l’offerta irresistibile. Una volta giunti sul posto, i documenti e i telefoni delle vittime vengono confiscati, impedendo loro di fuggire o di chiedere aiuto. Esse vengono trattenute, e frequentemente subiscono abusi e percosse»[6].
Una rivista riferisce la vicenda di un uomo costretto a lavorare in un centro truffa in Myanmar, dove veniva obbligato a condurre «truffe sentimentali» per 16 ore al giorno. In tali raggiri, viene usata un’identità fittizia per conquistare la fiducia e l’affetto di una persona, che poi viene indotta a inviare denaro con pretesti vari, come quelli di aiutare l’interlocutore a uscire da una situazione difficile o di organizzare un presunto incontro. In scenari più sofisticati, la vittima viene spinta a condividere dati personali o bancari, che permettono di rubarne l’identità e le risorse finanziarie[7].
L’uomo in questione divideva il dormitorio con molte altre persone, tutte sotto la costante paura di subire violenze. Nei centri truffa le persone trafficate sono confinate in spazi ristretti, con cibo e acqua limitati e nessuna privacy, e lavorano a ritmi estenuanti. Un osservatore delle Nazioni Unite ha descritto tali centri come «non molto diversi da una grande azienda tecnologica», con dormitori, mense e spazi di lavoro, in cui l’intera vita è organizzata attorno al lavoro forzato[8]. Essi dispongono perfino di reparti specificamente destinati a vittime di una certa lingua o nazionalità: per esempio, vietnamiti incaricati di truffare altri vietnamiti, o cinesi obbligati a frodare connazionali di lingua cinese. La «dirigenza» gode di condizioni di vita notevolmente migliori, spesso all’interno dello stesso centro.
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Le persone trafficate possono restare intrappolate per mesi o anni, se mai riescono a uscirne. Un rapporto dell’Onu segnala che «alcuni vengono venduti ad altri centri truffa, oppure le famiglie devono pagare un riscatto. I tentativi di fuga si concludono spesso con punizioni severe o con la morte»[9]. In certi casi, le organizzazioni criminali, per rifarsi delle spese, forzano le vittime alla prostituzione o persino al traffico di organi[10].
Un’inchiesta del Guardian ha dimostrato che la tratta per questi centri si è estesa anche in Africa, soprattutto verso giovani dell’Africa orientale di lingua inglese, impiegati per truffare utenti anglofoni online[11]. I criminali hanno sfruttato l’invito rivolto dal governo keniota ai giovani a cercare lavoro all’estero: molti, attratti da offerte allettanti di impiego in Thailandia, venivano poi introdotti clandestinamente in Myanmar con falsi pretesti. Uno studio statunitense stima che nel 2024 le frodi subite da cittadini degli Stati Uniti ammontino a oltre 10 miliardi di dollari, e prevede che il mercato per lavoratori di lingua inglese continuerà a crescere[12].
I sindacati criminali che gestiscono questi centri comprendono anche gruppi di provenienza cinese e taiwanese. La lotta contro tali operazioni ha portato a forme di collaborazione tra Pechino e Taipei che, tuttavia, non hanno sradicato definitivamente il problema.
Le vittime
I centri truffa rappresentano una forma complessa e mutevole di criminalità organizzata e pongono diverse sfide alla comunità internazionale. Innanzitutto, costituiscono un oltraggio alla dignità delle persone vittime di tratta. Chi lavora in questi centri viene trattenuto contro la propria volontà: è «comprato e venduto» attraverso meccanismi del tutto illegali e ingiusti, per poi essere ulteriormente sfruttato e abusato. I centri truffa ricordano al mondo che la schiavitù non è scomparsa, sebbene quella moderna possa assumere forme diverse dalle antiche[13]. Anche i diritti delle persone come lavoratori vengono violati quando esse vengono inserite nella tratta. Come mostra il caso del Kenya, queste organizzazioni criminali sfruttano il bisogno delle persone di emigrare per lavorare: le false promesse di impiego risultano tanto più allettanti proprio a causa della necessità economica dei lavoratori.
Le condizioni del lavoro forzato sono miserabili: chi vi è obbligato lavora senza salario e senza alcuna retribuzione, in occupazioni che non ha scelto. Inoltre, il lavoro stesso è illegale, il che rende chi lo compie complice del crimine e della disumanizzazione delle vittime. Come osserva un rapporto: «Gli operatori delle truffe informatiche creano due tipi di vittime: da un lato, coloro che vengono ingannati online e derubati; dall’altro, le persone – spesso reclutate con la forza – che vengono sfruttate per commettere tali truffe. Riguardo a costoro, le distinzioni tradizionali tra vittime e colpevoli sono poco pertinenti»[14].
I centri truffa commettono un sopruso anche nei confronti di coloro che vengono truffati. È difficile stimare il denaro sottratto ogni anno a queste vittime, ma i danni vanno ben oltre la perdita economica. Si calcola che tali operazioni fruttino decine di miliardi di dollari statunitensi all’anno. Molti dei truffati non sono ricchi, e quindi queste cifre non rendono pienamente la misura di quanto tali frodi possano essere devastanti per le loro vite. Gli effetti si estendono al piano emotivo, familiare e sociale, generando angoscia, conflitti familiari e sociali e sfiducia.
Una questione cruciale riguarda ciò che accade alle vittime una volta uscite dal giogo del lavoro forzato. Numerosi esperti e difensori dei diritti umani sostengono la necessità di un approccio «centrato sulla vittima», sviluppato nell’ambito della tutela dei diritti umani. Tale approccio mira a comprendere e rispondere ai bisogni delle persone sopravvissute a simili esperienze e, nel contesto dei centri truffa e della tratta di esseri umani, intende anche proteggere le vittime da responsabilità penali per i crimini che sono state costrette a commettere. Un rapporto congiunto di diversi relatori speciali delle Nazioni Unite raccomanda che tali princìpi vengano applicati in modo rigoroso: «Il principio di non punizione deve essere pienamente rispettato, garantendo che le vittime non siano perseguite per reati commessi come conseguenza diretta della loro condizione di trafficate, sia in base alle leggi sull’immigrazione sia a quelle penali. È inoltre essenziale che le vittime abbiano accesso effettivo a programmi di riabilitazione dal trauma e alla cura delle torture subite, e che il rimpatrio delle vittime di tratta avvenga su base strettamente volontaria, in condizioni di sicurezza e nel pieno rispetto della loro dignità, in conformità con il principio di non respingimento (non-refoulement). Deve essere assicurato un accesso reale alla protezione internazionale, senza discriminazioni, e devono essere concessi permessi di soggiorno permanenti e incondizionati a chi non può rientrare nel Paese d’origine. Devono essere garantiti anche sostegni di lungo periodo e senza condizioni, comprendenti assistenza psicosociale, medica e legale. È necessario che le vittime con disabilità dispongano di misure di assistenza adeguate e fondate sui diritti, e che sia loro garantita la possibilità di ricorrere effettivamente alla giustizia»[15].
Non è chiaro, tuttavia, quali autorità saranno disposte e in grado di impegnarsi a rispettare tali standard, soprattutto laddove i funzionari competenti non sono stati capaci, o non hanno voluto impedire in origine questi crimini.
Oltre alle violazioni umane e ai costi sociali, molte attività dei centri truffa implicano anche un notevole impatto ambientale, sia nella costruzione sia nel funzionamento. Le reti criminali disboscano foreste, inquinano aria e acqua per edificare nuovi siti, contribuendo alla deforestazione, all’erosione del suolo e alla perdita di habitat naturali. Ignorano impunemente le leggi ambientali, spesso approfittando delle «zone economiche speciali» per edificare i propri centri[16]. Anche se talvolta la popolazione locale trae qualche beneficio economico temporaneo dalle opportunità di impiego in quei centri, il prezzo pagato in termini di degrado degli ecosistemi è altissimo.
La capacità dello Stato e lo Stato di diritto
I centri truffa chiamano in causa la questione dello Stato di diritto e la capacità dei governi di contrastare tali crimini. Come ha ricordato mons. Gallagher all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il contesto di questi fenomeni è decisivo: «Nel Sud-est asiatico, numerose situazioni di instabilità e conflitto stanno ulteriormente aggravando preoccupazioni umanitarie di lunga data. […] In questa situazione di perdurante conflitto, il crimine transnazionale è in crescita»[17].
I centri truffa non possono operare facilmente dove lo Stato di diritto è solido. Hanno la strada spianata, invece, in contesti in cui la legalità è debole, e ciò può accadere in seguito a una scarsa capacità dello Stato di far rispettare le leggi, alla complicità di alcuni funzionari con elementi criminali e all’assenza di una cooperazione internazionale efficace. Nel suo discorso all’Assemblea generale dell’Onu, mons. Gallagher ha ricordato più volte l’importanza dello Stato di diritto; citando papa Francesco, ha affermato che «il compito delle Nazioni Unite, a partire dai postulati del Preambolo e dei primi articoli della sua Carta costituzionale, può essere visto come lo sviluppo e la promozione della sovranità del diritto, sapendo che la giustizia è requisito indispensabile per realizzare l’ideale della fraternità universale». E ha aggiunto: «In termini pratici, lo Stato di diritto riguarda l’idea di limitare l’esercizio del potere. Nessun individuo o gruppo, a prescindere dal suo status, dovrebbe rivendicare l’autorità di violare la dignità e i diritti di altri o delle loro comunità»[18].
Podcast | COMBATTERE LA «SCHIAVITÙ DELLA CORRUZIONE» (RM 8,21).
Secondo alcuni studi, nella sola Ue, il costo della corruzione sarebbe compreso tra i 179 e i 990 miliardi di euro l’anno. Un problema che il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa definisce come una delle più gravi «deformazioni del sistema democratico». Ma quali strumenti abbiamo per combattere la corruzione? Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Busia, presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione.
Gli Stati hanno dunque il dovere di proteggere i diritti dei propri cittadini e di garantire la giustizia entro i propri confini. Non tutti, però, sono ugualmente in grado di farlo. Come afferma san Giovanni Paolo II nella Centesimus annus, sintetizzando la Rerum novarum: «Lo Stato ha il compito di sovraintendere al bene comune e di curare che ogni settore della vita sociale, non escluso quello economico, contribuisca a promuoverlo, pur nel rispetto della giusta autonomia di ciascuno di essi»[19]. Gli Stati che non riescono a prevenire tali crimini vengono meno ai propri doveri verso i cittadini.
Come il principio di sussidiarietà è fondamentale nella Dottrina sociale della Chiesa e nella politica internazionale, così pure la risposta a questi crimini richiede non solo l’azione dello Stato, ma anche la cooperazione delle organizzazioni della società civile. Sono spesso queste ultime, infatti, a monitorare e a denunciare tali fenomeni, anche quando essi coinvolgono corruzione politica o collusione. Ai gruppi sussidiari in questione deve essere assicurata la libertà di vivere la propria vocazione associativa e di esercitare i propri compiti: questo non è solo una condizione di giustizia, ma anche un beneficio per il bene comune. Molte di tali organizzazioni della società civile hanno, per loro natura, un fondamento religioso, pur offrendo i propri servizi a tutte le persone. Le loro attività dipendono quindi anche dalla tutela della libertà religiosa.
Il multilateralismo
Come ha ricordato mons. Gallagher dinanzi all’Assemblea generale dell’Onu, i centri truffa mettono alla prova la capacità degli Stati di cooperare per obiettivi condivisi. Il suo intervento è avvenuto in un momento cruciale della storia delle Nazioni Unite. Fondata nel 1945, l’Onu si prefigge, secondo l’articolo 1 della propria Carta, di «mantenere la pace e la sicurezza internazionale», di «sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodecisione dei popoli», di «conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali» e di «costituire un centro per il coordinamento dell’attività delle nazioni volta al conseguimento di questi fini comuni»[20]. Nell’ambito delle celebrazioni per l’anniversario, il segretario generale António Guterres ha presentato l’iniziativa UN80 per rilanciare e riorientare l’organizzazione[21], formulandone l’obiettivo nei termini di una domanda fondamentale: «Come può l’Onu adattarsi per diventare più agile, integrata e capace di rispondere alle complesse sfide globali attuali, in un contesto di risorse sempre più limitate?»[22]. Resta da verificare se questa iniziativa saprà realmente affrontare le sfide che il mondo di oggi lancia all’Onu.
Molti osservatori rilevano che i risultati ottenuti finora sono contrastanti. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, critico di lunga data dell’Organizzazione, ha dichiarato, in un discorso pronunciato durante la settimana inaugurale dell’Assemblea: «A cosa serve davvero l’Onu? Ha un potenziale enorme…, ma sembra che scrivano soltanto lettere dai toni forti e poi non facciano mai nulla per dar seguito a quelle parole. Sono parole vuote, e le parole vuote non fermano le guerre»[23]. Anche la presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, nel suo intervento all’Onu ha chiesto se l’organizzazione abbia davvero raggiunto il suo obiettivo primario, quello di impedire la guerra: «La risposta la conoscete tutti – ha concluso –, perché è nella cronaca, ed è impietosa»[24].
Negli ultimi decenni i Pontefici hanno sottolineato ripetutamente l’importanza delle Nazioni Unite e, più in generale, delle relazioni multilaterali, offrendo anche il servizio diplomatico della Santa Sede a questa missione. Ha affermato Leone XIV nel Messaggio ai partecipanti alla XLIV Sessione della Conferenza Fao: «Pertanto, è perentorio passare dalle parole ai fatti, mettendo al centro misure efficaci che consentano a queste persone di guardare al loro presente e al loro futuro con fiducia e serenità, e non solo con rassegnazione, mettendo così fine all’epoca degli slogan e delle promesse ingannevoli». In quel contesto, il Pontefice assicurava che «la Santa Sede sarà sempre al servizio della concordia tra i popoli e non si stancherà di cooperare al bene comune della famiglia delle nazioni»[25].
Nessun documento pontificio recente ha forse insistito tanto sull’importanza del multilateralismo quanto l’esortazione apostolica Laudate Deum, in cui papa Francesco non solo ha invitato il mondo a un multilateralismo sano, ma ha proposto anche un nuovo stile di diplomazia internazionale capace di rispondere alle sfide del tempo presente. Stile che deve essere aperto agli impulsi «dal basso» e ispirarsi a quella «nuova sensibilità nei confronti di chi è più debole e meno dotato di potere» che integra l’insegnamento della Chiesa sulla dignità della persona umana. Il Papa ha descritto così la situazione attuale: «La vecchia diplomazia, anch’essa in crisi, continua a dimostrare la sua importanza e necessità. Non è ancora riuscita a generare un modello di diplomazia multilaterale che risponda alla nuova configurazione del mondo, ma, se è capace di riformularsi, dovrà essere parte della soluzione, perché anche l’esperienza di secoli non può essere scartata»[26]. Gli sforzi per prevenire e smantellare i centri truffa devono essere interpretati alla luce di queste considerazioni.
Un possibile terreno di cooperazione internazionale è rappresentato dall’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico. Infatti, la Global Initiative Against Transnational Organized Crime raccomanda: «Data la natura transnazionale di queste reti criminali e la facilità con cui le operazioni fraudolente si spostano oltre i confini, è essenziale rafforzare la cooperazione regionale. Questo deve andare oltre il semplice dialogo e richiede misure concrete per migliorare lo scambio di informazioni e la collaborazione tra i governi, in particolare tra le forze dell’ordine – come già promosso dall’Ufficio delle Nazioni Unite sulla droga e il crimine, dal Bali Process e dall’Asean –, ma anche per consolidare le reti regionali del settore privato e della società civile»[27]. Anche i governi occidentali si sono coinvolti nella questione, in particolare quelli di Stati Uniti, Regno Unito e Australia, i cui cittadini sono stati frequente bersaglio di frodi. Resta da vedere se questi Paesi collaboreranno pienamente con gli Stati del Sud-est asiatico; l’Australia, peraltro, ha già avviato con l’Asean iniziative comuni in questo campo.
In un momento in cui la diplomazia multilaterale è attraversata da gravi difficoltà, la complessità dei crimini commessi nei centri truffa rappresenta un ulteriore ostacolo alla cooperazione. Jason Tower, della Global Initiative Against Transnational Organized Crime, ha dichiarato al New York Times che un elemento essenziale di tale collaborazione deve essere di natura finanziaria: gli Stati devono poter condividere informazioni per tracciare i flussi di denaro in entrata e in uscita dalle reti criminali internazionali[28]. Come afferma il rapporto della Global Initiative del maggio 2025, «la tratta di persone, la frode finanziaria, il crimine informatico, la corruzione e il riciclaggio di denaro – anche attraverso le criptovalute – vanno compresi non come categorie distinte, ma come aspetti di un’unica realtà»[29]. Questo approccio richiede una cooperazione non frammentaria, ma globale e integrata, capace di affrontare i centri truffa nelle loro molteplici e interconnesse dimensioni.
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Le sfide che il mondo affronta attualmente non sono meno numerose né meno gravi di quelle che esistevano al momento della fondazione delle Nazioni Unite. Anzi, forse oggi vi è ancor meno consenso sui princìpi che dovrebbero orientare la politica e la cooperazione internazionale, comprese le questioni antropologiche fondamentali riguardanti ciò che serve veramente al bene umano. Mons. Gallagher, come pure altri Stati ed esperti del settore, invitano l’Onu a rimanere fedele al suo carisma originario e ai suoi princìpi fondanti. Non si tratta di criteri facoltativi, ma di norme e orientamenti essenziali per ogni politica sana e, di conseguenza, per ogni autentico multilateralismo. Come ricorda Leone XIV: «Possa Dio rinnovare in ognuno di noi quella speranza che non delude (cfr. Rm 5,5). Le sfide che abbiamo di fronte sono immense, ma lo sono anche le nostre potenzialità e le linee di condotta possibili!»[30].
La fedeltà a tali princìpi sarà messa alla prova in modo particolare nel contrasto ai centri truffa. Il successo nella lotta contro queste forme di criminalità dipenderà da un multilateralismo capace di rafforzare la capacità degli stati di garantire lo stato di diritto e di promuovere l’impegno della società civile nel quadro del principio di sussidiarietà. Una nuova forma di schiavitù
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[1] Cfr P. R. Gallagher, «Riformare l’Onu per promuovere la pace, lo sviluppo e i diritti umani», in L’Osservatore Romano, 30 settembre 2025.
[2] Cfr «Myanmar’s proliferating scam centers», in Nikkei Asia (asia.nikkei.com/static/vdata/i…), 11 luglio 2025.
[3] Office of the High Commissioner for Human Rights, «Joint Statement by the Special Rapporteur on contemporary forms of slavery, Special Rapporteur on trafficking in persons, and Special Rapporteur on Cambodia on immediate human rights-based action to tackle forced criminality in Southeast Asia scam centers» (tinyurl.com/3wwk8tvw), 19 maggio 2025.
[4] Cfr J. Head, «Notorious cyber scam hub linked to Chinese mafia raided», in BBC (bbc.com/news/articles/c0jdn4yj…), 20 ottobre 2025.
[5] Cfr «Hundreds of thousands trafficked into online criminality across SE Asia», in UN News (news.un.org/en/story/2023/08/1…), 29 agosto 2023.
[6] «Forced Scamming», in IJM (ijm.org/our-work/trafficking-s…).
[7] Cfr «Myanmar’s proliferating scam centers», cit.
[8] Cfr United Nations Office on Drugs and crime, «Crushing scam farms, Southeast Asia’s “criminal service providers”» (tinyurl.com/2s449dp6).
[9] United Nations Human Right Special Procedures, «Joint Statement…», cit.
[10] Cfr W. Mwaura, «The Kenyans lured to become unwitting “love” fraudsters», in BBC (bbc.com/news/world-africa-6365…), 26 novembre 2022.
[11] Cfr F. Kelliher – C. Mureithi, «“I broke completely”: how jobseekers from Africa are being tricked into slavery in Asia’s cyberscam compounds», in The Guardian (tinyurl.com/bdh5t44x), 9 settembre 2025.
[12] Cfr M. Rubio, «Imposing Sanctions on Online Scam Centers in Southeast Asia» (tinyurl.com/4pntu7c2), 8 settembre 2025.
[13] Cfr «Trafficking and slavery still exist today», in IJM (ijm.org/our-work/trafficking-s…).
[14] Global Initiative Against International Organized Crime, «Compound Crime. Cyber Scam Operations in Southeast Asia» (tinyurl.com/mr28yd8d), maggio 2025.
[15] United Nations Human Right Special Procedures, Joint Statement…, cit.
[16] Cfr Global Initiative Against International Organized Crime, «Compound Crime…», cit.
[17] P. R. Gallagher, «Riformare l’Onu…», cit.
[18] Ivi.
[19] Giovanni Paolo II, s., Enciclica Centesimus annus, 1° maggio 1991 (https://
www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_
01051991_centesimus-annus.html).
[20] Statuto delle Nazioni Unite, art. 1 (mim.gov.it/documents/20182/439…
1.%20Statuto-onu.pdf).
[21] Cfr United Nations, «UN80 Initiative» (un.org/un80-initiative/en).
[22] Id., «What is the UN80 Initiative?» (un.org/un80-initiative/en/news…).
[23] «At UN, President Trump Champions Sovereignty, Rejects Globalism», in The White House (tinyurl.com/upck6zsu), 23 settembre 2025.
[24] Presidenza del Consiglio dei ministri, «L’intervento del Presidente Meloni all’80ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite», 24 settembre 2025 (tinyurl.com/yzh87s28).
[25] Leone XIV, Messaggio ai partecipanti alla XLIV Sessione della Conferenza Fao, 30 giugno 2025 (vatican.va/content/leo-xiv/it/…).
[26] Francesco, Esortazione apostolica Laudate Deum, 4 ottobre 2023, n. 41 (vatican.va/content/francesco/i…
laudate-deum.html).
[27] Global Initiative Against International Organized Crime, «Compound Crime…», cit.
[28] Cfr F. Regalado, «Americans Have Lost Billions to Online Scams. How Is That Possible?», in The New York Times (tinyurl.com/437kkwc5), 23 ottobre 2025.
[29] Global Initiative Against International Organized Crime, «Compound Crime…», cit.
[30] Leone XIV, Discorso alla Fao, Roma, 16 ottobre 2025 (vatican.va/content/leo-xiv/it/…).
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