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Cercare onde gravitazionali con una rete di quasar



L’astrofisico Jeremy Darling, dell’Università del Colorado Boulder, sta sviluppando un nuovo metodo per misurare il fondo di onde gravitazionali dell’universo: un flusso costante e impercettibile di increspature che attraversano il cosmo, deformando il tessuto stesso dello spaziotempo. La sua ricerca, pubblicata su The Astrophysical Journal Letters, potrebbe un giorno contribuire a svelare alcuni dei misteri più profondi dell’universo.

Per comprendere come funzionano le onde gravitazionali, immaginate la Terra come una piccola boa che galleggia sulla superficie di un oceano in tempesta: si solleva e ricade seguendo il profilo delle onde, si sposta lateralmente e può anche ruotare o inclinarsi leggermente. Allo stesso modo, le onde gravitazionali fanno oscillare impercettibilmente il nostro pianeta mentre lo attraversano.


Rappresentazione artistica dei buchi neri supermassicci che generano il fondo di onde gravitazionali dell’universo. Crediti: Olena Shmahalo per NanoGrav

Nel corso della storia dell’universo, è probabile che innumerevoli buchi neri supermassicci abbiano interagito tra loro, spiraleggiando l’uno verso l’altro a velocità sempre maggiori fino a collidere. Gli scienziati ritengono che queste colossali fusioni abbiano generato onde gravitazionali così potenti da propagarsi nel tessuto dello spaziotempo come le onde nel mare. Queste onde ci investono costantemente, generando una sorta di rumore di fondo cosmico. Anche se non ce ne accorgiamo.

Nel 2023, i ricercatori dello European Pulsar Timing Array (Epta), in collaborazione con i colleghi indiani e giapponesi dell’Indian Pulsar Timing Array (InPta), hanno annunciato di aver individuato segnali coerenti con l’esistenza di onde gravitazionali a bassissima frequenza, analizzando dati raccolti in oltre 25 anni da sei dei radiotelescopi più sensibili al mondo, tra cui il Sardinia Radio Telescope dell’Inaf. I loro risultati sono risultati coerenti con una serie di studi indipendenti pubblicati in parallelo da altre collaborazioni internazionali, legate agli array di temporizzazione di pulsar australiano (Ppta), cinese (Cpta) e nordamericano (NanoGrav).

Infatti, le pulsarstelle di neutroni che ruotano rapidamente – si comportano come orologi naturali di altissima precisione. Analizzando variazioni minime (inferiori a un milionesimo di secondo) e correlate tra loro nei tempi di arrivo dei loro impulsi, è possibile rilevare le piccolissime dilatazioni e compressioni dello spaziotempo causate dal passaggio di onde gravitazionali provenienti da regioni remote dell’universo. Questo gigantesco rivelatore di onde gravitazionali – che dalla Terra si estende idealmente verso una rete di 25 pulsar selezionate all’interno della Via Lattea, a migliaia di anni luce di distanza – permette di indagare un tipo di onde gravitazionali dal ritmo lentissimo, associate a lunghezze d’onda enormemente maggiori rispetto a quelle osservate a partire dal 2015 grazie agli interferometri per onde gravitazionali, come Virgo a Cascina (vicino Pisa) e Ligo negli Stati Uniti.

Finora, le misurazioni hanno rilevato solo il modo in cui le onde gravitazionali si propagano in una direzione specifica, come onde del mare che si avvicinano e si allontanano dalla riva. L’obiettivo di Darling, invece, è osservare come queste onde si muovano verticalmente – dall’alto verso il basso – rispetto alla Terra. Ricordate la boa? Il tipo di onde gravitazionali che Darling intende misurare ha una frequenza estremamente bassa e attraversa il nostro pianeta nell’arco di anni o addirittura decenni.

Nel suo ultimo studio, l’astrofisico ha coinvolto un’altra classe di oggetti celesti: i quasar, galassie straordinariamente luminose alimentate da buchi neri supermassicci attivi nei loro centri. È proprio osservando con grande precisione il movimento apparente di questi quasar nel cielo che Darling spera di individuare le sottili distorsioni provocate dal passaggio delle onde gravitazionali.

Al momento, Darling non è ancora riuscito a individuare questi segnali, ma la situazione potrebbe cambiare con la disponibilità di nuovi dati. La sua recente pubblicazione punta proprio a gettare le basi per questo tipo di misurazione. La ricerca affronta uno dei compiti più complessi dell’osservazione astronomica: studiare il moto degli oggetti celesti, un campo noto come astrometria. I quasar, che si trovano a milioni o addirittura miliardi di anni luce dalla Terra, sono tra le fonti luminose più distanti e brillanti dell’universo. Tuttavia, la loro luce, nel lungo viaggio verso di noi, non segue necessariamente un percorso perfettamente rettilineo.

Eventuali onde gravitazionali che increspano lo spazio-tempo possono deviarne la traiettoria, facendo apparire – dal nostro punto di vista – che questi quasar oscillino leggermente nel cielo, come se partecipassero a un’oscillazione cosmica. Come spiega lo stesso Darling, «Se si vivesse per milioni di anni e si potessero osservare questi movimenti incredibilmente piccoli, si vedrebbero questi quasar agitarsi avanti e indietro».

O almeno, questa è la teoria. In pratica, gli scienziati hanno finora faticato a osservare questi movimenti per due motivi principali: da un lato, perché si tratta di moti estremamente difficili da rilevare – servirebbe una precisione circa dieci volte superiore a quella necessaria per osservare dalla Terra la crescita di un’unghia umana sulla Luna – e dall’altro, perché la Terra stessa è in movimento. Il nostro pianeta orbita intorno al Sole a una velocità di circa 107mila chilometri all’ora, mentre il Sole sfreccia nella Via Lattea a circa 828mila chilometri all’ora, orbitando attorno al centro della galassia. Per rilevare il segnale delle onde gravitazionali, è dunque necessario separare il moto della Terra da quello apparente dei quasar.

Per avviare questo processo, Darling ha utilizzato i dati del satellite Gaia, dell’Agenzia spaziale europea. Dal suo lancio, avvenuto nel 2013, Gaia ha permesso di raccogliere osservazioni dettagliate di oltre un milione di quasar in circa tre anni. Darling ha analizzato queste osservazioni, suddividendo i quasar in coppie e misurando con estrema precisione come ciascuna coppia si muoveva rispetto all’altra.

I risultati finora ottenuti non sono ancora sufficientemente dettagliati da dimostrare in modo definitivo che le onde gravitazionali influenzano il moto apparente dei quasar. Tuttavia, secondo lo stesso autore, si tratta di un passo importante: comprendere la fisica delle onde gravitazionali potrebbe aiutare gli scienziati a ricostruire l’evoluzione delle galassie e a verificare le ipotesi fondamentali sulla gravità.

E presto, Darling potrebbe ricevere un aiuto significativo. Nel 2026, il team di Gaia prevede di pubblicare altri cinque anni e mezzo di osservazioni sui quasar, offrendo così una nuova e preziosa serie di dati che potrebbe rivelare i segreti del fondo di onde gravitazionali dell’universo.

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