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Sopravvivere su Venere? Il Pna ce la potrebbe fare




Immagine del pianeta Venere catturata dalla sona Mariner 10 della Nasa nel 1974. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech

Venere, il pianeta “gemello della Terra”, è un mondo estremamente inospitale. Ha una temperatura superficiale che raggiunge i 465 gradi Celsius, sufficiente a fondere il piombo. La sua pressione atmosferica è circa 94 volte quella terrestre, abbastanza da schiacciare qualsiasi cosa non sia stata appositamente progettata per resistere a condizioni così estreme. Inoltre, come se non bastasse, ha un’atmosfera avvolta da dense nubi cariche di acido solforico, una sostanza estremamente corrosiva. Eppure, nonostante queste condizioni proibitive, la possibilità della presenza di vita sul pianeta continua a stimolare l’interesse degli scienziati.

Ne è una dimostrazione un recente studio pubblicato su Science Advances in cui un team di ricercatori guidato da Janusz J. Petkowski, astrobiologo della Wrocław University of Science and Technology (Polonia), ha valutato la capacità dell’acido peptido nucleico – un analogo strutturale del Dna – di resistere in condizioni che simulano l’ambiente acido delle nubi venusiane.

La ricerca, dal titolo “Implicazioni astrobiologiche della stabilità e della reattività dell’acido peptido nucleico (Pna) nell’acido solforico concentrato”, prende spunto da due osservazioni e dai risultati di due studi. La prima osservazione riguarda la complessità strutturale delle molecole biologiche. Una caratteristica universale della vita è l’affidamento delle funzioni biologiche a polimeri complessi, sottolineano i ricercatori. Se gli esseri viventi richiedono queste molecole per portare avanti i loro processi, allora trovare candidati polimeri stabili nelle nubi venusiane è un passo necessario per stabilire la potenziale abitabilità del pianeta. La seconda osservazione ha a che fare con le caratteristiche proprie dell’atmosfera di Venere. Come anticipato, le nubi di Venere sono composte da acido solforico concentrato. Nonostante sia una sostanza corrosiva, diverse ricerche suggeriscono che è possibile che alcune molecole organiche complesse possano sopravvivere in un ambiente così ostile. Per quanto riguarda i due studi, il primo, condotto da un team di scienziati dell’Imperial College di Londra, è quello che riporta la dibattuta scoperta della fosfina – un gas che sulla Terra è prodotto da microbi che prosperano in ambienti privi di ossigeno. Il secondo studio, condotto da un gruppo di scienziati dell’Università Università di Cardiff, riguarda invece la rivelazione di ammonica.

Queste considerazioni, insieme al fatto che negli strati dell’atmosfera di Venere, ad altitudini comprese tra 48 e 60 chilometri, le temperature corrispondono a quelle riscontrate sulla superficie terrestre, hanno spinto gli scienziati a chiedersi se sia possibile che una molecola simile al Dna possa sopravvivere in condizioni analoghe a quelle delle nubi di Venere.

«Sia l’ammoniaca che la fosfina sono biomarcatori, possono cioè indicare la presenza di vita. Ma le nubi di Venere sono assolutamente ostili alla vita come la conosciamo sulla Terra», dice William Bains, ricercatore all’Università di Cardiff e co-autore dello studio. Per questo la nostra ricerca mira a esplorare il potenziale dell’acido solforico concentrato come solvente capace di supportare la chimica complessa necessaria alla vita in nubi apparentemente inabitabili».

In particolare, nello studio i membri del team hanno testato la stabilità e la reattività di un analogo strutturale della molecola del Dna in una soluzione concentrata di acido solforico. La molecola oggetto della ricerca è, come detto, l’acido peptido nucleico (Pna), un polimero a singolo filamento in grado di interagire strettamente e specificamente con il Dna e l’Rna, e per questa caratteristica ampiamente utilizzato come analogo degli acidi nucleici nella ricerca biomedica e in molti altri campi della scienza, compresa l’astrobiologia e le scienze planetarie. Sebbene si tratti di una molecola non presente oggi in natura, si ritiene che possa essere stata la prima macromolecola biologica utilizzata dalla vita sulla Terra.

Dal punto di vista strutturale, l’acido peptido nucleico è una molecola molto simile all’Rna, dal quale differisce però per la struttura che tiene insieme i diversi nucleotidi – i mattoncini che costituiscono gli acidi nucleici: non il classico scheletro zucchero (desossiribosio nel Dna e ribosio nell’Rna)/fosfato, ma un’ossatura fatta di N- (2-amminoetil) glicina (Aeg).


Nel riquadro (A), esameri di Pna composti da sei unità identiche e consecutive delle basi azotate: adenina (A6), guanina (G6), citosina (C6) e timina (T6). Lo scheletro di N- (2-amminoetil) glicina (Aeg) è colorato in rosso, le basi azotate in blu, i linker tra le due sottostrutture in rosa. Nel riquadro (B), le strutture dei monomeri che costituiscono la molecola di Pna: mA , mG , mC e mT. Crediti: Janusz J. Petkowski et al., Science Adavances, 2025

Per esplorare il potenziale della molecola di sopravvivere nelle condizioni delle nubi venusiane, i ricercatori hanno utilizzato quattro filamenti singoli di Pna, ciascuno composto da sei unità identiche (esameri) e consecutive delle basi azotate adenina, guanina, citosina e timina. Successivamente, hanno immerso i campioni in una soluzione di acido solforico al 98 per cento. Infine, hanno valutato la stabilità delle molecole a diverse temperature su scale temporali di ore, giorni e settimane.

Andiamo ai risultati: tutti gli omoesameri di Pna sono sopravvissuti alle concentrazioni testate, mostrando una degradazione inferiore al 28,6 per cento per almeno 14 giorni a temperatura ambiente (da 18 a 25 gradi Celsius), spiegano i ricercatori.

«Si pensa che l’acido solforico concentrato distrugga tutte le molecole organiche e quindi uccida ogni forma di vita, ma non è vero», osserva Petkowski. «Anche se molte biomolecole, come gli zuccheri, sono instabili in un simile ambiente, le nostre ricerche hanno dimostrano finora che altre sostanze presenti negli organismi viventi, come le basi azotate, gli amminoacidi e alcuni dipeptidi, non si degradano. Il nostro studio apre un nuovo capitolo sul potenziale dell’acido solforico come solvente per la vita, dimostrando che il Pna, una molecola complessa strutturalmente simile al Dna e nota per interagire in modo specifico con gli acidi nucleici, mostra una stabilità notevole nell’acido solforico concentrato a temperatura ambiente».

Le cose sono tuttavia cambiate a temperature più elevate: dopo 24 ore di incubazione in acido solforico a 80 gradi Celsius, i ricercatori hanno infatti osservato la completa degradazione (solvolisi) di tutti e quattro gli esameri.

«Il nostro studio dimostra che il Pna non è più stabile in acido solforico a temperature superiori a 50 °C. Pertanto, la nostra futura ricerca si concentrerà sulla creazione di un polimero genetico – una molecola in grado di svolgere il ruolo del Dna per vita sulla Terra – che sia stabile in acido solforico concentrato nell’intervallo di temperatura delle nubi di Venere, tra 0 e 100 gradi Celsius, e non solo a temperatura ambiente».

Aver trovato che una molecola come il Pna è in grado di resistere alle condizioni venusiane simulate naturalmente non significa che l’origine della vita nell’acido solforico concentrato sia possibile. Tuttavia, la possibilità che l’atmosfera di Venere possa supportare la vita basata esclusivamente sull’acido solforico non può essere esclusa. È possibile, ad esempio, che la vita possa usare l’acido solforico concentrato come solvente al posto dell’acqua, assente nell’atmosfera del pianeta.

«Scoprire che il Pna, con le sue somiglianze con il Dna, possa rimanere immerso nell’acido solforico concentrato per ore è davvero sorprendente. È un nuovo tassello di un puzzle molto più grande che ci aiuta a comprendere come la vita, seppur molto diversa dalla nostra, si forma e in quale parte dell’universo potrebbe esistere».

Secondo il team, queste scoperte offrono nuovi modi per comprendere la chimica dell’acido solforico: dimostrando la stabilità di un polimero come il Pna in acido solforico al 98 per cento, sottolineano i ricercatori, abbiamo compiuto un sostanziale passo avanti nell’esplorazione del potenziale di questo acido come solvente in grado di supportare la complessa chimica necessaria per la vita, dimostrando la potenziale abitabilità dell’atmosfera di Venere.

Il nostro lavoro è il primo passo fondamentale verso l’identificazione di un polimero di tipo genetico stabile in questo solvente unico, concludono i ricercatori. Sosteniamo l’idea che l’acido solforico liquido concentrato, sia nelle goccioline liquide delle nubi di Venere che sugli esopianeti, possa sostenere una vasta gamma di reazioni chimiche organiche che potrebbero essere in grado di supportare forme di vita diverse da quelle terrestri.

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