Space Jaws: lo squalo spaziale azzanna una stella
Se ne stava appostato, silente e invisibile, apparentemente innocuo, sepolto nel nero degli spazi interstellari in una galassia a seicento milioni di anni luce dalla Terra, pronto a sferrare l’attacco letale. Nel frattempo, da qualche parte nei paraggi, come nella scena di apertura della celebre pellicola di Spielberg del ‘75 una giovane e allegra bagnante si immergeva in un piacevole bagno notturno nelle acque del New England, potremmo supporre che, se fosse dotata di sentimenti umani, con la stessa spensierata noncuranza, una stella andava incontro alla sua morte. L’ha azzannata senza pietà, oltraggiando la sua stellare simmetria, stirandola da parte a parte, sparpagliandone il cadavere in un luminoso disco di accrescimento, prima di inghiottirla e fare pure un bel ruttino. Ruttino che non è passato inosservato agli occhi attenti di diversi telescopi, vera e propria prova del delitto appena consumato, traccia inconfutabile che inchioda il colpevole del cosmico misfatto.
Chi è l’artefice di tale azione feroce? Ma un buco nero, ovviamente. Squalo spaziale (“Space jaws”), lo hanno soprannominato così, quelli della Nasa. Il delitto, invece, in inglese viene detto tidal disruption event (Tde), ovvero evento di distruzione mareale. E ha coinvolto una povera stella che si trovava a transitare nei paraggi. L’impressionante forza di gravità del buco nero è più intensa per la parte della stella più prossima ad esso, mentre la regione più lontana è meno attratta. Questa differenza nella forza gravitazionale, che dà luogo alle cosiddette forze di marea, stira – o, se preferite, spaghettifica – la stella, i cui resti cominciano ad orbitare attorno al buco nero prima di essere inevitabilmente inghiottiti. Questo fenomeno sprigiona una grande quantità di energia – quella che teneramente chiamavamo prima ruttino – che può essere osservata in diverse bande dello spettro elettromagnetico. Quello che era dapprima un invisibile, quiescente, ignoto buco nero in questo modo si palesa, e gli scienziati possono studiarne le proprietà.
Illustrazione artistica che rappresenta le diverse fasi di un evento di distruzione mareale (Tde). Un buco nero supermassiccio inizialmente quiescente (1) cattura gravitazionalmente una stella che si trova nei paraggi (2). Le forze di marea spaghettificano la stella (3) e ciò che ne rimane viene distribuito in un disco di accrescimento che alimenta il buco nero (4). A seguito dell’accrescimento di materia il buco nero sprigiona una gran quantità di energia (5) che lo rende visibile dai telescopi a terra e nello spazio. Nel caso di At2024tvd, il lampo di energia appare spostato rispetto al centro della galassia che ospita il buco nero (6). Crediti: Nasa, Esa, StScI, R. Crawford (Stsci)
Questo qui ha la faccia di un buco nero supermassiccio, grosso quanto un milione di soli. E a differenza della maggior parte dei buchi neri supermassicci, che se ne stanno più e meno vivaci nel centro delle galassie che li ospitano, questo se ne sta discosto, a 2600 anni luce dal nucleo della galassia che lo accoglie. Il cuore di quest’ultima sembrerebbe infatti già occupato da un altro enorme buco nero, cento volte più massiccio di quello che ha provocato l’evento di distruzione mareale, e già noto agli scienziati. Stranamente, i due buchi neri non sono gravitazionalmente legati – vuol dire che in pratica l’uno non avverte l’influenza dell’altro – ma, secondo gli astronomi, è possibile che alla lunga il più piccolo possa spiraleggiare verso il centro della galassia e fondersi con l’altro in un buco nero più grande. Al Tde che ha consentito di scovare il crudele, sebben più piccino, buco nero è stato assegnato il criptico nome di At2024tvd. È la prima volta che un Tde viene localizzato fuori dal centro di una galassia. Lo studio che ne riporta la scoperta verrà presto pubblicato su The Astrophysical Journal Letters.
«At2024tvd è il primo Tde decentrato catturato da survey ottiche del cielo e apre la possibilità di scoprire questa sfuggente popolazione di buchi neri vaganti con future survey», dice la prima autrice dello studio, Yuhan Yao, dell’University of California a Berkeley. «Al momento, i teorici non hanno prestato molta attenzione ai Tde spostati dal centro. Credo che questa scoperta motiverà gli scienziati a cercare altri esempi di questo tipo di evento.»
Come si diceva agli inizi, l’episodio cruento è stato immortalato da diversi telescopi situati sulla Terra, che quotidianamente scandagliano l’intera volta celeste. Un luminoso e improvviso lampo, così si è presentato al mondo ignaro, simile a quelli sprigionati dalle esplosioni di supernova. Solo che in questo caso il lampo era particolarmente energetico e presentava larghe righe di emissione di svariati elementi chimici, segno inequivocabile della presenza di un buco nero supermassiccio. È stato lo specchio da poco più di un metro del telescopio ottico Zwicky Transient Facility, dell’Osservatorio di Monte Palomar, e che scandaglia ogni 48 ore l’intero emisfero celeste boreale, a notare per primo che qualcosa di anomalo stava accadendo, a diverse centinaia di milioni di anni luce dalla nostra galassia.
«Gli eventi di distruzione mareale sono molto promettenti per “illuminare” la presenza di buchi neri massicci che altrimenti non saremmo in grado di rivelare», spiega Ryan Chornock, professore associato a Berkeley e membro del team del telescopio che ha scoperto At2024tvd. «Gli astrofisici teorici hanno previsto che debba esistere una popolazione di buchi neri massicci situati lontano dai centri delle galassie, ma ora possiamo usare i Tde per trovarli.»
Da un confronto con dati preesistenti gli astronomi hanno notato lo scostamento del Tde dal centro della galassia ospitante. Un indizio ulteriore è venuto dal Chandra X-ray Observatory, che ha monitorato il brillamento della sorgente, visibile anche nei raggi X, rivelando anch’esso una posizione dell’evento non coincidente con il centro della galassia. Per fugare ogni dubbio, gli scienziati hanno osservato la sorgente di energia con il telescopio spaziale Hubble, sensibile stavolta alla componente ultravioletta del Tde, e sfruttandone la sopraffina risoluzione angolare, hanno potuto determinare con estrema accuratezza l’origine dell’evento, che si è confermato spostato rispetto al centro.
La galassia ospite dell’evento di distruzione mareale (Tde). Il buco nero supermassiccio responsabile del Tde è spostato rispetto al centro della galassia, come rivela il lampo di luce emesso in occasione del Tde. L’immagine, che mostra la posizione accurata del Tde, è stata realizzata col telescopio Hubble nell’ultravioletto. Crediti: Nasa, Esa, StScI, Y. Yao (Uc Berkeley); Elaborazione: J. DePasquale (Stsci)
Come ci sia finito là, lontano dal centro, gli scienziati ancora non se lo spiegano. Un’ipotesi la racconta Yao e avrebbe a che fare con altri due buchi neri supermassicci: «Se il buco nero ha subito una tripla interazione con altri due buchi neri nel nucleo della galassia, può comunque rimanere legato ad essa, orbitando attorno alla regione centrale». Un secondo scenario tira in ballo una passata fusione (merger) tra la galassia in cui il buco nero risiede attualmente e una galassia più piccola, fusione avvenuta oltre un miliardo di anni fa. Il buco nero responsabile del Tde non era altro che il buco nero centrale della piccola galassia interagente. Se così stanno le cose, gli scienziati prevedono che i due buchi neri supermassicci prima o poi si uniranno, nel centro della galassia attuale.
In futuro, strumenti come il Vera Rubin Observatory e Nancy Grace Roman Space Telescope consentiranno di osservare numerosi fenomeni transienti, eventi che si accendono all’improvviso e poi si placano, come quello che ha visto protagonista il buco nero di questa scoperta.
Potrebbe farlo ancora? Di mangiarsi una stella, s’intende. Certamente sì. Il quando non lo sappiamo. Il temibile tema di John Williams, due note sole per evocare il terrore assoluto di una minaccia che non si vede, continua a suonare. Nel nero impenetrabile degli spazi tra le stelle, nulla possono ardite spedizioni di sceriffi, cacciatori di squali e biologi marini. Il buco nero è ancora in agguato. E aspetta.
Per saperne di più:
- Leggi il preprint dell’articolo in uscita su The Astrophysical Journal Letters “A Massive Black Hole 0.8 kpc from the Host Nucleus Revealed by the Offset Tidal Disruption Event AT2024tvd”, di Yuhan Yao, Ryan Chornock, Charlotte Ward, Erica Hammerstein, Itai Sfaradi, Raffaella Margutti, Luke Zoltan Kelley, Wenbin Lu, Chang Liu, Jacob Wise, Jesper Sollerman, Kate D. Alexander, Eric C. Bellm, Andrew J. Drake, Christoffer Fremling, Marat Gilfanov, Matthew J. Graham, Steven L. Groom, K. R. Hinds, S. R. Kulkarni, Adam A. Miller, James C. A. Miller-Jones, Matt Nicholl, Daniel A. Perley, Josiah Purdum, Vikram Ravi, R. Michael Rich, Nabeel Rehemtulla, Reed Riddle, Roger Smith, Robert Stein, Rashid Sunyaev, Sjoert van Velzen e Avery Wold