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Il Salmo 113: «Chi è come il Signore nostro Dio?»


Una persona prega alzando le braccia al cielo
«Chi è come il Signore nostro Dio?». Questa domanda si trova una sola volta nella Scrittura (Sal 113,5), ma ce ne sono molte altre simili. In diverse occasioni essa è rivolta a Dio stesso: «Yhwh, chi è come te per liberare il debole dal forte, il povero dal saccheggiatore?» (Sal 35,10); «Tu che hai fatto grandi cose, o Dio, chi è come te?» (Sal 71,19; anche Sal 89,9). Ogni volta la domanda è motivata da una ragione. Questa può essere generica: «Tu che hai fatto grandi cose» (Sal 71,19), ma può essere anche molto dettagliata, come in Dt 4,34-39:

«34Ha mai tentato un dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come fece per voi il Signore, vostro Dio, in Egitto, sotto i tuoi occhi? 35Tu sei stato fatto spettatore di queste cose, perché tu sappia che il Signore è Dio e che non ve n’è altri fuori di lui. 36Dal cielo ti ha fatto udire la sua voce per educarti; sulla terra ti ha mostrato il suo grande fuoco e tu hai udito le sue parole che venivano dal fuoco. 37Poiché ha amato i tuoi padri, ha scelto la loro discendenza dopo di loro e ti ha fatto uscire dall’Egitto con la sua presenza e con la sua grande potenza, 38scacciando dinanzi a te nazioni più grandi e più potenti di te, facendoti entrare nella loro terra e dandotene il possesso, com’è oggi. 39Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro».

Le «grandi cose» che il Signore fece per Israele furono soprattutto la liberazione dalla schiavitù in terra d’Egitto, che infine li avrebbe portati a prendere possesso della terra promessa. La domanda del v. 34 trova risposta nei vv. 35 e 39. Questa è la benedizione emblematica di tutte le altre: segna la nascita di Israele come popolo libero. Il Canto del Mare in Es 15, dopo la traversata del Mar Rosso (cfr Es 14), si concentra su una doppia domanda rivolta al Signore nel v. 11:

«Chi è come te

fra gli dèi, Yhwh?

······························································

Chi è come te,

splendente di santità,

terribile in lodi,

operatore di prodigi?».

La risposta a queste domande è talmente ovvia che il più delle volte non viene espressa: è chiaro che «non c’è nessuno come il Signore». Tanto che, a volte, la domanda lascia il posto a un’affermazione, come nel Cantico di Anna: «Non c’è un Santo come Yhwh, perché non c’è nessuno all’infuori di te, non c’è una Roccia come il nostro Dio» (1 Sam 2,2).

A volte la domanda viene posta persino da Dio stesso:

«6 Così dice il Signore, il re d’Israele,
il suo redentore, il Signore degli eserciti:
“Io sono il primo e io l’ultimo;
fuori di me non vi sono dèi.
7 Chi è come me? Lo proclami,
lo annunci e me lo esponga”» (Is 44,6-7).

In questo caso, la risposta precede la domanda.

Il Salmo 113 sembra essere un caso particolare, come vedremo. Ecco una traduzione letterale:

«1 Lodate Yah!
Lodate, servi di Yhwh,
lodate il nome di Yhwh.
2 Sia il nome di Yhwh benedetto
da ora e per sempre;
3 dal sorgere del sole fino al suo tramonto
lodate il nome di Yhwh.
4 Esaltato su tutte le nazioni, Yhwh,
al di sopra dei cieli la sua gloria.
5 Chi è come Yhwh nostro Dio?
S’innalza per sedere,
6 si abbassa per vedere
nei cieli e sulla terra.

7 Rialza dalla polvere il misero,
dal letame esalta il povero,
8 per farlo-sedere con i principi,
con i principi del suo popolo;
9 fa-sedere la sterile di casa,
madre di figli felice.
Lodate Yah!».

Per la storia delle forme (Formgeschichte), questo è un salmo di lode. Come tutti gli altri salmi di lode, comprende essenzialmente due elementi: 1) l’invito alla lode (vv. 1-3); 2) i motivi per lodare il Signore (vv. 4-9). Qui, questi ultimi si suddividono in due: la natura di Dio (vv, 4-6) e le sue opere (vv. 7-9). La storia delle forme riduce tutti i testi appartenenti a questa forma allo stesso schema. Le due traduzioni francesi della Bible de Jérusalem e della Tob (Traduzione ecumenica della Bibbia) dividono il salmo in tre strofe uguali, che corrispondono agli elementi della forma.

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Queste due traduzioni si differenziano per la punteggiatura dei versetti 5-6. Per la Bible de Jérusalem, come per la traduzione Cei, questi due versetti formano una sola frase interrogativa, mentre per la Tob la domanda con cui inizia il versetto 5 è una frase indipendente. Queste traduzioni riflettono, ovviamente, le diverse opinioni degli esegeti.

Senza addentrarci in una discussione troppo tecnica, facciamo notare che i due participi presenti nel testo ebraico – tradotti con «s’innalza» e «si abbassa» – hanno la particolarità di essere dotati di una finale –î arcaizzante. Ma non sono gli unici: c’è anche «esalta» (v. 7b) e «fa-sedere» (9a); perfino l’infinito nel versetto 8a ha una finale –î. Tradotti al presente, questi participi in rima sono «participi innici», che indicano l’unità di tutto ciò che viene dopo la domanda del versetto 5a.

C’è un altro modo di analizzare i testi, diverso da quello della storia delle forme: è quello che cerca di scoprire il carattere particolare e unico di ogni testo. Inoltre, la poesia ebraica non obbedisce alle stesse regole della nostra: non è organizzata in strofe uguali; ha leggi e caratteristiche proprie, come si può vedere nel Salmo 113; in particolare: 1) sono molto frequenti le composizioni concentriche; 2) al centro di una composizione concentrica spesso c’è una domanda.

Composizione


Incorniciato da due «Alleluia» – qui tradotti letteralmente –, il salmo ha tre parti principali: quelle estreme (vv. 1b-4 e 5b-9b) sono più sviluppate, mentre la parte centrale, la domanda (v. 5a), è molto breve.

La prima parte comprende tre brani: due brevi alle estremità, e uno più lungo al centro. Sono strutturati così:

I due membri del primo brano sono complementari: lo stesso imperativo è seguito prima da un vocativo, che designa il soggetto del verbo (v. 1b), poi dall’oggetto, «il nome di Yhwh» (v. 1c). I «servi di Yhwh» sono gli israeliti, coloro che servono il loro Dio, il cui nome era stato rivelato a Mosè al roveto ardente. Il tetragramma sacro si scrive «Yhwh», che gli ebrei non pronunciano per rispetto e sostituiscono con il nome «Adonai», che significa «Signore».

Il brano successivo (vv. 2-3) è costruito in modo speculare. Alle estremità ci sono due membri sinonimi, che esprimono l’augurio che «il nome di Yhwh» sia «benedetto» e «lodato»; in mezzo ci sono due complementi: prima quello di tempo (v. 2b), poi quello di luogo (v. 3a). La lode di Yhwh deve estendersi a tutto il tempo e a tutto lo spazio. Quindi, non sono solo gli israeliti a essere invitati a lodare il Signore, ma tutti i popoli, dall’Oriente all’Occidente.

L’ultimo brano conferma questa estensione dell’invito a «tutte le nazioni» (v. 4a), e non solo ad esse, ma anche ai «cieli», al «più alto dei cieli» (v. 4b). Il nome «Yhwh» compare due volte nei primi due brani, mentre nell’ultimo a esso si aggiunge «la sua gloria». Una sorpresa finale che chiude in bellezza il brano!

Alla prima parte, che invita tutti gli uomini a lodare il Dio di Israe­le, segue l’ultima parte, che ne spiega le ragioni:

Il primo brano (vv. 5b-6) comprende un unico segmento trimembro: i primi due membri sono opposti, mentre, per quanto riguarda il terzo, si potrebbe pensare che l’espressione «nei cieli» si riferisca al primo membro, cioè al fatto che Dio è seduto in cielo, e che l’espressione «sulla terra» rimandi al secondo membro, in quanto Dio vuole vedere cosa succede sulla terra. Tuttavia, sembra preferibile pensare che Dio si alzi per sedersi non solo sopra la terra, ma addirittura sopra i cieli. Infatti, questo è ciò che diceva il salmista alla fine della prima parte: «al di sopra dei cieli la sua gloria» (v. 4b).

Il secondo brano (vv. 7-9) è composto da tre segmenti bimembri; è quindi di ritmo ternario, come il primo brano, il cui unico segmento è un trimembro. I due membri del primo segmento (v. 7ab) sono sinonimi. Il secondo segmento è sintatticamente legato al primo, in quanto è costituito da una proposizione finale. Per quanto riguarda i due membri dell’ultimo segmento (v. 9ab), essi corrispondono ai due segmenti precedenti: infatti, «la sterile di casa» rimanda al «misero» e al «povero» del v. 7; e «madre di figli» si riferisce alla nuova situazione felice della donna sterile, così come il versetto 8 si riferiva alla nuova condizione dell’uomo misero e povero. In questo modo, il maschile e il femminile sono complementari.

L’unità dei due brani è indicata dalla ripetizione di verbi della stessa radice: «sedere» e «far-sedere» (vv. 5b.8a.9a). Ciò suggerisce che, se Dio «siede» sul suo trono celeste, cioè se troneggia in cielo, «fa-sedere» «il misero» e «la sterile», facendoli troneggiare come lui stesso. Ricordiamo inoltre che l’unità di questa parte è indicata dal fatto che i verbi «s’innalza», «si abbassa», «rialza», «fa-sedere», e persino «per farlo-sedere», terminano tutti con la stessa arcaica, che fa rima.

Passiamo ora a considerare l’intero salmo:


Le parti estreme comprendono un solo segmento di un solo membro: «Lodate Yah!» (cioè, in ebraico, «Alleluia»). Le due parti seguenti sono più sviluppate (vv. 1b-4; 5b-9b). La prima è un lungo invito alla lode; l’altra, che descrive l’azione di Dio in favore degli umiliati, esprime le ragioni per le quali il Signore deve essere lodato.

Tra queste due lunghe parti, e quindi nel cuore del salmo, c’è una parte molto breve (v. 5a), che comprende un solo segmento di un solo membro. In essa sono ripresi il nome «Yhwh», che ritornava cinque volte nella parte precedente, e il suo nome contratto, «Yah», indicato nelle parti estreme. La parte centrale si distingue nettamente dalle quattro parti che la inquadrano: è infatti l’unica frase interrogativa di tutto il salmo, è anche la sola che contiene un aggettivo possessivo alla prima persona plurale («nostro»).

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La fine della seconda parte (v. 4) e l’inizio della quarta parte (vv. 5b-6) si corrispondono: l’espressione «i cieli e la terra» del v. 6b risponde specularmente a «i cieli» del v. 4b e a «le nazioni» del v. 4a. Inoltre, «esaltato», all’inizio del v. 4, e «si innalza», all’inizio dei vv. 5b-6 sono sinonimi. Tutte queste corrispondenze svolgono la funzione di termini medi a distanza (o «parole-gancio»). Ci si potrebbe domandare se «la terra» del versetto 6b designi la terra di Israele o la Terra intera; il parallelo con il v. 4a indica chiaramente che si tratta dell’insieme di «tutte le nazioni», tanto più che nulla nel seguito della quarta parte (vv. 7-9b) consente di restringere l’aiuto del Signore ai soli figli di Israele.

L’elenco di tutte le parole che indicano la lode di Yhwh nella seconda parte – «lodate» (v. 1b.1c), «benedetto» (v. 2a), «lodato» (v. 3b), «esaltato» (v. 4a) – trova il suo corrispondente nella quarta parte con la serie dei verbi in cui Dio non è più ora l’oggetto, ma il soggetto: in particolare, «esalta» (v. 7b), che riprende «esaltato» del versetto 4a, ma anche «rialza» del versetto 7a.

«Chi è come il Signore nostro Dio?». Il povero


La domanda centrale (v. 5a) sembra svolgere una duplice funzione. Essa appare infatti come una sorta di reazione ammirata al caloroso invito alla lode che la precede (vv. 1b-4), e dà avvio anche alla lista delle motivazioni di lode che la seguono (vv. 5b-9b). In realtà, la penultima parte del salmo offre la risposta alla domanda. Quale altro Dio ha fatto, o farebbe, ciò che Yhwh fa per gli uomini? Qual è il Dio la cui assoluta trascendenza, come viene descritta alla fine della seconda parte (v. 4), consiste nell’«abbassarsi» fino alla «polvere» e al «letame», dove giacciono «il misero» e «il povero»?

Non solo il Signore si abbassa fino all’infimo; se lo fa, non è altro che per «esaltare» gli umiliati (v. 7), come egli stesso è «esaltato» al di sopra di tutto (v. 4)[1]. In questo modo la risposta alla domanda che sembra ovvia alla maggioranza degli esegeti – «Non c’è assolutamente nessuno nel cielo e sulla terra come il Signore nostro Dio!» (cfr Sal 40,6; 86,8) – potrebbe essere completata o, meglio, dovrebbe essere completamente rovesciata: sono il povero e la sterile che sono «come il Signore nostro Dio».

Questo è propriamente incredibile. Ed è proprio a questo che l’uomo è invitato fin dall’origine: «Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò» (Gen 1,27).

Figli di Dio


Le traduzioni greche antiche hanno reso il vocativo – che qui viene tradotto con «servi» (v. 1b) – con paides, che significa sia «servi» sia «fanciulli». Ecco perché la Volgata traduce: Laudate, pueri, Dominum, il che ricorda il Sal 8,2: «Fino ai cieli il tuo splendore è cantato dalla bocca dei bambini, dei lattanti». Ed è in questa prospettiva che il salmo è stato commentato dalla maggior parte dei Padri della Chiesa.

Secondo tale lettura, è possibile vedere un rapporto tra questa seconda parola del corpo del poema e la penultima, «figli» (v. 9b), il che potrebbe essere considerato come una sorta di inclusione. Così può essere individuato un legame con la domanda centrale del salmo: coloro che sono «come il Signore nostro Dio» sono i suoi figli, coloro che egli ha donato, come uno sposo, alla donna sterile. L’immagine non è senza precedenti, se si ricordano i testi dei profeti nei quali Israele è presentato come una donna senza figli alla quale il Signore ridona la capacità di generare:

«1 Grida di gioia, sterile, tu che non hai partorito;
Prorompi in grida di gioia, in clamori,
tu che non hai mai messo al mondo,
Perché più numerosi sono i figli dell’abbandonata
di quelli della sposa, dice Yhwh. […]
4 Non avere paura, tu non proverai più vergogna,
Non sii confusa, tu non dovrai più arrossire;
Perché tu dimenticherai la vergogna della tua giovinezza,
Tu non ricorderai più il disonore della tua vedovanza.
5 Il tuo creatore è il tuo sposo, Yhwh Sabaot è il suo nome,
Il santo di Israele è il tuo redentore, si chiama Dio di tutta la terra.
6 Sì, come una donna abbandonata e afflitta, Yhwh ti ha chiamata,
Come una donna della sua giovinezza che era stata ripudiata,
dice il tuo Dio.
7 Per un breve istante ti avevo abbandonata,
mosso da un immenso amore, ti riunisco a me.
8 In un impeto di collera, per un istante,
ti avevo nascosto il mio volto.
Con un amore eterno ho avuto pietà di te,
dice Yhwh, il tuo redentore» (Is 54,1-8).

Cristo si è fatto povero


Per il lettore cristiano, la domanda centrale del salmo spinge a una risposta che, per restare nella linea della sua accezione antica, non acquisterebbe un significato nuovo. Si è spesso sottolineato la parentela tra questo salmo e il Magnificat, al punto di chiamarlo «il Magnificat dell’Antico Testamento». Più che l’inno della lettera ai Filippesi (cfr Fil 2,6-11), sembra che testi come 2 Cor 8,9 siano più prossimi al movimento del salmo: «Voi conoscete, infatti, la grazia del Signore Gesù Cristo, che per voi si è fatto povero, da ricco che era, per arricchirvi con la sua povertà».

Non si tratta in questo salmo, come nell’inno della lettera ai Filippesi, dell’abbassamento seguìto dall’esaltazione della stessa persona: colui che fin dal cielo si abbassa lo fa per esaltare gli umili. Troppo bello per essere vero! È per questo che i commentatori riducono la domanda centrale del salmo a una domanda retorica la cui risposta è evidente, ed è la stessa di quella di molti altri testi: così appiattiscono un testo che invece reca una novità.

C’è un altro caso «incredibile» dello stesso tipo. I Salmi 111 e 112, che precedono il Sal 113, sono salmi gemelli: sono acrostici alfabetici, ciascuno composto di 22 membri. Il primo salmo dice chi è Dio, il secondo chi è l’uomo retto. Ciò che si dice dell’uno si dice anche dell’altro. Ad esempio, nel primo viene detto di Dio: «E la sua giustizia rimane in eterno» (v. 3b); e il Sal 112 lo dice dell’uomo retto, ripetendolo, quasi alla lettera, nel v. 9b: «La sua giustizia rimane in eterno».

Tuttavia, c’è un altro punto che è così sorprendente da sembrare troppo bello per essere vero. Il Sal 111 dice: «Tenero e misericordioso è Yhwh». Sappiamo che questo duplice aggettivo è un epiteto della natura di Yhwh, e di lui solo. E c’è solo un altro passo in cui esso qualifica l’uomo retto: «Tenero e misericordioso e giusto, buono è l’uomo misericordioso e che dà in prestito» (Sal 112,4c-5a). Ma ciò non è possibile, perché in tutti gli altri passi «tenero e misericordioso» si applica soltanto a Yhwh! Il testo ebraico dev’essere quindi corretto. Alcuni, come i biblisti Luis Alonso Schökel e Cecilia Carniti, non hanno esitato a farlo, traducendo: «Albeggia nelle tenebre per i retti il Pietoso, il Clemente e il Giusto». E hanno commentato, a proposito del v. 4b: «Chi è il soggetto? Dio o il giusto? Gli attributi o epiteti “Pietoso e Clemente” sono propri di Dio, li abbiamo appena sentiti nel Sal 111,4b. Un ebreo che sente la combinazione di queste due parole, le applica senza dubbi a Dio, a meno che non ci siano forti ragioni in contrario: secondo noi non ce ne sono. La luce che brilla nell’oscurità è questo Dio Pietoso e Misericordioso»[2].

Ma il commentatore ebreo Amos Hakham la pensa diversamente: «Nel resto della Scrittura, “tenero e misericordioso” è detto solo di Dio, ma qui il poeta lo applica a chi teme il Signore, a chi è retto, per significare che chi teme il Signore cammina nelle vie del Signore»[3].

La tenerezza e la misericordia che il giusto e Dio hanno in comune consistono nel nutrire, ossia nel dare la vita. Questo è ciò che Dio fa: « da mangiare a chi lo teme» (Sal 111,5a). Questo è anche ciò che fa il giusto: «distribuisce e ai poveri» (Sal 112,9a). Se egli può fare questo, è perché, essendo «l’uomo che teme Yhwh» (112,1), è uno di quelli che temono Dio e a cui Dio «dà da mangiare» (Sal 111,5). Afferma san Paolo: «Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto?» (1 Cor 4,7).

Tuttavia, quando l’uomo retto nutre i poveri, si comporta come un padre per loro. Essendo figlio di Dio, è normale che egli diventi, come Dio, padre di chi, non essendo trattato come un figlio, è orfano[4].

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[1] La maggior parte delle traduzioni non rispetta l’identità dei due verbi: così la traduzione Cei («eccelso» in 4a e «rialza» in 7b).

[2] L. Alonso Schoekel – C. Carniti, I salmi, vol. II, Roma, Borla, 1993, 528. Questo è anche il parere di G. Ravasi, Il libro dei salmi, vol. III, Bologna, EDB, 1985, 318, nota 2. Come fanno notare i tre autori citati, questa era già l’interpretazione di una parte della tradizione manoscritta greca: alla fine del versetto 4, il Codice Alessandrino specifica il soggetto della frase nominale: «Tenero e misericordioso e giusto è il Signore Dio».

[3] A. Hakham, Sefer Tehillîm, vol. II, Jerusalem, The Koschitzky, 1988, 335, nota 6, paragrafo a.

[4] Per approfondire l’argomento trattato in questo articolo, cfr R. Meynet, Le Psautier. Cinquième livre (Ps 107-150), Leuven, Peeters, 2017, 101-109; Id., «La rhétorique biblique et sémitique. état de la question», in Rhetorica 28(2010) 290-312.

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