La Chiesa e la cultura digitale
Il mondo online, con la sua varietà, le sue opportunità e le sue sfide, è divenuto una matrice culturale per l’impegno della Chiesa nel mondo. La presenza ecclesiale nella cultura digitale è iniziata anni fa ed è rimasta un’impresa guidata soprattutto da singoli e da giovani, anche se, a partire da papa Benedetto XVI, la Santa Sede ha cominciato a utilizzare alcune piattaforme social e a creare siti web rivolti soprattutto ai giovani. Da questo complessivo impegno digitale della Chiesa traspare ciò che il card. Avery Dulles definiva un modello ecclesiale comunitario incentrato sul popolo di Dio[1]. Il fenomeno della presenza digitale ecclesiale si è sviluppato in gran parte come iniziativa dal basso, guidata da individui che utilizzano i propri account social e che di solito si autodefiniscono «missionari digitali».
Il Sinodo sulla sinodalità ha riconosciuto l’importanza della realtà digitale. Nella Relazione di sintesi della prima sessione si legge: «La cultura digitale rappresenta un cambiamento fondamentale nel modo in cui concepiamo la realtà e ci relazioniamo con noi stessi, tra di noi, con l’ambiente che ci circonda e anche con Dio. […] La cultura digitale, quindi, non è tanto un’area distinta della missione, quanto una dimensione cruciale della testimonianza della Chiesa nella cultura contemporanea»[2]. Il Documento finale del Sinodo ha sviluppato questa idea, chiamando all’azione una Chiesa sinodale: «La diffusione della cultura digitale, particolarmente evidente tra i giovani, sta cambiando profondamente la percezione dello spazio e del tempo, influenzando le attività quotidiane, le comunicazioni e le relazioni interpersonali, inclusa la fede», offrendo allo stesso tempo nuove opportunità e possibili rischi. Il Sinodo sollecita la Chiesa a «dedicare risorse perché l’ambiente digitale sia un luogo profetico di missione e di annuncio», e spinge le Chiese locali a incoraggiare e accompagnare «coloro che sono impegnati nella missione nell’ambiente digitale». Inoltre, invita «le comunità e i gruppi digitali cristiani, in particolare di giovani, […] a riflettere sul modo in cui creano legami di appartenenza, promuovono l’incontro e il dialogo, offrono formazione tra pari, sviluppando una modalità sinodale di essere Chiesa». In effetti, il mondo digitale offre una via «per vivere meglio la dimensione sinodale della Chiesa»[3]. La partecipazione alla cultura digitale di oggi riguarda tutta la Chiesa e richiede l’impegno di tutto il corpo ecclesiale.
Questo articolo considera la partecipazione ecclesiale alla cultura digitale sotto due aspetti: il resoconto del Giubileo dei missionari digitali e degli influencer cattolici dello scorso luglio 2025, e una riflessione sul mondo digitale alla luce di quattro temi chiave del Sinodo.
Il Giubileo dei missionari digitali e degli «influencer» cattolici
Nello spirito dell’appello del Sinodo ad abbracciare la cultura digitale, il Dicastero vaticano per la comunicazione ha contribuito a organizzare il Giubileo dei missionari digitali e degli influencer cattolici, svoltosi a Roma il 28-29 luglio 2025. Convocato alla vigilia del Giubileo dei giovani, l’incontro ha attirato quasi 1.000 persone, provenienti da 75 Paesi, che si considerano influencer cattolici attivi online su diverse piattaforme: YouTube, Instagram, TikTok, Facebook, WhatsApp, Telegram e altre. Immagini, hashtag e descrizioni della presenza digitale di oltre 300 partecipanti sono disponibili sul sito del Giubileo (digitalismissio.org/#participa…). Nel complesso mostrano un volto della Chiesa differente da quello che solitamente si incontra nei siti istituzionali: i partecipanti sono giovani, molti tra i 20 e i 40 anni; sono per lo più laici; appartengono a contesti culturali assai diversi. Gli organizzatori del Giubileo hanno descritto l’evento in questi termini: «Questo Giubileo è per tutti coloro che evangelizzano nell’ambiente digitale, condividendo il messaggio del Vangelo su social network, blog, canali e app. È un’opportunità per scambiare esperienze e rafforzare la nostra missione comune. […] Uniremo i nostri sforzi per celebrare, formare e ispirare coloro che sono chiamati a evangelizzare sulle piattaforme digitali»[4]. Si tratta del secondo festival di questo genere, dopo quello celebrato nel 2023 in occasione della Giornata mondiale della gioventù di Lisbona.
Riflessione
Le due giornate del Giubileo sono state dense di momenti di riflessione e di spiritualità. Dopo la celebrazione di Messe in diverse chiese romane, i partecipanti si sono riuniti all’Auditorium Conciliazione, dove i saluti introduttivi hanno messo a fuoco il tema dei lavori: il ruolo dei missionari digitali per l’evangelizzazione nella vita della Chiesa. Sono intervenuti il card. Pietro Parolin, segretario di Stato della Santa Sede; mons. Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione; il prof. Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione; e mons. Lucio Ruiz, segretario dello stesso Dicastero. Essi hanno incoraggiato tutti a vivere la loro vocazione mettendo Gesù al centro della vita e del lavoro. Quindi il gruppo ha riflettuto sul ruolo della parola di Dio nella vita e nell’attività digitale, in una sessione guidata da p. David McCallum S.I., cofondatore di Contemplative Leaders in Action. Dal momento che sia l’idea sia la pratica dei missionari digitali scaturiscono dalla vocazione, dal modo di vivere la propria identità cristiana, chi opera nel mondo digitale non deve limitarsi a trasmettere dati o informazioni, ma deve costruire relazioni, sia con i propri follower sia con un’équipe pastorale, un gruppo di discernimento.
P. Antonio Spadaro S.I., sottosegretario del Dicastero per la cultura e l’educazione e noto autore di teologia digitale, ha esortato la platea degli influencer cattolici a creare un mondo digitale diverso: «Non siete qui – ha osservato – per ricevere una strategia di comunicazione cattolica, non siete qui per diventare più performanti […]; noi siamo chiamati a far ardere ciò che invece sembra spento: siamo chiamati a bruciare, non a funzionare». Egli ha ricordato che Internet è un luogo di incarnazione e che i contenuti migliori nascono da ciò che arde dentro di noi e che non possiamo non condividere con gli altri. «Non sei un algoritmo, sei un’anima»; un algoritmo può sapere molto sugli utenti, ma non conosce le loro anime, ciò che li muove ad amare. L’influencer cattolico deve creare, come fa il Vangelo: «Tu non sei un brand, sei una benedizione».
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P. Spadaro ha poi citato papa Francesco nel Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali del 2014: «La testimonianza cristiana non si fa con il bombardamento di messaggi religiosi, ma con la volontà di donare sé stessi agli altri, attraverso la disponibilità a coinvolgersi pazientemente e con rispetto nelle loro domande e nei loro dubbi, nel cammino di ricerca della verità e del senso dell’esistenza umana»[5]. Quindi i missionari digitali non dovrebbero mirare ad «avere follower, ma a essere fratelli tutti». Internet può e deve essere un luogo di compassione: «Anche la comunicazione sedicente cattolica, se perde la compassione scomunica. La comunicazione scomunica, questo è il colmo, la comunicazione che scomunica. Dobbiamo uscire da questo paradigma».
Sono state ricordate anche le parole di papa Leone XIV nel suo primo incontro con i giornalisti: «La comunicazione non è solo trasmissione di informazioni, ma creazione di una cultura, di ambienti umani e digitali che diventino spazi di dialogo e di confronto»[6]. L’ultimo consiglio di p. Spadaro al gruppo è stato: «Restate umani, anche quando vi criticano, anche quando vi ignorano, anche quando vi esaltano. Restate saldi: connessi, sì, ma soprattutto radicati, in Dio, nella preghiera, nella comunità, nella vostra vita vera, fatta di incontri reali, di amicizie vere, di tempo speso non per accumulare, ma per amare». In questo essi troveranno il fuoco che cambia il mondo.
Nel corso della giornata, i partecipanti hanno ascoltato anche le testimonianze di un panel di «missionari digitali» sul loro lavoro, e di un altro che ha raccontato l’esperienza con gli «influencer di Dio», i santi contemporanei, tra cui Carlo Acutis. Il lavoro in gruppi ha permesso ai presenti di riflettere sulle proprie esperienze e di offrire un feedback in stile sinodale ai membri di un gruppo di lavoro incaricato di approfondire il significato di un pieno impegno della Chiesa nella cultura digitale. La giornata si è conclusa con l’adorazione eucaristica nella Basilica di San Pietro.
Esercizi spirituali
Il secondo giorno è stato dedicato all’impegno spirituale, a partire da un pellegrinaggio giubilare e dal passaggio attraverso la Porta santa, seguiti da una celebrazione eucaristica presieduta dal card. Luis Antonio Tagle, pro-prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione. Nella sua omelia, egli ha ricordato ai presenti: «Gesù vi ama. Non dubitatene, accettatelo come il più grande influenzatore della vostra vita. Attraverso di voi, possa la persona di Gesù influenzare molte persone, spazi umani e digitali, affinché la verità, la giustizia, l’amore e la pace di Dio possano fluire fino agli estremi confini della terra».
Dopo la Messa, Leone XIV ha raggiunto i partecipanti al Giubileo per una breve udienza non programmata, nella quale ha delineato tre sfide che i missionari e gli influencer digitali cattolici devono affrontare. Innanzitutto: «[Voi] siete qui a Roma per il vostro Giubileo; venuti a rinnovare l’impegno a nutrire di speranza cristiana le reti sociali e gli ambienti digitali. La pace ha bisogno di essere cercata, annunciata, condivisa in ogni luogo; sia nei drammatici luoghi di guerra, sia nei cuori svuotati di chi ha perso il senso dell’esistenza e il gusto dell’interiorità, il gusto della vita spirituale». I missionari digitali devono proclamare Cristo risorto.
In secondo luogo: «Negli spazi digitali, cercate sempre la “carne sofferente di Cristo” in ogni fratello e sorella. Oggi ci troviamo in una cultura nuova, profondamente segnata e costruita con e dalla tecnologia. Sta a noi – sta a voi – far sì che questa cultura rimanga umana». Gli influencer devono coltivare una cultura di umanesimo cristiano, sviluppare un pensiero e un linguaggio che diano voce all’amore di Dio. Il Papa ha ribadito quanto i partecipanti si erano già sentiti dire il giorno prima, ossia che il loro compito non è tanto generare contenuti quanto incontrare cuori, «cercare chi soffre e ha bisogno di conoscere il Signore per guarire le proprie ferite, per rialzarsi e trovare un senso, partendo prima di tutto da noi stessi e dalle nostre povertà, lasciando cadere ogni maschera e riconoscendoci per primi bisognosi di Vangelo. E si tratta di farlo insieme».
In terzo luogo, rievocando l’immagine della chiamata dei primi discepoli mentre riparavano le reti (cfr Mt 4,21-22), Leone XIV ha detto ai missionari digitali della Chiesa che Gesù «ci chiede, oggi, di costruire altre reti: reti di relazioni, reti d’amore, reti di condivisione gratuita, dove l’amicizia sia autentica e profonda. Reti dove si possa ricucire ciò che si è spezzato, dove si possa guarire dalla solitudine, non contando il numero dei follower, ma sperimentando in ogni incontro la grandezza infinita dell’Amore. Reti che danno spazio all’altro più che a sé stessi, dove nessuna “bolla” possa coprire le voci dei più deboli. Reti che liberano, reti che salvano. Reti che ci fanno riscoprire la bellezza di guardarci negli occhi. Reti di verità. Così, ogni storia di bene condiviso sarà il nodo di un’unica, immensa rete: la rete delle reti, la rete di Dio»[7].
Proseguendo nell’indirizzo spirituale della giornata, i partecipanti si sono riuniti per una preghiera di tipo Taizé per la speranza, guidata dal card. Michael Czerny S.I., prefetto del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale. Successivamente si sono recati in pellegrinaggio al santuario di Nostra Signora di Lourdes, nei Giardini Vaticani, dove ha avuto luogo la consacrazione della missione digitale a Maria. Il Giubileo dei missionari digitali e degli influencer cattolici si è concluso la sera con una festa, animata da musica e testimonianze.
All’interno delle celebrazioni e dell’apprezzamento per l’opera di questi missionari e influencer digitali è emersa anche una corrente sotterranea, che forse gli aspetti devozionali intendevano bilanciare: la tentazione di cercare popolarità, di sostituire le metriche del mondo online alla chiamata del Vangelo. Gli applausi per gli oratori e per gli influencer saliti sul palco hanno mostrato il conflitto tra valori diversi. Le logiche della cultura digitale si sono congiunte con le esperienze vissute nell’Auditorium. «Fatelo per Gesù!», esortava un relatore dopo l’altro. Favorire il dialogo e l’ascolto. Creare comunità. Eppure perdurava una certa tentazione: quella di perdere di vista il servizio al Vangelo, soffocato dai tratti spettacolari della cultura giovanile contemporanea. Tuttavia un certo ottimismo traspariva nelle sessioni e nelle interazioni sociali: la chiamata al discepolato missionario avrebbe prevalso.
Orientamenti sinodali per l’impegno digitale
La presenza, l’ampiezza e la diffusione globale degli influencer cattolici sollevano alcune questioni per la Chiesa, al momento di considerare questa nuova forma di missione. I responsabili sinodali e i membri dei diversi dicasteri vaticani ne sono consapevoli. Nel programma della prima sessione del Giubileo dei missionari digitali e degli influencer cattolici, da parte dei membri di un gruppo di studio del Sinodo sulla sinodalità – tra cui suor Nathalie Becquart XMCJ, sottosegretaria del Sinodo, mons. Ruiz e p. Spadaro – è stata presentata una relazione su «Riflessioni e opportunità della missione della Chiesa nell’era digitale». Da un anno questo gruppo lavora, secondo uno stile di ascolto sinodale, con influencer, diocesi di tutto il mondo, studiosi e operatori pastorali, per rispondere ad alcune domande fondamentali sollevate dal mondo digitale, tra cui: «Che cosa può imparare una Chiesa missionaria e sinodale da una maggiore immersione nell’ambiente digitale?»; «In che modo la missione digitale può essere inserita in maniera stabile nella vita e nelle strutture della Chiesa?». In altre parole: «Che cosa può imparare la Chiesa dagli influencer? E che cosa possono imparare gli influencer cattolici dal Sinodo?».
Il gruppo ha riferito quanto era stato raccolto nell’ascolto. Si è individuata una via per riflettere sul ruolo dei missionari e degli influencer digitali, che viene dallo stesso Sinodo. Quattro temi del Documento finale possono illuminarne il compito: discernimento ecclesiale, formazione, discepolato missionario e comunità.
Discernimento ecclesiale
Il mondo digitale apre prospettive significative per una comprensione sinodale. Pur essendo esso stesso oggetto di discernimento ecclesiale, allo stesso tempo lo favorisce attraverso lo sviluppo di legami tra i fedeli, forgiando le relazioni necessarie a tale discernimento; inoltre, può fornire informazioni e conoscenze per sostenerlo. Il discernimento è già iniziato, se consideriamo il numero di giovani che hanno intrapreso attività digitali per conto della Chiesa, sebbene la riflessione formale sia rimasta indietro. Le istituzioni ecclesiali hanno accolto il digitale con anni di esperienza nella comunicazione unidirezionale: in tutto il mondo vi è un uso diffuso di siti web, pagine e feed social, impiego abituale di e-mail e riunioni online, trasmissione in streaming di liturgie ed eventi. Oltre a queste attività istituzionali, singoli cattolici – come i missionari digitali riuniti al Giubileo – partecipano attivamente a spazi interattivi digitali attraverso blog, post su Instagram e TikTok e l’organizzazione di gruppi di preghiera e riflessione.
Tali pratiche mostrano un accordo implicito, ma diffuso: la Chiesa deve abbracciare i media digitali non come un ripiego, ma come un modo di stare accanto alle persone nella loro vita quotidiana. Ciò richiede ascolto e apprendimento, umiltà nell’avvicinarsi al mondo digitale. La Chiesa non ha inventato il digitale, né può controllarne gli usi, ma può imparare dalla sua cultura, dal suo linguaggio e dai suoi modi di espressione. I partecipanti al Giubileo hanno percepito la chiamata a operare in modalità nuove in e attraverso questo ambito, a esplorare forme diverse di essere Chiesa. L’evangelizzazione e la presenza in rete dovrebbero fare proprie le caratteristiche positive della sfera digitale, dei suoi strumenti e del suo modo di pensare: l’uso del racconto, delle immagini, della musica, dell’accompagnamento, del gusto condiviso. Ma questo coinvolgimento più profondo richiede discernimento a ogni passo: cercare prima il regno di Dio e resistere alle tentazioni presenti in quella cultura.
Podcast | COMBATTERE LA «SCHIAVITÙ DELLA CORRUZIONE» (RM 8,21).
Secondo alcuni studi, nella sola Ue, il costo della corruzione sarebbe compreso tra i 179 e i 990 miliardi di euro l’anno. Un problema che il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa definisce come una delle più gravi «deformazioni del sistema democratico». Ma quali strumenti abbiamo per combattere la corruzione? Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Busia, presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione.
Ogni discernimento sul digitale deve anche riconoscerne le sfide e i pericoli. Le aziende cercano di monetizzarne ogni aspetto; i dati personali diventano merce; governi e movimenti politici vi scatenano propaganda; pregiudizi e fake news abbondano; le persone adottano comportamenti negativi, che vanno dal bullismo allo sfruttamento sessuale. In queste e in altre sfide il discernimento ecclesiale aiuterà a distinguere il bene dal male. Oltre a ciò, pur essendo un grande strumento di trasformazione culturale, il mondo online è segnato da una frattura tra chi ha e chi non ha accesso digitale. Esige risorse che pesano sull’ambiente. Nel mondo digitale vediamo un ripresentarsi della parabola evangelica della zizzania e del grano (cfr Mt 13,24–30).
Formazione
Il Sinodo ha sottolineato la necessità della formazione al discernimento e al discepolato. Ciò vale in particolare per l’interazione della Chiesa con il mondo digitale, sia in termini di formazione della Chiesa stessa, sia in termini di formazione per e del mondo digitale.
In primo luogo, per esplorare nuove modalità di essere comunità ecclesiale, la Chiesa e gli operatori pastorali hanno bisogno di una propria formazione: si tratti di vescovi, sacerdoti, religiosi o laici, tutti devono prendere sul serio il digitale e sostenersi a vicenda. Coloro che operano in questo ambito – i missionari digitali e gli influencer – devono incontrarsi regolarmente con i loro vescovi, i quali, da un lato, possono offrire loro guida e sostegno spirituale e, dall’altro, ascoltarli e imparare da loro. Poiché il lavoro dei ministri digitali implica catechesi, evangelizzazione e kerygma, quanti vi sono coinvolti necessitano di guida e di formazione spirituale. Molti, mossi dal discernimento a condividere ciò in cui credono nell’ambito digitale, possono scoprire di aver bisogno di un fondamento più solido in quella fede.
L’appello del Sinodo alla formazione nel discernimento e nel discepolato incoraggia vescovi, pastori, superiori religiosi e istituzioni intellettuali cattoliche a sostenere i missionari digitali, anche se non sono catechisti o evangelizzatori tradizionali. Tutti coloro che hanno un legame con il digitale hanno bisogno di formazione per imparare a connettere quanti esplorano la fede e la spiritualità cristiana online con le ricchezze vissute delle parrocchie e delle comunità. Occorre, a ogni livello, evitare di dividere la Chiesa in una esperienza online e una in presenza: è un’unica Chiesa, comunque la si incontri, così come le persone non esistono separatamente online e offline.
In secondo luogo, la formazione richiesta per operare nel digitale va oltre la dimensione spirituale e si estende a quella pratica. In tale prospettiva, un contributo potrebbe venire dalla creazione di centri di risorse locali, regionali, e forse anche universali, in cui le persone possano incontrarsi o reperire materiali, per condividere idee e buone pratiche in uno spazio digitale.
In terzo luogo, oltre a rinsaldare il proprio ministero digitale, la Chiesa e i suoi ministri devono offrire formazione anche a coloro che incontrano online. Questa può assumere molte forme, tra cui la guida spirituale, la riflessione etica, gli orientamenti di policy, le procedure di tutela. Anche l’ambiente digitale deve diventare un luogo di formazione, uno spazio in cui apprendere la fede di Gesù e la sua fedeltà. Qui i valori cristiani possono contrastare i valori negativi del digitale: la Chiesa promuove virtù, rispetto e gentilezza nell’ambito digitale, così come insegna i valori della vita cristiana. A chi si dedica al digitale può giovare un equivalente specifico dell’educazione ai media, qualcosa che la Chiesa ha già affrontato in passato per aiutare a comprendere meglio gli effetti dei media visivi, come cinema e televisione. Sia la Chiesa sia chi partecipa online devono apprendere questa nuova cultura.
In quarto luogo, la formazione della Chiesa deve confrontarsi con la sfida ancora più ardua delle possibili vie per offrire suggerimenti etici e orientamenti di policy a governi e aziende mediatiche. Pur essendo tenuti a conoscere e a rispettare le normative locali – in materia di tutela e privacy, per esempio –, la Chiesa e i suoi ministri dovrebbero anche impegnarsi ad accompagnare i processi di stesura di tali leggi e la loro applicazione.
Discepolato missionario
Il Sinodo invita la Chiesa a diventare comunità di discepoli missionari, e nella lista dei luoghi di formazione e di attività in cui questi sono chiamati a impegnarsi trova posto anche l’ambito digitale. Come si è visto anche durante il Giubileo, molti di coloro che operano online si definiscono «missionari digitali» che «educano al discepolato e […] accompagnano nella testimonianza»[8]. Il card. Parolin, nel suo intervento al Giubileo, ha sottolineato questo punto: «Non siete solo creatori di contenuti, siete testimoni. Non state solo costruendo piattaforme; state costruendo ponti».
I missionari online, come tutti i missionari, assumono i tre compiti fondamentali di proclamazione del Vangelo, formazione dei credenti e accompagnamento, finalizzati a raggiungere coloro che si muovono con più naturalezza nel mondo digitale, in particolare i giovani. La Chiesa non può ignorare questi cercatori e questi operatori. Ciò però richiede un cambio di atteggiamento, che passa dal riconoscimento di un nuovo tipo di evangelizzazione: la Chiesa entra negli spazi digitali non come istituzione potente, ma come testimone del Risorto, compagna di cammino per chi cerca il Vangelo. Le forme di espressione possono differire da catechismi, encicliche e omelie, ma non saranno testimonianze meno autentiche, se riusciranno a trasmettere il Credo della Chiesa in un linguaggio attuale.
Pur restando sempre radicato nella Chiesa, il discepolato missionario nei nuovi spazi online può stimolare uno stile nuovo nell’esercitare la giurisdizione e il governo. I gruppi di discussione del Giubileo hanno individuato nell’autenticità, nella responsabilità e nel radicamento comunitario, gli elementi chiave di una governance più partecipativa, che richiede dai leader ecclesiali di incoraggiare e accompagnare chi opera nel digitale, assicurandosi anche della sua adeguata e continua formazione cristiana.
Comunità
Il Sinodo chiede «una Chiesa più capace di nutrire le relazioni: con il Signore, tra uomini e donne, nelle famiglie, nelle comunità, tra tutti i cristiani, tra gruppi sociali, tra le religioni, con la creazione»[9]. Questo invito si estende al mondo digitale e oltre, là dove le persone già si incontrano e si relazionano. Nel suo saluto di apertura al Giubileo, Ruffini ha affermato: «È bello essere insieme di persona […]; ciò che veramente ci lega non è il web, ma qualcosa che ci trascende: Dio stesso». Ha anche fatto notare che la Chiesa è sempre stata una rete, non fatta di connessioni online, ma di persone. Tali relazioni personali generano comunità; qui sta la sfida per la Chiesa e per il digitale. Occorre promuovere comunità, integrando ciò che avviene online con la vita delle parrocchie, ad esempio. Ospitalità e accoglienza devono essere tratti distintivi della Chiesa e delle sue attività online; parrocchie e comunità locali devono estendere questa accoglienza anche a chi preferisce il contatto per via digitale.
La Chiesa può promuovere comunità tra i suoi operatori digitali attraverso l’accompagnamento, la responsabilità condivisa e la formazione alla tutela. Una via possibile da esplorare è quella dello sviluppo di una rete di reti tra coloro che lavorano nel digitale in diverse diocesi e regioni, per rispondere all’interrogativo di come possano sostenersi a vicenda. Per esempio, come già accade con chi opera nei media tradizionali, gli uffici ecclesiali potrebbero aiutare gli operatori digitali a organizzare associazioni, conferenze e gruppi di sostegno. A livello di segreterie, regioni, diocesi e persino parrocchie, la Chiesa può offrire orientamenti, materiali di formazione e relazioni che sostengano la comunità dei discepoli. Il Giubileo rappresenta un esempio concreto di tale sostegno.
Conclusione
La cultura digitale non scomparirà: come tutte le culture, si svilupperà e cambierà. La Chiesa non definirà né controllerà questa cultura, ma deve trovarvi posto per la sua missione. Come scrisse papa Giovanni Paolo II in Redemptoris missio (RM): «Paolo, dopo aver predicato in numerosi luoghi, giunto ad Atene, si reca all’areopago, dove annunzia il Vangelo, usando un linguaggio adatto e comprensibile in quell’ambiente (At17,22). L’areopago rappresentava allora il centro della cultura del dotto popolo ateniese, e oggi può essere assunto a simbolo dei nuovi ambienti in cui si deve proclamare il Vangelo» (RM 37c).
Quell’enciclica si riferiva al mondo della comunicazione di massa, ma oggi l’areopago si trova nella cultura digitale. Ciò che il Papa scriveva nel 1990 vale ancora di più ai nostri giorni: «Si tratta di un fatto più profondo, perché l’evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dal loro influsso. Non basta, quindi, usarli per diffondere il messaggio cristiano e il Magistero della Chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa “nuova cultura” creata dalla comunicazione moderna. È un problema complesso, poiché questa cultura nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici. Il mio predecessore Paolo VI diceva che “la rottura fra il Vangelo e la cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca” [Evangelii nuntiandi, n. 20], e il campo dell’odierna comunicazione conferma in pieno questo giudizio» (ivi). Sempre rinnovata da Dio, la Chiesa ricomincia nell’odierno areopago digitale.
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[1] Cfr A. Dulles, Modelli di Chiesa, Padova, Messaggero, 2005.
[2] XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi(4-9 ottobre 2023), Relazione di sintesi della prima Sessione. Una Chiesa sinodale in missione, 28 ottobre 2023, n. 17a-b.
[3] Id., Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione. Documento finale, 26 ottobre 2024, n. 113.
[4] «Missionaries of Hope», in digitalismissio.org/#participa…
[5] Francesco, La comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro, Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 24 gennaio 2014.
[6] Leone XIV, Discorso ai rappresentanti dei media, 12 maggio 2025.
[7] Id., Saluto agli influencer e missionari e digitali, 29 luglio 2025.
[8] Per una Chiesa sinodale…, cit., n. 144.
[9] Ivi, n. 50.
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