Sotto Venere, qualcosa si muove
Venere possiede una superficie geologicamente molto complessa, disseminata di strutture di origine tettonica e/o vulcanica, sia di forme familiari che insolite. Tra queste, forse le più distintive, e allo stesso tempo enigmatiche, sono le formazioni geologiche quasi circolari chiamate dagli esogeologi corone.
Scoperte negli anni ’80 nelle immagini dell’orbiter Pioneer Venus e nei dati delle due sonde gemelle Venara 15 e 16, le corone coprono il 9,5 per cento dell’intera superficie del pianeta. A oggi se ne conoscono 740, suddivise in vari gruppi e tipologie sulla base della topografia, distribuzione spaziale e proprietà, sebbene quelle ufficialmente denominate attraverso il processo di nomenclatura planetaria dello US Geological Survey siano 347.
Secondo una nuova ricerca, le corone di Venere, ampie formazioni geologiche presenti sulla superficie del pianeta, continuerebbero a essere modellate da processi tettonici. Le corone oggetto dello studio includono le corone Artemis, Quetzalpetlatl, Bahet e Fotla, visibili nell’immagine in questo ordine a partire dall’angolo in alto a sinistra e procedendo in senso orario. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech
La loro formazione, un processo che chiama in causa la convezione del mantello e le interazioni pennacchio/litosfera, avviene in seguito alla risalita di magma dal sottosuolo. Secondo questo modello, a livello di particolari punti della superficie chiamati punti caldi, hot spot, in inglese, colonne di lava sarebbero risalite dalle profondità del pianeta, sollevando la crosta. Quando il materiale si è raffreddato, la litosfera (lo strato comprendente la crosta del pianeta e la parte più superficiale del suo mantello) sarebbe parzialmente collassato, creando le forme circolari osservate oggi.
Un team di ricercatori guidato dal Nasa Goddard Space Flight Center ha ora analizzato decine di queste strutture sul pianeta, scoprendo, sotto alcune di esse, prove di un’attività tettonica in corso, che sta modellando le corone venusiane.
Illustrazione artistica della Corona Quetzalpetlatl, situata nell’emisfero sud di Venere. Il vulcanesimo attivo e la subduzione fanno si che la crosta sprofondi all’interna del pianeta, creando queste depressioni. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/Peter Rubin
Nello studio, i cui risultati sono pubblicati su Science Advances, i ricercatori hanno preso in esame in totale 75 strutture coronali. Tra queste, c’è la corona di Artemide: con un diametro di 2.500 chilometri, la più vasta delle corone presenti sul pianeta. Utilizzando sofisticati modelli geodinamici tridimensionali, gli scienziati hanno simulato vari scenari di formazione di queste formazioni geologiche. Successivamente, hanno confrontato i risultati ottenuti con i dati di gravità globale e di topografia raccolti oltre trent’anni fa dalla missione Magellano della Nasa. I risultati delle indagini hanno indicato che ben 52 delle 75 corone oggetto dello studio mostravano la presenza di anomalie termiche tipiche delle interazioni pennacchio-litosfera: la firma lasciata dalla recente, e forse ancora in corso, risalita di materiale verso la superficie.
«Le corone sono strutture di dimensioni molto grandi, presenti in numero elevato su Venere» sottolinea Anna Gülcher, geofisica dell’Università di Berna, in Svizzera, e co-autrice della pubblicazione. «I risultati del nostro studio ci permettono di affermare con buona probabilità che diversi processi attivi e in corso stiano guidando la loro formazione; processi che crediamo possano essere avvenuti anche nelle prime fasi della storia della Terra».
La domanda che si sono posti a questo punto gli scienziati è che tipo di interazioni tra il mantello e la litosfera guidino queste risalite di magma sulla superficie venusiana per produrre le corone. Ulteriori simulazioni hanno permesso di scartare diverse ipotesi, e appurare che il modello che meglio spiega la geodimamica e le firme di gravità è quello della subduzione, un processo che avviene anche sulla Terra, sebbene con modalità differenti.
Illustrazione che mostra diversi tipi di attività tettonica che si ritiene siano ancora attivi sotto le corone di Venere. Nella parte superiore sono rappresentati il “gocciolamento della litosfera” (a sinistra) e la “subduzione” (a destra). In basso, due scenari in cui materiale caldo proveniente da pennacchi del mantello risale e preme contro la litosfera, potenzialmente innescando fenomeni vulcanici in superficie. Secondo i ricercatori, un ruolo chiave nella formazione delle corone è giocato dalla subduzione. Crediti: Anna Gülcher
Subdurre significa letteralmente portare una cosa sotto un’altra. Dal punto di vista geologico, sul nostro pianeta la subduzione avviene quando il bordo di una placca tettonica scivola sotto la placca adiacente, con il conseguente trascinamento di questa nel mantello. Man mano che il materiale roccioso sprofonda, la roccia si fonde, per essere poi eventualmente riciclata in superficie attraverso le bocche dei vulcani. Su Venere, sebbene non vi sia una vera e propria tettonica a placche, a produrre le corone sarebbe qualcosa del genere, ma con un meccanismo diverso. In questo scenario, la risalita di un pennacchio di roccia fusa dal mantello verso la litosfera causerebbe un rigonfiamento della superficie, provocando l’espansione della crosta interessata verso i lati. Questo movimento laterale farebbe collidere la roccia superficiale con quella circostante, causandone la subduzione – ovvero lo sprofondamento verso il basso – e producendo le corone.
Lo studio si aggiunge ad altre ricerche che hanno identificato sul pianeta diversi siti tettonicamente attivi, suggerendo un’attività geologica più simile alla Terra di quanto si ritenesse in passato, concludono i ricercatori. Nonostante questo cambio di prospettiva, lo stato attuale della tettonica di Venere rimane in gran parte sconosciuto. Tuttavia, sono in programma diverse nuove missioni per approfondirne la comprensione. Veritas della Nasa ed EnVision dell’Esa sono tra queste. I dati che ci restituiranno avranno un livello di dettaglio senza precedenti rispetto alla risoluzione ottenuta con la missione Magellano, rendendo possibili analisi mirate di strutture di origine tettonica e vulcanica non possibili fino ad ora.
Per saperne di più:
- Leggi su Science Advances l’articolo “A spectrum of tectonic processes at coronae on Venus revealed by gravity and topography” di Gael Cascioli, Anna J. P. Gülcher, Erwan Mazarico e Suzanne E. Smrekar