Il mondo GL escludeva al suo interno ogni forma di rigidità
Tutta l’organizzazione del Partito d’Azione [a Firenze] faceva capo a Tristano Codignola (detto Pippo) e si basava su cellule di cinque membri al massimo, dipendenti direttamente dal centro. Solo più tardi se ne aggiunsero altre di secondo livello, dipendenti cioè da un’altra cellula gerarchicamente superiore. Si oscillò tra i centocinquanta e i trecento aderenti. Le riunioni avvenivano in case private, sempre diverse. I collegamenti d’urgenza venivano realizzati attraverso staffette. Il quartier generale era in Borgo Pinti. <221 In seguito, per sopperire ai compagni arrestati, furono aggiunti all’esecutivo Edoardo Fallaci e Margherita Fasolo.
Mi sembra interessante inserire qui alcune osservazioni di Giovanni De Luna a proposito delle formazioni GL del Partito d’Azione. Le loro perdite ammontarono, alla fine, a 4500 uomini. Di questi il numero dei caduti fra i quadri medio-alti fu molto superiore rispetto alle formazioni Garibaldi.
“E’ questo un nodo statistico che sottolinea, però un “nodo” di immediata rilevanza storiografica. Allora, nel vivo della Resistenza, le dimensioni quantitativamente e qualitativamente vistose di un olocausto che sottrasse al PdA e alle GL insostituibili energie intellettuali e giovanili… furono attribuite, soprattutto dai comunisti, alla “leggerezza cospirativa” degli azionisti; il fenomeno veniva ricondotto, cioè, all’assenza di vere e proprie tradizioni di clandestinità, alle improvvisazioni e alle ingenuità di chi non poteva giovarsi di collaudati “modelli” di cospirazione. Si trattava di un’analisi sommaria che, oggi, può essere riconsiderata in un’ottica più complessiva, proprio a partire da quella diversità che era il vero dato di partenza del giudizio avanzato dai comunisti. Una diversità che affonda le sue radici nelle “storie” dei due movimenti. Durante il ventennio, all’interno … di Giustizia e Libertà valevano alcune regole comuni a tutti i gruppi clandestini: l’uso dei nomi di battaglia, la consueta struttura per compartimenti stagni, le ovvie precauzioni nei contatti e negli spostamenti, l’abitudine alla sorveglianza occhiuta e perseverante della polizia fascista. Altrettanto tipiche erano alcune dinamiche interne, che finivano per determinare i singoli comportamenti individuali (l’emulazione, l’ostentazione di un coraggio anche fisico, una forte determinazione, l’obbligo alla coerenza morale), suggerendo atteggiamenti “di sfida” analoghi a quelli che si ripetono in tutti i gruppi “iniziatici”, specialmente quelli giovanili. Ma a queste regole e a questi comportamenti mancavano quelle caratteristiche che – in modelli cospirativi maturati in ambiti sociali e con diversi riferimenti ideologici – figurano sempre come un loro indispensabile corollario politico: il settarismo, l’ostinata chiusura verso l’esterno, il “sospetto” assunto come norma anche nei rapporti umani e affettivi, una rappresentazione di sé stessi legata all’interpretazione totalizzante della propria militanza politica… [I] giovani di GL, rifiutando la professionalizzazione della politica… finivano per viverla tutta all’interno del proprio universo quotidiano, in una dimensione che ignorava gli effetti dirompenti della scissione fra pubblico e privato. Gli stessi canali del proselitismo si snodavano all’interno di piccoli mondi conosciuti e frequentati da sempre (l’università, le case editrici, le riviste, gli studi professionali, qualche volta le stesse istituzioni culturali fasciste e, soprattutto, i sistemi di relazioni familiari e amicali), aderendovi senza usargli violenza, ma rispettandone codici di comportamento e antiche consuetudini… Quella di Giustizia e Libertà… fu una tipica cospirazione “alla luce del sole”, modellata, in questo, direttamente sulla formula crociana della “cospirazione aperta della cultura”; la pratica di un doppio binario clandestino e legale nello stesso tempo puntava su un dibattito libero e aperto, in grado di coinvolgere, al di là del gruppo ristretto dei cospiratori, un pubblico più vasto, un prezioso serbatoio di energie intellettuali alle quali attingere per evitare le ristrettezze recriminatorie delle polemiche tra “iniziati”.” <222
Aldo Garosci ha affermato a questo proposito, dice De Luna, che il percorso di GL va dalla libertà intesa in senso generico alle libertà intese come risposte ai singoli bisogni spirituali e materiali degli uomini. Lo Stato è visto come organo delle libertà politiche e garante delle libertà civili e individuali in opposizione alla immagine di uno Stato “paterno”; l’autogoverno si oppone allo Stato “etico”; i liberi sindacati sono preferiti allo Stato “sindacale”; la libera scuola deve essere cercata più che uno Stato “educatore”; la dialettica delle classi sarà più produttiva di uno Stato che nega e annulla le classi sociali. I cospiratori di GL non si sentivano “depositari di grandi certezze o verità” e non c’era “nessuna fede da testimoniare, se non quella che scaturiva dai principi morali annidati nelle singole coscienze”. Essendo la libertà un valore in ogni caso, ne conseguiva che “un avversario non era un nemico”.
“Rivendicare le libertà voleva dire anzitutto praticarle, comportarsi da uomini liberi; e questo era possibile solo a partire da una concezione della politica assunta come “imperativo categorico”, come impegno morale: “Noi siamo giunti alla politica per natura, ma quasi a malincuore, per il dovere dei tempi”, era scritto sul numero 7 dei “Quaderni di Giustizia e Libertà”. La stessa frase avrebbe potuto essere sottoscritta da quanti, dieci anni dopo, sulla base dello stesso “imperativo categorico”, avrebbero scelto di militare nelle formazioni partigiane GL. Nella Resistenza infatti, le caratteristiche salienti del modello cospirativo sperimentato negli anni Trenta si ritrovarono tutte intatte. Il “tipo” politico e umano del partigiano GL si muoveva all’interno delle stesse coordinate che avevano segnato gli orizzonti dei cospiratori: un irriducibile nesso fra morale e politica; l’affermazione della libertà direttamente all’interno della pratica dei propri comportamenti quotidiani; la diffidenza verso tutti i sistemi dottrinari”. <223
Dalla rivendicazione della libertà mai disgiunta dalla pratica diretta della libertà scaturiva “… un modello di banda per molti versi originale e atipica nel mondo della resistenza, in cui coesistevano, accanto ai motivi di un rigoroso impegno militare, intenti più decisamente didascalici e pedagogici… Il mondo delle GL escludeva al suo interno ogni forma di rigidità e l’insofferenza per i vincoli gerarchici accomunava comandanti e partigiani…. La tolleranza, questa virtù così tipicamente laica, portava gli uomini delle GL a comprendere ogni differenza, ad accettare serenamente le “eresie”, a non avere alcuna indulgenza verso l’ossessione di raggiungere un’”uniformità” rigidamente imposta”. <224
[NOTE]221 “Il Ponte”, anno X, n. 9, set. 1954, p. 78.
222 Le formazioni GL nella Resistenza. Documenti, a cura di GIOVANNI DE LUNA, PIERO CAMILLA, DANILO CAPPELLI, STEFANO VITALI, Milano, Franco Angeli, 1985, pp. 17-31, da cui sono tratte anche le due brevi citazioni che seguono.
223 Ivi, p. 20.
224 Ivi, p. 25.
Eleonora Giaquinto, L’Archivio di Nello Traquandi (1926-1968). Inventario, Tesi di Laurea Magistrale, Università degli Studi di Firenze, Anno accademico 2009-2010
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