“Premio Lagrange-Fondazione CR”
Lunedì 10 luglio avrò il piacere di partecipare al Premio Lagrange-Fondazione CRT a partire dalle ore 18, presso il Binario 3 delle OGR Torino. Qui le informazioni complete all’evento fondazionecrt.it/premio-lagran…
Etiopia, manifestazione delle donne in Tigray per chiedere giustizia e rispetto dell’accordo di tregua per le vittime
Le donne a Maychew, Tigray meridionale, hanno tenuto una dimostrazione venerdì 7 luglio 2023
Le manifestanti hanno chiesto che le donne ei bambini del Tigray non vengano puniti per quello che hanno definito “l’errore degli altri”, come recitava lo striscione durante la manifestazione.
Le donne hanno anche fatto appello alla giustizia e alla responsabilità tempestive e la piena attuazione dell’accordo di Pretoria.
Rehmet Ayana e Mehret Redie, tra coloro che si sono riuniti per esprimere la loro frustrazione, hanno affermato che le donne sfollate sono in miseria mentre implorano l’amministrazione regionale ad interim del Tigrai e il governo federale a compiere uno sforzo concertato per affrontare i loro problemi secondo il patto di pace.
Anche la rappresentante dell’Associazione delle donne del Tigray meridionale, Tsega Gebremariam, ha affermato che la situazione delle donne sfollate sta peggiorando anche dopo l’accordo sulla cessazione delle ostilità (CoHA).
Ha aggiunto, durante la guerra genocida, 7000 famiglie sono state sfollate, di cui il 50% erano donne.
Domenica 9 luglio 2023 le donne del Tigrai si sono radunate nuovamente in diverse parti della regione, compresa la capitale Mekelle.
Manifestazioni per 3 richieste fondamentali:
- il ritorno degli sfollati nelle loro case,
- la ripresa degli aiuti alla popolazione del Tigray, stato regionale etiope
- la giustizia per le vittime di violenze sessuali, come arma di guerra.
Centinaia di migliaiai di donne di ogni età e ceto sociale stuprate durante la guerra genocida iniziata il novembre 2020 e durata 2 anni. Oggi crisi umanitaria per milioni di persone.
Secondo il reporter Solomon Berhe di Tigrai TV la manifestazione ad Adigudem, nel sud-est del Tigray, chiede l’urgente ripresa degli aiuti umanitari sospesi, nonché giustizia e responsabilità in tempi utili.
Le donne manifestanti ad Adigudem dichiarano di sostenere pienamente l’accordo di cessazione ostilità, firmato a Pretoria il 2 novembre 2020, affermando la loro disponibilità per la sua piena attuazione, condannando quelli che hanno definito spoiler del patto.
Su uno degli striscioni della manifestazione ad Adigudem si legge:
“Ci opponiamo fermamente a chi ostacola l’attuazione dell’accordo di Pretoria”
Dimostrazioni anche a Shire, Tigrai nord occidentale e Mokoni, Tigrai meridionale.
Abeba Haileslassie, capo della Tigrai Women Association, come indica Tigrai TV, denuncia che le donne stanno fuggendo da Zalambessa, Irob woreda [distretto], Tigray orientale, e dalle parti meridionali della regione per paura di violenze sessuali da parte delle forze eritree e amhara. Due gruppi che sull’accordo di Pretoria sono definite implicitamente “forze straniere” che devono obbligatoriamente ritirarsi, ma sono ancora presenti ed occupanti varie aree dello staot regionale del Tigray. Sono passati 8 mesi dal rilascio dell’accordo e gli obblighi di quel patto di tregua quindi sono ancora disattesi.
Le donne in Tigray hanno anche espresso la loro frustrazione per la mancanza di farmaci che sta causando la morte di innumerevoli madri.
youtube.com/embed/YCH_b2RaMFY?…
Axum, nel Tigrai centrale, e Adigrat nel Tigrai orientale, lunedì saranno testimoni di un’altra coraggiosa manifestazione per rivendicare i loro diritti come individui, come popolo oppresso da una guerra dai risvolti genocidi, per cui oggi quelle stesse donne, vittime, come tutti i civili coinvolti, ne stanno pagando le catastrofiche conseguenze.
FONTE:
“Mediamare – Mediazione e I.A”
Lunedì 10 di luglio a partire dalle 16.00 parteciperò alla 7a edizione di Mediamare – Mediazione e I.A.per parlare di quali impatti avrà la AI nelle dinamiche negoziali e come si potrà governare il cambiamento. Un incontro promosso da ANF e UNAM Per informazioni dettagliate ordineavvocatiascolipiceno.it/…
“Dati, salute, digitale. Sbloccare il potenziale, proteggere la privacy”
Martedì 11 luglio avrò il piacere di partecipare con Diletta Huyskes, CEO di Immanence, alla Recordati Lectures “Dati, salute, digitale. Sbloccare il potenziale, proteggere la privacy” organizzato a Milano a partire dalle 14.30 da Casa Recordati e trasmesso in streaming Qui potete trovale le informazioni complete healthverse.recordati.it/edito… Qui il link per iscriversi healthverse.recordati.it/recor…
PRIVACYDAILY
“Un diritto virtuale? La regolamentazione giuridica del Metaverso”
E’ stato un piacere poter partecipare al convegno “Un diritto virtuale? La regolamentazione giuridica del Metaverso” organizzato oggi presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche dell’Università di Messina.
PRIVACYDAILY
“Un diritto virtuale? La regolamentazione giuridica del Metaverso”
Il 7 di luglio a partire dalle ore 9.30 avrò il piacere di partecipare, presso l’Aula “O. Buccisano” del Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche dell’Università di Messina, al convegno “Un diritto virtuale? La regolamentazione giuridica del Metaverso” Qui le informazioni complete unime.it/eventi/convegno-un-di…
Open landmark court proceedings up to public debate and participation!
EU lawmakers René Repasi (Socialists and Democrats) and Patrick Breyer (Pirate Party) today submitted amendments to the reform of the EU Court of Justice Statute, aimed at opening proceedings before the EU’s highest court to more public debate and participation. Specifically the public, civil society and the media would be given a right to access documents, positions and arguments submitted in court proceedings, subject to some exeptions. Civil society organisations would also be allowed to submit „amicus curiae“ comments to the Court in procedures initiated by national courts.
Breyer explains: „In landmark cases with far-reaching implications, the public has a right to know and debate our governments’ and institutions’ positions. In a democracy and where press freedom reigns the powerful can be held accountable. Transparency builds trust in times of the EU and the Court experiencing a crisis of acceptance. In the same vein civil society representing general interests needs to have a say before landmark decisions are made.“
Background:
The European Court on Human Rights already grants public access to documents submitted to the court. Regarding the EU Court of Justice, however, insights can so far only be obtained indirectly by requesting the Commission to grant access to copies of documents it holds, with the Commission being very reluctant to do so.
The EU is currently in the process of revising the EU Court of Justice Statute. The overloaded Court of Justice proposes to delegate some proceedings to the General Court of first instance.
The EU Court of Justice decides on the interpretation and validity of European law, including its compliance with fundamental rights. Landmark court rulings have, for example, concerned communications data retention, upload filters, the right to be forgotten or the purchase of government bonds by the European Central Bank (“euro bailout”).
In light of the increasing non-application of Court of Justice rulings by some national courts for ‘ultra vires’ reasons, Breyer additionally proposes introducing a dialogue between the EU Court of Justice and national courts where needed.
I have a plan to fix social media
POLITICO’s weekly transatlantic tech newsletter uncovers the digital relationship between critical power-centers through exclusive insights and breaking news for global technology elites and political influencers.
By MARK SCOTT
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SALUT DE PARIS.This is Digital Bridge, and I’m Mark Scott, POLITICO’s chief technology correspondent. This week’s newsletter comes from the City of Light, where I’m on a panel this afternoon (4:30 p.m. CET / 10:30 a.m. ET) on the global race to create AI rules. You can watch along here.
Logistics note: I’m away for the next two weeks, and my POLITICO colleagues will be quarterbacking Digital Bridge. Be gentle with them.
Ready? Let’s do this:
— If we want social media to be more accountable, we first need to create the right tools to know what’s going on.
— The United Nations wants to wade into the thorny issue of artificial intelligence. We should all be very wary.
— Canada is the latest skirmish between platforms and publishers over online content. It won’t be the last.
A ‘CLEARINGHOUSE’ FOR SOCIAL MEDIA
I’M GOING TO CHANNEL MY INNER GEN-Z INFLUENCER and say that everyone needs a side hustle. Mine — since last September — has been as a visiting fellow at Brown University’s Information Futures Lab, where I’ve focused on how to turn Europe’s new online content rulebook into something that people can actually use. Specifically, my research, based on more than 50 interviews with regulators, academics, public health officials and others around the world, relates to how best to give outsiders better access to social media companies’ data for improved transparency, accountability and, inevitably, better policymaking.
But data access is boring, I hear you say. Yes, it is. But what the last seven years, dating back to the 2016 election cycle, clearly demonstrate is that we still have a very blurry understanding of how social media really works. There are limited ways to see what’s happening on these platforms, at scale. To fix that, the European Union wrote mandatory data access provisions into its Digital Services Act — the first, and currently only, legislation to legally force companies like Facebook, Google and TikTok to open themselves up to outside scrutiny. For me, it’s the first step to improving everyone’s social media feeds. You can’t fix what you don’t know, amirite?
What became quickly apparent via my fellowship, though, was the current data access ecosystem is seriously flawed. Regulators — which have their own enforcement powers to review social media data — don’t know where to start. Academics, who currently have the best access to these platforms, often compete with each other for resources and/or are beholden to ad hoc relationships with the companies. Civil society groups either lack the funding to do this work or the technical expertise to do it well. Journalists mostly scramble around in the dark, whipsawing between one-off projects that don’t really move the needle. Platforms themselves struggle with internal power dynamics that have thwarted engagement with outsiders.
What’s needed, then, is a way to do social media data access work at scale and make it available to as many people as possible. That would democratize who can do this by removing barriers that currently stifle accountability; reduce costs as people don’t have to replicate existing data collection practices already carried out by others; and allow better analysis across multiple social media networks (where the real dangers lie) by providing a one-stop-shop for those in need of data access. It goes without saying this work must uphold people’s privacy rights; protest proprietary corporate information; and avoid capture by commercial/government interests seeking to track people online.
So that’s the problem — one that Europe’s new content rulebook (albeit flawed) is uniquely placed to solve. That goes for both those within the 27-country bloc and those elsewhere, given the Digital Services Act’s data access provisions can apply to non-EU groups. The answer, for me, is what I’m calling a “social media clearinghouse,” an underlying digital infrastructure that would bring together platforms’ accessible data into a universal database available to vetted researchers, civil society groups and others. It would take care of the technical layer of this work, so organizations can get on with what they do best: providing a level of accountability and transparency to what happens on social media.
I can already hear you shouting: “You want to create a global database to track everyone’s social media activities? Hard pass.” I get that. The clearinghouse would have to run in conjunction with a strict, independent vetting procedure — one already being created via the European Digital Media Observatory (more on that here) — to limit who can access such infrastructure. This isn’t about creating a global surveillance regime. Think about it more like a CrowdTangle 2.0, a replacement for the cross-platform social media analytics tool owned by Meta that’s indispensable for existing social media accountability work, but which is falling apart, mostly out of neglect.
What my Brown fellowship made clear to me is the current work in this area represents less than the sum of its parts. The limited resources available for social media transparency work is balkanized in a million ways. Brussels has, uniquely, laid out the ability to force greater access to platform data with its new content rulebook, potentially for a global network of organizations. But policymakers have done little, if any, work to turn these rules into a reality for anyone beyond their own enforcement investigatory work.
A social media clearinghouse would fill a much-needed gap by providing the underlying digital data infrastructure to jumpstart a wider array of organizations’ work on unpicking the black box that social media still remains. It’s not going to fix the dumpster fire that parts of this online world have become. But it can provide a universal foundation for what policymakers keep telling me is their goal: to make social media a better experience for all.
THE UNITED NATIONS AND AI
TO MISQUOTE RONALD REAGAN, “The 13 most terrifying words in the English language are: ‘I’m from the United Nations, and I’m here to help (on artificial intelligence).'” Yes, that’s a pretty hamfisted metaphor. But I am incredibly skeptical of any U.N. effort to wade into international digital policymaking. Mostly, that’s because such efforts give authoritarian governments like China, Russia and Saudi Arabia a seat at the table in how things like AI, online content rules and cybersecurity are shaped. Call me an elitist, but let’s work it out between democracies first.
Still, Thursday marks the sixth installment of the U.N.’s AI for Good summit in Geneva. Overseen by the International Telecommunications Union, a Swiss-based UN agency, the two-day gathering is aimed at harnessing the emerging tech to help meet the international organization’s sustainable-development goals. It includes panels on everything from the technical challenges around regulating generative AI to using the technology to fight climate change. Given the summit started years before AI became the over-hyped beast it is today, it would be hard to claim the U.N. is merely jumping on the bandwagon of the latest hot policy area.
“I’m hopeful,” Doreen Bogdan-Martin, the International Telecommunication Union’s American head, told me when I asked her how optimistic she was the U.N. could successfully bash international policymakers’ heads together, given the litany of failed global digital initiatives that pot mark the internet superhighway. “We sort of don’t have a choice. We have to try to make this work.” I’m not sure if the “What else can we do?” argument is a strong one. But Bogdan-Martin is right in that global cooperation on all facets of AI is needed, and needed now.
Luckily, the U.N. isn’t starting from scratch. Back in 2021, UNESCO — another U.N. agency — published its AI Principles, underlying ethics guidelines around things like upholding people’s right to privacy; the proportionate use of AI to carry out specific tasks; and a need for accountability and transparency baked into how these opaque systems are developed. All of UNESCO’s 193 members (but, pointedly, not the United States, which is about to rejoin the group) backed the proposals, including countries like China.
And that’s where things start to fall down. I have my personal views on allowing Beijing to participate in such global digital policymaking fora. But if countries agree to certain underlying AI ethical principles, how do you square that with China’s aggressive roll-out of the technology, especially around its controversial social credit system?
“Well, China signed (the principles),” Gabriela Ramos, UNESCO’s assistant director general for the social and human sciences who helped to negotiate the agency’s recommendations, said when I asked her if China would abide by UNESCO’s AI Principles. “We take it at face value that if countries sign up to the recommendations, we are expecting that they will implement them.”
Again, not exactly the strongest of statements. But Bogdan-Martin, the ITU boss, made it clear the era of self-regulation (looking at you, White House, and your ongoing meetings with industry about such efforts) is over. “Business, alone, can’t be self-regulating,” she said. “There’s a need to have governments engaged. There’s a really important role for the U.N., for academia, and for civil society.” I agree with her that governments need to roll up their sleeves and set some ground rules. I’m just not so sure the U.N. — with the inevitable complex geopolitics that comes with it — is the right place for those discussions to take place.
BY THE NUMBERS
PLATFORMS VS. PUBLISHERS, CANADA EDITION
TO OVER-GENERALIZE OUR COUSINS FROM THE NORTH, Canadians are typically pretty chilled-out people. So when Justin Trudeau and his officials attack the likes of Meta and Alphabet for threatening to take down news content from their platforms, you know something has gone wrong. This is all in response to local legislation, known as the Online News Act, that will force the tech giants to pay Canadian publishers when their content appears on their sites. The Canadian government estimates it may bolster national media outlets’ coffers, annually, by $250 million by mandating Facebook and Google to negotiate such commercial deals.
This follows separate (successful) efforts in Australiawhere local publishers are now pocketing an estimated $150 a year in similar platform payments. In Europe, national governments are now strong-arming tech companies to similarly hand over blockbuster fees via the bloc’s copyright directive, which allows outlets to charge whenever their content appears on these platforms. (Disclaimer: Axel Springer, POLITICO’s German owner, was a vocal supporter of those provisions.) In California, state lawmakers are considering a similar Canada/Australia-style model.
There’s a lot to be said about the lobbying efforts from cash-poor publishers seeking to tap wealthy platforms for additional revenues when their underlying advertising business is crumbling. But it’s also true tech giants gain massively from media outlets’ content that appears on their sites. Is that dynamic unsustainable? Probably. But it’s worth remembering both sides are hard-nosed lobbyists and the answer, inevitably, is somewhere between publishers charging platforms for their content and tech giants using this material for free.
WONK OF THE WEEK
NOW THE ENFORCEMENT POWERS OF CALIFORNIA’S privacy rules are in place (as of July 1), it’s time to focus on Michael Macko, who was just appointed the first deputy director of enforcement at the California Privacy Protection Agency.
The University of Pennsylvania law school graduate has a mix of public and private sector experience. Most recently, he was a senior lawyer at Amazon, and previously was both an assistant U.S. attorney at the U.S. Department of Justice and a trial attorney at the U.S. Securities and Exchange Commission.
Overnight, Macko will become one of the most powerful privacy enforcers in the U.S. (albeit his work will have to be done in conjunction with the state’s attorney general.) That includes a likely focus on how mobile apps are complying with the Golden State’s de facto national privacy standards, as well as how companies’ use of AI aligns with the new rules.
THEY SAID WHAT, NOW?
“The United States has fulfilled its commitments for implementing the EU-U.S. Data Privacy Framework announced by President Joe Biden and European Commission President Ursula von der Leyen in March 2022,” said Gina Raimondo, the U.S. commerce secretary, after the U.S. Department of Justice approved the surveillance practices of EU member countries and American intelligence agencies updated their own guidelines to comply with a 2020 decision from Europe’s highest court that U.S. data protection safeguards were not sufficient to uphold the bloc’s fundamental privacy rights.
Those steps mark the final stages required by Washington before Brussels approves a transatlantic data-transfer deal, which may come as early as Tuesday or Wednesday next week.
WHAT I’M READING
— The U.S. federal government is already using artificial intelligence in myriad ways. Luckily, the National Artificial Intelligence Initiative Office has brought them all into one place. Take a look here.
— The United Kingdom has its own regime to regulate “online safety.” The country’s regulator in charge of these efforts has outlined exactly what its plans are, and over what time period.
— Germany’s federal cartel office won its case against Meta over claims that it abused its dominant position to unfairly favor its own services via the collection of people’s online data. Read the decision here.
— A U.S. judge ordered vast parts of the federal government not to meet or coordinate with social media companies over allegations officials and tech executives were censoring or suppressing people’s protected speech online. Read the ruling here.
— Meta released Threads, a Twitter alternative, that had already signed up millions of users within its first hours. Unfortunately, it appears you can’t delete your Threads account without also removing your Instagram account. Awkward.
— China is moving ahead with its own efforts to regulate generative AI. Yirong Sun and Jingxian Zeng unpick the draft proposals for the Future of Privacy Forum.
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PRIVACYDAILY
“Privacy a 5 anni dall’entrata in vigore del GDPR, la tutela dei dati personali da Occidente ad oriente”
E’ stato un piacere partecipare all’incontro dedicato ai 5 anni dall’entrata in vigore del GDPR e alla tutela dei dati personali da Occidente ad Oriente
Etiopia, situazione fuori controllo nel campo per sfollati di Abiy Addi, Tigray
Sono passati 8 mesi dall’accordo di cessazione ostilità firmato a Pretoria il 2 novembre 2022 tra governo federale etiope e TPLF – Tigray People’s Liberation Front, rappresentanti dello stato regionale del Tigray.
Accordo di tregua dopo 2 anni di guerra dai risvolti etnici e genocidi, guerra considerata la più atroce degli ultimi tempi: si stima un minimo di 600.000 vittime tra i civili, crimini di guerra, repressione politica, massacri e atrocità (stupri per vendetta, arresti e detenzioni arbitrarie di massa, 90% del sistema sanitario regionale distrutto, campi, raccolti saccheggiati e incendiati, bestiame rubato o macellato e blocco degli aiuti alimentari umanitari come armi da guerra) legittimate e mascherate da “guerra al terrorismo”.
Arriva oggi, 5 luglio, l’aggiornamento condiviso da Jan Nyssen, professore dell’Università di Ghent (che col suo team ha prodotto le stime sul numero di vittime prodotte dalla guerra genocida in Tigray)
Un amico di Abiy Addi ha avuto l’opportunità di entrare nel campo per sfollati di Abiy Addi e di parlare con la gente; mi ha inviato questo rapporto di testimone oculare il 4 luglio.È molto doloroso visitare il centro per sfollati di Abiy Addi. La gente correva da me aspettandosi che io stessi molto meglio di loro, visto che vedevano che riuscivo almeno a sopravvivere.
Tra i circa 53.000 sfollati, 841 sono disabili e soffrono per la scarsità di cibo. Finora sono morti 26 sfollati. Ci sono anche minori non accompagnati che soffrono.
Un conteggio del centro sanitario di Abiy Addi indica che 676 persone sono sul punto di morire nel campo per sfollati.
Nel campo ci sono 2200 sopravvissuti alla violenza sessuale correlata al conflitto (Conflict- Related Sexual Violence – CRSV), di cui 500 non ricevono alcun aiuto. Molti di loro hanno malattie croniche.
Ci sono 891 donne in condizioni critiche nel campo.
Il centro per sfollati è in una TVET (Vocational Education and Training – scuola di formazione tecnico-professionale), ma non c’è posto per tutti. Più di 4000 persone sono senza riparo.
Generalmente, le persone nel centro per sfollati hanno deciso che stanno solo aspettando la morte entro domani o dopodomani.
La maggior parte degli sfollati proviene dalla zona occidentale del Tigray, in particolare Humera e Maykadra.
Gli sfollati avevano la speranza di tornare a casa quando lo scorso novembre è stata annunciata la cessazione delle ostilità; ma ora, 2 anni e mezzo dopo essere stati espulsi dal loro posto, si rendono conto che non ci sarà ritorno a casa ma che preferiranno morire qui. Vanno a mendicare ovunque in città, ma ricevono pochissimo sostegno dalla comunità ospitante perché anche queste persone non hanno reddito e non ci sono più aiuti alimentari nemmeno per loro. Da tutti questi anni, le persone non hanno comprato vestiti. Molti sono nudi, i bambini camminano a piedi nudi. Non c’è nemmeno istruzione per i bambini nel centro per sfollati.
Gli sfollati hanno bisogno di sostegno alimentare, hanno bisogno di tornare a casa. Formalmente, ad Abiy Addi è stato istituito un comitato di protezione per gli sfollati.
Sono presenti diverse ONG internazionali, ma con pochi mezzi. Assistono alcune migliaia di famiglie con farina, olio e sale. Forniscono acqua pulita e organizzano la pulizia dell’ambiente da parte di volontari. 670 donne hanno ricevuto kit di dignità [sanitario e nutrizionale]. Alcuni sopravvissuti alla violenza di genere ricevono sostegno in denaro e formazione per proteggersi.
La mia impressione generale è che la situazione nel centro per sfollati di Abiy Addi sia fuori controllo – letteralmente dal tigrino: “oltre la capacità di gestione”.
Considerazioni finali
Il Professor Jan Nyssen in chiusura alla testimonianza condivisa aggiunge che:
Numerose persone nel campo per sfollati interni (IDP) di Abiy Addi nel Tigray centrale (circa 100 chilometri a ovest di Mekelle in linea d’aria) sono purtroppo morte a causa di problemi legati alla fame. Questi campi per sfollati servono come vivido promemoria delle terribili condizioni che continuano ad affliggere la popolazione del Tigray, con centinaia di migliaia di persone che cercano sicurezza all’interno dei suoi confini. La fine del 2020 e l’inizio del 2021 hanno visto la maggior parte degli sfollati espulsi dal Tigray occidentale dalle forze militari della regione di Amhara che ancora occupano la zona occidentale del Tigray.Gli aiuti alimentari sono stati sospesi dal PAM e dall’USAID a causa dei diffusi furti organizzati ai massimi livelli in Etiopia. Abbiamo scritto un articolo di opinione su questa sospensione degli aiuti alimentari con André Crismer e lo abbiamo pubblicato sul quotidiano belga “La Libre”: Nel Tigray, ancora afflitto dalla carestia, gli aiuti alimentari sono stati sospesi.
Approfondimenti:
- Etiopia, quasi un migliaio di persone morte di fame in Tigray causa sospensione del supporto alimentare
- Etiopia, appello per il Tigray del Vescovo Tesfaselassie Medhin per sbloccare la sospensione degli aiuti umanitari
- Etiopia, 54.000 sfollati ad Abiy Addi senza cibo, medicinali e altre zone del Tigray senza aiuti
- Etiopia, mancanza di aiuti adeguati agli sfollati interni (IDP) in Tigray
- Etiopia, la disastrosa situazione degli sfollati in Tigray nonostante l’accordo di cessazione ostilità
- Etiopia, 47.000 nuovi sfollati da 10 woreda del Tigray occidentale arrivano a Endabaguna, vicino Shire
- Etiopia, IDP, sfollati interni in Tigray non dovrebbero essere puniti doppiamente
Archivio:
PRIVACYDAILY
ECJ ruling on Meta browsing records: Breakthrough for online privacy
Pirate Party MEP Patrick Breyer, who has sued in court for more than 10 years against the clickstream logging, celebrates today’s ECJ ruling against the U.S. Internet company Meta as a breakthrough for online privacy:
“Following the business model of surveillance capitalism, Internet corporations, like stalkers, pervasively record our browsing behavior in order to be able to analyze our personality, our likes and weaknesses. Based on these personality profiles, they keep us online and manipulate us into buying products or voting for certain parties.
„Today’s landmark ruling by the European Court of Justice likely means the end of the common practice of clickstream logging, which I’ve been fighting for over a decade. Meta’s pretexts to justify this practice have largely been dismissed. Even for security purposes, indiscriminate and pervasive logging of all our clicks in an identifiable way is not necessary.
„Big Tech will need to be honest and give us the choice of paying for their services with money, or with our privacy. Today’s landmark ruling will change the Internet landscape and give non-commercial, decentralized and free services a much needed boost.
„No one has the right to record everything we say and do online. As generation Internet, we have the right to be able to inform ourselves online just as privately and uninhibited as our parents were able to do read newspapers, listen to radio or watch TV. The Court of Justice today rejected the NSA-style method of a total recording of our digital lives and helped the fundamental rights to privacy, freedom of information and freedom of expression on the Internet to prevail!”
Maronno Winchester reshared this.
“Privacy: a 5 anni dall’entrata in vigore del GDPR, la tutela dei dati personali da Occidente a Oriente, un confronto tra PIPL e GDPR”
Domani a partire dalle 9.00 avrò il piacere di partecipare con Agostino Ghiglia al convegno “Privacy: a 5 anni dall’entrata in vigore del GDPR, la tutela dei dati personali da Occidente a Oriente, un confronto tra PIPL e GDPR” nella Sala del Refettorio, Palazzo San Macuto, Via del Seminario a Roma
Data protection enforcement must strengthen citizens’ rights, not weaken them!
Today, the European Commission presented a draft regulation to improve cooperation between European data protection authorities. MEP and digital freedom fighter Patrick Breyer (Pirate Party) warns:
“My data must belong to myself – this is the central power balance question in the information age. However, the enforcement of data protection law against global internet corporations suffers from procrastination and industry-friendliness, especially in Ireland. We urgently need to take action here. However, the EU Commission does not want to introduce deadlines to speed up proceedings. Reducing the participation rights of victims of data protection violations and scandals is not an acceptable way to speed up proceedings! We need enforcement reform to strengthen citizens’ rights against corporations, not to weaken them.”
PRIVACYDAILY
Il debunking di Giacomo Bechini sulle affermazioni false di Francesco Giubilei a proposito del fatto che il 27% di incidenti stradali da parte dei giovani sia causato dalla "droga"
@Politica interna, europea e internazionale
Questo il tweet di Francesco Giubilei:
> Caro @riccardomagi ecco dati ISTAT che dicevi non essere veri: “conducenti giovani che causano incidenti stradali sotto l’effetto di stupefacenti sul totale è al 27% per la guida sotto effetto di droghe”. Poi c’è l’abuso di alcol alla guida ma questi sono i dati sulle droghe.
Questa la risposta di Giacomo Bechini:
Caro Francesco,siamo onesti. Il tuo virgolettato è autentico quanto le borse di Vuitton che si vedono vendere in spiaggia.
L’indagine conoscitiva da cui si rileva quel dato (questa, pag.9) dice una cosa ben precisa:
⚠️ “La proporzione dei conducenti giovani, in età 15-24 anni, che causano incidenti stradali in stato di ebbrezza o sotto l'effetto di stupefacenti sul totale, è pari circa al 20% per la guida sotto effetto di alcol e al 27% per la guida sotto effetto di droghe.” ⚠️
👉 Spiegato semplice: “sul totale degli incidenti stradali in cui almeno un conducente è sotto effetto di stupefacenti, il 27% ha fra i 15-24 anni”.
👉👉 Non stiamo calcolando l’incidenza degli incidenti avvenuti sotto effetto di droga sul totale degli incidenti; ma stiamo osservando la ripartizione di questo tipo di incidenti per fasce di età.💖 Se vogliamo proprio essere onesti al 100%, possiamo anche tranquillamente andare al report di Istat per gli incidenti stradali più recente (questo a pagina 11, dove dice che “su un totale di 52.459 incidenti con lesioni osservati […] sono stati 5.085 quelli con almeno uno dei conducenti dei veicoli coinvolti in stato di ebbrezza e 1.676 quelli per i quali si è rilevato l'effetto di stupefacenti. Il 9,7% e il 3,2% degli incidenti rilevati da Carabinieri e Polizia Stradale nel complesso, è correlato quindi ad alcol e droga, proporzioni in aumento rispetto al 2020, per lo stato di ebbrezza alla guida e in lieve diminuzione per la droga (9,2% e 3,5%). Le percentuali erano pari a 8,7 e 3,4 nel 2019.”
Nella pagina successiva, inoltre, c’è anche una bellissima tabella con i dati relativi alle sanzioni emesse dagli organi di Polizia per inosservanza dei principali articoli del Codice della Strada. E si può chiaramente leggere che il numero delle violazioni per gli art. 186 (alcol) e 187 (droga) sono, rispettivamente 0,44% e 0,06% (sì, i calcoli li ho fatti su un foglio).
👇👇👇
Tutto ciò per ricordare a tutti i politici (non solo a te) che quando si citano delle statistiche, forse bisognerebbe almeno sapere di che cosa stiamo parlando e, soprattutto, avere l’onestà intellettuale di non stravolgerne il significato.Buon proseguimento.
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Etiopia, guerra economica tra USA e Russia sulla pelle di milioni di persone in Tigray [BRICS e G7]
L’amministrazione americana di Joe Biden ha informato il Congresso che l’Etiopia non è più coinvolta in un “modello di gravi violazioni dei diritti umani”.
L’annuncio degli USA arriva dopo 2 anni di guerra genocida (iniziata in Tigray, stato regionale settentrionale etiope, sconfinata in altre parti d’Etiopia, principalmente Amhara e Afar) e dopo 8 mesi dalla firma dell’accordo di cessazione ostilità – CoHA – siglato tra le parti il 2 novembre 2022 a Pretoria, Sud Africa e mediato dall’ Unione Africana.
Conflitto considerato il più sanguinoso del 21° secolo per cui si stimano un minimo di 600.000 morti tra i civili, attività di pulizia etnica, milioni di persone sfollate, decine di migliaiai fuggite nel vicino Sudan ed attualmente ancora martoriate dai pochi aiuti e dal tentato golpe che ha gettato a ferro a fuoco il Paese, decine di migliai di stupri come arma di guerra verso le donne di ogni età e ceto sociale di origine tigrina, deportazioni di massa, arresti e detenzioni in violazione del diritto umanitario solo perché di origine tigrina (ancora oggi non c’è una trasparenza su che destino abbiano avuto le tante persone, adulti e bambini, donne incinta ed anziani, messi agli arresti). Oltre allo stupro, anche di gruppo, gran parte della strategia di guerra per fermare il “gruppo terroristico” del TPLF e i suoi potenziali sostenitori, è stata la distruzione di campi e raccolti per affamare il popolo tigrino, distruzione di luoghi di culto, chiese e monasteri (patrimonio Unesco) per cancellare storia e cultura. E’ stato distrutto e reso inagibile il 90% del sistema sanitario, gli ospedali del Tigray: ancora e soprattutto oggi le persone ne stanno pagando le conseguenze, per mancanza di materiale igienico sanitario. La difesa etiope, supportata da accordi e fornitura militare da Emirati Arabi, Cina e Turchia, ha bombardato per mezzo drone target che ha dichiarato essere basi logistiche di formazione del TDF, Tigray Defence Forces, i partigiani tigrini considerati dissidenti: siti tra cui asili, ospedali, pubbliche piazze come aree di mercati cittadini, legittimando le uccisioni di civili come “guerra al terrorismo” (1 maggio 2021 il governo etiope ha legiferato il TPLF e tutti i suoi potenziali sostenitori “gruppo terroristico” e terroristi quindi da perseguire come tali).
Le violazioni e gli abusi sul popolo del Tigray non si fermano
Nonostante siano passati 8 mesi dall’accordo di Pretoria, abusi e violenze sono ancora a piede libero, come l’occupazione amhara ed eritrea, la prima nel Tigray occidentale, la seconda in buona parte della woreda [distretto] di Irob, esteemo Tigray orienatle.
Recente è la denuncia di HRW per cui le attvità di pulizia etnica e demografica continuano nonostante nell’accordo di tregua venga esplicitato l’obbligo di ritiro di tutte le “forze esterne” dal Tigray. Nell’ accordo non si nominano esplicitamente però chi siano tali “forze”, ovvero amhara ed eritrei, per cui la denominazione mediatica falsata di “guerra civile in Tigray” dovrebbe essere rinominata in guerra regionale, visto la partecipazione confermata dell’eserccito eritreo. Fattore ancor più determinante per tale designazione il fatto che nelle prime linee furono inviati e a morire per una guerra non loro cadetti somali in formazione alla difesa eritrea ignari come le loro famiglie, ma invece consci di essere addestrati per missioni da svolgere in Qatar.
La guerra genocida è stata considerata la più atroce perché, come il vaso di Pandora, ha scoperchiato tutta la rabbia e sete di vendetta represse da parte degli alleati nazionalisti amhara ed eritrei verso gli etiopi di origine tigrina: tensioni storiche mai veramente lenite o dipanate, ma sempre mediate per ingerenza esterna.
Si ricordi la guerra 1998/2000 tra Eritrea ed Etiopia (governata dalla coalizione con a capo il TPLF) per rivendicazioni territoriali in zona di confine. Ricordiamo il successivo accordo di Pace siglato dall’attuale premier Abiy Ahmed Ali con il dittatore eritreo Isaias Afwerki che ha valso al premier etiope il Premio Nobel per la Pace nel 2019 ad oggi tanto controverso… e nel nov.2020 è arrivata l’alleanza non formale tra Etiopia ed Eritrea, invaditrice del Tigray col suo esercito)… come dire, vivere in un periodo di non pace. Un po’ come l’attuale accordo di Pretoria.
Un report preliminare della commissione di esperti del diritto umanitario ONU – ICHREE – ha accusato tutte le parti in guerra di aver commesso crimini, sottolineando che il governo ha usato il blocco del supporto umanitario come arma di guerra. Naturalmente, come posizione costante, il governo ha sempre rigettato al mittente le accuse definendole politicizzate e alzando muri diplomatici (esempio: attacco all’ Irlanda) di propaganda verso l’ingerenza esterna (leggasi USA e occidente).
Le denuncie in tutela dei diritti umani
HRW – Human Rights Watch e altrettante realtà e parte della società civile hanno laciato l’allarme: il 15 febbraio 2023 da parte del vice primo ministro dell’Etiopia al Consiglio esecutivo dell’Unione Africana (che ha sede ad Addis Abeba) il governo etiope ha inteso presentare una risoluzione alla sessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite per porre fine al mandato della International Commission of Human Rights Experts on Ethiopia (ICHREE)
Nell’ appello condiviso da HRW si può leggere che:
“I tentativi dell’Etiopia di porre fine al mandato dell’ICHREE durante il suo mandato non hanno precedenti. Non solo suggerisce che gli Stati possono manovrare politicamente per ribaltare le decisioni del Consiglio dei diritti umani per evitare il controllo indipendente e la responsabilità, ma potrebbe anche costituire un pericoloso precedente per quanto riguarda il controllo internazionale e l’impunità per le violazioni dei diritti altrove.”
USA & sanzioni all’Etiopia
Gli Stati Uniti hanno preso precedentemente la decisione di sanzionare l’Etiopia denunciata di implicazione in violazioni dei diritti umani causati dalla guerra, escludendola dall’accordo economico dell’African Growth and Opportunity Act (AGOA) a partire dal 1 gennaio 2022: duro colpo sull’economia etiope, già intaccata pesantemente dal baratro economico per perseguire la sete di vittoria nella guerra genocida in Tigray.
USA blocca la designazione di genocidio in Tigray
Gli USA si erano fatti anche promotori di un’indagine investigativa e legale per la designazione di genocidio in Tigray. Presa di posizione opportunamente cambiata rivendicando di voler lasciare spazio alle misure diplomatiche in Etiopia.
Molly Phee, vicesegretario di Stato per gli affari africani ha affermato che:
“Abbiamo deciso di astenerci in questo momento dal prendere una decisione pubblica per lasciare spazio e tempo per vedere se i colloqui attualmente in corso possono fare progressi”
Aggiungendo:
“Il nostro obiettivo principale è stato cercare di impegnarci diplomaticamente nei molti modi a nostra disposizione per raggiungere la fine del conflitto, il che ovviamente comporterebbe la fine immediata delle atrocità”.
Dovrà passare quasi un anno perché arrivino i tempi di tavoli di negoziato, mentre in quel periodo la guerra, le atrocità sono continuate e sono aumentate le vittime.
Lo strano modo americano per la tutela dei diritti umani
A detta della recente notifica interna del Dipartimento del Tesoro americano, la revoca legale unilaterale di tale designazione per l’Etiopia per cui non è più coinvolta in un “modello di gravi violazioni dei diritti umani“, aprirà la strada per poter riprendere l’invio di aiuti economici USA ed internazionali al paese dell’Africa orientale, il secondo Paese più popoloso del continente.
Questa presa di posizione degli USA si allinea legalmente ai sensi della sezione 701 dell’International Financial Institutions Act del 1977 per i quali i direttori esecutivi statunitensi delle istituzioni finanziarie internazionali (IFI), come il FMI e le banche multilaterali di sviluppo, sono incaricati di opporsi a prestiti o assistenza finanziaria a paesi coinvolti in violazioni dei diritti umani.
Nella recente nota al Congresso americano infatti si legge:
“Il Tesoro smetterà di istruire i direttori esecutivi statunitensi competenti presso le IFI a opporsi a qualsiasi prestito, estensione dell’assistenza finanziaria o assistenza tecnica all’Etiopia”
Stabilità economica non è sinonimo a vera pace
Se tale scelta da parte americana apre le porte a supporto dell’Etiopia per riuscire a ricreare una certa stabilità economica, c’è il rischio che crei un precedente sul fronte della tutela dei diritti umani.
Venerdì 30 giugno 2023 John Kirby, portavoce per la sicurezza nazionale della Casa Bianca ha dichiarato:
“Stiamo revocando alcune restrizioni su alcuni tipi di assistenza mentre interrompiamo gli aiuti alimentari. Riteniamo che questa decisione espanda gli strumenti a nostra disposizione per rafforzare il nostro sostegno a una pace duratura in Etiopia.”
Il Dipartimento di Stato americano ha affermato che la sua assistenza sosterrà la pace e la riconciliazione.
Un portavoce del Dipartimento di Stato ha affermato che:
“L’obiettivo della ripresa dell’assistenza bilaterale sarà sostenere l’ulteriore attuazione dell’accordo sulla cessazione delle ostilità e promuovere la pace e la riconciliazione sostenibili attraverso sforzi che includono lo sminamento, la giustizia di transizione e la responsabilità”
Aggiungendo:
“Continueremo a sollevare preoccupazioni e parlare delle segnalazioni di gravi violazioni dei diritti umani, anche da parte di attori non statali nel Tigray occidentale, e solleciteremo il governo a proteggere i civili e a ritenere responsabili gli autori.“
Peccato che l’Etiopia, a detta di ricercatori, osservatori e competenti nel campo legale, non abbia una legislazione atta a criminalizzare le gravi violazioni dei diritti umani.
La presa di posizione degli USA ha trovato la scappatoia legale per riprendere accordi economici con l’Etiopia, nonostante sussistano denunce, accuse confermate per cui ci sono ancora abusi e violenze da dover giudicare come il perseguimento penale dei diretti responsabili criminali: implicate diverse realtà etiopi, governative del comparto della difesa e degli alleati partecipi della guerra durata due anni.
Un po’ come la ripresa a mani basse siglata mesi fa anche dell’ Italia per firma della Premier Giorgia Meloni: un finanziamento triennale di 182 milioni di euro per finanziare in parte la filiera agro-alimentare e quello industriale.
Un po’ come l’Italia che anche nel precedente governo Draghi, non si è mai esposta esplicitamente per la tutela dei diritti umani e delle vittime di guerra, nemmeno rispondendo ai molteplici appelli della diaspora rimasta senza voce fino ad oggi, tanto meno supportata dai media politicizzati.
Amnesty accusa gli Stati Uniti di aver fatto marcia indietro sulla determinazione delle atrocità in Etiopia
Riporto la traduzione integrale dell’appello di denuncia di Amnesty International:
“Questa settimana il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha notificato al Congresso che, sulla base di una valutazione del Dipartimento di Stato, non ritiene più che il governo etiope sia impegnato in un “modello di gravi violazioni dei diritti umani”, aprendo la strada al Dipartimento del Tesoro per impegnarsi in Etiopia con istituzioni di aiuto economico, tra cui il Fondo Monetario Internazionale. A marzo, il segretario Antony Blinken ha annunciato una determinazione di atrocità del governo degli Stati Uniti secondo cui tutte le parti in conflitto nel nord dell’Etiopia hanno commesso crimini di guerra. Ha rilevato che anche le forze di difesa nazionali etiopi, le forze di difesa eritree e le forze amhara hanno commesso crimini contro l’umanità, “inclusi omicidio, stupro e altre forme di violenza sessuale e persecuzione”.Ad aprile, Amnesty International ha rilasciato una dichiarazione chiedendo il rilascio dei giornalisti imprigionati dopo lo scoppio della violenza nella regione di Amhara che ha provocato l’uccisione di due operatori umanitari. A giugno, Human Rights Watch ha pubblicato i risultati secondo cui le autorità nella zona del Tigray occidentale in Etiopia avevano continuato una campagna di pulizia etnica contro i tigrini dopo la tregua del novembre 2022. Il rapporto documenta accuse di tortura, detenzione arbitraria ed espulsione forzata da parte delle autorità etiopi nel Tigray occidentale. Sempre a giugno, il governo degli Stati Uniti ha sospeso gli aiuti alimentari all’Etiopia dopo che un’indagine dell’USAID ha scoperto un piano, coordinato dalle autorità federali e regionali etiopi, per rubare gli aiuti donati.
Le seguenti citazioni possono essere attribuite rispettivamente a Human Rights Watch e Amnesty International USA:
“Siamo profondamente preoccupati che il governo degli Stati Uniti non creda più che in Etiopia si stiano verificando gravi violazioni dei diritti umani”, ha affermato Sarah Yager, direttrice di Washington di Human Rights Watch. “Non solo la decisione ignora la realtà che le gravi violazioni dei diritti umani continuano in tutto il paese, ma invia un segnale disastroso che le determinazioni delle atrocità degli Stati Uniti hanno poche conseguenze”.
“L’amministrazione Biden pretende di mettere i diritti umani al centro della sua politica estera, ma la loro dichiarazione secondo cui le gravi violazioni dei diritti umani non si verificano più sono contrarie a questa promessa”, ha affermato Amanda Klasing, direttore nazionale per le relazioni con il governo e l’avvocatura presso Amnesty International Stati Uniti. “Dalla cessazione delle ostilità, le autorità etiopi non hanno compiuto passi significativi verso la giustizia e la responsabilità per i crimini commessi durante il conflitto nel nord dell’Etiopia. Prendere una tale decisione prima di aver visto l’impegno per la giustizia e la responsabilità, e mentre sono in corso segnalazioni di violazioni, sarebbe una decisione politicamente opportuna a spese dei sopravvissuti e delle vittime”.”
L’ Etiopia chiede di entrare nel BRICS
Sabato 29 giugno 2023 il portavoce del ministero Meles Alem ha confermato che l’Etiopia ha presentato la richiesta di adesione ai BRICS.
Dopo la guerra di propaganda diplomatica del governo etiope contro l’occidente e parallelamente alla presa di posizione degli USA per candeggiare l’immagine dell’Etiopia sui crimini di guerra, arriva la richiesta etiope di entrare nel BRICS.
La domanda di Addis Abeba si aggiunge all’interesse di circa un’altra ventina di Paesi tra cui Arabia Saudita, Egitto, Messico, Venezuela, Argentina e Iran.
Meles Alem in conferenza stampa ha dichiarato:
“Abbiamo presentato domanda di adesione e speriamo in una risposta positiva.”
Aggiungendo:
“In quanto paese [Etiopia] che è stato membro fondatore di istituzioni globali come l’UA [Unione Africana] e l’ONU, e mentre cerchiamo di garantire i nostri interessi nazionali, è importante unirsi a blocchi come il BRICS”
Originariamente composto da Brasile, Russia, India e Cina (da qui BRIC), il gruppo ha aggiunto il Sudafrica nel 2010 (ecco l’aggiunta della S nell’acronimo)
I cinque Stati membri rappresentano oltre il 40% della popolazione mondiale e circa un quarto del PIL globale.
Va sottolineato che il blocco economico BRICS si contrappone all’egemonia del dollaro e delle potenze economiche occidentali rappresentate dal G7 che vede capofila gli USA.
Considerando la contrapposizione di questi 2 blocchi come chiave di lettura, sono peculiari le tempistiche comunicative accusatorie americane verso la contro parte.
Iran, Paese che ha manifestato interesse per entrare nel BRICS, è stato accusato dagli Stati Uniti di rifornire droni alla Russia per la guerra contro l’Ucraina.
Allo stesso modo e nello stesso periodo l’Etiopia è stata accusata sempre per voce americana di ricevere droni dall’Iran: droni ricevuti in pieno svolgiento della guerra genocida in Tigray.
Martedì 18 ottobre 2022 Vedant Patel ha affermato che gli Stati Uniti hanno informato le Nazioni Unite del trasferimento di droni, sottolineando che viola la risoluzione 2231 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Comunicato e notizia passata nell’ombra questa del convolgimento dei droni dell’ Iran nella guerra in Tigray, surclassata dalla guerra politica tra USA e Russia, dalla visibilità mediatica occidentale in Ucraina: rappresenta però per l’America un ulteriore tassello come delegittimazione alla Russia ed ai suoi alleati.
Una guerra globale che ha come primi obiettivi l’ottenimento di nuove risorse, del riposizionamento geo politico delle super potenze, finalizzati al perseguimento del sistema capitalistico.
Sistema subordinato al consumismo di chi ha e che avrà sempre più, innescando strumentalmente nuove guerre tra poveri, tra gli ultimi, verso tutte quelle comunità, popoli, individui che il dio denaro vuole dimenticare.
Tutta quella parte di mondo che “noi bianchi”, “occidentali” chiamiamo semplicemente “Paesi in via di sviluppo” per lavarci la coscienza e che li aiutiamo “a casa loro”, supportandoli e mantenedoli in “costante stato di emergenza”, ma che otterranno solo le briciole dal sistema economico globale.
Il Tigray, il suo popolo e le centinaia di migliaia di vittime, i milioni di sfollati, purtroppo una tra le tante crisi umanitarie dimenticate, aspettano solo di avere giustizia, di veder rispettati i propri diritti di esseri umani da troppo dimenticati.
Tigrini per 2 anni presi di mezzo ai bombardamenti ed ai massacri di una guerra genocida che non si è voluto vedere per convenienza.
Tigrini che oggi sono tra i fuochi incrociati di una guerra globale delle superpotenze in conflitto sulla pelle di milioni di persone.
Tigray : la Guerra Genocida Dimenticata dal Mondo – Archivio
"Etiopia, guerra economica tra USA e Russia sulla pelle di milioni di persone in Tigray [BRICS e G7]"
tommasin.org/blog/2023-07-03/e…
Etiopia, guerra economica tra USA e Russia sulla pelle di milioni di persone in Tigray [BRICS e G7]
L'amministrazione americana di Joe Biden ha informato il Congresso che l'Etiopia non è più coinvolta in un "modello di gravi violazioni dei diritti umani". L'annuncio degli USA arriva dopo 2 anni...Davide Tommasin ዳቪድ
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Spain takes over the Presidency of the Council of the EU: U-turnon civil liberties needed!
On 1 July, Spain holds the Presidency of the Council of the EU for the fifth time. In his welcome address, the President of the Spanish Government, Pedro Sánchez, announced: “Europe must become an area of certainties, in which material welfare, freedom and democracy pave the way for the future of all people.” Previously, Sweden had presided over the Council of the EU for six months. Under the Swedish Presidency, the so-called “Going Dark” program was launched, which aims to reintroduce indiscriminate communications data retention while limiting citizens’ digital freedoms and rights for confidential and anonymous communications on the internet. Similarly, under the Swedish Presidency, the Council pushed ahead with plans for EU-wide chat control, despite legal opinions showing that the plans are incompatible with EU law.
Patrick Breyer MEP (German Pirate Party / Greens/EFA) and digital freedom fighter, comments:
“It is an positive and important signal that the Spanish President, Pedro Sánchez, is emphasizing freedom and democracy at the start of the Council Presidency. The Swedish Presidency had taken a confrontational course against the fundamental digital rights and freedoms of citizens in the EU, which urgently needs to be corrected.A first necessary step would be to stop the non-transparent and factually misguided “Going Dark” expert group, whose mandate is based on the disproven assumption that law enforcement agencies cannot effectively fight crime without mass surveillance or further interference with citizens’ fundamental rights. The aims of this program contradict the European values of freedom and democracy.
A second necessary step would be to stop authoritarian chat control. The chat control proposal has been universally rejected by multiple actors, including a strong campaign that was launched in Spain against the proposal.
Europe does not need more surveillance against all, but real solutions such as long-term, targeted and well-equipped investigative work, a strong civil society especially in the areas of child and youth protection, and authorities and public institutions better acquainted with the concrete problems in this area. I hope that President Pedro Sánchez’s words will be followed by actions that strengthen freedom and democracy digitally as well.”
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PRIVACYDAILY
Etiopia, quasi un migliaio di persone morte di fame in Tigray causa sospensione del supporto alimentare
Oltre 700 morti per fame sono state registrate in 7 zone amministrative del Tigray nelle ultime settimane a causa della sospensione degli aiuti alimentari daparte delle agenzie umanitarie degli USA e dell’Europa, USAID e WFP.
Almeno 27 persone, tra cui 11 bambini, sono morte di fame nel campo per sfollati interni (IDP) di Abiy Adi, nel Tigray.
La Commissione per la gestione del rischio di catastrofi del Tigray ha registrato 728 morti.
La cifra include 350 morti per fame nella zona nord-occidentale del Tigray, ancora sotto occupazione amhara, e territorio che ospita migliaia di persone di etnia tigrina sfollate a causa dellla guerra genocida durata per due anni.
I dati si basano su informazioni raccolte dai funzionari distrettuali, ha affermato il capo della commissione, Gebrehiwot Gebregziaher aggiungendo:
“La situazione nel Tigray è molto difficile. Molte persone muoiono a causa della carenza di cibo”
I ricercatori dell’Università di Mekelle, parallelamente alla ricerca della Commissione per la Gestione del Rischio di Catastrofi del Tigray, hanno documentato 165 morti per fame in sette campi per sfollati interni nel Tigray dall’inizio della sospensione degli aiuti alimentari.
Ci sono oltre 100 di questi campi in tutta nello stato regionale del Tigray.
I decessi sono stati segnalati dai coordinatori del campo per sfollati ai ricercatori, che stanno indagando sulla situazione di sopravvivenza precaria di queste persone.
La maggior parte dei decessi riguarda bambini, anziani e persone con problemi di salute pregressi, ha affermato un ricercatore che ha parlato in condizione di anonimato per paura di rappresaglie. Ha collegato le morti direttamente alla sospensione degli aiuti.
Un aggiornamento delle Nazioni Unite pubblicato il 14 giugno afferma che il numero di bambini ricoverati negli ospedali del Tigray per malnutrizione è aumentato del 196% tra aprile 2022 e aprile 2023.
Mercoledì 28 giugno Tigrai TV condivide la notizia e le testimonianze degli sfollati a Ofla, nel Tigray meridionale, che stanno ancora soffrendo per mancanza di cibo e medicine.
youtube.com/embed/lH9FTQS75mI?…
Tigrai TV aggiunge la segnalazione e testimonianza da parte di una ostetrica dell’ Ayder Hospital di Mekelle che denuncia nutrizione e medicinali inadeguati.
“Madri all’ospedale di Ayder costrette a partorire prematuramente a causa di un’alimentazione e medicine inadeguate”
youtube.com/embed/_Efrv6u91qk?…
In Maggio 2023 l’ Health Cluster Operational Presence Map condivide la mappa dello stato regionale del Tigray che rappresenta la situazione disastrosa delle strutture sanitarie, degli ospedali. Il sistema sanitario e le sue strutture a livello regionale durante i 2 anni di guerra sono stati saccheggiati, vandalizzati, occupati e distrutti per il 90%. Oggi milioni di persone ne pagano le amare conseguenze.Health Cluster Operational Presence Map – Tigray ospedali Maggio 2023
Giovedì 29 giugno Tim Vanden Bempt denuncia e sottolinea la triste verità:
“Tutti i partner dell’aiuto sapevano che queste condizioni si sarebbero verificate. Sapevano che migliaia di persone sarebbero morte. E hanno permesso che accadesse comunque. Quando USAID dice di essere inorridito, dovrebbe seriamente guardarsi allo specchio.”
UNOCHA – lo stesso giorno pubblica un resoconto della situazione sanitaria e di maternità, delle madri e dei neonati in Tigray.
“Ho visto mia sorella e molte altre donne incinte soffrire o morire a causa della mancanza di servizi di salute materna e di farmaci durante il conflitto. Ora, con l’accordo di pace, possiamo spostarci e accedere ai servizi sanitari”, dice Tigist, incinta di nove mesi del suo primo figlio presso la Maternity Waiting Home di Maedot nel Megab Health Center nella città di Hawzen, zona orientale della regione del Tigray.Tigist, una futura mamma di 23 anni, vive a Koraro con il marito e la famiglia, una piccola area rurale a tre ore di cammino attraverso il terreno montuoso.
“Sono stata portata su una barella di legno dai membri della mia comunità perché non c’è trasporto. Il centro sanitario del mio villaggio è stato distrutto durante il conflitto ed è per questo che siamo venuti all’Hawzen Health Center”, spiega Tigist all’UNFPA.
Ed sottolinea:
Nonostante alcuni miglioramenti, le strutture sanitarie sono ampiamente sovraccaricate in termini di risorse, capacità e personale per fornire servizi sanitari completi come prima del conflitto.“Questa struttura sanitaria dovrebbe servire 6 distretti ma a causa della distruzione delle strutture sanitarie vicine, attualmente ne stiamo supportando 9. Le madri devono venire a piedi perché l’ambulanza è stata rubata. Altri servizi, come la prevenzione della trasmissione dell’HIV da madre a figlio, non sono disponibili a causa della mancanza di cure e medicinali”, afferma il direttore medico dell’Hawzen Health Center.
La recente guerra genocida, iniziata in Tigray nel novembre 2020 e conclusasi con un accordo di tregua nel novembre 2022, oggi ha lasciato 5,4 milioni su 6 milioni di persone dipendenti dagli aiuti alimentari.
Le Nazioni Unite e gli Stati Uniti hanno sospeso gli aiuti alimentari al Tigray a marzo 2023, dopo la scoperta del saccheggio del materiale alimentare.
Nel periodo di marzo i funzionari statunitensi hanno trovato sacchi di aiuti alimentari sufficienti per 134.000 persone che erano stati deviati e pronti da vendere in un mercato locale a Shire, ad una 50ina di km ad ovest di Axum.
Gli operatori umanitari hanno riferito all’Associated Press che alti funzionari del governo etiope erano profondamente coinvolti. Il governo etiope respinge le accuse descrivendola come dannosa “propaganda” l’idea che sia il primo responsabile della deviazione degli aiuti alimentari. Gli USA di Joe Biden si rifiutano di riattivare la fornitura alimentare finché quei funzionari etiopi non saranno rimossi dal processo di distribuzione del materiale alimentare e non siano introdotti controlli più severi.
L’Associated Press riporta che:
“Il governo etiope respinge come dannosa “propaganda” l’idea che sia lui il principale responsabile della scomparsa degli aiuti nel Tigray e in altre regioni, ma ha acconsentito a un’indagine congiunta con gli Stati Uniti mentre il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite svolge un’indagine separata.”
Durante il conflitto, entrambe le parti hanno saccheggiato i rifornimenti umanitari e il governo ha limitato l’accesso agli aiuti, portando gli investigatori delle Nazioni Unite ad accusarlo di “usare la fame come metodo di guerra”.
All’inizio di giugno 2023 la decisione politicizzata del blocco di fornitura alimentare in Tigray è stata estesa al resto dell’Etiopia colpendo 20 milioni di persone bisognose, ovvero circa un sesto della popolazione del paese.
L’agricoltura potrebbe essere l’alternativa alla dipendenza alimentare umanitaria
La ripresa dell’agricoltura durante la stagione delle piogge potrebbe essere un’alternativa per il popolo del Tigray dalla dipendenza totale dal supporto alimentare umanitario, se non fosse che mancano sementi e gli agricoltori sono in pericolo.
Le vite degli agricoltori e i loro mezzi di sussistenza sono continuamente messi in pericolo dagli ordigni esplosivi e dalle mine antiuomo rimasti sparsi sul terreno del Tigray, il regalo postumo della guerra.
Secondo il Mine Action Service (UNMAS) delle Nazioni Unite, un totale di 726 chilometri quadrati di terra in Etiopia rimane contaminato da mine antiuomo e residuati bellici esplosivi (ERW).
“Sono state segnalate oltre 280 vittime nell’Etiopia settentrionale [nello stato regionale del Tigray] dall’inizio del conflitto, anche se non tutti i casi sono stati verificati, ma si ritiene che molti altri incidenti non siano stati denunciati. L’analisi iniziale mostra che i bambini sono una maggioranza allarmante delle vittime (57%)”
ICRC Ethiopia segnala uno dei tanti, troppi casi di bambini feriti dagli ordigni inesplosi sul terreno.
”Ce lo stavamo lanciando l’un l’altro. È caduto ed è esploso”, dice Abel. Il quattordicenne Abel ed i suoi amici hanno scambiato un ordigno inesploso per un giocattolo. E li ha feriti ad Adi Hageray, Tigray”
A Kola Tambien, tre persone hanno perso gli arti e diversi animali sono morti in seguito a molteplici incidenti di questo tipo in un villaggio locale del distretto, secondo Gezahegn Ambiza, il capo villaggio.
Gezahegn ha aggiunto:
“Otto famiglie sono completamente impossibilitate a coltivare per il terzo anno consecutivo, mentre le attività agricole di altre sono parzialmente limitate a causa degli esplosivi. Abbiamo riferito all’ufficio regionale dell’agricoltura, ma non abbiamo ancora ricevuto risposta”
Gebremedhin Gebrehiwot, 30 anni, agricoltore, possiede ettari di terreno agricolo che utilizzava per piantare grano, orzo e altri cereali prima della guerra. Nonostante il ritorno della pace nell’area, un tempo teatro di battaglie, dal novembre dello scorso anno, non può tornare a coltivare dato che l’area non è stata ripulita e bonificata dai resti degli ordigni bellici militari, bombe.
“Non posso riprendere l’agricoltura, a meno che gli esplosivi non vengano rimossi dalla mia fattoria da professionisti. Questo ha fatto soffrire me e la mia famiglia di problemi socio-economici. Ora lavoro come lavoratore quotidiano per garantire la sopravvivenza dei miei quattro figli perché non ho altra scelta ed è psicologicamente traumatizzante. Inoltre, ho paura che un giorno possa esplodere e uccidere i miei figli”
Gebremedhin avvisa l’allarmante situazione di vita delle persone in Tigray, nonostante l’accordo di cessazione ostilità firmato ormai 8 mesi fa, il 2 novembre 2022 a Pretoria, un accordo che dovrebbe tutelare i milioni di vittime della guerra ed i loro diritti come individui:
“La stagione delle piogge è già iniziata e gli agricoltori dovrebbero essere già nei loro terreni agricoli, abbiamo bisogno di una soluzione tempestiva prima che la stagione finisca”
Questa situazione è diffusa in tutto il Tigray.
Secondo Atakilti, consigliere economico e coordinatore dell’agricoltura presso la zona orientale nel Tigray, i terreni agricoli rimangono asciutti nei distretti della zona orientale come Irob, Bulemekeda e Gantashum sono tra gli altri distretti, mentre in altre aree gli agricoltori hanno bisogno di input agricoli tra cui buoi, sementi e fertilizzanti ecc. perché la maggior parte delle loro proprietà è stata saccheggiata e distrutta durante la guerra.
Atakilti ha sottolineato che questo ha aggravato la già catastofica crisi alimentare: c’è una forte domanda di aiuti alimentari per milioni di persone, nonostante WFP e USAID abbiano deciso con una scelta politicizzata – e qualcuno potrebbe giudicarla anche criminale – di sospendere la distribuzione degli aiuti alimentari in Tigray.
FONTI:
PRIVACYDAILY
Sono d'accordo con i 150 che chiedono la revisione della legge sulla AI.
Fa piacere vedere che anche tra i guru dell'AI ci sia chi avanza timori di minacce più esistenziali per l’umanità. Tuttavia la paura del buio, come la paura di volare è una paura infantile che va superata con la conoscenza e la tecnologia che ti permette di vedere nel buio e di volare in sicurezza. Poi, se gli europei decidono di azzopparsi da soli, buon per loro.
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European Digital Identity: Permanent personal identification number is off the table!
Representatives of the EU Parliament and the Council of the European Union reached a political agreement on the core elements of a new framework for a European digital identity (eID) in the early hours of yesterday morning.
The requirement that member states assign a lifelong unique personal identification number to each citizen, which had been opposed by Pirate Party MEPs in several committees, was completely removed from the draft. The Pirates were also able to prevent the mandatory acceptance of state browser certificates, but rejections due to insufficient security will need to be justified. The details of the agreements will now be negotiated in further technical meetings and will probably be finalised in another trialogue under the Spanish Presidency in autumn.
Pirate Party MEP Patrick Breyer, who negotiated the bill in the co-advisory Committee on Civil Liberties (LIBE), comments:
“We successfully prevented the allocation of a unique, permanent personal identification number that could have been used to comprehensively record and monitor our lives. Instead of a uniform personal identification number, different user numbers can be assigned from one service to another in the future. This must now be be made clear in the wording of the legislation.
Nevertheless, there is a great danger that the planned ‘digital identity’ will gradually displace the anonymity on the internet that protects us from profiling and identity theft. We have not been able to enforce the right to use services without electronic identification or authentication. Those who register with social media via their eID wallet out of convenience will therefore sacrifice their anonymity.
Many details are still unresolved. In the further negotiations, we Pirates will push for the sensitive data of citizens in their digital wallets to be stored exclusively in a decentralised manner on their own devices – unless they opt for centralised storage. Decentralised data storage protects our data from mass hacks and identity theft. We also demand guarantees that non-users of the theoretically voluntary eID system must not suffer any disadvantages and can use alternative identification or authentication methods.“
Pirate Party MEP Mikuláš Peksa, who sits at the negotiating table for the Committee on Industry, Research, and Energy (ITRE), comments:
“Yesterday, we made a significant shift in the design of eIDAS 2.0, which will be privacy-conscious and provide users with a user-friendly electronic wallet for all kinds of IDs and certifications. We already know that e-signatures will be free for individuals, and in the draft, we have finally eliminated unique persistent identifiers that could facilitate snooping. However, there is still a lot of work to be done. Nonetheless, this stands as a nice victory of reason, for the time being.”
Background: In the course of the so-called EIDAS reform, the planned “European Digital Identity” is to give EU citizens access to public and private digital services and enable online payments. The Federal Ministry of the Interior mentions the opening of a bank account, the registration of SIM cards, the digital storage of driving licences and the storage of digital prescriptions, but also the identification for mail or social media accounts.
“ChatGPT alla sbarra. Ma addestrare gli algoritmi facendo “scraping” significa rubare?”
Nuovo appuntamento con la rubrica Privacy weekly, tutti i venerdì su StartupItalia. Uno spazio dove potrete trovare tutte le principali notizie della settimana su privacy e dintorni.
PRIVACYDAILY
The “Digital Euro” does not deserve its name!
Pirate Party MEP and digital freedom fighter Dr Patrick Breyer criticises yesterday’s draft bill by the EU Commission to introduce a “Digital Euro”:
“The introduction of digital cash would be long overdue in the information age. Digital cash could be as anonymous and freely usable on the internet as notes and coins. However, the ‘digital euro’ now proposed by the Commission does not deserve that name. Digital technology is to be misused to monitor, limit and control our finances to an extent never seen with cash.
While cash can be accepted and spent anonymously at any time, which is important for undocumented refugees, for example, it will only be possible to receive and spend digital euros with an account against presentation of identification. While people are allowed to hold and pass on unlimited amounts of cash, the amount of digital euros in our hands will be limited in the future. And while with cash even confidential payments and controversial donations have so far been possible anonymously and without fear of becoming known, trace-free payments in digital euros are to be completely impossible online and limited offline to an unknown and ever-changing amount. The declared aim of fighting money laundering and terrorism is just a pretext to gain more and more control over our private transactions. Where every payment is recorded and stored forever, there is a threat of hacker attacks, unauthorised investigations and chilling state oversight of every purchase and donation.
Cash is financial freedom without pressure to justify spending. What medicines or sex toys I buy is nobody’s business. For thousands of years, societies around the world have lived with cash that protects privacy. The EU Commission wants to deprive us of this financial freedom for online payments. In the legislative process, this birth defect must be corrected. We need to find ways to take the best features of cash into our digital future.”
Jens reshared this.
Artificial intelligence’s failing grade
POLITICO’s weekly transatlantic tech newsletter for global technology elites and political influencers.
By MARK SCOTT
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THERE ARE TWO MORE DIGITAL BRIDGE NEWSLETTERS before I down tools for a couple of weeks of vacation. I’m Mark Scott, POLITICO’s chief technology correspondent, and as my mind inevitably turns to my upcoming break, I bring you actual footage of my response when editors ask me why my copy is filed increasingly late. True story.
OK. Enough with the jokes. Let’s get down to business.
— Everyone now wants rules to govern artificial intelligence. But, so far, much of this over-hyped tech is falling short.
— Why the so-called Brussels Effect only really works when you view Europe’s relationship as tied to the United States.
— A bunch of U.S. state privacy laws come into force on July 1. What does that tell us about a potential federal data protection regime?
AI SCORES AN ‘F’ ON REGULATION
REGULAR READERS OF THIS NEWSLETTER will know I’m pretty skeptical of the über-hype surrounding artificial intelligence. But even I must admit the likes of OpenAI’s ChatGPT and Google’s Bard have given the public a greater appreciation of what AI can do than anything that has preceded them. So with that in mind, how do so-called foundation models, or the vast tracts of data used to power the likes of generative AI, do when it comes to following the European Union’s Artificial Intelligence Act? This is the only comprehensive rulebook for the technology that exists, currently, anywhere in the West, so it’s the only game in town to grade these models’ performance. It’s not a perfect analogy. But researchers at Stanford University crunched the numbers, so let’s break it down. Warning: No one did very well.
First, a couple of caveats. The academics based their analysis on the European Parliament’s version of the proposals, mostly because these lawmakers inserted several provisions specifically related to foundation models and generative AI, in particular — something that had not existed in earlier drafts. Saying that, they did have to make a series of assumptions around accountability, transparency and other areas of the legislation. So it’s best to see the results as a guide, more than a definitive explainer. Still, when they looked at 10 of the leading models — everything from OpenAI’s GPT-4 to Aleph Alpha’s Luminous — no one met the requirements laid down in Brussels’ upcoming rulebook.
“Because there’s so much up in the air, and because some of the requirements are under-specified. we had to fill on some of the gaps,” Kevin Klyman, one of the authors of the analysis, told me. That includes newly created requirements from EU lawmakers around baking in risk-mitigation procedures — and showing how they did that — within foundation models; providing detailed overviews of how these models are developed for outside auditors; and even upholding the 27-country bloc’s sustainability standards around energy consumption (AI, after all, needs a load of computing power to work well).
So, how did companies do? The academics broke the AI Act’s requirements down into 12 buckets (from explainability of where the data came from to safeguards around using copyrighted material), then used a ranking scale from 1 to 4 to determine how closely each firm’s foundation model met those legal asks. They then added them all up and gave each company a score out of 48. Yes, this sounds complicated, but check out the handy chart here; it’s pretty straightforward. Overall, Meta received 21/48; OpenAI scored 25/48; Google earned 27/48. The worst-performing was Aleph Alpha at 5/48, while BigScience, an open-source alternative, came first with 36/48.
Those figures masked massive differences between how companies performed depending on specific requirements under the EU’s AI Act. On outlining ways to mitigate potential risks, Klyman said, OpenAI did a pretty good job, earning itself 4/4 for its compliance with the upcoming rules. Contrast that to Aleph Alpha, a German rival, whose lack of detailed documentation on how it was warding off potential harmful uses of its technology saw the AI startup scoring a mere 1/4 for its risk-mitigation policies. “The way providers that are doing a good job at handling risks and mitigations is they have a section of their work related to the model where they say, ‘Here are all of the potential dangers from this model,'” Klyman added.
I’m not sure I would give such disclosures a passing grade. Having a transparency section on a website about potential downsides and how a company will handle such risks doesn’t mean such safeguards will be enforced. For that, you need greater disclosures on how these models operate — something, unfortunately, that almost all the firms did badly on. When it came to publishing which data sources (including copyrighted data) were baked into these AI systems, only BigScience and, to a lesser degree, Meta ranked highly, based on Stanford’s scorecard. And Klyman warned that all companies were becoming more secretive around their foundation models as competitive pressures were leading many to bring up the drawbridge on how their systems operate.
So what does this mean for policymakers, both within the EU and elsewhere, who are working on AI rules, particularly related to these foundation models? Klyman said EU lawmakers needed to get more granular on how they wanted companies to comply with the AI Act. That involved giving quantifiable metrics on what compliance looked like in terms of risk mitigation, data governance and other wonky regulatory provisions. For U.S. policymakers, the Stanford academic urged Washington to create a national AI research center so that researchers could better kick the tires of how these foundation models were developed. “Transparency,” he added, “is extremely important.”
THE BRUSSELS EFFECT’S DIRTY LITTLE SECRET
YOU DON’T HAVE TO GO FAR IN BRUSSELS to hear officials (and think-tankers) drone on about the so-called Brussels Effect. Coined by Ana Bradford, a Finnish academic now based at Columbia Law School, the term refers to how the bloc’s expansive policymaking (and not just on digital) has a global effect — because the EU’s rules quickly take on a life of their own and become the de facto global standard. Within tech, the clearest example of this is the General Data Protection Regulation, or the EU’s wide-ranging data protection standards that are now followed by pretty much every country worldwide. More on that here.
Yet researchers at the European Centre for International Political Economy (ECIPE), a Brussels-based think tank, have driven a tank-shaped hole through that theory — at least when it comes to data. They analyzed the digital trade implications of the bloc’s so-called adequacy data protection decisions, complex legal instruments that basically tell trading partners, “If you follow Europe’s privacy standards, to the letter, we will allow unfettered flows of EU personal data to your country.” It’s a massive trade opportunity, giving countries from New Zealand to South Korea unlimited access to the personal information of Europe’s well-heeled consumers. It’s a major bargaining chip Brussels uses during its free trade agreement negotiations.
But what the think-tankers discovered was this wholesale data access — the epitome of the Brussels Effect — only really made a difference to the more than 10 countries with adequacy if you factored in Europe also having a data-transfer deal with the U.S. What they found was up to a 14 percent jump in digital trade between these countries, or the equivalent to about $4 billion of additional exports. But that was down almost exclusively to the likes of Argentina and Israel trading more with the U.S. — via the legal certainty provided by Europe’s adequacy regime. It was not because these countries were shipping goods and services more to the 27-country bloc.
“Digital trade is moving upwards compared to all other trades, but it’s highly dependent or contingent on the U.S.,” Erik van der Marel, ECIPE’s chief economist and one of the report’s co-authors, told me. “As soon as the U.S. got adequacy, you see that U.S companies outsource a lot of stuff, in terms of services outsourcing, that can be done on the basis of European citizens data to other adequacy granted countries.” Call it the halo effect of Brussels’ privacy regime. American firms quickly strike up relationships with partners in other adequacy countries — mostly to reduce costs — and immediately increase trade between the U.S. and those nations, and not with Europe.
It gets even clearer as the researchers also calculated a 9 percent reduction in so-called trade costs, which are charges associated with doing business internationally, for countries with adequacy status. But, again, when they ran the numbers, those savings were predicated almost exclusively on Europe having a data deal in place with the U.S. There’s one caveat to the report: It didn’t include Brussels’ recently agreed adequacy deals with South Korea, Japan and the United Kingdom. But if you included those agreements, van der Marel added, the increase in digital trade (mostly between these countries and the U.S.) would reach about $11 billion.
To fans of the Brussels Effect, I can already hear the criticism. These bumps in digital trade only happened because of Europe’s rules, so what are you complaining about? It’s also true that because most adequate countries are tiny (it’s not like Guernsey and the Faroe Islands are hot-beds of the global trading order), it’s only natural that Brussels’ relationship with Washington will dominate these wider relationships. But it’s also clear that if the EU wants to continue setting global regulatory standards, we should all acknowledge how important its relationship with the U.S. remains when it comes to boosting ties with other parts of the world.
The latest intelligence I have is that the third iteration of a transatlantic data deal (the previous two pacts were invalidated by Europe’s top court) will now be signed off by mid-July. A legal challenge from privacy campaigners will inevitably follow. But when it comes to digital trade, the deal is vital. These EU-U.S. agreements, according to van der Marel, represent up to a 14 percent increase in transatlantic commerce. That equates to $11.9 billion in additional digital trade exports from the U.S. to the EU and a further $7.2 billion from the EU to the U.S. When the global economy is teetering on the edge, $19.1 billion in extra international trade is nothing to sneeze at.
BY THE NUMBERS
US DOES PRIVACY. REALLY.
I’VE GIVEN UP (AGAIN) ON WASHINGTON moving ahead with comprehensive data protection rules before the 2024 election cycle takes over. But on July 1, Colorado and Connecticut’s privacy regimes come into force — and the enforcement powers of California’s separate legislation, which was enacted earlier this year, also start to bite. Throw in Virginia and Kentucky (whose laws started on January 1) and Utah (its legislation gets going at the end of 2023), and you’ve now got a stable of data protection rulebooks, at the state level, to give Americans a taste of what greater privacy safeguards could look like.
Still, not all regimes are created equal. After heavy lobbying from industry, almost all don’t allow consumers to directly sue companies for potential wrongdoing — those powers are exclusively limited to state attorneys general. Some, like Utah’s law, are pretty light touch. Others, like those in Connecticut and Virginia, require companies to provide European-style transparency to people about how their data is collected and used. Only one — the California Privacy Rights Act — creates an independent regulator akin to what is readily available on the other side of the Atlantic. How all these rulebooks handle data protection questions will either galvanize Washington into doing something or shepherd other U.S. states toward the legislation that best handles the public’s complaints.
WONK OF THE WEEK
THE ORGANIZATION FOR ECONOMIC COOPERATION AND DEVELOPMENT finds itself at the center of global (read: Western) debates on how countries can freely move data between each other while upholding people’s privacy. And Clarisse Girot, head of the data governance and privacy unit at the group of mostly-rich countries, is key to that work.
The French-born lawyer knows data protection better than most. She was head of international affairs at France’s privacy regulator before moving to Singapore and Jersey (the country, not the U.S. state!) before returning to Paris last year to take up her current role at the OECD.
“Companies, like policymakers and, of course, people have a shared interest in ensuring a high level of data protection,” she wrote on LinkedIn. “Facilitating compliance with these rules is essential to ensure the effectiveness of meaningful protection in data flows, in particular by enabling the optimisation of resources devoted to the protection of personal data.”
WHAT I’M READING
— U.S. lawmakers wrote to Joe Biden about their concerns over how Europe’s digital lawmaking was unfairly harming American companies — and called on him to act. Read more here.
— The European Parliament published a comprehensive overview of the metaverse (remember when that was popular?), including the potential cybersecurity and ethical implications of the technology. Take a look here.
— One for all the podcast lovers. Emily M. Bender and Alex Hanna debunk much of the AI hysteria in a three-part series entitled “Mystery AI Hype Theater 3000.” It’s worth a listen.
— Meta explains why it’s pulling all news from people’s Facebook feeds in Canada after the country’s lawmakers backed rules that would require platforms to pay publishers when their content appeared on these networks. The blog post is here.
— The International Association of Privacy Professionals has written a glossary of key terms for AI governance as part of efforts to standardize people’s thinking about these topics.
— A global organization similar to the International Atomic Energy Agency is not the right way to frame international governance discussions around artificial intelligence, argues Ian J. Stewart for the Bulletin of the Atomic Scientists.
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Committee recommendation on chat control: Some poisonous fangs will be pulled, but indiscriminate chat control still looming
Today, the Internal Market Committee in the European Parliament (IMCO) recommended some far-reaching amendments to the draft EU Child Sexual Abuse Regulation (CSAR), also known as chat control proposal. The opinion is not binding for the lead Committee on Home Affairs (LIBE), but serves as a political orientation. Pirate Party MEP and shadow rapporteur in the lead Home Affairs Committee Patrick Breyer has a mixed view of the proposals:
“The Internal Market Committee wants to pull out various poisonous fangs from the extreme proposal made by ‘Big Sister’ Johansson: The proposed deletion of mandatory age verification safeguards the right to anonymous communication, on which whistleblowers, among others, depend. The removal of appstore censorship for young people protects their right to free and protected communication.
However, ineffective netblocks with collateral damage for many legitimate contents could still be imposed. Above all, indiscriminate chat control would still be implemented, an attack on the confidentiality and security of personal messages unprecedented in the free world. Excluding encrypted communication and telephony, leaving AI-driven text searches for alleged grooming out of it – all this would not change the fact that the proposals would be the end of the digital secrecy of correspondence for most emails and chats. Digital privacy of correspondence does not only apply to encrypted communication!
Meta already searches Facebook and Instagram private messages ‘only’ for known material, but it is precisely this flood of unreliable reports that drains urgently needed law enforcement capacities in undercover investigations against abusers, leads to the mass accusation of innocent people, and to the criminalisation of thousands of young people who are supposed to be protected. To indiscriminately target law-abiding users without suspicion would be contrary to fundamental rights and, according to independent legal opinions commissioned by Parliament and the EU Council, would not stand up in court. Such a failure of the proposed detection mechanism would be irresponsible towards victims of abuse. The Internal Market Committee only hints at what targeted detection could look like, but does not implement it.
Now it is up to the lead committee on Home Affairs to respect the fundamental right to digital privacy of correspondence and to put in place court-proof, truly effective child protection measures.”
The lead Home Affairs Committee continues to negotiate its position, with the next round of negotiations taking place this afternoon. The conservative Spanish rapporteur, Zarzalejos, wants to lock in the committee’s position by September and then strike a deal by the end of the year under the Council Presidency of his home country. The Spanish government has attracted attention with its extreme statement that secure encryption should actually be banned.
PRIVACYDAILY
PRIVACYDAILY
Metti l'autenticazione a due fattori e po @IMuori! Come gli ackerz hanno sputtanato lo mejo canale del tubo (così impara a non venire su Mastodon 😈)! E stavolta gli è andata di culo...
Tutti i videi di Cesiro sono stati a rischio di muorire... 😭😭😭
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“Protezione dei dati personali e nuove tecnologie tra diritto pubblico e diritto privato”
Domani 28 giugno dalle ore 15.00 parteciperò al convegno “Protezione dei dati personali e nuove tecnologie tra diritto pubblico e diritto privato”, organizzato da Assoprivacy e dal Centro per la Regolamentazione dell’Intelligenza Artificiale CRIA presso l’Università dell’Insubria – DiECO. Dipartimento di Economia – Aula Consiglio, Via Monte Generoso, 71 –VaresePer maggiori info qui assoprivacy.eu/save-the-date-c…
“Il GDPR ci vuole tutti gendarmi?”
Domani 28 giugno dalle ore 10.15 sarò a Milano- Sala teatro – Via Copernico, 38 al convegno “Il GDPR ci vuole tutti gendarmi?”, organizzato da Dario Fumagalli e OneSeal.Qui per info ontraining.eu/evento_il-gdpr-c…
“TikTok, Quo Vadis?”
Oggi dalle ore 17.00 parteciperò a “TikTok, Quo Vadis?”, un incontro promosso da Formiche alla Lanterna di Roma con la moderazione di Flavia Giacobbe nel quale discuteremo del futuro della globalizzazione digitale.
“Doppio click”
Questa sera dalle ore 21 sarò ospite in diretta su Radio Popolare della trasmissione “Doppio click” condotta da Marco Shiaffino per parlare di tecnologie, internet e privacy. Qui il link alla diretta radiopopolare.it/ascolta-la-di…
Nobilmantis
in reply to Informa Pirata • • •Informa Pirata
in reply to Nobilmantis • •@Nobilmantis
purtroppo questo è un problema devastante per questi tempi di disinformazione libera
Sì, per questo l'ho ricopiato completamente. Grazie a questa genialata, Musk sta facendo perdere sempre più utenti a Twitter... 😀
Nobilmantis
in reply to Informa Pirata • • •L'esportazione dell'informazione attraverso copia-incolla da piattaforme autoritarie con confini chiusi a piattaforme a libero accesso e consultazione è ufficialmente approvata dall'ONU
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