Twitter Files, depistaggi politici e psy-ops
In queste settimane numerosi giornalisti sono alle prese con documenti e comunicazioni riservate di Twitter diffusi da Elon Musk. Li chiamano “Twitter Files”.
I primi cinque Twitter Files hanno rivelato i meccanismi interni alla moderazione di Twitter, tra manager politicizzati con deliri di onnipotenza e interferenze da parte dell’intelligence. Oggi scaveremo ancora un po’ nella tana del bianconiglio, per portare allo scoperto le attività di censura, manipolazione e propaganda politica da parte dell’FBI e del Pentagono — con la collaborazione di Twitter.
Se non sai di cosa sto parlando ti consiglio di leggere prima qui:
Twitter Files, una sintesi
Nelle scorse settimane Elon Musk ha distribuito ad alcuni giornalisti migliaia di documenti e comunicazioni riservate di Twitter. L’analisi di questi documenti ha dato vita a un piccolo cataclisma. Le prime notizie che arrivano dai “Twitter Files” raccontano di…
Read more
7 days ago · 12 likes · 2 comments · Matte Galt
Ti piace Privacy Chronicles? Perché allora non ti iscrivi?
Ancora sul laptop di Hunter Biden
Nel primo articolo dedicato ai Twitter Files abbiamo visto come nel 2020 Twitter abbia censurato a tutto spiano ogni notizia relativa al contenuto del laptop abbandonato di Hunter Biden (figlio di Joe Biden) e di come abbiano anche shadowbannato e sospeso diverse persone che osavano parlarne sul social network.
Ciò che non traspariva pienamente era il ruolo attivo dell’intelligence — in particolare dell’FBI — in tutta questa vicenda.
La storia per l’FBI, come racconta Michael Shellenberger, inizia a dicembre 2019 — quando il proprietario di un negozio di riparazione di computer del Delaware (J.P. Mac Isaac) comunicò all’agenzia federale di avere ricevuto un laptop di proprietà di Hunter Biden. Nel laptop, a suo dire, c’erano delle informazioni che potevano dimostrare l’esistenza di alcuni reati commessi da Hunter Biden. Passarono alcuni giorni e Mac Isaac venne chiamato a comparire per consegnare il laptop nelle mani dell’FBI.
Passarono i mesi e non accadde nulla. Così Mac Isaac decise ad agosto 2020 di inviare una email a Rudy Giuliani (politico repubblicano ed ex sindaco di New York) per spiegare tutta la faccenda e informarlo dei suoi sospetti sul contenuto del laptop.
Tenete presente che a novembre 2020 si sarebbero tenute le elezioni presidenziali. Una storia che raccontava di possibili reati legati a Biden sarebbe stata una pistola fumante per i repubblicani contro la campagna elettorale di Biden. Fu probabilmente per questo che Rudy Giuliani decise di spifferare tutto al New York Post.
Il 14 ottobre 2020 il New York Post pubblicò la storia. Come sappiamo, nel giro di poche ore, Twitter avviò una penetrante opera di censura, giustificata con la scusa della diffusione di possibile materiale “hackerato”.
Ma perché mai Twitter avrebbe dovuto pensare che le notizie sul laptop di Hunter Biden fossero collegate ad operazioni di hacking? Non c’era nulla che lo lasciasse presumere. E come facevano ad essere così preparati a censurare una storia che apparentemente non aveva violato alcuna policy?
Twitter, succursale dell’FBI
Una spiegazione plausibile è che i team di moderazione di Twitter fossero stati preparati e indotti ad agire in quel modo. Ma da chi? Beh, dall’FBI.
I Twitter Files mostrano infatti che già dai primi mesi del 2020, dopo aver preso possesso del laptop, l’FBI avviò una serie di incontri con Twitter per discutere del rischio di possibili campagne di “hack and dump” che avrebbero potuto essere realizzate dai russi a ridosso delle elezioni.
In realtà, come racconta Michael Shellenberger e come affermato anche da Twitter in vari comunicati, nel 2020 ci furono ben poche attività legate ad “interferenze russe”.
Nonostante tutto, l’FBI continuò per tutto l’anno un’opera di persuasione sui rischi di un possibile “hack and dump”. Fu ad agosto 2020 che l’FBI contattò nuovamente Twitter, attraverso Yoel Roth, condividendo alcuni documenti riservati che indicavano il rischio di possibili future attività di “hack and dump” del collettivo hacker russo APT28. Il mese successivo, lo stesso Yoel Roth partecipò a un’esercitazione organizzata dall’Aspen Institute su un possibile scenario di “hack and dump” riguardante proprio Hunter Biden e Joe Biden.
Sempre in quel periodo, a settembre 2020 — un mese prima dello scoop del New York Post — Yoel Roth e Elvis Chan (agente FBI) crearono un network cifrato per le comunicazioni tra Twitter e l’FBI e una “virtual war room” — come se fossero in preparazione per una vera emergenza.
E in effetti erano ben preparati. In poche ore Twitter fu in grado di censurare sistematicamente ogni notizia riguardante il contenuto del laptop di Hunter Biden. Eppure… di hacker russi non c’era traccia, così come non c’era traccia di violazioni.
Lo disse chiaramente Roth in una comunicazione interna: “it isn’t clearly violative of our Hacked Materials Policy, nor is it clearly in violation of anything else, but this feels a lot like a somewhat subtle leak operation” e le confermano anche le seguenti comunicazioni interne:
Nonostante questo, le pressioni e le influenze dell’FBI avevano colpito nel segno e raggiunto il loro obiettivo. Forse, anche grazie ai numerosi ex-agenti e consulenti dell’intelligence che in quel periodo lavoravano dentro Twitter. Come ad esempio Dawn Burton, ex capo dello staff del Direttore dell’FBI James Comey (2013-2017) e assunto da Twitter nel 2019 come “Director of Strategy”.
O forse, grazie ai $3.4 milioni di dollari che l’FBI ha pagato a Twitter per i suoi servizi da fine 2019 a inizio 2021.
Il depistaggio politico dell’FBI
A questo punto vale la pena ripercorrere brevemente i fatti, per capire meglio la gravità di questi eventi:
- L’FBI prese possesso del laptop di Hunter Biden già nel 2019 — un anno prima che uscisse la storia sul NY Post
- L’FBI conosceva i contenuti del laptop e sapeva che Rudy Giuliani aveva passato le informazioni al NY Post, poiché era sotto sorveglianza
- L’FBI sapeva che il contenuto del laptop era reale e che non aveva nulla a che fare con propaganda e o hacker russi, ma nonostante questo spinsero Twitter a censurare i contenuti sotto il falso pretesto dell’influenza russa nelle elezioni
- L’FBI pagò Twitter più di 3 milioni di dollari da fine 2019 a inizio 2021
- Nel 2020 Hunter Biden era oggetto di indagini da parte dei senatori repubblicani Grassley e Johnson
Insomma, è molto probabile che, come affermato anche da Michael Shellenberger, l’attività dell’FBI fosse un vero e proprio depistaggio politico — una campagna di disinformazione per screditare politicamente i contenuti del laptop di Hunter Biden, che sarebbero usciti, e che avevano il potere di affossare Joe Biden durante le elezioni.
A tutti gli effetti, l’FBI potrebbe aver agito come strumento di censura e disinformazione politica con l’aiuto (a caro prezzo) di Twitter — proprio quelle cose da cui i legislatori di tutto il mondo cercano di proteggerci, togliendoci libertà di parola.
Michael Shellenberger scriveva due giorni fa: “At this point, members of Congress should be extremely concerned that FBI is engaged in a cover-up. There needs to be an aggressive investigation of the apparent politicization of the FBI by Congress, and perhaps even a Special Counsel in the DoJ to investigate what happened”.
L’FBI non ha mancato di rispondere alle accuse, con un eccellente esempio di gaslighting:
Cari lettori, siamo certamente un branco di complottisti senza cervello.
Twitter, arma per le psy-ops militari
Se la censura e disinformazione politica dell’FBI non vi basta, continuiamo con il Twitter Files numero 8, di Lee Fang (20 dicembre).
Il thread di Lee approfondisce il ruolo e l’acquiescienza di Twitter nelle “psy-op” (operazioni per influenzare psicologicamente l’opinione delle masse) portate avanti dal Pentagono. Per anni Twitter ha dichiarato di combattere le campagne di propaganda di stato sulla piattaforma, salvo scoprire che erano loro stessi a supportarle.
Le prime avvisaglie di questa particolare partnership arrivano nel 2017, quando il CENTCOM (Comando combattente unificato delle forze armate degli Stati Uniti) inviò a Twitter una lista di 52 account di lingua araba che sarebbero stati usati per “amplificare certi messaggi”.
Gli ufficiali chiesero a Twitter di verificare gli account fake (spunta blu) e di “whitelistarli”.
Il “whitelisting”, da quello che ho capito, è sostanzialmente uno shadowban al contrario: gli account whitelisted sono immuni da attività di moderazione (immagino anche automatizzata) e hanno più visibilità degli accout normali. Gli account whitelisted furono usati, pare, per generare news e meme capaci di influenzare l’opinione pubblica in Yemen, Syria, Iraq, Kuwait e molti altri paesi.
Molti di questi account furono usati per promuovere la guerra in Yemen — una guerra che ha portato alla morte di migliaia di civili e distrutto la vita a milioni di persone.
Ad esempio, uno di questi era l’account @yemencurrent, che veniva usato per diffondere notizie sugli attacchi droni da parte degli Stati Uniti, enfatizzando la precisione degli attacchi aerei, capaci di risparmiare i civili e ammazzare soltanto “terroristi” con grande accuratezza.
Diverse comunicazioni interne mostrano che i manager di alto livello di Twitter sapevano dell’esistenza di questo vasto network di account fake usati per operazioni di manipolazione e propaganda dal Department of Defense, ma scelsero di chiudere un occhio — evitando così di sospenderli. Alcuni di questi account erano ancora attivi fino a pochi mesi fa.
Noi e loro
Mentre i nostri governi ci avvertivano dei pericoli della propaganda russa e cinese; mentre censuravano fonti d’informazione con la scusa della guerra e del covid; mentre promuovevano leggi liberticide contro la “disinformazione” come il Digital Services Act… mentre facevano tutto questo per noi — loro facevano l’esatto opposto: disinformazione, censura politica e propaganda per manipolare l’opinione pubblica.
La speranza è che i Twitter Files possano essere uno spunto per riflettere sugli enormi pericoli che arrivano proprio dalla manipolazione psicologica violenta e subdola dei nostri governi, sempre più “grandi” e sempre più lontani dallo scrutinio dei cittadini. Com’è possibile che un’agenzia come l’FBI possa essere usata così spudoratamente per fini politici? In quali altre occasioni è accaduta la stessa cosa?
Ancora una volta i fatti dimostrano che la “lotta alla disinformazione” non è altro che una lotta per il controllo dell’informazione e per la manipolazione delle masse. D’altronde, è così che i governi di tutto il mondo riescono a sopravvivere.