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Ci sembra di aver già dimostrato come soluzioni governative e culture politiche autoritarie o ademocratiche possano perfettamente inserirsi in una dialettica pluralista. Se dunque la DC e il neopopolarismo all’alba della Repubblica hanno avuto il merito di neutralizzare queste tendenze, assorbendole, questo non ha però significato la scomparsa delle loro istanze né il rifiuto della loro legittimità.
Contemporaneamente, sia da parte democristiana che missina, si manifestarono a livello di battaglia culturale i tentativi di attuare rispettivamente una conversione centrista della destra e di saldarsi politicamente al centro in nome dell’anticomunismo. Infatti, da una parte, “è probabile che nella loro personale percezione degli eventi e dei compiti storici della Dc, i due uomini politici siciliani, il maestro e l’allievo [Luigi Sturzo e Mario Scelba, nda], senza dubbio sinceri nella loro comune avversione ad ogni forma di totalitarismo, avvertissero l’impegno anticomunista come una pura e semplice prosecuzione del precedente impegno antifascista. […] Proprio l’antifascismo sollecitava il massimo rigore repressivo nei confronti dei comunisti: per evitare, infatti, che le forze economiche, il ceto politico e amministrativo e il seguito di massa del travolto regime cedessero alla tentazione di ricostituire la loro unità a destra intorno al nucleo dei nostalgici del partitino di Almirante e De Marsanich, occorreva che il governo guidato dai cattolici si mostrasse capace di assicurare e difendere anche gli interessi del fronte borghese-capitalistico con una determinazione almeno non inferiore a quella dimostrata, nel ventennio dal governo di Mussolini. A una siffatta operazione finalizzata a una conversione centrista della destra erano affidate le stesse sorti della politica perseguita da De Gasperi per la rinascita di un sistema liberalcapitalistico temperato da un prudente riformismo, idoneo ad assicurare il più largo insediamento sociale possibile, e potenzialmente l’egemonia, alla Democrazia cristiana”. <591
Dall’altra, invece, con la costituzione del Movimento sociale, gli ex salotini avevano trovato una casa politica che in breve assorbì tutta la galassia fascista sopravvissuta alla guerra. Il problema che si pone al MSI è, in breve tempo, quello di riuscire a costruirsi un proprio spazio di agibilità politica, avviando trattative su più fronti per ottenere legittimità, avendo intuito perfettamente l’emergenza anticomunista che guidava la nuova classe dirigente.
“[Il Msi] dopo la prima segreteria di Almirante e con l’avvento di esponenti meno caratterizzati (come De Marsanich e Michelini), andò stemperando la propria caratterizzazione più radicale. […] per la maggior parte dei fascisti il problema era quello di guadagnare uno spazio in cui poter dignitosamente sopravvivere tornando a far politica nelle condizioni date. Pino Romualdi ebbe un ruolo politico determinante in questo senso, cercando realisticamente intese con gli americani. Dopo, una volta realizzata la centralità della Dc nel nuovo sistema politico, la strategia fu orientata a costruire un solido polo di Destra che la condizionasse. Per i dirigenti più accorti, obbiettivo da perseguire non fu più né il fascismo regime né quello della Rsi, quanto piuttosto un sistema corporativista autoritario con forme più o meno ridotte di democrazia, magari, come il regime portoghese salazarista (che trovava il gradimento dei gesuiti della “Civiltà Cattolica”). Cosa che poteva essere fatta solo gettando un ponte verso il grande Centro cattolico raccolto nella Dc, in nome del comune fronte anticomunista”. <592
L’alternativa salazariana è una prospettiva comunque presente nella Democrazia cristiana, le cui correnti di destra restano sempre sensibili all’apertura verso PNM e MSI e anzi avversano la legge Scelba sul divieto di ricostituzione del partito fascista perché, a loro dire, rendeva difficile l’accordo con i missini. Questi tentativi di convergenza hanno il loro momento più importante nella cosiddetta “operazione Sturzo”: il tentativo promosso dalla destra DC di Gedda, con il sostegno vaticano, di presentare alle amministrative di Roma una lista civica con a capo il fondatore del PPI, con l’appoggio di monarchici e neofascisti. Il progetto naufragò per l’ostilità aperta di socialdemocratici,
repubblicani e soprattutto dello stesso De Gasperi. <593 Il leader democristiano continuava a preferire una linea differente: accettare l’alleanza con i monarchici soprattutto nel meridione (dove numerose saranno le circoscrizioni con liste elettorali DC-PLI-PNM) e perseguire la cooptazione dei settori più utili del neofascismo: “Si trattava, in pratica, di creare le condizioni opportune per consentire al “Centro democratico” di preservare la sua formale identità antifascista, mentre, in concreto, proprio quel Centro si sta dando da fare per assorbire nel suo fronte, in funzione anticomunista, almeno la cosiddetta parte “moderata” e sinceramente “patriottica” delle stesse forze sociali che si erano formate nel servizio al regime fascista. […] L’allievo di Sturzo […] diventava il più abile esecutore della politica con la quale De Gasperi stava tentando di ampliare lo spazio della “democrazia”, cioè di espandere il più possibile lo spazio del centro, nell’unica direzione consentita dalle circostanze, verso destra, dato che verso sinistra la strada appariva sbarrata dall’egemonia del Pci su Nenni e sui socialisti”. <594
Soltanto con i governi Pella e Scelba, parallelamente ai nuovi orientamenti dell’ambasciatrice americana Clara Boothe Luce, cattolica intransigente della destra repubblicana, più sensibile a opzioni autoritarie e reazionarie, i reciproci avvicinamenti tra centro e destra daranno ai neofascisti nuove possibilità di conquistarsi un ruolo tattico all’interno del panorama politico italiano, sebben all’esterno dell’arco costituzionale.
La cultura di governo della classe dirigente centrista presiede alla ricostituzione del partito moderato che, anche negli anni successivi in cui la formula del “Centro democratico” autonomo viene meno, continuerà comunque ad informare l’azione degli esecutivi e la cultura dello Stato. Secondo Giuseppe Carlo Marino, riassumendo in poche righe una considerazione complessiva della cultura politica di cui è stato espressione l’allievo di Sturzo, “lo scelbismo era soprattutto una versione esasperata e pedantesca della lezione cattolico-popolare di Sturzo reinterpretata da De Gasperi: un eccesso o, se si preferisce, un vero e proprio monstrum ideologico-politico della liberaldemocrazia trasferita in una forma cattolica, ovvero l’ultimo esacerbato prodotto della tradizione clerico-moderata”. <595

[NOTE]591 G.C. Marino, op. cit., pp. 35-36
592 A. Giannuli, Il Noto servizio. Le spie di Giulio Andreotti, p. 52, Castelvecchi 2013
593 Cfr. M. Del Pero, op. cit., pp. 160-61 e A. Giannuli, op. cit., pp. 54-55
594 G.C. Marino, op. cit., pp. 58-59
595 Ibidem, p. 221
Elio Catania, Il conflitto sociale: “motore della Storia” o “tabù” storico-politico. Il caso di Milano nel secondo dopoguerra, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2016-2017

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