schieratevi, poeti
poeti, schieratevi! voi siete MACULATI o INGINOCCHIATI? non fate gli gnorri.
aspè, c’è una terza categoria, giusto, la più importante: gli INFUOCATI.
fonte: Davide Brullo qui: facebook.com/share/p/1Gmfm56b4…
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La Valle dell’Agno era stata per tutto il periodo dell’occupazione al centro delle attenzioni tedesche
Recoaro Terme (VI). Foto: Luca Menini. Fonte: Wikipedia
Dopo i terribili fatti di giugno-luglio 1944 si scatenò anche sulla Valle dell’Agno la sequela di grandi operazioni di rastrellamento di settembre, in particolare la zona che la separava dalla Valle del Chiampo subì l’Operazione “Timpano”. Durante la notte del 9 settembre i soldati tedeschi e italiani impiegati nell’operazione raggiunsero i punti di partenza, essa prevedeva un attacco dal basso delle zone di Piana di Valdagno e Selva di Trissino per creare una linea di sbarramento per le forze partigiane sui colli sovrastanti, tra le forze fasciste che parteciparono all’azione spicca il 63° Battaglione MM “Tagliamento” dislocato nel territorio di Recoaro Terme dall’agosto 1944 <247.
La manovra impiegò tre gruppi: il primo si recò a Piana e costrinse alla ritirata le forze della “Stella” da poco giunte in paese, causando durante l’azione diversi danni all’abitato del piccolo centro <248; il secondo gruppo raggiunse la zona di Quargnenta di Brogliano e di Selva di Trissino per distruggere il Comando della “Stella” che si trovava nell’area; il terzo gruppo risalì dal versante est della Valle del Chiampo per occupare i passaggi e le alture del Faldo, dove si scontrarono con una pattuglia partigiana della “Pasubio”. Durante queste operazioni i nazi-fascisti impiegarono una tecnica di rastrellamento nuova che prevedeva l’isolamento dell’area interessata, l’occupazione di punti strategici elevati, l’individuazione la segnalazione dei gruppi di ribelli tramite l’utilizzo dei razzi e l’attacco effettivo, prima tramite armi a lunga gittata e infine l’assalto <249. L’azione fu un successo per le forze nazi-fasciste e riuscì a disperdere le formazioni partigiane dell’area e ad incutere paura alla popolazione locale che, dopo quei fatti, tese a non dare aiuto ai ribelli dell’area. Complessivamente le vittime furono 58 e intere contrade tra Selva di Trissino e il Monte Falso furono incendiate completamente <250. Nell’arco del 1944 possiamo contare circa 60 danneggiamenti solo a Valdagno, dovuti alle azioni di rappresaglia, di beni mobili e immobili, in particolare le case date alle fiamme <251.
Con la fine del 1944 e l’avvicinarsi della primavera del 1945 la situazione per gli occupanti divenne sempre più precaria. Già durante l’anno precedente, quando i tedeschi decisero di spostare il Comando a Recoaro Terme, vi furono dissapori con i fascisti costretti a sgomberare il paese <252. Il 10 aprile 1945 i bombardamenti alleati fecero piovere 16 bombe da 500 libbre e tre razzi M8 da 127 millimetri sui lanifici di Valdagno <253. Le forze tedesche rimasero compatte fino al 25 e nell’ultimo mese di guerra vi erano circa 2200 soldati nella valle: 1500 a Recoaro, 500 a Valdagno e 200 tra Cornedo, Trissino e Castelgomberto <254. Mentre le forze anglo-americane avanzavano nella penisola l’idea di un bombardamento sul complesso di Recoaro Terme fu presa in seria considerazione già nell’autunno 1944 <255. La data prescelta per il bombardamento fu il 20 aprile 1945, a questa missione parteciparono 18 bombardieri Mitchell B25 con l’obiettivo di colpire il Quartier Generale tedesco, missione insolita per il tipo di velivolo tendenzialmente utilizzato per colpire le vie di comunicazione. La formazione effettuò tre passaggi successivi sull’obiettivo nel corso dei quali sganciarono 135 bombe tra 500 libbre ciascuna. Il bombardamento devastò l’area del centro termale e gli edifici annessi; il bilancio dei morti tra i tedeschi non è ben chiaro in quanto, spesso, contraddittorio ma si può parlare di almeno 30 vittime accertate. Il 22 aprile, mentre non vi erano più direttive da Berlino e da Hitler, si riunì a Recoaro Terme il Comando per discutere sulla situazione del fronte e sull’avanzata degli alleati nel nord del paese; tra i protagonisti di alto rango alla conferenza erano presenti <256: a. Heinrich von Vietinghoff-Scheel, Comandante del fronte sud-occidentale e del Gruppo di Armate C.; b. Hans Rottiger, Capo di Stato Maggiore del Gruppo di Armate C e generale delle truppe corazzate; c. Franz Hofer, Gauleiter della zona d’operazioni dell’Alpenvorland; d. Rudolph Rahn, Plenipotenziario del Reich presso la RSI; e. Karl Wolff, Capo supremo delle SS in Italia.
Durante l’incontro sia Wolff che Rahn sostennero l’inutilità della continuazione delle ostilità, Hofer dal canto suo rifiutava ogni ipotesi di resa e minacciò di far saltare l’incontro in caso contrario. Dopo una lunga discussione la posizione di Wolff e Rahn vinse gli indugi degli altri ufficiali tedeschi e venne presa la decisione di inviare una delegazione al quartier generale degli alleati a Caserta, nell’intento di negoziare un armistizio.
Con l’arrivo del 25 aprile e l’inizio dell’ultima fase della guerra in Italia, anche la Valle dell’Agno vide i propri centri insorgere per cacciare definitivamente gli occupanti. Il 26 il battaglione “Romeo” occupò Recoaro Terme senza colpo ferire; lo stesso giorno il CLN di Valdagno esautorò il Commissario Prefettizio locale e assunse il controllo della città; il 27 un distaccamento locale della “Rosselli” liberò Cornedo <257.
Come abbiamo già visto la fine della guerra non fu sempre la fine effettiva della violenza, la Valle dell’Agno era stata per tutto il periodo dell’occupazione al centro delle attenzioni tedesche, subendone le pesanti conseguenze. La popolazione civile venne duramente colpita in maniera quasi continuativa ma, quando il momento lo consentì, non si fece attendere e diede impulso alla liberazione della sua valle.
[NOTE]247 CLNP al Battaglione “Romeo” (15 gennaio 1946), ASVI, CAS, b. 14 fasc. 861.
248 Fascicolo della ditta danneggiata di Zarantonello Francesco, certificato emesso dal Comune di Valdagno (23 luglio 1945), ASVI, Danni di Guerra, b. 124 fasc. 7904.
249 Zonta, Il rastrellamento di Piana e Selva di Trissino, p. 19.
250 Zonta, Il rastrellamento di Piana e Selva di, p. 51; Faggion – Ghirardini, Figure della Resistenza vicentina, p. 100.
251 Fascicolo della ditta danneggiata di Antoniazzi Angelo, Municipio di Valdagno, liquidazione danni di guerra (20 dicembre 1949), ASVI, Danni di Guerra, b. 124 fasc. 7897.
252 Carano, Oltre la soglia, p. 95.
253 Dal Lago – Trivelli, 1945. La fine della guerra nella Valle dell’Agno, p. 10.
254 Ivi, p. 21.
255 Dal Lago – Trivelli, Recoaro 1945, p. 65.
256 Dal Lago – Trivelli, Recoaro 1945, pp. 123-127.
257 Dal Lago – Trivelli, 1945. La fine della guerra nella Valle dell’Agno, pp. 42-44.
Matteo Ridolfi, La guerra civile nel vicentino nord-occidentale. Stragi ed eccidi dalla Val Chiampo alla Val d’Astico (1943-1945), Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2022-2023
Con la guerra maturò in molti lo sconforto e crollò l’illusione fascista, soprattutto dopo il ritorno dei reduci dai vari fronti; la guerra eroica raccontata dal fascismo e quella di cui i soldati sono stati protagonisti erano molto diverse e l’idea antifascista cominciò ovunque ad annidarsi. I partigiani, composti soprattutto da vecchi antifascisti, renitenti alla leva della RSI e soldati sbandati rimpatriati iniziarono ad organizzarsi nelle zone montane e pedemontane, sull’Altopiano in particolare. Qui si formarono durante l’inverno 1943/1944 varie bande partigiane, che man mano si diedero nomi e comandanti, inizialmente scegliendo gli ex ufficiali del Regio Esercito, poi scegliendo tra le loro stesse fila. Nacquero così svariate formazioni, le più numerosi delle quali sono Battaglioni Garibaldini che confluiscono poi nella Brigata Ateo Garemi; ci sono poi il Battaglione Guastatori di “Nino” Bressan, operante in pianura, il Battaglione Sette Comuni al comando di Pietro Costa, la Brigata Mazzini di Chilesotti e la Brigata Giovane Italia (che poi diventerà la Divisione Vicenza) comandata da “Ermes” Farina. Le unità sulle quali si concentrerà maggiormente questo studio sono la Brigata Loris, comandata da Italo Mantiero “Albio” e la Divisione Alpina Monte Ortigara comandata da Giulio Vescovi “Leo”, Alfredo Rodeghiero “Giulio”, Giacomo Chilesotti “Nettuno” e Giovanni Carli “Ottaviano”.
Con l’attività partigiana, iniziarono i bandi, le minacce e i rastrellamenti nazifascisti oltre alle incarcerazioni, torture e fucilazioni sommarie, ma la Resistenza vicentina rispose positivamente alla prova del fuoco nella primavera del 1944, con svariate azioni in contemporanea di sabotaggio, cattura e disarmo. Con lo stabilizzarsi del fronte italiano, i nazifascisti poterono concentrare un maggior numero di truppe nelle attività antipartigiane di cui il rastrellamento del Bosco Nero di Granezza costituisce uno dei più tragici esempi. Grazie agli sforzi del Comitato di Liberazione Nazionale furono approntati collegamenti con gli Alleati, i quali contribuirono con aviolanci e paracadutando diverse missioni alleate sul territorio vicentino (dirette in tutto il Veneto e dintorni), capeggiate dal Maggiore Wilkinson “Freccia” che stabili il suo Quartier Generale nella “Sette Comuni”. Finalmente, con l’avanzare degli Alleati nell’aprile del ’45 le truppe tedesche si ritirarono verso il Trentino, incalzate dalle formazioni partigiane che nel frattempo si erano rafforzate in uomini e mezzi (Vescovi 1994).
Andrea Rizzato, I boschi dell’Alto Vicentino come rifugio durante la seconda guerra mondiale, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2021-2022
#1943 #1944 #1945 #Agno #AndreaRizzato #CornedoVicentinoVI_ #fascisti #guerra #MatteoRidolfi #partigiani #provincia #Recoaro #Resistenza #Selva #tedeschi #TrissinoVI_ #ValdagnoVI_ #valle #Vicenza
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Concerto di Bil Aka Kora e Italian Collective al Grand Hôtel Billia.
In questo articolo viene ripresa con piacere una notizia relativa ad un evento musicale che si terrà il prossimo 10 agosto 2025 alle ore 21.15., con protagonista un famoso artista del Burkina Faso.Generated by Chatgpt
Infatti nella prestigiosa Sala Gran Paradiso del Grand Hôtel Billia, a St-Vincent, si terrà un evento eccezionale: il concerto di Bil Aka Kora e del gruppo Italian Collective.
Italian Collective, un ensemble musicale innovativo, è composto da talentuosi musicisti: Alberto Marsico all’organo, Marco Tindiglia alla chitarra, Marco Volpe alla batteria e Marco Giovinazzo alle percussioni. La loro formazione avviene quasi per caso a Bobo-Dioulasso, la seconda città più grande del Burkina Faso, durante una vacanza-studio organizzata dall’associazione valdostana Tamtando, che da anni promuove la musica extra-europea attraverso attività culturali e viaggi esperienziali in Africa. Tali iniziative non sono destinate solo a chi desidera approfondire la musica, la danza o le arti visive, ma anche a coloro che vogliono immergersi nella ricchezza culturale e nelle tradizioni del continente africano.
Durante il soggiorno, i membri dell’Italian Collective incontrarono Bil Aka Kora, icona della world music e inventore dello stile Djongo. “Affittiamo una batteria e una tastiera – congas e chitarra erano già al centro culturale Aniké di Bobo – proviamo un paio d’ore e, nei giorni successivi, ci ritroviamo su un palco davanti a duemila persone che cantano le canzoni di Bil. Un debutto emozionante!” raccontano.Kora, strumento a corde tradizionale dell’Africa Ovest. By © Jorge Royan / royan.com.ar, CC BY-SA 3.0
L’Africa è un luogo magico dove si intrecciano sfide e opportunità; questa esperienza ha dato vita a un nuovo ensemble, portando alla creazione di un progetto musicale che unisce il Djongo style al jazz. Grazie alla poliedricità dei musicisti, il gruppo può espandersi da un quartetto jazz a una band completa con sezione fiati e coriste, creando un sound unico con canzoni in lingua Kassena, ritmi afro e improvvisazioni.
Bil Aka Kora
Bil Aka Kora, nato nel 1971 a Pô, Burkina Faso, ha iniziato la sua carriera musicale durante il liceo, apprendendo a suonare la chitarra sotto la guida del ghanese Salah Ben. A causa di difficoltà economiche, Bil ha dovuto abbandonare gli studi universitari in matematica e fisica per dedicarsi completamente alla musica. La sua perseveranza lo ha portato a vincere nel 1997 il primo premio ai Grands Prix Nationaux de la Musique, segnando così l’inizio di un percorso artistico ricco di successi.
Bil Aka Kora ha registrato il suo primo album, “Douatou”, nel dicembre 1998 e ha partecipato attivamente a festival e manifestazioni internazionali, ottenendo riconoscimenti come il Kundé d’Or. Le sue tournée in Francia, Italia, Canada e in diversi paesi africani hanno favorito incontri con artisti di fama, contribuendo allo sviluppo della sua carriera musicale. Attualmente dirige Djongo Diffusion, uno studio di produzione dedicato alla promozione di giovani talenti africani.
Si tratta sicuramente di n evento da non perdere, che promette di incantare il pubblico con una fusione coinvolgente di suoni e cultura. Non sono molte le manifestazioni musicali in Italia dove è possibile assistere a performance di artisti del Burkina Faso; inoltre si tratta di un’occasione per chi ama quel tipo di musica che fonde ritmi africani e jazz, che in questi ultimi tempi va molto di moda in Europa e che meriterebbe sicuramente maggiore eco.
Infine, è doveroso segnalare che il concerto, della durata di circa 90 minuti, è gratuito! È possibile prenotare uno dei posti limitati in sala al seguente indirizzo: https://bil-aka-kora_italian-collective.eventbrite.it/
Disclaimer: la nostra associazione, come anche chi scrive questo articolo, non è in alcun modo coinvolta nell’evento, né ottiene un qualunque vantaggio dalla sua pubblicizzazione
Fonti: laprimalinea.it, billia.it
Bil Aka Kora e Italian Collective
Quattro musicisti che spaziano dal jazz alla world. E un cantante burkinabé tra i più conosciuti in AfricaEventbrite
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Risultati UFC BJJ 2: Tackett vs. Canuto
UFC BJJ 2: Tackett vs. Canuto è il secondo evento organizzato dalla promozione UFC BJJ, tenutosi con un main event di alto livello tra Andrew Tackett e Renato Canuto. In palio anche il titolo pesi mediomassimi, con Mason Folwer opposto a David Garmo. Dopo un debutto molto apprezzato, l’organizzazione punta a confermare il proprio slancio con un’altra card ricca di finalizzazioni e match spettacolari.
youtube.com/watch?v=KGcIx5YzaG…
Risultati UFC BJJ 2
- Andrew Tackett finalizza Renato Canuto per strangolamento d’arce — incontro pesi welter
- Mason Folwer finalizza David Garmo per rear-naked choke — incontro pesi mediomassimi (titolo)
- William Tackett finalizza Kyle Chambers per rear-naked choke — incontro pesi medi
- Raquel Canuto finalizza Mo Black per kneebar — incontro pesi gallo femminili
- Kennedy Maciel vince su Ademir Baretto per decisione dei giudici — incontro pesi leggeri
- Aurelie Le Vern finalizza Maggie Grindatti-Lira per americana — incontro pesi medi femminili
- Tammi Musumeci vince su Lelani Bernales per decisione dei giudici — incontro pesi paglia femminili
- Jalen Foncier finalizza Everton Teixeira per heel hook — incontro pesi piuma
UFC BJJ 2 in numeri
Statistiche generali
- L’evento ha visto il 75% dei match concludersi per finalizzazione.
- Le strangolamenti sono stati il tipo di sottomissione più comune, seguiti da attacchi alle gambe e armlock.
- Solo due incontri si sono conclusi per decisione dei giudici.
Match della serata
- Andrew Tackett vs. Renato Canuto
- YouTube
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grave disegno di legge liberticida presentato al senato italiano
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aggiornamenti dal genocidio, 4 ago. 2025
dormono insieme per vivere o morire insieme
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Gustavo Petro, presidente della Colombia, sul piano distruttivo del nord super-ricco ai danni del sud, esemplato/testato su Gaza
threads.com/@bekimimeroski/pos…
Soumaila Diawara, in risposta a Liliana Segre
facebook.com/share/p/1JsAUEvVq…
Yuli Novak: il nostro paese sta commettendo un genocidio
slowforward.net/2025/08/03/yul…
Eliana Riva: israele scagiona sé stesso + aggiornamenti dal genocidio (il manifesto, 3 ago. 2025)
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Lavinia Marchetti
"DORMONO INSIEME PER VIVERE O MORIRE INSIEME". GAZA VISTA DAGLI OCCHI DEI MEDICI STRANIERI di Lavinia Marchetti In un articolo pubblicato su El País il 31 luglio 2025 leggiamo le dichiarazioni di...www.facebook.com
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generanza spaccanza in JavaScript e mancocaspt
Nel mentre che, in questo nuovo round dell’estate attuale (“mese di agosto – inizio”), praticamente tutte le persone sulla faccia della Terra di stato socioeconomico comparabile al mio si divertono, io rimango inevitabilmente in questo mio stato di sofferenza semi-indefinito… ma non sono da sola. Infatti, a farmi compagnia, sulla base della mia sempreverde necessità di sviluppare ancora nuovi progetti magici (top secret!!!) così come migliorare quelli esistenti, c’è da un lato il fottuto CSS… e dall’altro i generatori di siti per documentazione basati su JavaScript, che mi trovo a dover usare ma mi lasciano semplicemente esterrefatta. 😾
Il punto bello di questi affari è che sono molto più comodi dei generatori di siti statici più classici, per creare documentazione di roba frontend, incluso il testare tutto strada facendo… usando rendering sia client-side che server-side, la robetta che si scrive cambia in automatico nel browser, senza ricaricare la pagina, così come anche gli stili e la struttura effettiva della pagina: è goduria. Purtroppo, il brutto è che, chissà perché, sono (quasi) tutti fottutamente rotti!!! E non generatori mezzi sconosciuti e abbandonati (perché ovviamente quelli non escono proprio, cercando tra consigli o classifiche), o applicando temi di terze parti vecchi e marci (quelli danno problemi pure sui generatori della Madonna)… ma la roba più popolare. Ma non c’è nemmeno molto da dire a riguardo, perché il modo in cui è tutto fuori posto è semplicemente così anticlimatico… 💔
Per esempio, per una roba adesso (…cioè l’altra sera, abbiate pazienza) volevo tentare VuePress, perché sembrava abbastanza rapido modificare il layout a partire dal tema di base… e si, di per sé funziona, ma ho dovuto buttare via tutto appena ho visto che qualsiasi HTML indentato io inserissi in pagine di documentazione Markdown veniva renderizzato come blocchi di codice formattato. Lo specificare blocchi di codice con la sola indentazione, anziché con i caratteri di contenimento (```
), è una funzione di Markdown, però non dovrebbe attivarsi per dell’HTML innestato prima in un contenitore HTML che non è indentato… e, dovrei poter disattivare la funzione completamente… Purtroppo, non solo nessuna IA ha saputo suggerirmi una via che funzionasse per farlo, ma la documentazione di VuePress passa dall’incompleto al rotto: le spiegazioni su queste cose più specifiche sono parziali e poco comprensibili, e la documentazione in sé è per qualche motivo copiata su più siti, alcuni più o meno aggiornati, da cui si hanno link a pagine interne non più esistenti… WTF??? ☠️
A seguire, come seconda idea, avrei provato VitePress — che è praticamente un mezzo clone di VuePress, usa le stesse tecnologie — ma quello invece attualmente è proprio rotto e basta: qualunque configurazione io scegliessi, con lo script di creazione rapida, il sito risultante dava errore 404 ad ogni cazzo di pagina, sia con la home che i miei file Markdown… vai a capire che minchia hanno rotto in upstream! E poi ne ho trovato un altro apparentemente simpatico, RsPress — che, come suggerisce il nome, è basato in parte su Rust, anche se non ho ben capito in che misura — che però da errore ad installarsi su Termux, perché vuole usare npm per tirarsi appresso dipendenze native (EW!), ma per la stringa della piattaforma (android-qualcosa-aarch64) non trova niente… (E menomale che per questo caso ero fuori casa, quindi da telefono e non da PC come per i due prima; sarebbe stato un problema se avessi scoperto che su Android non gira solo dopo averlo visto funzionare su desktop!) 🦧
Quindi, alla fine dei conti, tra tutti questi generatorini, quello su cui finisco sempre per ripiegare è Docusaurus… che, grazie al cielo, funziona e basta. Non perché è scritto in React, ma perché è mantenuto da Meta, anziché da dei completi scappati di casa (e menomale che i prodotti open-source li fanno curati, a differenza di quelle lote fumanti di Facebook, Instagram e WhatsApp!). Tenderei a pensare sia meno personalizzabile, perché sembrano esserci pochi temi di terze parti in giro… eppure, pur col solo meccanismo interno dello swizzle, senza duplicare l’intero tema (che è sempre una cosa grossa in più da mantenere personalmente), ho fatto in un attimo quello che mi serviva — e poi ancora altre cose uscite strada facendo. Quindi boh, dai, bene così, che almeno una (1) cosa che funziona c’è a questo mondo… (oltre ad alcune librerie JavaScript per creare questi siti, che però di per sé non sono programmi già pronti, e io tempo da perdere non ne ho.) 🦖🦕🐊🐉!!!
#documentation #documentazione #issues #rogne #SSG
Memo by ██▓▒░⡷⠂𝚘𝚌𝚝𝚝 𝚒𝚗𝚜𝚒𝚍𝚎 𝚞𝚛 𝚠𝚊𝚕𝚕𝚜⠐⢾░▒▓██
VuePress, Vue-powered Static Site Generator: * https://vuepress.vuejs.org — https://vuejs.press (why are there 2 and are different?) * https://github.com/vuepress/core * https://github.Memos
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Il mistero del Poni
Indice dei contenuti
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- Il popolo tiranni più non vuole
- Chi legge vive cinquemila anni
- Chi era “Poni”
- Una prima relazione, forse!!!
- Giovanni Battista Olandese
- Franca Olandese Versace
- Chi era Poni?
- Anarchici di Calabria
- Conclusione
Il popolo tiranni più non vuole
In occasione del festival Perlanera 2025 ho finalmente avuto il piacere di
conoscere di persona Franco Schirone. Abbiamo avuto un’amabile conversazione,
spesso interrotta dalle giuste e rimostranze di altr* compagni* che, gentilmente,
mi facevano notare come stessi “monopolizzando” l’attenzione di Franco; attratto
dalle comuni passioni e dalla sua disponibilità nella condivisione delle conoscenze.
Il festival “I senza Stato” mi ha offerto anche l’opportunità di ottenere una copia
de “Il popolo tiranni più non vuole – Leggi eccezionali e domicilio coatto nell’Italia
di fine Ottocento”, scritto dallo stesso Schirone e da Mauro De Agostini per Zero
in condotta. Il libro è un prezioso strumento di lotta e apprendimento utile a
riconoscere le brutte intenzioni di cui è lastricata la strada verso uno stato sempre
più repressivo. In tal senso è inquietantemente attuale. Le similitudini tra i decreti
sicurezza che si susseguono negli ultimi anni e le leggi speciali di oltre un secolo fa
sono troppo evidenti per essere ignorate.
Chi legge vive cinquemila anni
Ma la storia che voglio raccontarvi oggi è diversa. Potremmo quasi dire che legge
tra le righe o meglio nell’immagine della copertina. È una storia che spiega bene
quella “immortalità all’indietro” caratteristica dei libri, di cui parlava Umberto
Eco.
Appena preso il nuovo libro ho effettuato i soliti, abituali gesti. L’ho rigirato tra le
mani, attivando i meccanismi di piacere stimolati dal profumo e dal suono delle
pagine fino a soffermarmi sulla copertina.
Ed è stato proprio in quel momento che il viaggio ha avuto inizio.
La copertina è una foto dei relegati politici nell’isola di Lipari inviata all’«Avanti» in
data 28 gennaio 1899. Nell’osservarla sono stato attratto da una faccia diversa
dalle altre. Forse per la bombetta british o per l’espressione scanzonata.
Fortunatamente Schirone e De Agostini hanno provveduto a inserire tutti i nomi
dei relegati rappresentati. Vi lascio immaginare la sorpresa nello scoprire che il
volto che aveva attratto la mia attenzione corrispondeva a un conterraneo;
riportato nella trascrizione come “Poni di Pizzo Calabro”.
Chi era “Poni”
Ho subito voluto saperne di più e mi sono lanciato alla ricerca di chi fosse Poni.
Qual era la sua storia? Perché era stato relegato? Era socialista o anarchico? Qual
era stata la sua attività politica? Cosa aveva fatto prima e dopo del confino a
Lipari?
Molte domande ma pochissime risposte. Si, perché nonostante l’accuratezza del
libro, comprensivo di un’appendice con l’elenco dei relegati nelle varie isole, non
trovavo nessuna informazione aggiuntiva su Poni di Pizzo Calabro.
Una prima relazione, forse!!!
Nell’elenco in appendice di cui sopra trovai, oltre al Poni, un altro calabrese.
Anche lui relegato a Lipari e addirittura reggino, come me. Un anarchico su cui
invece risultano molte informazioni a disposizione; Giovanni Battista Olandese.
Era lui il Poni? Magari aveva dato delle generalità approssimative nel momento in
cui la foto era stata inviata all’«Avanti»? Se si per quale motivo? Perché dire Pizzo
se era di Reggio? Ma soprattutto chi era Olandese?
Giovanni Battista Olandese
Grazie al lavoro della Biblioteca Serantini vengo a conoscenza di alcuni importanti
elementi. Olandese era nato a Reggio Calabria nel 1868. Dal 1892 al 1914 fu
sempre attivo in azioni e agitazioni anarchiche per le quali subisce diverse
incarcerazioni. Il suo sostegno alla causa del deputato Giuseppe De Felice, vittima
della repressione di Crispi, gli costa financo il domicilio coatto a Lipari dal quale
verrà prosciolto nel 1900. Il suo nome risulta anche in un elenco stilato e
pubblicato da Errico Malatesta su «L’Agitatore».
Su Olandese devo aprire un’ulteriore e affascinante parentesi. Io e Schirone
siamo legati anche dalla recente pubblicazione di una mia raccolta poetica
“Fondamenti di Utopia” per la quale Franco Schirone ha curato la prefazione.
Questa raccolta mi ha permesso di conoscere – grazie all’interesse comune per
l’anarchico di Palizzi “Bruno Misefari” – il colto Domenico Principato, autore di due
tesi di laurea sulle società segrete e propagatore di cultura locale nell’area
grecanica. Domenico è una fonte inesauribile di informazioni e conoscenze
storiche che riguardano anarchici e socialisti calabresi del passato e gli ho chiesto
qualche aiuto nella ricerca.
Franca Olandese Versace
Domenico mi racconta una storia interessante che ancora una volta mi fa rendere
conto di quanto poco i reggini sappiano della propria città.
Giovanni Battista Olandese nel 1920 ebbe una figlia, Franca Olandese. A Reggio
Calabria, Franca è conosciuta semplicemente per essere stata “una sartina, madre
di Gianni Versace, da cui il figlio apprese le doti sartoriali.” Ma era molto più di
questo.
Franca Olandese Versace, era infatti, a cavallo degli anni 50’ del 1900 una
donna di grandissima cultura esoterica. Custode di segreti e di conoscenze a cui si
affidava l’alta borghesia reggina dell’epoca.
Domenico la definisce come paragonabile, per cultura, alla più famosa e
cronologicamente precedente Helena Blavatsky. Grande donna della seconda
metà dell’800 che affermò anche di essere stata ferita durante la battaglia di
Mentana (3 novembre 1867) tra le file dei garibaldini. Conoscendo le passioni e la
vastità del sapere di Gianni Versace (che prese il nome dal nonno materno) è
probabile che oltre alle doti sartoriali, Franca avesse trasmesso al figlio anche le
conoscenze esoteriche a sua volta probabilmente apprese dal padre. Scoperte
affascinanti che dimostrano quante vite si possono vivere entrando nei dettagli di
un libro…ma da dove eravamo partiti?
Chi era Poni?
Olandese e Poni erano la stessa persona?
Quando una strada è troppo forzata per dare i risultati attesi forse è il momento
di provarne un’altra, partendo da zero. Ovvero dal libro.
Anarchici di Calabria
Nel flusso della ricerca e consumato dal piacevole tarlo del mistero da risolvere,
decido di cercare altre storie di anarchici e socialisti calabresi dell’epoca.
L’obiettivo era trovare compagn* attiv+ politicamente e impegnat* nelle
necessarie lotte per un mondo più giusto. Necessarie allora come oggi.
Da una ricerca generica mi imbatto in un anarchico di cui avevo letto nel libro
come narratore delle torture da lui subite durante il confino ma, stranamente, assente nel famoso elenco dei relegati di cui abbiamo già parlato. Il suo nome era
Francesco Perri.
Grazie al supporto dell’Istituto Calabrese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia
contemporanea entro in possesso delle seguenti informazioni sul Dottor
Francesco Perri:
- Era di Pizzo Calabro;
- era stato confinato a Lipari nel periodo della foto;
- usava firmare i suoi articoli sull’«Avanti» con dei pseudonimi.
Sembrava fatta. Mancava solo una conferma. Trovare un articolo di Perri sull’
«Avanti», sull’ «Avvenire Sociale» o magari su «La Gogna» nel quale si fosse
firmato con lo pseudonimo Poni. Niente di tutto ciò.
Resto comunque convinto della possibilità che Poni e Perri fossero la stessa
persona e decido di mettere a conoscenza della mia ricerca proprio Franco
Schirone.
Dopo qualche scambio ricevo finalmente il messaggio tanto atteso…
Risolto il problema: ho ingrandito a 400 la foto, NON È PONI MA PERRI
Sono ancora pervaso da un senso di autocompiacimento quando Franco mi
chiama spiegandomi che i nomi erano stati trascritti con un piccolo errore a causa
della scarsa leggibilità nella fotografia originale. Come si evince dalla copertina, i
nomi dei relegati sono scritti a mano proprio in calce alla foto e Perri – poco
visibile – era stato riportato come Poni.
Conclusione
Come scrivevo all’inizio, questa piccola e divertente ricerca ci insegna la bellezza e
la magia dei libri. Ogni pagina può contenere infinite storie. Nei libri anche un
“errore” può portarci a seguire il maestro dubbio sulla cattiva strada. La cattiva
strada della libertà e della conoscenza che può elevare la nostra condizione
umana solo se impariamo a goderne i passi, vedendone gli incroci come
prospettive per nuove illuminazioni.
#anarchia #libri #mistero #ricerca #Schirone
Perri, Francesco (anarchico) - Istituto Calabrese per la Storia dell'Antifascismo e dell'Italia Contemporanea
Francesco Perri (anarchico) [Pizzo Calabro (Vibo Valentia), 22 gennaio 1879 - Roma, 6 maggio 1935] Figlio di Rocco e di Caterina Tarsia, famiglia di condizione sociale abbastanza agiata.Istituto Calabrese per la Storia dell'Antifascismo e dell'Italia Contemporanea
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interventi post-lettura @ libreria bocù, verona, 2012
youtube.com/embed/fMN_cIOOCaw?…
Dialogano: Marco Giovenale, Ranieri Teti, Silvia Molesini, Enzo Campi, Alessandro Assiri. Verona, Libreria Bocù, sabato 28 aprile 2012 [nell’ambito del progetto “Letteratura Necessaria – Esistenze e resistenze”, Azione n. 12]
#AlessandroAssiri #collanaSyn #EdizioniIkonaLíber #EnzoCampi #EsistenzeEResistenze #LetteraturaNecessaria #lettura #LibreriaBocù #MarcoGiovenale #MariangelaGuatteri #RanieriTeti #reading #scritturaDiRicerca #scrittureDiRicerca #SilviaMolesini #SYN_ScrittureDiRicerca #Verona #video
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[r] _ mariangela guatteri legge da “figurina enigmistica”, 2012
youtube.com/embed/M4zqQ6yPUq8?…
Mariangela Guatteri legge da Figurina enigmistica, testo scritto tra il 2011 e il 2012 (inedito poi pubblicato nella collana SYN).
Verona, Libreria Bocù, sabato 28 Aprile 2012
[nell’ambito del progetto “Letteratura Necessaria – Esistenze e resistenze”, Azione n. 12]
#collanaSyn #EdizioniIkonaLíber #lettura #LibreriaBocù #MariangelaGuatteri #reading #scritturaDiRicerca #scrittureDiRicerca #SYN_ScrittureDiRicerca #Verona #video
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Nel Cub gli studenti hanno una posizione non più subordinata, ma di partecipazione in prima persona
Tra il 1966 ed il 1967 la congiuntura economica è superata ma l’accettazione dei sacrifici imposti al mondo del lavoro aveva solo rinviato problemi e difficoltà che proprio allora sarebbero riemersi con forza. Riprende così un ciclo di lotte che ha al suo interno due caratteristiche fondamentali: da una parte, le sigle sindacali promuovono i cosiddetti scioperi per le riforme, e cioè rivendicazioni che insistono particolarmente sulla necessità che le imprese si impegnino ad effettuare investimenti sociali (casa, servizi sociali, trasporti urbani, ospedali, miglioramenti dei luoghi di lavoro); dall’altra, all’interno di una parte del mondo operaio, si afferma una tendenza che cerca di superare la funzione mediatrice del sindacato aprendo così una fase in cui la lotta per l’inclusione all’interno della modernizzazione viene cercata possibilmente attraverso lo strumento dell’autonomia; ed è su questa base, infatti, che il movimento studentesco cerca un contatto.
In particolare, l’esperienza dell’autonomia operaia si concretizza a Milano. A seguito di numerosi ma inconcludenti scioperi prevalentemente mossi dalla richiesta di abolizione delle gabbie salariali, alcuni operai – tra i quali vi sono anche iscritti a Pci e sindacati – della Pirelli (Bicocca), il più grande stabilimento italiano di lavorazione della gomma, decidono di dare vita ad una struttura organizzativa autonoma, costruita su base di classe e pensata per portare avanti un’azione di massa in vista del potere operaio: si tratta del Comitario unitario di base (Cub). Ora, i fondatori del Cub Pirelli di Milano sembrano dare concretezza alle proposte avanzate dagli studenti attraverso un rifiuto delle rappresentanza tradizionale ed un’apertura totale verso il movimento studentesco: “Nel Cub gli studenti hanno una posizione non più subordinata, ma di partecipazione in prima persona al lavoro operaio, che è lavoro politico, e in quanto tale non ammette divisioni di categorie. […] Un corretto rapporto dentro il comitato di fabbrica esige quindi una responsabilità equiparata, che vuol dire elaborazione e scelta collettiva della tattica, degli strumenti e dei tempi di lotta. Per arrivarci, all’interno del Cub sono decisamente respinti: a) l’operaismo, che attraverso il mito dell’“operaio in quanto tale”, condiziona lo studente in una prudente posizione di inferiorità e ne limita l’intervento e l’azione; b) l’autonomia tra Ms [Movimento studentesco] e movimento operaio, formula portata avanti dal Pci e dalla Cgil per conservare l’“egemonia” sulla classe operaia ed evitare che l’unità studenti-operai all’interno di un organismo possa scavalcarli” <185.
Il rifiuto della rappresentanza sindacale era legato al fatto che il sindacato non avrebbe potuto realisticamente rappresentare gli interessi dei lavoratori perché «integrato» all’interno del sistema. Così come per buona parte degli studenti, il Pci perdeva la sua forza di rappresentanza perché partito di opposizione parlamentare, allo stesso modo il sindacato, come organo di mediazione, finiva per non rappresentare fino in fondo gli interessi degli operai, rendendo l’autorappresentanza l’unica soluzione: “Il sindacato gestice il contratto e propone la lotta sempre per arrivare a delle contrattazioni e dopo che c’è stato un avvio di trattative. Il sindacato di fatto è nella logica del sistema capitalistico, perché tende a stringere ed esaurire la combattività operaia tra l’avvio e la conclusione delle trattative. Il Cub non ha cercato né lo scontro né l’incontro con il sindacato poiché si pone su un altro piano: l’impostazione politica dei problemi e la conduzione politica della lotta, di fatto, superano la gestione puramente sindacale” <186.
Strutture di questo genere iniziano progressivamente a formarsi in altre aree urbane, al Nord (Pavia, Trento, Porto Marghera) e al Centro (Bologna, Pisa, Firenze, Roma) e minimamente al Sud (Napoli), ma ciò che è più importante è che esse danno luogo a forme di protesta che marginalizzano il protagonismo dei sindacati attraverso nuove modalità di sciopero – a gatto selvaggio, in cui sezioni diverse della catena di montaggio si fermano a tempi alterni, a scacchiera, in cui gruppi di lavoratori si astengono in momenti diversi dal lavoro, a singhiozzo, in cui l’astensione è cronologicamente limitata – le quali danno concretamente la sensazione della possibilità di una rivolta dagli esiti incerti ma difficilmente gestibile.
Autorappresentanza, unità tra studenti ed operai, autonomia da partiti e sindacati, lotta in vista della presa del potere: l’immagine che emergeva dai documenti degli studenti e degli operai nonché i servizi che la televisione era solita trasmettere circa lo stato di agitazione nelle università e nelle fabbriche potevano realisticamente restituire l’idea di una società a rischio di rivoluzione.
A questo punto, però, le ricostruzioni storiografiche tendono in buona parte a descrivere l’evoluzione successiva della storia del Sessantotto particolarizzando lo scontro iniziato. Questo avviene attraverso due constatazioni. La prima riguarda la considerazione che, nonostante l’insistenza sull’autonomia e sulla possibilità della rivoluzione, le elezioni del 19 maggio segnano una lieve crescita dei consensi al Pci – il quale passa dal 25,2% al 26,9% <187. La seconda attiene il fatto che le corrispondenze e le complementarità che si possono notare sulla base dei documenti citati, in sostanza, l’ipotesi rivoluzionaria nella forma di una sinergia tra studenti ed operai, non riesce a reificarsi in nessuna struttura permanente, accettabilmente funzionante e capace di drenare consenso. Si può infatti notare come, ad esempio, alla fase di apogeo del Sessantotto, cronologicamente compresa tra marzo e giugno, venga fatto immediatamente seguire il suo tramonto nell’autunno dello stesso anno, quando il movimento non riesce a stabilizzarsi e l’attivismo si sposta prevalentemente all’interno delle fabbriche o si struttura in organizzazioni rivoluzionarie minoritarie. Il Convegno nazionale del movimento studentesco che si tiene a Venezia tra il 2 e il 6 settembre suggella la crisi di crescita iniziata nella primavera precedente e rappresenta l’ultima occasione in cui si discute a partire da un’appartenenza collettiva e di movimento <188.
Il problema ermeneutico che si pone davanti ad un’interpretazione del genere è valutare se il criterio scelto della mancata stabilizzazione sia effettivamente il più adeguato a giustificare la fine di questo evento e, dunque, l’inizio di un’altra storia. A noi sembra, invece, che vi sia un limite evidente a questa impostazione, un limite che rischia di specificare inopportunamente la storia del Sessantotto che, legata così alla visibilità del conflitto sociale nel mondo operaio ed universitario, compromette l’equilibrio complessivo della ricostruzione storica. Raccogliendo quanto abbiamo osservato nel capitolo precedente, infatti, si nota come a partire dall’anno 1968 soggetti diversi di una società si mettano indiscutibilmente in movimento in uno scenario tale da rendere la protesta studentesca ed operaia solo la parte più visibile di una «militanza civile» più larga. In altri termini, le questioni che si pongono attengono alla capacità di comprendere cosa sia il Sessantotto e, conseguentemente, quando il 1968 diventi il Sessantotto.
[NOTE]184 Viale, Il 68, cit., pp. 56-57.
185 Lotta alla Pirelli, a cura di Cub Pirelli di Milano, in «Quindici», 1969, 16, citato in Balestrini – Moroni, L’orda d’oro 1968-1977, cit., p. 290.
186 Lotta alla Pirelli, a cura di Cub Pirelli di Milano, in «Quindici», 1969, 16, citato in ivi, p. 294.
187 ASE, Ministero dell’Interno.
188 Bobbio, Lotta continua, cit., p. 4; Viale, Il 68, cit., p. 69.
Andrea Bertini, Una sola moltitudine. Rivoluzione e modernizzazione alle origini del Sessantotto, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2013-2014
Nelle lotte si diffonde l’uso dell’assemblea “per imporre ad un sindacato ormai disponibile una gestione di base della vertenza, ed in particolare il proseguimento degli scioperi durante le trattative e forme di agitazione più incisive” <46, elementi che saranno generalizzati dal sindacato durante la tornata contrattuale dell’autunno 1969. Le battaglie che più di altre conferiscono al movimento una spinta innovativa, restano quelle portate avanti in tre casi: alla Pirelli di Milano, alla Candy di Monza ed alla FIAT di Torino, dove si sperimentano nuovi obiettivi rivendicativi e nuove forme di lotta. Alla Pirelli, che da sola monopolizza il settore italiano della gomma, dopo un criticato accordo stipulato nel febbraio 1968, ripartono diverse fermate spontanee contro l’aumento dei ritmi e per la rivalutazione del cottimo. Parallelamente, in estate, alcuni giovani attivisti sindacali dissidenti danno vita ad un organismo autonomo, il Comitato Unitario di Base (CUB) Pirelli che spinge alla mobilitazione di reparto ed accusa di burocratismo i sindacati <47. A settembre la CGIL, nonostante accetti e promuova le fermate di reparto (contrariamente alla CISL e alla UIL), ne lascia l’iniziativa all’azione diretta degli operai, che giungono, per reazione ad alcune serrate parziali, a bloccare spontaneamente l’intera fabbrica, il 1° ottobre, ed a ripetere l’iniziativa solo una settimana dopo. Le assemblee di fabbrica in dicembre decidono per lo sciopero del rendimento, che, oltre ad introdurre una forma di lotta innovativa, punta alla riduzione permanente del ritmo di lavoro. La vertenza termina con un accordo sindacale, molto
contestato, che prevede l’aumento del guadagno di cottimo, la comunicazione dei tempi parziali e l’istituzione dei comitati di cottimo. Pur non incidendo sulla riduzione dei ritmi, quello della Pirelli è uno dei primi accordi che istituisce una qualche forma di delegato sindacale decentrato (in questo caso adibito al controllo del sistema di cottimo). La fine della vertenza non pacifica la situazione in fabbrica, tanto da costringere la CGIL ad aprire nel luglio del 1969 una nuova vertenza aziendale.
[NOTE]46 Reyneri, op.cit., p.859
47 I CUB, come altri organismi operai autonomi, nascono da nuclei di lavoratori delusi dalla linea e dalla gestione sindacale della lotta. Essi stringono rapporti molto forti con gruppi di studenti e militanti delle formazioni della sinistra extra-parlamentare, assumendo una forte connotazione politica. La formazione politica che assimila al suo interno i CUB, spingendo per la loro costituzione in altre fabbriche, sopratutto lombarde, è Avanguardia Operaia, nata nel dicembre 1968.
Lorenzo Alba, Il “punto di flesso”. Lotte operaie e contrattazione dal 1968 al 1973, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Firenze, Anno Accademico 2009-2010
#1968 #AndreaBertini #CGIL #CISL #contrattazioni #CUB #fabbriche #LorenzoAlba #Milano #operai #PCI #Pirelli #sciopero #sindacati #studenti #UIL #universitari
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Lo schiaffo europeo a Meloni dimostra che Apostolico aveva ragione
Argo si è più volte occupato dell’ingiusta legislazione italiana sui migranti (da Martelli, alla Turco-Napolitano, alla Bossi-Fini) e ha coerentemente denunciato come, quasi sempre, la propaganda abbia prevalso su una analisi seria dei problemi.
Come quando Salvini pretendeva di difendere i confini nazionali da uomini, donne e bambini, in condizioni disperate, cui veniva negato […]
Leggi il resto: argocatania.it/2025/08/04/lo-s…
#CorteDiGiustiziaEuropea #DecretoCutro #governoMeloni #Libia #MatteoSalvini #TribunaleDiCatania #Tunisia
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chiariamo una cosa: non è che i sionisti devono “difendersi” dalla parola genocidio. il genocidio è un fatto.
Chiariamo una cosa: non è che i sionisti devono “difendersi” dalla parola genocidio. Il genocidio è un fatto. Non si scappa. Quello che il mondo chiede (e la legge internazionale impone) loro è di smetterla di attuarlo.
Piantatela di perdere tempo con la parola che vi definisce e semmai impegnatevi a cessare le azioni che la rendono pertinente.
Smettete di bombardare ambulanze, famiglie, tende e carri, di fare cecchinaggio su donne e bambini, bruciare persone, lanciare droni, sganciare ordigni che disintegrano quartieri interi; fate entrare gli aiuti e non attraverso la GHF, disarmate i coloni in Cisgiordania, smettete di rubare terreni e case, incendiare raccolti, tagliare olivi, distruggere scuole, chiese, moschee, ospedali, ambulanze, depositi di medicinali, tende, condomini, archivi, biblioteche, smettetela di arare e rendere impraticabili le strade, di separare la Cisgiordania in mille checkpoint, parificate i diritti di percorrenza delle arterie stradali tra ebrei e arabi, piantatela col vostro apartheid di merda, col vostro razzismo teocratico o laico che sia, rilasciate i 10mila prigionieri anzi ostaggi che state detenendo spesso senza imputazione né difesa legale né assistenza medica, e che torturate e stuprate e uccidete regolarmente, in alcuni casi senza restituirne i corpi o facendolo dopo averne espiantato gli organi.
Sanzionate politici, militari, giornalisti, opinionisti, intervistatori, direttori di reti tv e radio, influencer, associazioni e altre entità che incitano da sempre all’annichilimento fisico totale di tutti i Palestinesi, donne e bambini in primis. Ah, una nota: le 100mila tonnellate di esplosivi sganciati sulla Striscia tra ottobre 2023 e maggio 2025 sono un numero sensibile, ora è forse il caso di chiudere il rubinetto della morte.
Fate entrare i giornalisti stranieri e basta ammazzare quelli palestinesi. Basta bombardare e osteggiare ONU e UNHCR, anche. Ridate elettricità, internet stabile, carburante, cibo e acqua a Gaza. Lasciate che si ricostruiscano quei reparti ospedalieri da voi disintegrati che si occupano di cure anticancro, dialisi, neonatologia. Fate entrare le sacche di sangue, i vaccini, il latte per i neonati e gli antidolorifici. Rilasciate i medici detenuti (sperando siano ancora vivi). Ritirate carri armati, droni e altre macchine di guerra. Ripristinate il diritto di balneazione e pesca. Evitate di far esplodere le barche e mitragliare i pescatori.
Tenete giù le mani dal giacimento di gas naturale che appartiene ai Gazawi. Parificate i diritti civili reali tra arabi ed ebrei in israele. Consentite agli esiliati da oltre 70 anni di tornare alle loro case. Smantellate le colonie, prese col sangue o con l’inganno giuridico sia a Gerusalemme che in Cisgiordania. Ritiratevi da Gaza. Riconoscete lo Stato di Palestina e favorite lo stabilirsi lì di 147 sedi diplomatiche estere. Lasciate che si ripristini un archivio di Stato palestinese (anche se non si sa con quali documenti, visto che avete distrutto tutto).
Restituite i territori rubati nel 1967.
#Gaza #genocide #genocidio #Palestine #Palestina #warcrimes #sionismo #zionism #starvingpeople #starvingcivilians #iof #idf #colonialism #sionisti #izrahell #israelterroriststate #invasion #israelcriminalstate #israelestatocriminale #children #bambini #massacri #deportazione #concentramento
*
aggiungo ora, 3 agosto, ore 20:40, un aggiornamento dall’account instagram di Hossam Shbat: instagram.com/p/DM5wtL2oMAi/
Dozens of martyrs and wounded were crammed into a single ambulance as emergency crews struggled to respond to the massacre near the Zikim crossing in northern Gaza. The victims had gone to the al-Sudaniyya area in search of aid when Israeli forces opened fire. With too few ambulances and no proper medical infrastructure left, paramedics were forced to stack bodies and injured civilians together just to evacuate them. The scene reflects the collapse of Gaza’s rescue capabilities under siege and fire.
بسبب نقص الإمكانيات وسيارات الإسعاف، اضطر المسعفون إلى تكديس عشرات الشهداء والجرحى في سيارة إسعاف واحدة أثناء إنقاذ المصابين في منطقة السودانية شمال غزة. الضحايا كانوا قد توجهوا إلى هناك في محاولة للحصول على مساعدات من معبر زيكيم، قبل أن تفتح قوات الاحتلال النار عليهم. ومع تدمير البنية الصحية بالكامل، لم يجد المسعفون خيارًا سوى تحميل الشهداء والجرحى فوق بعضهم البعض لإخلائهم. مشهد يُجسد انهيار القدرة على الإنقاذ في غزة المحاصرة والمستهدفة.
#bambini #children #colonialism #concentramento #deportazione #Gaza #genocide #genocidio #IDF #invasion #IOF #israelcriminalstate #israelestatocriminale #israelterroriststate #izrahell #massacri #Palestina #Palestine #sionismo #sionisti #starvingcivilians #starvingpeople #warcrimes #zionism
حسام شبات on Instagram: "Dozens of martyrs and wounded were crammed into a single ambulance as emergency crews struggled to respond to the massacre near the Zikim crossing in northern Gaza. The victims had gone to the al-Sudaniyya area in search of aid
2,899 likes, 347 comments - hossam_shbat on August 3, 2025: "Dozens of martyrs and wounded were crammed into a single ambulance as emergency crews struggled to respond to the massacre near the Zikim crossing in northern Gaza.Instagram
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serse luigetti: alcuni post su slowforward e gammm
serse luigetti: “com.x” (2024)
et quid amabo nisi quod aenigma est? / serse luigetti. 2021
summer / serse luigetti.011
letter / serse luigetti. 2023
electrography / serse luigetti. 2023
dietro i titoli dei giornali tanti drammi diversi / serse luigetti. 1983
poesia per i tecnici / serse luigetti. 1987
writing / serse luigetti. 1999
post-narrative / serse luigetti. 2017
da gammm:
serse luigetti. letter. 2024
serse luigetti. planning. 2024
serse luigetti. wroom. 2011
serse luigetti. speech act | atto linguistico. 2009
serse luigetti. flyer. 2019
serse luigetti. paper. 1982
serse luigetti. due “volantini”. 2011-12
serse luigetti. logorhythm. 2009-11
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yuli novak: il nostro paese sta commettendo un genocidio
Yuli Novak, 30 luglio 2025
Dirigo un importante gruppo israeliano per i diritti umani. La mia generazione è cresciuta chiedendosi come la gente comune potesse tollerare un’atrocità. In un grottesco colpo di scena, la domanda è tornata a noi.
La domanda continua a tormentarmi: è davvero così? Stiamo forse vivendo un Genocidio?
Fuori da Israele, milioni di persone conoscono già la risposta. Ma molti di noi qui non possono, o non vogliono, dirla ad alta voce. Forse perché la verità minaccia di distruggere tutto ciò in cui credevamo su chi siamo e chi volevamo essere. Nominarla significa ammettere che il futuro richiederà una resa dei conti, non solo con i nostri leader, ma anche con noi stessi. Ma il prezzo da pagare per rifiutarsi di vedere è ancora più alto.
Per gli israeliani della mia generazione, la parola “Genocidio” avrebbe dovuto rimanere un incubo proveniente da un altro pianeta. Una parola legata alle fotografie dei nostri nonni e ai fantasmi dei ghetti europei, non ai nostri quartieri. Eravamo noi a chiederci, da lontano, degli altri: come poteva la gente comune andare avanti con la propria vita mentre accadeva una cosa del genere? Come hanno potuto permettere che accadesse? Cosa avrei fatto io al loro posto?
In un grottesco colpo di scena della storia, quella domanda ora torna a noi.
Per quasi due anni, abbiamo sentito funzionari israeliani, politici e generali, dire ad alta voce cosa intendono fare: affamare, radere al suolo e Cancellare Gaza. “Li elimineremo”. “La renderemo inabitabile”. “Tagliamo cibo, acqua, elettricità”. Non erano solo parole altisonanti; erano il Piano. E poi, l’esercito israeliano lo ha messo in atto. Secondo la definizione dei manuali, questo è Genocidio: il deliberato attacco a una popolazione non per ciò che è come individuo, ma perché appartiene a un gruppo, un attacco progettato per distruggere il gruppo stesso.
Ci raccontavamo altre storie per sopravvivere all’orrore, storie che tenevano a bada il senso di colpa e il dolore. Ci convincevamo che ogni bambino a Gaza fosse Hamas, ogni appartamento un covo terroristico. Diventavamo, senza accorgercene, quelle “persone comuni” che continuano a vivere la loro vita mentre “tutto” accade.
Ricordo ancora la prima volta che la realtà si è spalancata davanti a me. Due mesi dopo quella che ancora chiamavo una “guerra”, tre dei miei colleghi di B’Tselem, attivisti palestinesi per i diritti umani con cui avevamo lavorato per anni, erano rimasti intrappolati a Gaza con le loro famiglie. Mi raccontavano di parenti sepolti sotto le macerie, di non essere in grado di proteggere i propri figli, della paura paralizzante.
Negli sforzi frenetici per tirarli fuori da Gaza, ho imparato qualcosa che mi è rimasto impresso nella mente: in quel momento, un palestinese vivo a Gaza poteva essere “riscattato” per circa 20.000 Shekel (5.000 euro). I bambini costavano meno. La vita valutata in contanti, pro capite. Non si trattava di statistiche astratte; si trattava di persone che conoscevo. Ed è stato allora che ho capito: le regole erano cambiate.
Da allora, il surreale è diventato normale. Città ridotte in cenere. Interi quartieri rasi al suolo. Famiglie sfollate, poi di nuovo sfollate. Decine di migliaia di persone uccise. Fame di Massa pianificata, con camion di aiuti respinti o bombardati. Genitori che danno da mangiare foraggio ai figli, alcuni dei quali muoiono aspettando la farina. Altri vengono fucilati, civili disarmati, uccisi a colpi d’arma da fuoco per essersi avvicinati ai convogli di cibo.
Il Genocidio non avviene senza la Partecipazione di Massa: una popolazione che lo sostiene, lo consente o distoglie lo sguardo. Questo fa parte della sua tragedia. Quasi nessuna nazione che ha commesso un Genocidio ha capito, in tempo reale, cosa stava facendo. La storia è sempre la stessa: autodifesa, inevitabilità, i bersagli se l’erano cercata da soli.
In Israele, la narrazione prevalente insiste sul fatto che tutto sia iniziato il 7 Ottobre, un trauma nazionale concentrato che ha suscitato, in molti israeliani, un profondo senso di minaccia esistenziale.
Ma il 7 Ottobre, pur essendo un catalizzatore, non è stato sufficiente da solo. Il Genocidio richiede condizioni: decenni di Apartheid e Occupazione, di separazione e Disumanizzazione, di politiche progettate per recidere la nostra capacità di empatia. Gaza, isolata dal mondo, è diventata l’apice di questa architettura. La sua gente è diventata astrazione, ostaggi perpetui nella nostra immaginazione, soggetti da bombardare ogni pochi anni, da uccidere a centinaia o migliaia, senza alcuna responsabilità. Sapevamo che più di 2 milioni di persone vivevano sotto assedio. Sapevamo di Hamas. Sapevamo dei tunnel. Col senno di poi, sapevamo tutto. Eppure, in qualche modo, eravamo incapaci di comprendere che alcuni di loro avrebbero potuto trovare un modo per evadere.
Quello che è successo il 7 Ottobre non è stato solo un fallimento militare. È stato un crollo del nostro immaginario sociale: l’illusione di poter racchiudere tutta la violenza e la disperazione dietro una recinzione e vivere in pace dalla nostra parte. Questa rottura è avvenuta sotto il governo di estrema destra più radicale della storia di Israele, una coalizione i cui ministri fantasticano apertamente sulla Cancellazione di Gaza. E così, nell’ottobre 2023, tutte le stelle del nostro incubo più oscuro si sono allineate.
Questa settimana, B’Tselem ha pubblicato un rapporto, “Il Nostro Genocidio”, redatto congiuntamente da ricercatori palestinesi ed ebrei-israeliani. È diviso in due parti. La prima documenta come viene perpetrato questo Genocidio: Uccisioni di Massa, distruzione delle condizioni di vita, collasso sociale e Fame orchestrata, il tutto alimentato dall’incitamento dei dirigenti israeliani e amplificato dai media. La seconda parte del rapporto ripercorre il percorso che ha portato a questo: decenni di disuguaglianza sistemica, governo militare e politiche di separazione che hanno normalizzato l’immobilismo palestinese.
Per affrontare il genocidio, dobbiamo prima comprenderlo. E per farlo, noi, ebrei-israeliani e palestinesi, abbiamo dovuto guardare la realtà insieme, attraverso la prospettiva degli esseri umani che vivono su questa terra. Il nostro obbligo morale e umano è quello di amplificare le voci delle vittime. La nostra responsabilità politica e storica è anche quella di rivolgere lo sguardo ai colpevoli e di testimoniare, in tempo reale, come una società si trasforma in una società capace di commettere un Genocidio.
Riconoscere questa verità non è facile. Anche per noi, persone che abbiamo trascorso anni a documentare la violenza di stato contro i palestinesi, la mente resiste. Rifiuta i fatti come veleno, cerca di sputarli fuori. Ma il veleno è qui. Inonda i corpi di coloro che vivono tra il fiume e il mare, palestinesi e israeliani allo stesso modo, di paura e di una perdita insondabile.
Lo Stato israeliano sta commettendo un Genocidio.
E una volta accettato questo, la domanda che ci siamo posti per tutta la vita si ripresenta con urgenza: cosa avrei fatto io, allora, su quell’altro pianeta?
Ma la risposta non è retorica. È ora. Siamo noi. E c’è una sola risposta giusta:
Dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per fermarlo.
*
Yuli Novak dirige B’Tselem, il Centro d’Informazione Israeliano per i Diritti Umani nei Territori Occupati.
Traduzione e sintesi: La Zona Grigia, post all’indirizzo facebook.com/100066712961629/p…
Fonte:
theguardian.com/commentisfree/…
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I lead a top Israeli human rights group. Our country is committing genocide
My generation was raised wondering how ordinary people could countenance an atrocity. In a grotesque twist, the question has circled back to usYuli Novak (The Guardian)
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Una costante rappresentata sia dai numerosi depistaggi, sia dagli apparati statali che obbedivano a logiche diverse rispetto a quelle democratiche
Qui e per ora, ci interessa sostanziare quell’aggettivo [controverso] riferito al sistema istituzionale repubblicano, tutto fuorché inavvertitamente o inconsapevolmente attribuito. Ad esempio, controverso è stato il loro ruolo svolto negli anni di piombo: Questo periodo è stato caratterizzato da un tanto tragico quanto ambiguo terrorismo politico, le cui manifestazioni erano, da un lato, direttamente orientate a minare la stabilità delle istituzioni, ma dall’altro, a queste erano parassitariamente riconducibili evidenziando un’Italia occulta (cfr. Turone, 2018).
“Gli “anni di piombo” si caratterizzavano, come in nessun altro paese, per la compresenza e i conflitti tra gruppi di terroristi di sinistra e di destra. Il primo gruppo aveva lanciato l’assalto allo Stato imperialista delle multinazionali (SIM); il secondo si trovava, in buona misura, dentro lo stato, nei suoi apparati, godeva di qualche sostegno esplicito e implicito, anche internazionale, ne erodeva le capacità operative, mirava a indurire lo stato, se non addirittura a sovvertirlo, aveva come obbiettivo finale il ridimensionamento della sinistra italiana e, in particolare, del Partito comunista (e della CGIL) e una transizione autoritaria.” (Pasquino, 2021 p. 93)
La macchia nelle istituzioni – di quell’habitus precedentemente richiamato – si espande, tramutando da un colorito sanguigno ad uno rosso-fango: così dal terrore degli anni di piombo si passa al pantano morale degli anni di fango, espressione cara a Montanelli (cfr. 2001): le stragi mafiose e l’inchiesta “mani pulite”. Per quanto, anche discutibilmente, le mani siano state (ri)pulite, lo stesso non si può dire delle facciate dei palazzi e del simbolo cui erano tenuti a rappresentare, ma che tristemente hanno (dis)onorato.
“In termini impietosi veniamo posti di fronte ai limiti della nostra cultura politica: siamo il popolo che è meno soddisfatto della propria vita e, come abbiamo visto, del funzionamento della democrazia; e tutto questo, vale la pena sottolinearlo, emerge dai dati raccolti prima del 1988” (Cartocci, 1994, p.25)
Davide Agus, Nell’ideologia, percorsi nella prassi sociale e politica, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2021-2022
Come si è detto, molti (intellettuali, politici, giudici ecc.) hanno dato ai fatti accaduti in quegli anni un’interpretazione unitaria del fenomeno terrorista di matrice neofascista come di una gigantesco sistema di protezione del potere ordito dalla classe dirigente del Paese. Una classe dirigente senza scrupoli avrebbe guidato le operazioni terroristiche (e golpiste) allo scopo di trarre vantaggi politici (rafforzare deboli coalizioni governative, ottenere il voto degli elettori) e per eliminare il pericolo del sorpasso delle forze di sinistra. Il terrorismo nero non sarebbe stato altro che un componente di un piano molto più ambizioso: “la strategia della tensione”.
Questa posizione può essere riassunta nel famoso articolo di Pasolini pubblicato sul Corriere della Sera del 14 novembre 1974 e dal titolo “Cos’è questo golpe? Io so”. <54 Una visione degli anni di piombo che godette di grandissima popolarità e conta ancora oggi un gran numero di sostenitori. <55
Tuttavia, un’immagine così unitaria dell’eversione neofascista non pare sufficiente a spiegare il fenomeno. Leggendo l’opera di Satta, centrando l’attenzione sull’attività degli apparati dello Stato coinvolti nella lotta antiterrorista ed esaminando i fatti, ci si rende conto che questi presentano una realtà contraddittoria e spesso rendono impossibile usare un’unica chiave interpretativa.
Analizzando cronologicamente l’attività terrorista di matrice fascista, ad esempio, si osserva che le date degli attentati non coinciderebbero con nessun concreto successo del PCI. <56 Non sarebbe dunque possibile giungere all’unica conclusione che questa non possa che essere considerata come una risposta anticomunista, dovuta al pericolo rappresentato dai crescenti successi del PCI in ambito politico. Invece, lo stragismo sarebbe stato, secondo Satta, la manifestazione di una strategia antisistema, antidemocratica e anticapitalista. Lo dimostrerebbero ad esempio le parole di Franco Freda, <57 nonché il fatto che una volta fallito l’obiettivo di destabilizzazione dell’ordine democratico, gli stessi terroristi avrebbero fatto un passo indietro. <58
D’altra parte, non si possono dimenticare le irregolarità commesse durante i processi, le collusioni dimostrate tra servizi segreti e ambienti neofascisti, le responsabilità dei dirigenti politici, degli organi di stampa, il coinvolgimento di istanze straniere, aspetti negativi solo parzialmente compensati dall’operato e dagli esiti in parte positivi di indagini e processi che avevano finito per individuare almeno la matrice degli attentati e messo in luce le irregolarità e collusioni di cui sopra.
Mirco Dondi giunge ad inserire il terrorismo degli anni di piombo all’interno della costruzione di uno “Stato intersecato”, nel quale diverse strutture si sovrapponevano facendo sì che uomini dei servizi segreti fossero allo stesso tempo parte delle organizzazioni eversive. <59 Le conseguenze sulla vita democratica di tale struttura sarebbero state devastanti: non solo attentati terroristici, ma la possibilità di influire sulle nomine delle forze armate e degli apparati di sicurezza, e condizionando la giustizia.
Invece, parlare di un vero e proprio “terrorismo o stragismo di Stato”, parrebbe improprio, essenzialmente perché “Stato” è un concetto complesso, in cui intervengono soggetti assai diversi tra loro. Durante “gli anni di piombo” le istituzioni dello Stato e della società civile (apparati di polizia, della magistratura, rappresentanti politici, i sindacati) hanno lavorato duramente e in una situazione sommamente difficile per sconfiggere il terrorismo. Mentre non esisterebbero prove che «un ceto dirigente di governo o una sua parte significativa abbiano pianificato stragi e assassinii». <60
Secondo Satta, questo uso improprio del concetto di strage, che si è propagato a macchia d’olio fra i giovani di sinistra e questa visione dello Stato italiano come di un assassino che addirittura pianifica gli attentati, si sommava, o ne era la conseguenza, ad un antistatalismo già diffuso nel Paese. <61 All’epoca ebbe senz’altro delle conseguenze importantissime e gravi, contribuendo a creare un ambiente propizio alla legittimazione di una risposta terroristica e violenta.
Tornando a Pasolini, si deve ricordare che il suo punto di vista non era né quello dello storico, né del giurista, ma di un intellettuale, un poeta, la cui missione, potremmo dire, è quella di illuminare i comuni mortali su una verità che va oltre i dati di fatto. Il contributo di Pasolini rimane estremamente prezioso in un’epoca nella quale la prassi comune nella società italiana, dalle istituzioni statali alla familia, era comunque quella di mettere a tacere tutto quello che poteva risultare scomodo. Era la voce di chi, dotato di una particolare sensibilità, avvertiva gli scompensi del sistema e voleva muovere le nuove generazioni a prendere in mano le redini della propia vita e a ricercare la verità attivamente, anche oltre le apparenze. Si trattava inoltre di una critica necessaria che avrebbe propiziato il dibattito fra le forze politiche e le diverse istanze della società e attraverso il quale si potè avanzare nel chiarire e organizzare un’efficace risposta al terrorismo, una risposta che, per vincere, doveva provenire dall’insieme della società italiana.
[NOTE]54 Pier Paolo Pasolini, “Cos’è questo golpe? Io so”, in Corriere della Sera, 14 novembre 1974, in corriere.it/speciali/pasolini/…, consultato il 02/08/18.; Mirco Dondi, L’eco del boato…, cit., p. 395. Dondi precisa che l’articolo di Pasolini uscì pochi giorni dopo l’arresto del generale Vito Miceli che era stato capo del Sid, accusato di cospirazione contro lo Stato.
55 Tra questi c’è ad esempio Miguel Gotor, Il memoriale della Repubblica, Einaudi, Torino 2011, p. 525. Il titolo dell’articolo di Pasolini è stato poi più volte ripreso, riutilizzato e adattato da molti anche in tempi recentissimi (come ricorda Guido Vitiello nel suo articolo “Più Sciascia e meno Pasolini”, in La Lettura, supplemento domenicale del Corriere della Sera, 19 dicembre 2012, in lettura.corriere.it/piu-sciasc…, consultato il 28/08/18), come nel caso del magistrato Antonio Ingroia, autore insieme a Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza del libro Io so, Chiarelettere, 2012, che cerca di ricostruire la verità dei rapporti fra mafia e Stato.
56 Vladimiro Satta, I nemici della Repubblica…, cit., p. 428.
57 Vladimiro Satta, I nemici della Repubblica…, cit., p. 263 e ss.
58 Secondo Satta, il terrorismo di matrice fascista si fu progressivamente debilitando, non tanto per i meriti delle forze di polizia o dei servizi segreti, ma più probabilmente perché vide poco a poco sfumare i suoi obiettivi politici. Vladimiro Satta, “La risposta dello Stato al terrorismo: gli apparati e la legislazione”, in Vene aperte del delitto Moro: terrorismo, PCI, trame e servizi segreti. – (Radici del presente), Firenze, Mauro Pagliai, 2009, p. 241.
59 Mirco Dondi, L’eco del boato…, cit., p. 400 e ss. L’autore individua tre livelli: i Nuclei di difesa dello Stato, di emanazione statale; la Rosa dei Venti e la Loggia P2 con importanti rappresentanti delle istituzioni; ON, AN, Fronte nazionale, Mar e Ordine nero, “cinque organizzazioni i cui atti criminosi sono coperti dalle istituzioni”. Le prime tre avrebbero avuto funzioni superiori rispetto alle altre.
60 Sono queste le parole dello storico Giovanni Sabbatucci nell’intervista rilasciata a Gian Guido Vecchi e pubblicata con il titolo “Lo stragismo di Stato? Categoria che non esiste”, in Corriere della Sera, 15 settembre 2008, in pressreader.com/italy/corriere…, consultato il 10/07/17. Secondo Sabbatucci: «Terrorismo di Stato è il nazismo, naturalmente. Sono Stalin, il regime militare argentino, i colonnelli greci […] Ma deve avere una regia politica, istituzionale. […] E invece in Italia la formula si è ripetuta con disinvoltura».
61 Alessandro Naccarato, Difendere la democrazia…, cit., p. 26.
Lilia Zanelli, Gli anni di piombo nella letteratura e nell’arte degli anni Duemila, Tesi di dottorato, Università di Salamanca, 2018
In questo contesto, il 17 maggio 1973, davanti alla Questura di Milano, durante una cerimonia in memoria del commissario Luigi Calabresi, lo scoppio di un ordigno provocò la morte di quattro persone. Subito arrestato, l’attentatore Gianfranco Bertoli si professò anarchico: una versione smentita successivamente dalle indagini della magistratura, da cui emersero contatti di rilievo con i servizi segreti italiani e, indirettamente, con quelli statunitensi <952. Anzitutto, si appurò che il Bertoli fosse un uomo della destra eversiva, vicino alla cellula veneta di On e a Carlo Maria Maggi. Bertoli inoltre era stata una fonte informativa del Sifar e poi del Sid, con tanto di retribuzione, e proprio da parte degli organismi di intelligence era scattata, subito dopo l’azione, la protezione e la copertura finalizzata a coprire l’identità politica dell’attentato. L’obiettivo della strage era quello di attentare alla vita di Rumor, presente alla commemorazione, colpevole di non aver proclamato lo stato di emergenza subito dopo la strage di Piazza Fontana e di aver promosso lo scioglimento di On nel febbraio 1972. In linea più generale, tuttavia, la strage si proponeva di determinare uno stato di caos e di tensione tale da rendere necessaria una svolta autoritaria. La matrice anarchica dell’attentato serviva solamente a mimetizzare i veri mandanti e responsabili dell’attentato, esattamente secondo le linee indicate nel Field Manual 30-31 e nel piano Chaos, volto a introdurre in gruppi di estrema sinistra elementi mimetizzati appartenenti a servizi di sicurezza o comunque legati agli ambienti estremisti, convincendo la popolazione che i colpevoli della strage fossero da individuare a sinistra. Per queste ragioni, e per tutti gli elementi emersi dalle inchieste giudiziarie che collegano Bertoli ad ambienti della destra e dell’intelligence, l’attentato alla Questura di Milano non può ritenersi un gesto isolato, ma va inserito all’interno della strategia della tensione e di un quadro costituito oltreoceano e già entrato in attività nei precedenti attentati che, attraverso una sofisticata opera di mimetizzazione, ha posto in essere l’operazione di occultamento della vera identità di Bertoli.
[…] I riflessi della svolta del 1974 si ebbero anche in Italia. Gli eventi susseguitisi durante tutto l’arco dell’anno fanno infatti pensare “a un mutamento parziale di strategia della Cia all’interno del blocco occidentale e dunque anche in Italia” <959. La portata di questo cambiamento si coglie nelle parole di Giovanni Pellegrino: “L’obiettivo strategico non mutò: restò ferma cioè la direzione di contrasto all’espansionismo comunista; a mutare furono i mezzi, meno rozzi e più sofisticati, cui fu affidato il perseguimento dell’obiettivo. Le tensioni sociali non sarebbero state più artificiosamente acuite nella prospettiva di creare le precondizioni di un golpe o comunque di una involuzione autoritaria delle istituzioni democratiche. Nel permanere e nel consolidarsi di queste, le tensioni sociali sarebbero state soltanto, in qualche modo ed entro certi militi, “tollerate” al fine di utilizzarne l’impatto su settori dell’opinione pubblica favorevoli al consolidamento elettorale di soluzioni politiche non eccessivamente sbilanciate a sinistra e sostanzialmente moderate” <960. Secondo questa ipotesi, pur continuando ad essere importante l’obiettivo di stabilizzare il quadro italiano, del quale preoccupavano soprattutto l’apertura a sinistra e le tensioni sociali, la strategia aggressiva che aveva caratterizzato l’operato degli Usa in Italia subì una battuta di arresto <961.
Gli aiuti finanziari occulti iniziarono ad essere distribuiti in maniera più cauta, evitando di destinarli ad esponenti dell’estrema destra e ai singoli candidati, e preferendo invece programmi elettorali circoscritti e ben definiti <962. Le forze che in Italia avevano tentato di sovvertire l’ordine democratico, si ritrovarono improvvisamente senza appoggio. In questo contesto appare comprensibile anche la decisione del governo italiano di colpire i vertici dello stato e gli esponenti delle organizzazioni più compromessi con l’eversione di destra <963.
[NOTE]952 Il processo nei confronti di Bertoli, colto in flagranza, si concluse rapidamente con una condanna all’ergastolo emessa dalla Corte d’assise di Milano il 1° marzo 1975, confermata sia in appello che in cassazione e divenuta definitiva l’anno dopo. Più lungo fu invece l’iter del processo cui furono sottoposti Carlo Maria Maggi, Francesco Neami, Giorgio Boffelli, Amos Spiazzi e Carlo Digilio, accusati di essere stati i mandanti della strage e rinviati a giudizio il 18 luglio 1998 dal giudice istruttore di Milano Antonio Lombardi. A giudizio fu rinviato anche il generale Gian Adelio Maletti, capo del Reparto D del Sid, accusato di omissione di atti d’ufficio nonché di sottrazione e soppressione di atti e documenti riguardanti la sicurezza dello Stato. Le vicende giudiziarie e i fatti del 17 maggio sono ricostruiti da: P. Calogero, Questura di Milano, via Fatebenefratelli (17 maggio 1973), in A. Ventrone (a cura di), L’Italia delle stragi, cit. pp. 69-77.
959 N. Tranfaglia, La strategia della tensione e i due terrorismi, in C. Venturoli (a cura di), Come studiare il terrorismo e le stragi. Fonti e metodi, Venezia, Marsilio, 2002, pp. 42-43.
960 G. Pellegrino, Proposta di relazione, in Commissione stragi, cit. p. 116.
961 P. Pellizzari, La strage di piazza Loggia e l’occhio statunitense, in “Storia e Futuro. Rivista di storia e storiografia”, 20, giugno 2009, disponibile al link: storiaefuturo.eu/strage-piazza….
962 Gli aiuti poi saranno interrotti nel mese di dicembre 1974, per opposizione del Congresso allo stanziamento di 6 milioni di dollari da parte di Ford. C. Gatti, Rimanga tra noi, cit. pp. 144-145.
963 L. Cominelli, L’Italia sotto tutela, cit. p. 167.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020
Dunque, dobbiamo sempre tenere conto di due elementi di fondo che per l’intelligence statunitense erano imprescindibili: una totale fedeltà atlantica (sancita pubblicamente con la firma del patto NATO) da una parte e un intransigente anticomunismo dall’altra. Gli americani, per assicurarsi che le nuove strutture italiane corrispondessero ad almeno uno di questi due principi, adottarono due linee diverse per l’uno e per l’altro servizio: – Per riformare il servizio militare si appoggiarono all’ambiente dell’antifascismo bianco e del lealismo monarchico, coi quali avevano già collaborato durante la guerra dopo l’otto settembre, e dei quali poterono assicurarsi la totale fedeltà soltanto dopo la firma del patto Nato, a cui seguirono altri protocolli di collaborazione molto stringenti; – Per il servizio informazione della polizia (ed in sostanza per tutta la pubblica sicurezza), la linea che si seguì fu quella del reintegro dei quadri dirigenti delle disciolte polizie d’epoca fascista (in particolare Ovra e Pai), il fervente anticomunismo dei quali non era messo in dubbio.
Claudio Molinari, I servizi segreti in Italia verso la strategia della tensione (1948-1969), Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2020-2021
Il colpo di Stato organizzato da Edgardo Sogno mostra una natura molto diversa da quella del golpe Borghese: non è un colpo di Stato neofascista, poiché a suo dire Sogno odiava molto il fascismo, anche se l’odio verso di esso veniva di gran lunga superato dall’odio verso il comunismo, molto più viscerale. Questo è uno dei motivi per i quali inizialmente il progetto trovò approvazione sia in ambienti politici sia in ambienti militari, anche se venne successivamente accantonato perché secondo la valutazione dell’intelligence Usa e della Nato, avrebbe causato più problemi di quelli che voleva risolvere.
Pietro Menichetti, L’Italia del terrore: stragi, colpi di Stato ed eversione di destra, Tesi di laurea, Università degli Studi di Firenze, Anno Accademico 2019-2020
Nel valutare i fattori che hanno contribuito a fare del 1974 un anno di svolta per la strategia della tensione, va riconosciuta anche “la sincera adesione ai valori di una democrazia parlamentare da parte delle maggiori forze politiche presenti in Parlamento. I pericoli che la democrazia correva nel difficilissimo periodo furono adeguatamente percepiti; le spinte anche internazionali verso una involuzione autoritaria furono certamente intuite, probabilmente conosciute, ma non assecondate” <968. Inoltre, le maggiori eredità del movimento del 1968 avevano favorito la creazione di un contesto sociale “contrario alle ricorrenti tentazioni di pronunciamenti militari e di involuzione autoritaria delle istituzioni, che nella seconda metà del decennio vennero quindi in gran parte abbandonate” <969.
[NOTE]968 G. Pellegrino, Proposta di relazione, in Commissione stragi, cit. p. 118.
969 Ibidem.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020
Una terza costante è rappresentata sia dai numerosi depistaggi, sia dagli apparati statali che obbedivano a logiche diverse rispetto a quelle democratiche <165. La difficoltà maggiore, nella stesura dell’elaborato, è dovuta proprio al fatto che su molte delle vicende trattate non sia stata fatta sufficiente chiarezza. Non sono state chiarite (se vi sono state) le responsabilità internazionali, non è stata fatta luce sul ruolo dei servizi segreti e sui loro rapporti con la P2. Queste informazioni sarebbero state fondamentali, poiché appare piuttosto inverosimile che dei movimenti extraparlamentari abbiano potuto agire da soli. Senza delle risposte certe, la politica nostrana si è divisa in quattro direzioni interpretative <166: la prima, riconducibile al PCI, al PSI e alla sinistra della DC, vedeva l’emergere di un nuovo fascismo sostenuto da alcune frange delle forze dell’ordine, dei servizi segreti, dell’esercito e dalla NATO. Questi ultimi utilizzavano l’estrema destra per indurre la sinistra a rinunciare a qualsiasi tipo di aspirazione <167. La seconda ipotesi, riconducibile alla destra della DC, interpretava il fenomeno come manifestazione della teoria degli opposti estremismi, secondo la quale erano in atto dei disegni eversivi provenienti sia da destra che da sinistra <168. La terza ipotesi, riconducibile all’estrema sinistra, interpretava il fenomeno come volto alla costituzione di uno Stato apertamente fascista <169. La quarta ed ultima, riconducibile all’MSI, vedeva nel terrorismo la longa manus dell’URSS <170. Quel che è certo è che il caso italiano non può essere spiegato senza fare un chiaro riferimento alla Guerra fredda. USA e URSS utilizzavano delle «strategie indirette» per inserire i paesi nel loro raggio di controllo, i primi sovvenzionando colpi di Stato, i secondi appoggiando i gruppi che portavano avanti la guerriglia rivoluzionaria. Fu in questo frangente che la NATO adottò la strategia della guerra psicologica in tutti quei paesi europei “a rischio”. Il caso italiano risultò particolarmente difficile poiché ospitava il partito comunista più grande d’Europa. Il declino della strategia della tensione fu dovuto alle dimissioni di Nixon e alla debolezza del successore Ford. La lotta armata, invece, deriva da una sfiducia della sinistra extraparlamentare nei confronti di tutti i partiti, accusati di far parte del Sim; paradossalmente i comunisti, che volevano fermare la violenza attraverso il compromesso storico, crearono per essa un terreno ancor più fertile. Se in un primo momento il problema era il terrorismo di destra fomentato sia da gruppi facinorosi che da vertici dello Stato, ora la questione del terrorismo riguardava anche la sinistra.
[NOTE]165 A. Speranzoni, F. Magnoni, Le stragi: i processi e la storia. Ipotesi per un’interpretazione unitaria della “strategia della tensione” 1969-1974, Grafiche Biesse Editrice, Martellago-Venezia, 1999.
166 A. Giannulli, La strategia della tensione. Servizi segreti, partiti, golpe falliti, terrore fascista, politica internazionale: un bilancio complessivo, Ponte alle Grazie, Milano, 2018.
167 A. Giannulli, La strategia della tensione. Servizi segreti, partiti, golpe falliti, terrore fascista, politica
internazionale: un bilancio complessivo, Ponte alle Grazie, Milano, 2018.
168 Ibidem
169 Ibidem
170 Ibidem
Ida Maria Galeone, Democrazia in bilico: gli anni di piombo e la strategia della tensione in Italia, Tesi di Laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno Accademico 2021-2022
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La strage di piazza Loggia e l’occhio statunitense
di Paolo Pellizzari [learn_more caption="Abstract"] Il seguente saggio propone una riflessione sulla violenza politica che ha attraversato l’Italia negli anni Sessanta e Settanta del ’900, focalizzandosi sulle ripercussioni[...]Storia e Futuro
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in questo che nessuno capisce / paola silvia dolci e francesco calcagnini. 2024
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lorenzo guadagnucci racconta (e riflette sulle conseguenze del)la notte alla diaz, genova 2001
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“Alla Diaz ci hanno massacrati, è stata una sospensione della democrazia”.
Il giornalista Lorenzo Guadagnucci racconta la notte del G8 di Genova del 2001 e la “macelleria messicana” della Scuola Diaz. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per le violazioni dei diritti umani durante l’irruzione della polizia e stabilito che le azioni delle forze dell’ordine hanno costituito tortura e trattamenti inumani e degradanti.
#2001 #Diaz #fascismo #fattiDiGenova #G8 #Genova #LorenzoGuadagnucci #neofascismo #polizia #ScuolaDiaz
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giochi incomprabili oggi svenduti grazie alle lagne delle signore (GOG e Freedom To Buy Games)
Stamattina… colazione doppia? …O forse, piuttosto, stasera, visto che come al solito mi sono infognata sulle mie robe magiche per tutta la giornata, non riuscendo a cacciare fuori nemmeno un attimo per scrivere? Beh, comunque stiano davvero le cose, mentre io ormai non ho più il tempo di fare niente… specialmente il gaming… è interessante venire a sapere che GOG sta regalando, da oggi (2 agosto) fino a domani (3 agosto) incluso, una dozzina di giochini della sempreverde categoria de “qualcuno pensi ai bambiiini!!!“… 🤯
Ovviamente, la cosa non è senza motivo… Non è perché qualcuno si è svegliato la mattina e ha deciso di regalare giochi… bensì è perché, forse chiunque a questo punto lo avrà almeno sentito, i processori di pagamenti (la MasterVISA Mafia, insomma) si sono svegliati la mattina e — a dire il vero, sotto pressione del tipo di gente tanto ben delineata da quella citazione ormai idiomatica di cui sopra — hanno deciso di iniziare a rifiutare tutti i pagamenti per videogiochi espliciti, da tutte le varie piattaforme per PC… da Steam, fino addirittura ad Itch. I gooner, mi duole ammetterlo, ne sanno forse più di me sulla questione, che io attualmente non ci sto capendo una mezza mazza, perché è successa assieme ad altre schifezze mondiali dello stesso calibro, che però sono tipo scollegate… ma in ogni caso, apriti cielo. 👅
Non è il caso di parlare della questione in sé al momento, perché è un fatto lungo — se non per ricordarvi che ve l’avevo detto più e più volte che è il caso di mandare a quel paese una volta e per tutte queste corporazioni della smerdaglia, ennesimi gatekeeper digitali, e di adottare una buona volta le criptovalute; poiché, pur essendo a mia volta una puritana che odia qualsiasi cosa abbia vagamente a che fare col sesso, sono comunque assolutamente per la libertà, di mercato e non — ma ecco, il bundle al prezzo di soli zero euro mi interessa, perché sono comunque giochi gratis senza DRM e…
Vabbè, mi sono già scocciata di far finta: riscatto comunque tutti i giochi, perché sono pur sempre un’accumulatrice seriale, ma l’unico di cui mi frega qualcosa a primo impatto è Postal 2, essendo tutti gli altri solo palesemente porno; più un paio di cui invece non si capisce nulla senza cercare informazioni altrove (“indie slop”, li chiamerei io per far arrabbiare molta gente)… Si, la pornografia mi fa venire il disgusto, ma il gore simulato (di livello postale e non) me lo guardo tranquillamente pure mentre mangio; ahivoi, sono fatta così. (E chissà se, in queste quasi 24 altre ore rimanenti, si aggiungeranno altri giochi, come il footer della pagina invita… in caso, spero siano riscattabili pure quelli.) 😤
E quindi, quasi stava per sfuggirmi… GOG che c’entra? Banalmente, vista tutta la situazione, GOG ha deciso nel suo piccolo di fare, con il supporto volontario di vari publisher di giochi presenti sulla piattaforma, questa protesta simbolica, sperando di spargere ulteriormente la voce sulla questione, con questa trovata di marketing simpatica. E cazzarola se ci sono riusciti, visto che persino io, che odio malamente i gooner, sto ricondividendo l’iniziativa… FreedomToBuy.Games! 🔥
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GOG’s Freedom to Buy Campaign Gives Away Controversial Games for Free to Protest Censorship
GOG has launched a new initiative titled Freedom to Buy, aimed at raising awareness around the constantly growing issue of game censorship and delistings.Orpheus Joshua (Noisy Pixel)
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fabrizio mugnaini: un’annotazione su “maniera nera” (2015)
grazie a Fabrizio per il suo lusinghiero pezzo dedicato a Maniera nera, leggibile qui:
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il libro:
ninoaragnoeditore.it/opera/man…
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Fabrizio Libretti
Marco Giovenale – Maniera nera Pubblicato da Aragno nel 2015 nella collana i domani, Maniera nera è un libro che sembra provenire da un punto profondo dell’esperienza poetica, ma anche da una...www.facebook.com
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la newsletter di ‘ahida’
chi desidera ricevere la newsletter di ahida può comunicare il proprio indirizzo scrivendomi qui: slowforward.net/contact/
oppure inserire la propria mail direttamente nel form del sito stesso.
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maggiori informazioni sulla rivista online qui: slowforward.net/2025/06/09/ahi…
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Sul processo a Kesselring
L’esame del processo contro Kesselring è interessante per la ricostruzione del meccanismo del terrore messo in atto dalle truppe tedesche in Italia dopo l’8 settembre 1943, di cui ha parlato Battini. Durante le prime tre settimane del processo, ci si occupò dell’esame delle prove addotte per le due imputazioni, dell’interrogatorio dell’imputato e dell’escussione dei testimoni. Fra questi ultimi, ventuno furono convocati dalla difesa e nove dall’accusa. Un ruolo determinante ebbero tre testimoni dell’accusa: il tenente colonnello A.P. Scotland, un ufficiale dello spionaggio dell’esercito britannico che si era infiltrato nelle truppe tedesche, Herbert Kappler e il giudice militare dell’esercito tedesco, Hans Keller. Scotland aveva interrogato Kesselring e raccolto le sue deposizioni durante la sua prigionia a Londra. Questi atti costituirono le prove decisive per l’incriminazione dell’imputato, il quale – ricordiamo – il 6 maggio fu ritenuto colpevole di entrambi i capi d’imputazione e condannato a morte per fucilazione. Vediamo dall’analisi della sentenza come Battini sia arrivato a concludere che «la responsabilità diretta del comandante supremo era stata provata in modo incontrovertibile e la condanna fu inevitabile» <422.
Al processo, Scotland mise in luce che gli ordini emanati dal comando dell’esercito tedesco in Italia, in particolare quelli del 17 giugno e del 1° luglio, avevano contribuito a scatenare una controguerriglia condotta «con la massima violenza anche contro donne e bambini» <423, dando così avvio «a tutti gli eccessi contro i civili a cui si sarebbero abbandonati i comandanti subalterni» <424. Scotland sottolineò inoltre che, per un ordine del Comando supremo della Wehrmacht del 1° maggio 1944 inviato dal maresciallo Keitel, fossero stati affidati a Kesselring l’autorità suprema sulle operazioni antipartigiane, il comando sulle forze delle SS e della polizia dipendenti dal generale Wolff e la supervisione del coordinamento territoriale delle linee di comunicazione con le retrovie, conferito allo stesso Wolff. Le operazioni antipartigiane, affidate al comando delle SS, sarebbero state coordinate da Wolff in collaborazione con il quartier generale di Kesselring, a cui spettava l’approvazione di qualsiasi piano di attacco. Lo schema tratteggiato da Scotland trovò conferma nella testimonianza del colonnello Beelitz, che era stato primo ufficiale dello staff generale di Kesselring. Anch’egli ammise che dal 1° maggio al generale Wolff fu ordinato di seguire gli ordini di Kesslering, a capo dell’Oberkommando Sud West (Comando supremo del fronte sud-ovest), per quanto riguardava la guerra partigiana. Beelitz documentò l’esistenza di collegamenti fra il comando dell’esercito e quello delle SS, che avevano permesso a Kesselring di essere costantemente informato sulle operazioni antipartigiane condotte da Wolff. L’importanza di tali testimonianze è stata sottolineata da Battini:
“Si aprì così l’interrogativo su quanto Kesselring avesse effettivamente conosciuto delle efferate attività di alcune unità delle Waffen SS poste direttamente agli ordini di Berlino – ad esempio la XVI Panzerdivision SS, la divisione SS Hermann Göering e la divisione cosacca di Debes – le quali si erano rese responsabili di alcuni dei massacri più feroci, da S. Anna di Stazzema a Marzabotto. Venne così provata l’ipotesi che le SS furono effettivamente subordinate alla Wehrmacht nelle operazioni contro i partigiani e contro le popolazioni civili”. <425
Lo stesso Kappler danneggiò il feldmaresciallo, dichiarando di aver detto esplicitamente a Kesselring di avere in custodia persone imputate di reati punibili con la pena di morte e non ancora condannate a morte. Fu quest’ultimo a ritenere necessario eseguire immediatamente l’ordine di rappresaglia imposto da Hitler. La testimonianza di Kappler contrastava con quella del giudice militare Hans Keller, il quale però non riuscì a trovare prove a suo favore. Questi, sebbene sostenesse di aver emanato l’obbligo per tutti i battaglioni di dotarsi di corti marziali sul campo, dovette ammettere che tali corti non avevano gli strumenti per poter operare effettivamente. Egli non riuscì nemmeno a provare l’esistenza di direttive per lo svolgimento di regolari processi ai partigiani catturati e ai civili sospettati di collaborare con loro. Il comando non aveva proposto, evidentemente, alcuna misura garantistica: nessuna esecuzione di civili era stata preceduta da un processo. Il testimone finì così per compromettere la posizione dell’imputato e ammise che l’ordine di Kesselring del 17 giugno 1944 che garantiva protezione a qualsiasi ufficiale che si fosse reso responsabile di eccessi nelle stragi «sarebbe risultato ambiguo e avrebbe potuto essere frainteso» <426, soprattutto nelle mani di un giovane ufficiale.
Kesselring si difese sostenendo che gli ordini da lui emanati si spiegavano con la difficile situazione in cui l’esercito tedesco, dopo la caduta di Roma del 4 giorno 1944, si era trovato ad agire, costretto alla ritirata, tormentata dai bombardamenti aerei alleati e dagli attacchi dei partigiani. Le sue dichiarazioni dimostrarono però che in quelle difficoltà egli maturò un atteggiamento di rancore verso l’esercito e il popolo italiano, che sarebbe stato poi alla base della sua politica di occupazione. Baldissara e Pezzino hanno messo ben in luce come questo rancore si sia riversato sulla popolazione civile, provocando stragi di inermi:
“Questa insistenza sulla minaccia partigiana […] era la spia di una preoccupazione reale per l’attività della guerriglia sul terreno propriamente militare, inscritta però in un latente e ampiamente condiviso giudizio di disprezzo e totale repulsa per qualsivoglia forma di guerra irregolare. Un disprezzo che non poteva non rovesciarsi sui componenti delle formazioni partigiane e sulle popolazioni che si ritenevano collaterali a esse, e che non poteva non costituire il presupposto della sottrazione di innocenza ai civili – donne e bambini inermi – e dunque della giustificazione stessa del massacro, sia durante (per coloro che lo compivano) sia dopo (per coloro che lo giudicavano)”. <427
Sebbene Kesselring inizialmente provasse ad addossare la colpa delle stragi senza limiti alle autorità fasciste della RSI, dovette poi ammettere che qualche atrocità era stata commessa anche da parte tedesca. Kesselring si contraddisse durante il processo, poiché da una parte affermava che i propri ordini avessero rispettato il diritto di guerra, dall’altra attribuì la causa delle stragi al caos in cui era precipitato l’esercito, che avrebbe rallentato il sistema di comunicazione. I documenti, invece, dimostravano che gli ordini emanati da Kesselring non avevano rispettato affatto procedure regolari secondo il diritto di guerra. Ne è una prova anche il fatto che Kesselring solamente alla fine dell’estate del 1944 aveva istituito tribunali militari sul campo mentre, l’8 febbraio 1945, aveva stabilito che le decisioni sarebbero state prese solo dalle corti marziali. In realtà Kesselring, sin dalla fine del 1943, aveva ordinato di utilizzare non solo le misure tradizionali della controguerriglia ma tutti i mezzi a disposizione, perfino l’uccisione indiscriminata di civili sospettati di collaborazione, garantendo una protezione speciale a chi non fosse passato attraverso un procedimento giudiziario sul campo. Il colonnello Halse gli contestò allora il testo dell’ordine del 1° luglio 1944: «Una quota della popolazione maschile dell’area (infestata dai partigiani) verrà arrestata e, nel caso del prodursi di atti di violenza questi stessi uomini saranno uccisi» <428. A quel punto, Kesselring, incalzato dalle domande del colonnello, arrivò a sostenere che «anche i civili innocenti sterminati come ostaggi erano stati uccisi perché comunque colpevoli di “non aver per tempo preso le distanze dai partigiani”» <429.
Un’altra ammissione, sulla falsariga della precedente, che il feldmaresciallo fece durante l’interrogatorio, sarebbe stata determinante per l’esito del processo. Kesselring infatti affermò: «nelle aree infestate o occupate dai partigiani la popolazione combatteva al loro fianco o collaborava con essi, volontariamente o no. L’esercito fu allora costretto a considerare la popolazione alla stregua dei partigiani» <430. Come ha sottolineato Battini, l’imputato offriva così una prova della criminosità dei suoi ordini, «introducendo un’artificiosa distinzione tra la popolazione delle “aree infestate” dai partigiani, che poteva essere rastrellata, deportata e anche “giustiziata” nel caso di attacchi ripetuti, e le rappresaglie contro i partigiani combattenti, i quali potevano essere eliminati in qualsiasi circostanza senza il rispetto delle regole del diritto di guerra» <431. A quel punto, il presidente del tribunale ribatté che in entrambi i casi si era trattato di massacri indiscriminati, contrari alle norme belliche e che quindi tale distinzione non aveva alcun valore. Sebbene le convenzioni belliche non riconoscessero ai civili il diritto di insorgere contro l’occupante, quest’ultimo era chiamato al rispetto delle loro vite. Senza una regolare inchiesta che provasse la colpevolezza dei civili, essi rimanevano innocenti e la rappresaglia risultava completamente illegittima. Per questo, era stato illegale uccidere sia civili innocenti che ostaggi: in entrambi i casi si era trattato di assassinio e non di legittima rappresaglia.
In questo senso fu particolarmente significativo un altro passaggio del processo, la seduta del 14 marzo, nella quale Kesselring spiegò cosa intendesse per «zone partigiane»: parti di territorio in cui «tutta intera la popolazione condivideva lo stesso obiettivo [dei partigiani] e perciò io potevo supporre quasi con certezza che chiunque fosse stato estratto da questo gruppo di persone […] appartenesse ai partigiani e che alcuni di essi fossero dei capibanda»432. Ciò implicava che gli abitanti di zone nelle quali si fossero verificati episodi di guerriglia fossero considerati di per sé dei partigiani e che quindi fosse riservato loro lo stesso trattamento repressivo. Nel caso di episodi di insorgenza, veniva dunque sancita una condizione di colpevolezza collettiva: i civili non potevano non sapere e avrebbe dovuto collaborare con l’occupante, dunque, in caso contrario, la punizione collettiva nei loro confronti senza indagine né processo era giustificata. Come hanno sottolineato Baldissara e Pezzino, «la fonte di legittimazione della violenza e del ricorso alla rappresaglia contro i civili stava dunque nel presentare come illegittima e immorale la guerra partigiana, addirittura nell’assumerla – forzando l’interpretazione delle convezioni internazionali – alla stregua di un crimine di guerra ai danni dell’esercito regolare» <433.
Per concludere, è interessante prendere in esame un ultimo documento, il “Report on German reprisals for partisan activity in Italy”, il rapporto generale steso dagli inglesi sui risultati delle indagini da loro compiute sulle stragi di civili commesse in Italia, che l’11 di agosto del 1945 veniva inviato dal Quartier generale alleato al sottosegretario di Stato britannico del War Office. Questo rappresentava la sintesi delle investigazioni britanniche e mostra come gli inglesi fossero arrivati a comprendere la sistematicità del meccanismo terrorista praticato dai tedeschi contro le popolazioni civili. Il report collegava infatti le rappresaglie tedesche all’attività partigiana e sottolineava il complesso sistema di ordini che aveva scatenato le violenze contro la popolazione civile. Secondo i britannici, che erano entrati in possesso della documentazione del quartier generale di Kesselring, a causa delle preoccupazioni tedesche per l’intensificarsi dell’attività partigiana nell’estate 1944, «un vero e proprio sistema di ordini aveva fondato e incoraggiato la fase più intensa di azioni contro i civili» <434. Un messaggio telegrafato del 1° maggio 1944 inviato dal feldmaresciallo Keitel, capo dell’OKW, Oberkommando der Wehrmacht (Comando supremo delle forze armate) a Kesselring risolveva così il problema della ripartizione di competenze fra SS e forze armate: al generale comandante in capo del settore sud-ovest era attribuito il comando supremo delle operazioni contro i partigiani in Italia. Al comandante supremo delle SS e della polizia, Karl Wolff, spettava dunque la responsabilità operativa delle operazioni lontane dal fronte, ma egli doveva seguire i principi guida stabiliti da Kesselring, che assunse perciò il comando della lotta alle bande partigiane in Italia, e operare sotto di lui. Gli ordini di Kesselring erano quindi trasmessi ai vari livelli gerarchici per dare indicazioni sulle misure da adottare. Anche nel report si faceva riferimento agli ordini del 17 giugno 1944 e del 1° luglio dello stesso anno, che – come abbiamo visto sopra – sono stati citati durante il processo a dimostrazione del fatto che Kesselring aveva incoraggiato una vera e propria controguerriglia contro i civili. Il rapporto britannico concludeva che le «rappresaglie non erano state compiute per ordine di comandanti di singole formazioni ed unità tedesche, ma erano esempi di una campagna organizzata diretta dal Quartier Generale del feldmaresciallo Kesselring» <435.
Questo rapporto inglese ci offre anche indicazioni sul giudizio dei britannici nei confronti della guerra partigiana, poiché affermava che «nessuna obiezione potesse essere avanzata per l’uccisione di partigiani durante le operazioni e nella maggior parte dei casi per la loro esecuzione dopo la cattura» <436. A ragione di ciò, veniva utilizzata un’argomentazione che già abbiamo trovato: «è senza dubbio vero che molti erano camuffati con uniformi tedesche o non avevano segni distintivi o uniformi dalle quali potessero essere riconosciuti» <437. Si riteneva inoltre che potesse essere giustificata nel diritto internazionale e consuetudinario la presa di ostaggi come misura per prevenire attacchi ostili, ma che tale non potesse essere la cattura casuale di uomini innocenti e la loro uccisione al di fuori di ogni regola come rappresaglia. L’uccisione di anziani, donne e bambini era comunque «assolutamente indifendibile» <438.
La rilevanza di questo documento è dunque duplice poiché, da una parte, mostra come i britannici fossero perfettamente a conoscenza della gerarchia dei comandi tedeschi e del sistema degli ordini che faceva capo a Kesselring e che aveva originato una controguerriglia contro le bande partigiane e le popolazioni civili e, dall’altra, è prova dello scetticismo dei britannici verso la guerra partigiana, «della quale peraltro gli Alleati avevano ampiamente usufruito, e che avevano anzi incoraggiato sia con inviti al combattimento, sia con i lanci di materiale e di armi, ma che essi stessi giudicavano alla fine del conflitto, contraria alle norme del diritto internazionale di guerra» <439. Lo scetticismo verso la forma della guerra partigiana, diffuso – come abbiamo visto – anche nella cultura di guerra britannica, assunse però nel caso delle truppe tedesche aspetti molto più radicali.
Nella cultura della guerra nazista, alla rappresentazione fortemente negativa della guerriglia si aggiunsero anche altri fattori ideologici, come il risentimento verso gli italiani «traditori» e la dimensione razziale del nazismo, che spiegano perché le forze tedesche, soprattutto le formazioni più ideologizzate, arrivarono a compiere tali violenze. La disumanizzazione del nemico portò ad abbassare «la soglia dell’inibizione a colpire gli inermi» <440. Il coinvolgimento nel conflitto dei civili si inscriveva in un contesto di guerra totale, condotta con un grande dispiego di mezzi e uomini e con armamenti di grande capacità distruttiva. Era comunque la guerra partigiana il fattore principale che provocava il ricorso terroristico alla violenza contro i civili. Da una parte, per la difficile situazione in cui si trovava l’esercito tedesco in continua ritirata, il quale non riusciva a sopportare la costante condizione di insicurezza alle proprie spalle. In questo senso, il meccanismo del terrore suppliva a queste difficoltà e alla mancanza di uomini per il controllo del territorio e diventava parte delle tattiche dell’esercito. Dall’altra, «nella difficoltà di individuare e contrastare adeguatamente i combattenti irregolari, di differenziare […] l’abitante dal “bandito” […], i civili si trasformano essi stessi in partigiani: non nel senso che siano – neppure nella percezione tedesca – nella loro totalità effettivamente dei combattenti, […] ma che nelle rappresentazione delle forze d’occupazione i profili del civile e del partigiano tendono viepiù a sovrapporsi e coincidere» <441.
Possiamo concludere che alcune riflessioni giuridiche maturate all’interno del dibattito dei giuristi sul processo di Norimberga, come la questione della responsabilità individuale e dell’obbedienza agli ordini dei superiori, trovarono una sorta di applicazione nelle forme della giustizia assunte nei tribunali militari italiani. Giuristi come Nuvolone e Vassalli avevano ben colto infatti la rilevanza di tali questioni. Il primo si era addentrato in un’analisi dei vari livelli di responsabilità che la riflessione sull’obbedienza agli ordini superiori comportava. È interessante notare che nella casistica analizzata da Nuvolone troviamo dei riferimenti precisi al cosiddetto mandante specifico, il quale è ravvisabile negli uomini a capo di un’amministrazione militare. Questa categoria di persone, la quale rispecchiava proprio il ruolo dei militari tedeschi giudicati in Italia, era – a parere del giurista – pienamente responsabile dei crimini compiuti, sebbene questi le fossero stati ordinati da un superiore. Potremmo dire che lo stesso principio giuridico era stato applicato dal Tribunale militare di Bologna, affermando che, se anche Reder avesse ricevuto ordini superiori, avrebbe dovuto rifiutarsi di compiere atti che costituivano manifestatamente reato. Ciò non era avvenuto invece per il processo a Kappler, nel quale l’obbedienza a un ordine era stata considerata un’esimente. Il passo avanti fatto dal tribunale bolognese, messo in luce anche dal già menzionato Ago, aveva dunque accolto le riflessioni di quei giuristi come Nuvolone e Vassalli che ritenevano che un ordine illegittimo non potesse valere come giustificazione di una condotta criminale.
[NOTE]422 Battini, Peccati di memoria cit., p. 88.
423 Atti del processo, cit. in Ivi, p. 77.
424 Ibidem.
425 Battini, Peccati di memoria cit., p. 80.
426 Atti del processo, cit. in Ivi, p. 78.
427 Baldissara e Pezzino, Il massacro cit., p. 418.
428 Cit. in Battini, Peccati di memoria cit., p. 83.
429 Battini, Peccati di memoria cit., p. 84.
430 Atti del processo in Battini, Peccati di memoria cit., p. 81.
431 Battini, Peccati di memoria cit., p. 81.
432 Atti del processo in Baldissara e Pezzino, Il massacro cit., p. 419.
433 Baldissara e Pezzino, Il massacro cit., p.420.
434 De Paolis e Pezzino, La difficile giustizia cit., p. 19.
435 Cit. in De Paolis e Pezzino, La difficile giustizia cit., p. 20.
436 De Paolis e Pezzino, La difficile giustizia cit., p. 20-21.
437 Ivi, p. 21.
438 Ibidem.
439 Ibidem.
440 Ivi, p. 421.
441 De Paolis e Pezzino, La difficile giustizia cit., p. 419.
Claudia Nieddu, Il dibattito in Italia sui criminali di guerra (1945-1951), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno accademico 2017-2018
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domenico gallo svela che la cosiddetta “separazione delle carriere” mira a cancellare l’indipendenza del potere giudiziario e risponde perfettamente al piano di gelli
https://www.domenicogallo.it/2025/07/giustizia-la-riforma-truffa
DOMENICO GALLO DIMOSTRA CHE QUELLA DI NORDIO-MELONI È UNA RIFORMA CHE CANCELLA L’INDIPENDENZA DEL POTERE GIUDIZIARIO
<< Non era mai accaduto nella storia parlamentare che una riforma della Costituzione venisse approvata nel testo proposto dal Governo senza che venisse consentito al Parlamento di approvare un solo emendamento.
Un testo governativo immodificabile dal Parlamento per una riforma da approvare a passo di carica, che – evidentemente – costituisce una priorità politica assoluta per questa maggioranza.
La prima operazione da compiere è fare pulizia delle parole e dei concetti falsi e ingannevoli. Innanzitutto bisogna spiegare che quella in discussione non è una riforma della giustizia. La riforma Nordio non ha nulla a che vedere con le questioni attinenti al funzionamento del servizio giustizia, non interviene sulla durata dei processi, sulle dotazioni amministrative degli uffici giudiziari, sull’edilizia, sul potenziamento dei riti alternativi, sulle carenze di personale. Non è insomma una riforma volta a migliorare la qualità del servizio giustizia a tutela dei diritti dei cittadini.
Ugualmente falsa e ingannevole è la denominazione della riforma come “separazione delle carriere”. In questo caso si tratta di una vera e propria truffa delle etichette.
La separazione delle carriere è stata portata a termine, a Costituzione invariata, con la riforma #Cartabia (art. 12 della legge n. 71/2022), che ha definitivamente separato i percorsi professionali dei magistrati inquirenti e giudicanti.
L’oggetto della riforma non è la separazione delle carriere ma la riscrittura del titolo IV della Costituzione all’unico scopo di restringere o abbattere le garanzie di indipendenza dell’esercizio della giurisdizione. In sostanza, quella di Nordio-Meloni è una riforma dell’indipendenza del potere giudiziario.
Il titolo IV della Costituzione sull’ordinamento giurisdizionale definisce in modo molto più organico e completo che in altre costituzioni moderne il principio della separazione dei poteri, creando uno zoccolo duro di pluralismo istituzionale che non può essere superato.
Nel disegno costituzionale, l’indipendenza della magistratura da ogni altro potere, viene assicurata dall’autogoverno, attribuito a un organo di rilievo costituzionale, il Consiglio superiore della magistratura, al quale spettano: «le assunzioni, le assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati» (art. 107). «Il Consiglio superiore è presieduto dal Presidente della Repubblica, ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione. Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune» (art. 104).
Il titolo IV cella Carta ha operato una netta cesura rispetto al vecchio ordinamento monarchico-liberale nel quale le scarse garanzie di indipendenza dei giudici e la soggezione dei pubblici ministeri al potere politico avevano impedito che la magistratura potesse esercitare resistenza all’avvento della dittatura fascista.
Le norme che garantiscono l’indipendenza del giudiziario (titolo IV) e quelle che assoggettano l’esercizio dei poteri al controllo di costituzionalità (titolo VI) incarnano le garanzie antitotalitarie della Costituzione. Non a caso ci furono delle resistenze a dare attuazione alla disciplina costituzionale della magistratura: il Consiglio Superiore fu istituito solo dieci anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, in virtù della legge 24 marzo 1958 n. 195, e cominciò a operare nel 1959 (entro una camicia di forza che ne pregiudicava fortemente le funzioni).
Nel corso del tempo, con la crescita dell’indipendenza reale della magistratura, favorita dal dibattito culturale in seno all’associazionismo di giudici e pubblici ministeri, è aumentata la capacità di controllo giudiziario dei fenomeni degenerativi.
Ciò ha consentito di sventare le varie minacce che hanno attraversato le istituzioni dagli anni Sessanta agli anni Ottanta del secolo scorso. A cominciare da quel “tintinnar di sciabole” cui fece cenno il leader socialista Pietro Nenni in occasione della formazione del secondo governo Moro del 23 luglio 1964, per passare poi alla stagione della strategia della tensione dove, con grande difficoltà, le indagini della magistratura hanno scoperchiato il vaso di Pandora delle deviazioni istituzionali dei servizi segreti, fino alle parole finali dell’ultima sentenza della Corte d’assise di Bologna (6 aprile 2022) che ha fatto luce sui mandanti, annidati anche nelle istituzioni, della strage del 2 agosto 1980. La stagione di “mani pulite” ha confermato la capacità dell’autorità giudiziaria di estendere il controllo di legalità anche in quei santuari del potere politico rimasti per lungo tempo inviolabili.
Il ruolo del Consiglio Superiore, in quanto garante dell’indipendenza della magistratura, è stato oggetto di violenti conflitti politici.
Clamoroso fu il conflitto con il presidente della Repubblica Francesco #Cossiga, che arrivò al punto di minacciare l’intervento dei carabinieri per impedire che il plenum del Consiglio trattasse degli argomenti che lui aveva vietato. In un’intervista nel 1991 Cossiga dichiarò: «Feci schierare un battaglione mobile di carabinieri in assetto antisommossa, al comando di un generale di brigata».
Ma l’esigenza di rendere l’esercizio della giurisdizione subordinato all’indirizzo politico era già emersa già nel 1981 con la scoperta del “Piano di rinascita democratica” di #LicioGelli.
Si trattava di un progetto che mirava a spegnere la democrazia italiana attraverso un’azione riservata che, pur escludendo il ricorso a un colpo di Stato di tipo greco, mirava a sovvertire le istituzioni democratiche. Per l’ordinamento della magistratura era prevista una riforma particolarmente “moderna” articolata su una serie di passi finalizzati a ricondurre l’esercizio della giurisdizione sotto il controllo del potere politico, eliminando lo scandalo del “potere diviso” postulato dalla Costituzione repubblicana.
Attraverso una riforma della Costituzione, il Piano di rinascita democratica prevedeva la separazione delle carriere di magistrati giudicanti e magistrati inquirenti, la sottoposizione di questi ultimi al controllo del ministro della giustizia e la neutralizzazione dell’autogoverno dei magistrati, mediante la sottoposizione del Consiglio superiore della magistratura al controllo del Parlamento.
In attesa delle modifiche costituzionali il piano suggeriva di intervenire con urgenza per introdurre la responsabilità civile (per colpa) dei magistrati, il divieto di nominare sulla stampa i magistrati comunque investiti di procedimenti giudiziari e gli esami psicoattitudinali per l’accesso alla carriera.
La profezia nera di Licio Gelli non è mai tramontata: come un fiume carsico è affiorata più volta in diversi contesti politici e adesso ha trovato piena soddisfazione con la riforma costituzionale Nordio/Meloni.
L’insofferenza di questo potere politico verso il controllo di legalità esercitato da una magistratura indipendente, resa plasticamente evidente dalla valanga di insulti e minacce ai giudici e pubblici ministeri vomitate dai vertici politici ogni volta che vengono adottati provvedimenti sgraditi, è il movente di questo attacco alla giurisdizione: la riforma dell’assetto costituzionale della magistratura è la soluzione.
Poiché il #ConsiglioSuperiore è la bestia nera, la riforma lo depotenzia dividendolo in tre parti, un Consiglio per i magistrati del pubblico ministero, uno per i magistrati giudicanti e uno, denominato Alta Corte disciplinare, competente per i provvedimenti disciplinari.
Non basta la divisione in tre parti. La funzione di questi tre organi viene ulteriormente svilita cancellando la rappresentanza del corpo dei magistrati dagli organi di “autogoverno”, attraverso l’introduzione del criterio del sorteggio secco dei componenti togati.
In definitiva la rottura del modello costituzionale dell’unicità della magistratura e l’invenzione di tre organi composti da membri sorteggiati, cancella l’autogoverno e rende oscura e non trasparente l’attività di gestione della magistratura. Si creano così le condizioni per un impoverimento culturale e ideale del corpo dei magistrati, che diventeranno sempre più “funzionari” ministeriali e sempre meno garanti di ultima istanza dei diritti inviolabili dei cittadini.
Dietro questo progetto di riforma vi è la palese ispirazione ad abbattere il livello di indipendenza reale della magistratura per porre rimedio allo “scandalo del potere diviso”. Sbarazzarsi dei poteri di controllo è il passaggio obbligato per la trasformazione di un ordinamento democratico in una democrazia illiberale sul modello ungherese o turco. Di qui l’importanza della mobilitazione per impedire la svolta autoritaria in itinere e per cancellare la riforma Nordio/Meloni, quando interverrà, con il referendum costituzionale.
(una versione di questo articolo è stata pubblicata sul Fatto Quotidiano del 30 luglio con il titolo: Giustizia: prepararsi al referendum) >>
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Giustizia: la riforma truffa • DomenicoGallo.it
L’oggetto della riforma costituzionale non è la separazione delle carriere dei magistrati ma la riscrittura del titolo IV della Costituzione all’unico scopo di restringere o abbattere le garanzie di indipendenza dell’esercizio della giurisdizione.Domenico Gallo (DomenicoGallo.it)
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L’importanza della memoria, Catania ricorda Beppe Montana
Affidiamo alle parole di Giuseppe Strazzulla, docente e componente storico di ‘Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie’, questo ricordo di Beppe Montana, a cui è stato dedicato l’evento cittadino ‘Porti aperti alla memoria, sulle rotte di Beppe Montana’.
Anche se non è vero che la mafia uccide solo d’estate, nessuno può negare che il periodo luglio/agosto del 1985 […]
Leggi il resto: argocatania.it/2025/08/02/limp…
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sperando energicamente che i parlamentari amici dei fascisti abbiano la decenza di non farsi vedere
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#2Agosto1980 #antifascismo #fascistiStragisti #serviziSegretiStragisti #strageDiBologna #stragismo #stragismoDiStato #USAStragisti
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universitarietà sperduta finalmente richiustornata
Non pensavo sarebbe servito (o sarebbe stato possibile?) fare questo post, perché banalmente le mie previsioni prevedevano uno scenario previsto molto più prevedibilmente banale e/o avvilente… e invece la sessione di esami di questa estate alla mia assurdiversità è finita nel modo che nell’universo intero francamente meno pareva possibile. E quindi boh, bona, il bilancio per una singola buona volta è positivo… ma, prima, un attimo di ordine. 😼
Il morale era partito ben rasoterra, perché questo semestre era segnato da ben 4 esami anziché i soliti 3 — di cui 2 più matematici che informatici; e io mi chiedo quando cazzo finiscono, che io sono una ragazza magica, non una matematica — e, visto che fin’ora l’andazzo è stato che ad ogni semestre riuscivo a completare 2/3 degli esami (non in media eh, ma proprio esattamente questa quantità ogni volta), ma il 2/3 di 4 esami non si può fare, allora già mi disperavo, sapendo che ne sarei riuscita a fare solo 2/4, che è peggio, in quanto la mia speedrun si rallenta inevitabilmente. E ok, a regola non c’è motivo di disperarsi sapendo già perfettamente che 2 esami non li avrei potuti fare assolutamente (e infatti così è andata), ma c’è sempre sotto sotto la paurina di non riuscire a fare nemmeno gli altri 2, e quindi sprecare un’intera sessione… 😱
Vabbè, insomma: escluse a priori le 2 materie per me veramente difficili (perché guardavo in faccia gli esercizi a tempo perso e non capivo neanche dove iniziare a mettere le mani, maremma scuoiata), rimanevano soltanto da un lato quella di cui lo scritto era una barzelletta, e dall’altro quella che io svolgo praticamente pisciando, entrambe di cui ho fatto e superato le prove intercorso pure da mezza addormentata… Quindi, più precisamente, rimanevano gli orali, e proprio lì si celava il brutto che mi ha portata assolutamente (le mie cronache scritte, ahimè, lo testimoniano, e di ciò ne verranno a conoscenza pure i posteri!) a rottare per tutto il mese di giugno e metà di luglio, portandomi a trascinarmi davvero fino all’ultimo il completamento di questi esami lasciati aperti: per l’uno la prospettata estrema difficoltà (che quindi minacciava il dover studiare per davvero, un vero incubo), e per l’altro il dover completare il progetto web per cui mi rompevo stranamente le scatoline… ops. 😩
Per la prima materia, Reti, i prof. in realtà dissero che il risultato delle prove scritte si poteva conservare per un (1) anno; cosa letteralmente straordinaria, mai vista da nessuna parte, fatta per evitare che la gente si precipiti all’orale senza sapere niente, facendo soltanto perdere tempo e fatica ai professori che ehh lavorano… ma io sapevo che dovevo farlo subito, perché a settembre non ho neanche idea di dove stia l’Università, mentre nel 2026 avrei ovviamente gli altri esami tra le scatole, quindi questo lo avrei in buona sostanza perso. E quindi boh, ho avuto intere settimane per studiare, che ovviamente non ho usato per studiare, però 1-2 giorni prima ho avuto almeno la decenza di leggere degli appunti con una grossa collezione di domande… e ok, più che studio è stata ripetizione, perché, pur non aprendo letteralmente mai un libro, almeno a lezione seguivo, e quindi le cose non erano troppo pazze assurde mai viste per me. 👍
La fine della fiera è che la mattina maledetta vado lì, sono tra le prime 5-10 persone ad entrare visto che gli altri si cagavano in mano e, follemente, il prof. mi ha riconfermato il 25 della seconda prova scritta, in 5-10 minuti di orale… zamni! Però in minima parte ho avuto anche un bel po’ di culo dalla mia, secondo me, perché dei due professori che c’erano lì mi è capitato quello che credo sia meno intransigente… mentre l’altro, già a prima mattina è riuscito a bocciare uno con appena un paio di domande, yikes. 🤯
Ma, attenzione, perché la cosa veramente impossibile è avvenuta la settimana dopo, con l’altro orale… Con Tecnologie Web, se già era di base tutto un po’ fumoso, perché con le date c’era una mezza confusione — almeno, fino a quando il giorno prima dell’inizio il prof. ha rivelato gli orari precisi per tutti gli orali (per cui attenzione, almeno ha fatto scegliere la preferenza di giorno e momento della giornata, quindi topkekprof) — il giorno stesso sembrava ancora peggio, perché sono arrivata lì la mattina (presto, perché altrimenti gli autobus ops), ho dovuto farmi i fatti miei fino alle 10, e poi aspettare praticamente una intera altra ora chiedendomi che cazzo stesse succedendo, perché chi c’era prima di me ci è rimasto un botto col professore… e, a quanto ho capito, è stato pure rimandato (ma non bocciato, che pazza concessione!) mentre il suo compagno aveva preso un buon voto; vabbè, ci frega poco. 🤫
Beh, la cosa pure per me si è protratta così tanto per le lunghe, ma così tanto, che io non immaginavo mai fosse possibile. In circa 10 minuti ho presentato tutto il sito di e-commerce, e quindi tutto il resto del tempo è stato modifiche miste che il prof. chiedeva al momento, tra backend e frontend… e, a quanto pare, il professore di questa volta era quello più tosto dei due, perché l’altro (che interrogava in un’aula diversa) pare che abbia fatto fare a tutti solo modifiche sceme, mentre questo qui ha tenuto sia me che gli altri per un botto. Il resto della giornata, quindi, oltre a chiedermi per chissà che ora avranno finito quelli che c’erano ancora dopo di me per la mattina, ero in assoluta ansia che il prof. verbalizzasse come promesso… e, quando è arrivata la notifica in serata, sono semplicemente zompata per aria… perché chi cazzo lo ha mai visto un fottuto trenta e lode (30L). (E quindi ok, il prof. mi ha tenuto sotto torchio ma, forse, ne è valsa la pena!!!) 🎇
Scherzando, mi sono preoccupata che questo ora mi rovinasse tremendamente la mia media così perfettamente definita da voti di poco superiori al 18… ma, per fortuna, sembra non aver praticamente neanche un po’ intaccato il numerino, che ancora si attesta attorno ad un 23; che, per sua natura, non da troppo nell’occhio. (Non mi sembra possibile, ma così dice il calcolo automatico della piattaforma, e mi secca calcolare a mano solo per un meme.) Invece, non scherzando, ho dovuto ovviamente aspettare una settimana buona per poter anche solo immaginare di parlare a riguardo di ciò, perché ormai, con la mia sfiga, visti i tanti precedenti, ho preferito aspettare che si chiudesse definitivamente la sessione, e quindi che il voto passasse permanentemente a libretto. Vabbè, ora si gode pesantemente, perché ad agosto posso marcire per benino, senza addosso la pressione del (non) studio!!! 🧟♀️
Comunque, il progetto web, appunto, non era niente di che — e, se vogliamo dirla tutta, Pignio per dei novizi sarebbe sicuramente più difficile da programmare di questa roba qua — pur avendo rispettato tutti i requisiti preposti, perché ovviamente non è che si doveva creare questa grande cosa. Visto che fa ridere, essendo che c’è il README (che ho iniziato e finito la sera prima andando a dormire alle 3 di notte, ovviamente, nonostante poi ai professori non sia servito come invece temevo) con le varie schermate di desain che si vedono, oltre alle cose formali spiegate per chi ha voglia di un gran zzz, ho impostato come pubblica la repo, e allora gnam: gitlab.com/octospacc/ProgettoE…. (Trigger warning: Java…) 💣
Chiaramente, l’usare un framework mai visto prima (Jakarta con i suoi merdini), e per cui sul web quasi non si trovano informazioni (ODIO il software di grado enterprise), un po’ mi ha rallentata… ma la cosa che veramente mi ci ha fatto non lavorare è che mi servivano varie immagini, ma mi seccavo ampiamente a procurarmele. I generatori IA lasciamo perdere, i siti di immagini stock fanno tutti schifo a modo loro, e ovviamente le mie manie di perfezionismo mi impedivano di usare banali motori di ricerca, visto che la roba che esce da lì è sempre di qualità molto variabile… quindi alla fine ho usato i siti stock, a suon di tasto destro e salva con nome, ma non con piacere: scaricavo una ventina di immagini un giorno (cioè, buone per circa 5 articoli, e il database ne aveva in totale 40), poi quello dopo mi dimenticavo, e quello dopo ancora, poi mi ricordavo e ne facevo altre 5… un inferno. Superata questa fase, che mi bloccava dall’andare avanti col codice, ovviamente, sono relativamente volata… ma, se non avessi avuto ChatGPT per generare i nomi e le descrizioni degli articoli bizzarri sarei semplicemente deceduta!!! ☠️
#esami #sessione #TSW #università
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Esecuzioni sommarie, torture e sparizioni: circostanziate accuse a esercito e mercenari russi in Mali.
Negli ultimi mesi, la situazione in Mali ha suscitato forti preoccupazioni riguardo alla violazione dei diritti umani, con crescenti accuse nei confronti dell’esercito maliano (FAMa) e dei mercenari russi, appartenenti alla compagnia Wagner, ora nota come Africa Corps. L’organizzazione Human Rights Watch ha denunciato l’uccisione di almeno 12 persone e la sparizione di altre 82, tutte di etnia fulani, accusate di sostenere gruppi terroristi nel contesto di una caccia ai ribelli tuareg e alle forze jihadiste operative nel Paese.
Secondo quanto riportato da HRW, le operazioni militari condotte dalle forze di Bamako e dai mercenari russi hanno portato a gravi violazioni dei diritti umani, inclusi omicidi extragiudiziali, torture e sparizioni forzate nelle regioni di Timbuktu, Douentza, Kayes e Ségou. Nonostante le richieste di chiarimenti avanzate ai ministeri della Giustizia e della Difesa maliani, finora non vi è stata alcuna risposta ufficiale riguardo a queste atrocità. Testimonianze indipendenti da esperti dell’ONU confermano l’andamento di esecuzioni sommarie, alimentando le preoccupazioni per la sicurezza e la stabilità nella regione.
Il clima di insicurezza ha spinto molti cittadini maliani e burkinabé a cercare rifugio in Senegal, in particolare nel dipartimento di Bakel. Si è così venuta a creare una nuova problematica, con un flusso di migranti dalle nazioni interessate. Ciò ovviamente alimenta le tensioni ai confini. I rifugiati hanno riferito di aver abbandonato le loro case a causa degli abusi perpetrati dall’esercito maliano e dai soldati burkinabé, creando una crisi umanitaria crescente in questa parte dell’Africa occidentale. Non bastano dunque gli sfollati interni che dal Sahel fuggono verso le grandi città, si apre un nuovo fronte che va ad interessare i vicini.Ribelli Tuareg. – License CCbyNC 4.0. Source: wumingfoundation.com/
Le tensioni tra Mali e Algeria
Le relazioni tra Bamako e Algeri rimangono tese, soprattutto dopo che il governo maliano ha accusato l’Algeria di ospitare ribelli tuareg e terroristi. Nonostante le trame diplomatiche promosse dal presidente algerino Abdelmadjid Tebboune, per favorire il riavvicinamento fra governo e ribelli, Bamako ha respinto l’offerta di mediazione, mantenendo una posizione dura. D’altro canto il Mali fa affidamento sull’alleato russo per consolidare la propria forza, ma la presenza dei mercenari ai labili confini non può essere tollerata dall’Algeria.
Washington tenta un riavvicinamento
In tutto ciò compare un nuovo attore. Di fronte all’ascesa dell’influenza russa, gli Stati Uniti stanno infatti cercando di ricostruire i rapporti con il Mali e i Paesi limitrofi, come dimostrato dalla recente visita di William B. Stevens. Washington si è dichiarata disposta a collaborare su questioni di sicurezza e a contrastare il finanziamento dei gruppi terroristici. Tuttavia, la possibilità di una qualche collaborazione militare con gli Americani in un contesto così complesso, caratterizzato dalla presenza di mercenari russi, appare al momento impossibile.
In aggiunta agli sforzi di recupero strategico, gli Stati Uniti hanno manifestato interesse nel favorire investimenti privati americani in Mali, attraverso la creazione di una Camera di Commercio Americana. Tale iniziativa, sebbene ben accolta dal governo di transizione maliano, solleva interrogativi sulla sostenibilità di investimenti in un ambiente politico così instabile. Appare quantomeno improbabile che un’azienda privata decida di investire in una nazione senza alcuna sicurezza sul ritorno economico e sui propri asset in loco. A meno che non intervenga qualcuno dall’alto forzando la mano all’azienda stessa, in cambio di qualcosa d’altro, come accaduto con Elon Musk ad esempio. Sono finiti i tempi in cui le compagnie occidentali arrivavano in Africa per fare il bello ed il cattivo tempo. Le regole ora sono cambiate, come possono testimoniare le compagnie aurifere canadesi che piano piano vengono cacciate dal Mali.
Fonte: africa-express.info
Giap - Il sito ufficiale di Wu Ming, collettivo di scrittori
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Questa notte parlami dell’Africa.
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1946: fobie statunitensi circa l’Italia
L’arrivo dell’estate [1946] riportò il problema delle frontiere con la Yugoslavia alla ribalta delle questioni internazionali. La possibilità di un’imminente invasione della Venezia-Giulia da parte dell’esercito di Tito divenne l’argomento principale delle riunioni dei vertici militari americani in Italia e a Washington. A partire da luglio il comandante supremo alleato nel Mediterraneo, il generale Morgan, aveva proposto al Joint Chief of Staff statunitense la “partecipazione dell’esercito italiano nell’eventualità di ostilità con la Yugoslavia nell’Italia settentrionale”. La commissione congiunta tra dipartimento di Stato, il ministero della Guerra e il ministero della Marina, recentemente creata su ordine di Truman, prendendo una posizione ancora più apertamente ostile nei confronti degli yugoslavi rispetto a quella espressa dai comandi britannici in proposito, si dichiarò a favore dell’utilizzo dei reparti italiani “nell’eventualità di un attacco generale yugoslavo”, proprio in considerazione delle stesse “finalità politiche evidenziate dal comandante supremo per il Mediterraneo”, relative alle ricadute positive in termini di immagine del nuovo governo De Gasperi sull’opinione pubblica italiana <304. Pertanto, stabiliva la Commissione, il Sacmed (comando supremo alleato per il Mediterraneo) era autorizzato ad utilizzare tutte le forze italiane disponibili, in caso di attacco da parte di Tito. Inoltre, “al recente incontro del Consiglio dei ministri degli esteri a Parigi – si legge nel documento – il segretario di Stato e il ministro degli Esteri britannico si sono accordati informalmente sulla sostanza delle istruzioni proposte sopra” <305. La situazione al confine giuliano si aggravò nel mese di agosto: il 10 e il 19 agosto aerei da combattimento yugoslavi attaccarono aerei da trasporto statunitensi, abbattendoli ed uccidendo l’equipaggio, poiché avevano violato lo spazio aereo nazionale. La reazione dei militari americani fu di estrema indignazione, soprattutto perché, come sottolineato da Offner, “essi vedevano il maresciallo Tito (…) come una maschera per l’espansione sovietica” <306. Il 25 agosto una direttiva del Joint Chiefs of Staff statunitense ordinava al generale Morgan di “prepararsi per un attacco generale organizzato yugoslavo”: nei suoi piani avrebbe dovuto “includere l’utilizzo di tutte le forze presenti in Italia”, che avrebbero dovuto essere rese “disponibili per le operazioni”. Tutte le obiezioni britanniche all’utilizzo dell’esercito italiano in funzioni attive inoltre, informava il Joint Chiefs of Staff, erano state rimosse in seguito alla discussione del tema con il dipartimento di Stato, che aveva insistito sul punto proprio “in considerazione dell’attuale attitudine yugoslava, esemplificata dall’abbattimento dei velivoli statunitensi e dalla serie di incidenti che hanno coinvolto le truppe di terra e le manifestazioni organizzate” <307. Il 29 agosto un memorandum del Pentagono ribadiva: “L’U.S. Chiefs of Staff ritiene fortemente, e il dipartimento di Stato concorda con questo, che nell’eventualità dell’aggressione yugoslava il Comandante Supremo Alleato per il Mediterraneo dovrebbe essere autorizzato ad utilizzare ogni forza militare che possa essere fisicamente disponibile per il compimento della sua missione” <308. L’11 settembre la Chiefs of Staff Committee avvisava con urgenza l’AFHQ di un considerevole rinforzo delle truppe yugoslave al confine con l’Italia, segno della possibilità di realizzazione di un imminente attacco da parte delle forze di Tito. Nel documento redatto dalla commissione si analizzavano le probabili modalità di attacco da parte della Yugoslavia, sottolineando che “le forze aeree yugoslave avrebbero probabilmente una parte di rilievo nelle prime fasi di qualsiasi tipo di operazione gli yugoslavi possano intraprendere contro inglesi e americani” <309. Si tratta di un documento interessante, che mostra la percezione statunitense della minaccia russo-yugoslava di un’invasione dell’Italia, per lo meno della Venezia-Giulia. Il rapporto infatti sottolineava la sicura partecipazione di divisioni sovietiche nel preventivato attacco yugoslavo: “La Russia in ogni circostanza garantirebbe tutta la possibile copertura d’aiuto alla Yugoslavia, probabilmente nella forma di truppe M.V.D.” <310.
L’arrivo del rapporto Clifford-Elsey, il 24 settembre, segnò un altro momento cruciale nella considerazione statunitense della penisola. Le ottantadue pagine del “Russian report”, prodotte su ordine di Truman dai due assistenti alla Casa Bianca, vertevano interamente sui piani di espansione preparati dai sovietici, che a giudizio dei due analisti americani si concentravano proprio sull’ottenimento di un’influenza nell’Europa occidentale: in particolar modo l’obiettivo sovietico si focalizzava sull’Italia, che avrebbe dovuto essere portata sotto l’ombrello sovietico tramite l’azione del partito comunista, e sulla ricerca di un controllo della Grecia, da attuare attraverso l’instaurazione di un governo simile in tutto ai regimi imposti nell’Europa dell’Est <311.
I rapporti provenienti dalla penisola delineavano un crescente pericolo per la stabilità del governo, e soprattutto per la potenziale crescita politica del blocco social-comunista che minacciava di portare legalmente l’Italia fuori dall’ambito atlantico. La percezione statunitense della situazione si concentrava sul rafforzamento dei due partiti della sinistra a danno della Dc, che avrebbe potuto provocare lo scivolamento del paese verso un governo guidato dal Pci e quindi verso un orientamento in politica estera favorevole al blocco sovietico. Il 22 novembre Key inviò un una sorta di avvertimento ai vertici di Washington: la situazione nella penisola si deteriorava ogni giorno di più, e la possibilità di garantire un governo stabile così come la permanenza della presidenza del Consiglio nelle mani di De Gasperi erano a rischio. L’incaricato d’affari presso l’ambasciata di Roma riferiva con preoccupazione i continui “tentativi di screditare il governo” da parte “del partito comunista, sebbene partecipi ad esso” <312. De Gasperi inoltre, riferiva Key, aveva “definitivamente perso la speranza di ottenere una genuina collaborazione inter-partito”, a causa della volontà dei due partiti dell’ala sinistra di provocare uno stravolgimento degli equilibri politici. Il rapporto del CIC, il servizio di controspionaggio militare dell’AFHQ, allegato al telegramma di Key per Byrnes illumina chiaramente la percezione statunitense della prospettiva politica del paese. Il risultato dell’analisi del vertice del servizio segreto militare gettava un’ombra scura sulle possibilità del paese di mantenere un assetto democratico senza essere risucchiato nell’orbita sovietica tramite l’instaurazione di un governo dominato dai comunisti filo-Urss, come nei paesi dell’Europa orientale, o tramite lo scoppio di una guerra civile, come gli avvenimenti greci stavano mostrando proprio in quelle settimane. “L’obiettivo delle sinistre [Leftists] è di forzare la nazione in convulsioni interne provocate dall’insicurezza sociale ed economica, e allo stesso tempo di accreditare la responsabilità al programma dei democristiani, ed eventualmente costringerli a lasciare la posizione di maggior partito all’interno del governo” <313. In linea con l’interpretazione circolante all’interno dell’amministrazione Truman circa i veri obiettivi del partito di Togliatti, l’analisi del Cic evidenziava l’eterodirezione operata sul Pci da parte di potenze straniere: “il programma del partito è stato deciso fuori dalla sfera nazionale”, sottolineava il rapporto. “Nel frattempo, le sinistre organizzano l’opposizione [alla D.C.] tramite la propaganda, l’agitazione sindacale e la provocazione dei gruppi economicamente insicuri”, e tuttavia, a causa del forte radicamento nel tessuto sociale, economico e produttivo del paese di Pci e Psi non era possibile provocare un’espulsione dal governo di alcuna delle due forze politiche, opzione che da quanto espresso nel rapporto era stata chiaramente presa in considerazione a Washington. “I comunisti e i socialisti sono fortemente impiantati non solo nel governo, ma sono ben radicati in gran parte degli strati sociali e produttivi del paese. (…) Per questa ragione, eliminare un importante partito dal governo, sarebbe un invito ad attivare opposizione e sabotaggio politico-economico. Ciò è particolarmente vero relativamente ai comunisti” <314.
Pochi giorni più tardi il segretario di Stato in persona ritenne opportuno concentrare l’azione del suo dipartimento sui segnali sempre più preoccupanti che arrivavano relativamente alla situazione italiana: un’agenzia del governo aveva infatti sottolineato una nuova attività in corso tra il partito comunista e l’ambasciata sovietica, foriera di nuove indicazioni provenienti da Stalin per l’azione del Pci. L’ipotesi di un’azione insurrezionale era fortemente presa in considerazione da Byrnes, che decise di mettere in allerta l’ambasciata a Roma: “Il segretario di Stato – si legge nel telegramma inviato da Byrnes a Key – inoltra per informazione dell’incaricato d’affari un rapporto, con allegato, fornito al Dipartimento da un’altra agenzia del Governo sui contatti tra il Partito Comunista Italiano e l’ambasciata sovietica” <315. Purtroppo l’allegato non è presente nella documentazione conservata, ma è interessante notare come l’attenzione di Byrnes si concentrasse sul legame tra il Pci e l’Urss.
In quel periodo l’attenzione dei policy-makers statunitensi a Washington era concentrata sugli sviluppi della politica interna italiana. Il nuovo turno di consultazioni locali, che si era concluso il 10 novembre con le votazioni di Roma, Napoli, Genova, Torino, Firenze e Palermo, aveva mostrato la tendenza ad un evidente aumento di voti a sinistra, con un predominio del Pci sui socialisti. La Dc ne usciva ridimensionata a vantaggio dei partiti della destra, soprattutto dall’Uomo Qualunque. A Roma la lista democristiana passava dai 218.000 voti registrati il 2 giugno a 103.000 voti, meno della metà. Agli occhi degli analisti del dipartimento di Stato la sconfitta mostrava come la strategia di De Gasperi di governare con le sinistre, cercando di mantenerle in posizione secondaria, avesse finito per alienare al suo partito i consensi dei settori della destra. Il 2 dicembre il capo dell’Ufficio Affari Europei Hickerson inviò un memorandum al dipartimento di Stato per fare un’analisi della situazione creatasi dopo le elezioni amministrative: “Come sapete, le recenti elezioni municipali in Italia hanno mostrato impressionanti guadagni dei Comunisti alle spese dei moderati cristianodemocratici. Questi guadagni riflettono il successo dei costanti attacchi comunisti contro De Gasperi e le potenze occidentali”. <316 Nel memorandum il responsabile per gli Affari Europei continuava poi osservando come la strategia dei comunisti fosse quella di screditare De Gasperi, allo scopo di formare un nuovo governo più spostato a sinistra, e come essi non aspettassero altro che un fallimento del premier DC su qualche questione per poterlo attaccare apertamente. Dunque sollecitava il dipartimento a prendere misure concrete per sostenere il leader democristiano, altrimenti il rischio che l’Italia diventasse un paese comunista sarebbe diventato eccessivamente alto.
[NOTE]304 NARA, RG 165, Entry 421, Box 87, relazione del Joint Chiefs of Staff intitolata “Use of Italian Army in Event of Hostilities in Northern Italy”, datata 25 luglio 1946.
305 Ivi.
306 A. Offner, Another Such Victory, cit., pp. 170-171.
307 NARA, RG 165, Entry 421, Box 88, direttiva top-secret del Joint Chiefs of Staff, datata 25 agosto 1946.
308 NARA, RG 165, Entry 421, Box 88, memorandum dell’U.S. Chiefs of Staff datato 29 agosto 1946.
309 NARA, RG 84, Entry 2790, Box 3, rapporto del Chiefs of Staff Committee datato 11 settembre 1946, intitolato “Appreciation of the Available Reinforcement for the Yugoslav Forces in North-West Yugoslavia”.
310 Ivi.
311 Cfr. M. Leffler, A Preponderance of Power, cit., pp. 130-138.
312 NARA, RG 84, Entry 2780, Box 5, telegramma di Key per il segretario di Stato intitolato “Evaluation of Italian Government by a Military Intelligence Agency”, datato 22 novembre 1946.
313 Ibidem, rapporto del CIC allegato al dispaccio di Key del 22 novembre.
314 Ivi.
315 NARA, RG 84, Entry 2780, Box 5, telegramma segreto del dipartimento di Stato a firma di Byrnes per lo Chargé d’Affaires Key, datato 29 novembre 1946.
316 FRUS, 1946, vol. V Italy, cit., p. 948, Memorandum segreto inviato dal direttore dell’Ufficio Affari Europei Hickerson al Dipartimento di Stato il 2 dicembre 1946.
Siria Guerrieri, Obiettivo Mediterraneo. La politica americana in Europa Meridionale e le origini della guerra fredda. 1944-1946, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Anno accademico 2009-2010
#1946 #AlcideDeGasperi #America #anticomunismo #CIC #DC #fobie #governo #HarrySTruman #Italia #Jugoslavia #PCI #PSI #Sacmed #servizi #SiriaGuerrieri #StatiUniti #statunitensi #URSS
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Il cielo di agosto: dalle Perseidi a un triangolo… celeste
edu.inaf.it/rubriche/il-cielo-…
Il cielo di agosto: la Luna disegna un triangolo con Venere e Giove, l’atteso sciame delle Perseidi, la ISS e la Tiangong sui cieli italiani!
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bob wilson: “persephone”
youtu.be/0-cdT9cPlFs?si=QgRWm8…
#art #arte #BobWilson #Persefone #Persephone #teatro #theatre
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odyssey – in viaggio con bob wilson (sky arte, italia)
youtu.be/qDfqN5Ta8F4?si=0nUDXj…
Odyssey – viaggio con Bob Wilson nasce dalla collaborazione di 3D Productions, della piattaforma ufficiale di Web TV del Teatro Piccolo di Milano e del canale Sky Arte.
#3DProductions #BobWilson #Odissea #Odyssey #Sky #SkyArte #teatro #TeatroPiccoloDiMilano #Ulisse #viaggioConBobWilson
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dip 057: differx.noblogs.org
sembra che differx.noblogs.org, il gemello eterozigote di slowforward, stia sbancando le statistiche di visita, e ne abbia ricevute e ne riceva parecchie migliaia – almeno in questo mese, nonostante sia estremamente parco nei post. esorto dunque i lettori di slowforward a premiare il buon differx con visite periodiche, dato che ovviamente non potrò che dedicarmi anche – e fittamente – e non saltuariamente – a lui. con post magari diversi (eterodossi) rispetto a slow.
bon voyage ai gemelli: entrambi!
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subliminalaggio delle varie fini con musichette e videini
L’altro giorno ho scoperto una cosa bellissima, che pare una moda dell’epoca a cui risale, mentre ora invece è roba vecchia e dimenticata… di almeno 3 anni fa, su YouTube… (io come al solito arrivo sempre tardi, e figuriamoci): i “subliminals” per finire in ospedale, in coma, o anche peggio; in ogni caso, per liberarsi di tutte le responsabilità e le seccature, augurandosi che semplicemente dal fato arrivi, da un momento all’altro, senza fare niente personalmente, del bel meritato riposo!!! 🥰
youtube.com/watch?v=wCjz9rEp1K…
All’atto pratico non è nulla di assurdo o estremo: sono semplicemente dei video con musichette di sottofondo rilassanti (o a volte no), che vanno dal calmo kawaii a semplici rumori ambientali, e un’immaginetta a tema a schermo, cosa che potrebbe lasciare sicuramente in confusione dato il resto del contesto… Nella sostanza, invece, sono praticamente delle ambientazioni sensoriali messe su per favorire quelle che pare si chiamino “affermazioni subliminali“, molte delle quali sono puntualmente inserite in enormi listoni in descrizione al video, e si ricollegano ovviamente all’oggetto dello stesso… 🤯
Queste asserzioni subliminali, a loro volta, in sostanza sono non altro che delle “preghiere atee”, passatemi il termine, dove semplicemente si esprime un desiderio dicendo la cosa in questione al tempo presente, come se fosse già realtà, o al futuro prossimo, come se si ha la certezza che diventerà realtà a breve. Non ho ben capito nella pratica come si usano — se si devono dire a mente, ad alta voce, o che — ma, stando ai commenti (per quanto ci si possa mai fidare dei commentatori medi di YouTube), a differenza delle preghiere religiose, queste qui sembrano statisticamente funzionare abbastanza… (Ho trovato in realtà per caso anche un video che spiegherebbe come si usano questi contenuti, ma non l’ho guardato, vabbè: “This is how you PROPERLY listen to subliminals | law of assumption“) 💣
Ma, ovviamente, il “🦋coma forzato🦋 (ascolta una volta)” è solo la punta della piramide di ghiaccio galleggiante (“iceberg”), e un po’ lo si scopre semplicemente seguendo i video correlati, mentre per il resto è bastata qualche ricerca ad intuito. Da un lato questi subliminali sono usati per le cose più assurde e irrealistiche, come che ne so, avere la pelle pulita, o ottenere bei soldi, o superare gli esami, o in generale avere fortuna… mentre dall’altro, appunto, si scende fino alla morte!!! Ma anche solo di questi “negativi” è pieno, sono tantissimi, tant’è che anche riassumerli tutti in questo post non è il caso… ma, quelli che ho trovato finora li lascio in una lista qui: memos.octt.eu.org/m/SEGBfde5dx…. (Alcuni hanno musiche davvero belline.) 😻
In generale, mi colpisce che alcuni si impegnano molto a creare questi robi… soprattutto 1 (un) canale, che esce praticamente per qualsiasi query relativa al finire in ospedale, “chai’s hospital“, e che purtroppo trovo allucinante, ma ha video per tipo 20 condizioni mediche diverse, terminali e non. Sul morire direttamente si va invece un po’ sull’impossibile, perché, mentre alcuni si fermano al creare affermazioni per avere un infarto o arresto cardiaco (cose che possono capitare), molti altri vanno sul “respawnare” in un’altra realtà o cose di quel tipo, che per quanto sappiamo sono fisicamente impossibili, e quindi probabilmente cazzate belle e buone. Però oh, quelle plausibili sono già tante e sufficienti… 😳🙏
chai's hospital
♡Important Information♡ + + + Hi! My name's Chai and I run this account :) I go by any pronouns. I always prioritize requests! Here's some info if you'd like to request a subliminal: -I only do subliminals that are medical-related/fit the theme o…YouTube
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Anche in seguito ci sarebbero stati altri numerosi tentativi da parte della CIA di scoprire di più sul conto dell’ODEUM Roma
Dopo la fine della seconda guerra mondiale gli equilibri internazionali cambiarono velocemente, e con essi anche il mondo dei servizi segreti. All’interno di una più ampia strategia anticomunista in Europa, la Germania occidentale e le sue reti d’intelligence legate al defunto Terzo Reich emersero come nuovi alleati della superpotenza statunitense. In questo contesto l’Italia giocò un ruolo cruciale. Nel 1946 l’Organisation Gehlen, un servizio segreto tedesco-occidentale costituito per iniziativa statunitense e in collaborazione con l’ex ufficiale della Wehrmacht Reinhard Gehlen, istituì l’ODEUM Roma, la propria base estera nella capitale italiana, guidata dall’ex fisico nucleare Johannes Gehlen, fratello maggiore di Reinhard. Proprio il rapporto tra i due fratelli e le complesse dinamiche di comunicazione e controllo tra base estera e “organizzazione madre” diventano in questo volume la lente focale per un’analisi dell’evoluzione e dell’attività dell’Organisation Gehlen in Italia tra il 1946 e il 1956 nel contesto della “guerra di spie” che dilagava nella penisola agli inizi della guerra fredda.
Presentazione di Sarah Lias Ceide, Scontri tra spie agli inizi della guerra fredda. L’Organisation Gehlen in Italia, 1946-1956, fedOA – Federico II University Press, Napoli, 2023
Nonostante le dinamiche che avrebbero portato nuovamente alla guida diretta dell’ODEUM Roma da parte di Reinhard Gehlen, alcuni interrogativi rimangono tuttavia aperti rispetto ai report del ‘52. Innanzitutto chi era il vero responsabile della falsità delle informazioni inviate? E perché nessuno del gruppo romano si era accorto delle suddette mancanze prima di inoltrare il tutto all’ufficio “Analisi”? Purtroppo non è possibile ricostruire in maniera soddisfacente né la costituzione della rete di informatori dell’ODEUM Roma per quanto riguarda l’Europa dell’Est, né le dinamiche di comunicazione fra tali informatori e il gruppo romano. Sembra tuttavia ovvio, sulla base delle succitate valutazioni dell’ufficio “Analisi”, che gli individui reclutati in tale ambito dall’ODEUM Roma siano stati totalmente privi di esperienza spionistica, forse addirittura semplici “imbroglioni”, la cui attività era volta unicamente al guadagno.
Non c’è infatti ragione per dubitare del giudizio del succitato ufficio, secondo cui i report nella loro totalità risultassero «un imbroglio smascherato immediatamente» <515. E anche se l’ufficio “Analisi” aveva tenuto a sottolineare che una mancante formazione in campo spionistico da parte dei membri dell’ODEUM Roma non sarebbe stata sufficiente a spiegare il livello scarsissimo dei report del ’52, a mio avviso, ciò potrebbe invece essere parte del problema. Come si è visto precedentemente, nel ’49, sullo sfondo dello “scandalo SMOM”, Johannes Gehlen aveva riconosciuto la necessità di ricevere una formazione appropriata in campo spionistico, la cui mancanza avvertiva come un potenziale ostacolo per la propria carriera <516. Dalle fonti non emerge se egli all’inizio del ’52 avesse già seguito dei corsi di formazione a Pullach o se avesse ricevuto un altro tipo di addestramento in tal senso. Di conseguenza, a mio parere, la mancanza di esperienza e di un modus operandi professionale nella raccolta di informazioni sensibili è un elemento importante per poter spiegare ”l’affare dei report” del ’52. A ciò si aggiunge, come veniva anche annotato nelle suddette valutazioni, che nessuno dei membri dell’ODEUM Roma era esperto né dell’Est Europa né tantomeno della situazione militare di tali paesi. Di conseguenza è piuttosto improbabile che il gruppo romano avesse realmente le competenze necessarie a rivedere e valutare in modo efficace le informazioni trasmesse dai propri informatori. La suddetta valutazione sembrerebbe inoltre insinuare quasi il sospetto che dietro i report “fasulli” dell’ODEUM Roma ci fosse stata la concreta intenzione, da parte di Johannes e dei suoi collaboratori, di fabbricare informazioni sensibili e di “imbrogliare” la centrale dell’Organisation Gehlen, magari, si potrebbe ipotizzare, allo scopo di esaltare una presunta importanza strategica della base estera romana per giustificarne la futura esistenza. È tuttavia mia opinione che tale ipotesi non sia plausibile. Come si vedrà anche in seguito, è più probabile che gli sbagli, anche gravi, commessi dall’ODEUM Roma siano da attribuirsi all’inesperienza dei membri del gruppo piuttosto che alla loro malafede.
Qualunque sia alla fine stata la ragione alla base dell’ “affare dei report”, lo “scontro” tra l’ODEUM Roma e l’ufficio “Analisi” sarebbe stato evitato con l’intervento di Reinhard. Anche se in tal modo, come già detto, egli era riuscito a sottrarre il fratello maggiore alle critiche e alle interferenze esterne, la sua gestione diretta dell’ODEUM Roma non sarebbe durata a lungo. Infatti, sullo sfondo del rapido avvicinarsi dell’“ufficializzazione” dell’Organisation Gehlen, tra il ’52 e il ’53, il capo del servizio segreto tedesco avrebbe preso una decisione importante per il futuro dell’ODEUM Roma: il suo trasferimento al cosiddetto “Archivio” di Wolfgang Langkau, anche conosciuto come “Servizio Strategico”.
[…] la ricostruzione precisa di come l’ODEUM Roma si sia inserito sul piano burocratico e amministrativo all’interno dell’Organisation Gehlen non risulta facile, come hanno dovuto ammettere retrospettivamente gli stessi membri del BND <517. Nonostante ciò, grazie soprattutto alla minuziosa analisi di Thomas Wolf della struttura e dell’organizzazione interna dell’Organisation Gehlen, oltre all’esistenza di alcuni documenti di archivio rivelatori e utili in tal senso, è possibile gettare almeno parzialmente luce sulle dinamiche burocratiche e strutturali che caratterizzarono l’ODEUM Roma a cavallo tra la primavera del ’52 e i primi mesi del ’53, in seguito al suddetto “affare dei report” sull’Europa dell’Est.
Sono già state individuate e analizzate in precedenza le motivazioni che permettono di interpretare Johannes e l’ODEUM Roma come “corpi estranei” all’interno dello stesso servizio segreto tedesco: annessi ufficialmente all’ufficio “35” come Sonderverbindungen, ma, a quanto pare, guidati e controllati quasi esclusivamente da Reinhard Gehlen, solo pochi esterni avevano modo di accedere alle informazioni raccolte e trasmesse dai membri dell’ODEUM Roma. Il ’52, con l’invio dei suddetti report e l’esito disastroso della successiva valutazione per mano dell’ufficio “Analisi”, aveva poi provocato, come già visto, nuovamente l’intervento del capo dell’Organisation Gehlen. Gli eventi dei primi mesi del ’52 avevano portato Reinhard a “isolare” nuovamente il fratello non solo dal resto del servizio segreto tedesco, ma anche dalla CIA e dagli inviati di quest’ultima a Pullach, proprio in un momento in cui l’intelligence statunitense sembrava interessarsi sempre di più dell’operato dell’ex fisico nucleare a Roma. Infatti a partire dal ’51 la CIA aveva iniziato a richiedere con insistenza maggiori informazioni «circa il contributo dato da Johannes Gehlen e dai suoi collaboratori alla generale raccolta di informazioni d’intelligence» dell’Organisation Gehlen <518. Anche in seguito ci sarebbero stati altri numerosi tentativi da parte della CIA di scoprire di più sul conto dell’ODEUM Roma, ma alla fine, essa «non venne più informata da Reinhard Gehlen circa l’attività e i risultati raggiunti dal gruppo romano» <519.
Quanto appena detto fa emergere un elemento importante in riferimento ai “rapporti di forza” tra CIA e Organisation Gehlen, ovvero che, nonostante gli sforzi ripetuti dell’intelligence statunitense, il servizio segreto di Reinhard continuava a rimanere almeno parzialmente fuori dalla sfera di controllo della CIA. Se a ciò si aggiunge anche la generale “crisi” venutasi a creare nei rapporti tedesco-statunitensi a Pullach all’inizio degli anni Cinquanta, in vista della imminente trasformazione dell’Organisation Gehlen nel nuovo servizio segreto federale estero, diventa chiaro perché la nascita del futuro “Servizio Strategico” possa essere vista come una sorta di “sintomo collaterale” della generale “politica gehleniana”. Infatti, come si vedrà, il processo di costituzione e la struttura interna del “Servizio Strategico” diventano emblematici per capire una generale tendenza dell’Organisation Gehlen, e successivamente del BND, a frammentarsi progressivamente, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, in vari reparti eterogenei e solo parzialmente legati fra loro.
La costituzione del “Servizio Strategico”
La storia della nascita e dell’evoluzione del “Servizio Strategico”, rimane ancora perlopiù nel buio. Come già accennato, secondo alcune fonti BND, esso nacque nel ’52 nella sua forma più embrionale su mandato di Adenauer, secondo cui l’Organisation Gehlen avrebbe dovuto «dare vita a un organo d’intelligence indipendente dagli americani dal punto di vista operativo ed economico, allo scopo di raccogliere informazioni sull’Europa occidentale e sul Terzo mondo» <520, agendo esclusivamente alle dipendenze del cancelliere. Secondo lo stesso Reinhard Gehlen, tra le attività di questo nuovo organo d’intelligence sarebbe dovuto rientrare anche lo spionaggio anticomunista verso i paesi sotto influenza sovietica così come verso organizzazioni e partiti comunisti nel blocco occidentale e nei paesi non-allineati <521. In quanto risultato di questo “tacito accordo” tra il governo tedesco-federale e l’Organisation Gehlen, da cui la CIA era dunque esplicitamente estromessa, il futuro “Servizio Strategico” si configurava sin dall’inizio, secondo Wolf, come una sorta di «servizio segreto dentro il servizio segreto» <522. La nascita di questo nuovo ufficio sembrava dunque assolvere a due principali obiettivi. Da una parte, si configurava come elemento importante del più ampio processo di trasformazione del servizio segreto di Pullach in BND, visto che il governo tedesco-federale aveva preso la decisione di fare dell’Organisation Gehlen il nuovo organo d’intelligence estero della RFT proprio nel ’51 <523. Dall’altra, si poneva come funzionale allo sforzo di Reinhard di allontanare alcuni elementi del proprio servizio segreto, fra cui l’ODEUM Roma, dal controllo della CIA.
Il “Servizio Strategico”, che assunse tale nome ufficialmente solo a partire dal ’56, nacque inizialmente sotto il nome in codice “Archivio” e fu guidato da Wolfgang Langkau, un conoscente di vecchia data di Reinhard e mediatore tra l’Organisation Gehlen e gli ambienti cristiano-democratici tedesco-federali <524. Sin dal 1951 Langkau aveva esercitato la propria attività d’intelligence per conto del servizio segreto tedesco sotto la copertura di collaboratore del giornale «Neues Abendland», organo di comunicazione principale della cosiddetta Abendländische Bewegung (Movimento per l’Occidente). Tale movimento era nato in Germania agli inizi della guerra fredda con ramificazioni internazionali, di stampo conservatore e anticomunista, ed era legato anche a rappresentanti del clero cattolico e della Chiesa protestante <525. A partire dal ’52 Langkau divenne capo del nascente “Servizio Strategico”, con l’incarico preciso di costituire rapidamente un reparto in grado di fornire alla Cancelleria federale informazioni d’intelligence in ambito estero <526. Di conseguenza, a cavallo tra il ’52 e il ’53, gran parte dei “collegamenti speciali” dell’Organisation Gehlen attivi all’estero vennero annessi al “Servizio Strategico”. Tale processo si sarebbe accelerato quando, verso la fine del ’53, Reinhard avrebbe deciso di sciogliere l’ufficio “35”, responsabile di tutti i suddetti “collegamenti speciali”, fra cui, come già accennato, anche l’ODEUM Roma, i quali vennero interamente trasferiti al neonato organismo diretto da Langkau <527.
[NOTE]515 Endgültige Beurteilung, 14 febbraio 1952, BND-Archiv, 220816, doc. 619.
516 Tätigkeiten in Rom, 1949, BND-Archiv, 220815, doc. 420.
517 BND und Vatikan, 22 settembre 1982, BND-Archiv, 42507.
518 T. Wolf, Die Entstehung des BND, cit., p. 428.
519 Ibidem.
520 Ivi, p. 416.
521 Ibidem.
522 Ivi, p. 415.
523 Ivi, p. 420; cfr. T. Wolf, Die Anfänge des BND, cit..
524 T. Wolf, Die Entstehung des BND, cit., pp. 417-418. L‘“Archivio“ di Langkau avrebbe costituito uno dei due pilastri su cui il “Servizio Strategico” si sarebbe basato dopo il ’56. Il secondo pilastro sarebbe stato costituito dal reparto Außenpolitische Aufklärung (Spionaggio estero) di Kurt Weiß, già specialista per lo spionaggio contro i paesi del Patto Atlantico. Ancor prima della fusione dei due suddetti uffici, il soprannome “Servizio Strategico” si sarebbe già affermato per il reparto di Langkau, ragione per cui “Servizio Strategico” viene qui usato come sinonimo di “Archivio”.
525 Per un’analisi dell’Abendländische Bewegung cfr. V. Conze, Die Abendländische Bewegung, in: V. Conze (a cura di), Das Europa der Deutschen. Ideen von Europa in Deutschland zwischen Reichstradition und Westorientierung (1920-1970), Oldenbourg, München 2005, pp. 127-207. Per il legame tra l’Organisation Gehlen, il movimento e gli esponenti principali di questi ultimi cfr. T. Wolf, Die Entstehung des BND, cit., pp. 417-420.
526 T. Wolf, Die Entstehung des BND, cit., p. 421.
527 Ivi, p. 422.
Sarah Anna-Maria Lias Ceide, ODEUM Roma. L’Organisation Gehlen in Italia agli inizi della guerra fredda (1946-1956), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, 2022
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L'Ordine di Malta era preda delle spie | Storia minuta
Roma: il Palazzo dell'Ordine di Malta in Via Condotti. Fonte: Wikipedia Quel che Perilli non sapeva era che nell’Ordine di Malta vi erano già tante spiestoriaminuta (Storia minuta)
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Il Congresso Panafricanista di Monaco di Baviera: un ponte culturale tra Africa e diaspora.
Dal 24 luglio al 3 agosto 2025, il Gruppo di lavoro sul panafricanismo organizzerà la sua ottava edizione del Congresso Panafricanista a Monaco di Baviera, in Germania. Questo importante appuntamento culturale intende valorizzare e promuovere la cultura africana, presentando opere d’arte burkinabè in una serie di eventi che si svolgeranno per undici giorni nella città tedesca.
Secondo Amado Dipama, fondatore del Gruppo di lavoro sul panafricanismo, l’obiettivo della manifestazione è quello di promuovere il panafricanismo all’interno della diaspora, far conoscere a chi vive all’estero le proprie radici, le proprie tradizioni, anche attraverso l’arte. “Abbiamo ricevuto molte testimonianze da parte dei burkinabè qui presenti che non avevano familiarità con alcune delle nostre tradizioni”, ha dichiarato Dipama. “La conferenza servirà anche a far conoscere queste tradizioni”.
Il congresso sarà caratterizzato da diverse attività, tra cui l’inaugurazione di mostre, letture, tavole rotonde e conferenze con studiosi, tutte mirate a esplorare e divulgare le diverse culture africane. Al termine della conferenza, i partecipanti saranno intrattenuti da una performance narrativa del narratore KPG e da uno spettacolo musicale dell’artista Adama Dicko.
Ritratti di BUGBA del Burkina Faso centro-settentrionale esposti in Germania
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Una delle principali attrazioni di questo congresso sarà l’esposizione di opere burkinabè presso la galleria d’arte Köşk, dove i congressisti potranno ammirare i ritratti dei “Bugba”, figure tradizionali simboliche del Centro-Nord del Burkina Faso. Harouna Marané, un foto-giornalista e espositore burkinabè, spiega che i Bugba sono personaggi divini in grado di prevedere il futuro e di interpretare il passato, fungendo da guide spirituali per le loro comunità.
Marané ha notato il grande successo dell’esposizione in Germania, sottolineando come molti africani e burkinabè abbiano avuto l’opportunità di scoprire l’importanza storica dei Bugba. Egli ha quindi invitato i promotori a continuare iniziative simili, contribuendo così alla valorizzazione delle culture delle comunità africane.
Il gruppo di lavoro dietro alla manifestazione è fortemente impegnato nella promozione dell’identità africana nel mondo. Negli anni precedenti, ha organizzato eventi dedicati alla cultura congolese e a quella beninese, consolidando la sua missione di creare un dialogo culturale tra l’Africa e i suoi cittadini residenti all’estero.
Tuttavia, gli organizzatori del congresso riconoscono le sfide nel promuovere la cultura africana nella diaspora. “Inizialmente, abbiamo avuto notevoli difficoltà con i visti per gli artisti”, ha rimarcato Dipama, aggiungendo che ulteriore ostacolo non da poco è rappresentato dal finanziamento.
Fondato nel 2007, il Congresso Panafricanista di Monaco si tiene ogni due anni, e costituisce un’importante piattaforma per la celebrazione e la diffusione della ricca diversità culturale africana in Europa. Questo congresso non solo favorisce la condivisione delle tradizioni, ma stimola anche un senso di appartenenza e identità tra le comunità africane nella diaspora, ponendo le basi per futuri sviluppi culturali e sociali.
Fonti: komuenchen.de/veranstaltung/au…, faso7.com
Ausstellung Weiter Sehen als die Zeit
Zutritt kosten- und barrierefrei | keine barrierefreien ToilettenKOM
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La Luna di Mina
edu.inaf.it/rubriche/lo-spazio…
Due brani “lunari” molto distanti nel tempo, accomunati dall’interpretazione di una delle più grandi voci italiane.
#canzoni #IvanoFossati #Luna #Mina
La Luna di Mina
Due brani "lunari" molto distanti nel tempo, accomunati dall'interpretazione di una delle più grandi voci italiane.Marco Castellani (EduINAF)
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Emergenza giovani nel Sud. E Catania è la capitale dei Neet
Accanto ad un’Italia da prima pagina, alle prese con i dazi di Trump e con l’andamento incerto dell’export e del Pil, ce n’è un’altra, silenziosa e invisibile. È l’Italia dei Neet: giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non seguono alcun percorso formativo. Rappresentano una delle principali emergenze sociali ed educative del Paese.
L’Italia è il […]
Leggi il resto: argocatania.it/2025/07/31/emer…
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“naima” (john coltrane) _ performed by dan sostex quartet
youtu.be/Rxsd1Rp5M_E?si=cCvLIN…
Dan Sostex Quartet
Danio “Dan Sostex” Sostegni, sax
Massimo Ciolli, chitarra
Stefano Lepri, contrabbasso
Riccardo Bartolozzi, batteria
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minioctt
in reply to minioctt • • •La gente si impegna poi anche per creare affermazioni molto più specifiche nei commenti:
> I have high fever, i keep vomiting, and coughing up blood, i cant move , my temperature is burning hot and my bodys very weak, i have trouble breathing, no appetite and i drastically lose weight in a few days, and i get admitted to the hospital to my very own comfy luxurious private room in the most successful hospital parents spoil me with gifts everybody worries about me my dad wont make a fuss and pays for everything he feels sorry for me and spoils me aswell, and im babied, and i have no notes to write because someone else completes it for me, everybody notices that i dont look well and i stay at the Hospital for months, everybody worries about me, and never gets mad at me, and they immediately make me go to the hospital and doesnt let me go to school