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newsletter slowforward 9 maggio – 21 giugno 2025 + sostieni l’eroica opra ultraventennale del sito


tra ieri e oggi ho spedito per mail – alle persone registrate – la newsletter (a)periodica di slowforward, con link a post pubblicati qui dal 9 maggio al 21 giugno. la newsletter non ha (ancora) un nome, e viene manualmente compilata da me. chi volesse riceverla, per leggere o rileggere informazioni e articoli che giocoforza sono recuperabili ma visivamente scomparsi oltre l’orizzonte degli eventi, può farmene richiesta scrivendo a slowforward.net/contact/

chi volesse sostenere il lavoro di slowforward, di mg / differx,
può farlo via ko-fi oppure paypal


sostieni slowforward, offrigli un caffè! https://ko-fi.com/differx57119
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mettiamola (sempre) così: sono fermo a uno dei semafori della rete, e vi faccio cenno indicando il parabrezza… se apprezzate e vi fa piacere che io da 22 anni quotidianamente vi aiuti a renderlo ben trasparente e sensibile a informazioni & notizie su #scritturadiricerca #scritturasperimentale #palestina #asemicwriting #scritturaasemica #antifascismo #prosa #prosabreve #prosainprosa #artecontemporanea #materialiverbovisivi #audio #podcast #video #presentazioni #criticaletteraria #teorialetteraria #letturepubbliche #progettiletterari, #archivi #anni70 … non avete da fare altro che offrirmi un caffè.

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gigarivista scottiaca con segretissimo numero, trovato così nel vedere colì


A distanza di 2 anni (…io pensavo 1), chi si ricorda Scottecs Gigazine? Probabilmente nessuno, neppure io onestamente. Però, l’altro giorno mi è tornato in mente che esiste, giusto per caricare su TomoStash una manciata di volumi molto vecchi che ho trovato sull’agrodolce Archivio di Anna… e ok. Però poi ieri ho aperto il sito ufficiale della rivista gigante, per includere i link e per copincollare le descrizioni dei tomi, e lì ho scoperto non una, ma ben due (2) cose assurde… furbuffe, quasi. (!) 😱

Innanzitutto, esiste un numero speciale del Gigazine, il Numero Zero XL, che è esclusivamente digitale e gratuito!!! Non l’ho mai sentito prima, e in effetti è bello nascosto sul sito, tutto in fondo alla lista dei prodotti… sarà un regalo per i ficcanaso, e io approvo. La cosa strana però è che non si vede alcun tasto per scaricare, o che… l’unica cosa che a fatica trovo è il tasto “aggiungi al carrello secondario”, scrollando in fondo alla pagina, dove appare come flyout, ma… clicco e non funziona, semplicemente il testo si trasforma in una rotellina che gira all’infinito. Per sicurezza ho provato anche dal browser dei pensionati, che “non si sa mai che su Firefox magari è tutto rotto, specialmente il mio con 31 estensioni“, ma niente. 😓

Grande terrore, quindi. Ho temuto di non poter mettere le mani su questo PDF elusivissimo. Giusto un attimo prima di aprire i devtools del browser, per capire cosa va storto e non posso sistemare (qualcosa nel loro tema di Shopify, il JavaScript tira un errore Uncaught TypeError: this.form is null: initCartBar@theme.js [...]), però, per nessun motivo particolare se non il fatto che ci fosse un pallino “1” nell’angolo, il bottone della chat ha catturato la mia attenzione, e l’ho cliccato… e lì ho riso. Perché tra le tante “risposte immediate” c’è “Non riesco a scaricare il Numero 0 XL, che ho quindi cliccato, e il bot ha risposto “Gigaciao! Non ti preoccupare, utilizza il link qui sotto e scarica il Numero 0 XL! https://gigaciao.com/a/downloads/-/92f4529bab5bf4e…“. 🤯

Cioè… fatemi capire bene… Loro sanno perfettamente che il loro sito è rotto e il download non può partire, e non solo non sistemano semplicemente lo spacc nel codice, ma nemmeno mettono il link diretto al download nel testo della pagina… No, bisogna che l’utente abbia l’intuizione di scavare in altre parti del sito, in questo caso la chat di supporto, per trovare lì finalmente l’oggetto digitale tanto agognato! Regà, boh, è così assurdo che a questo punto non posso non pensare non sia stato fatto apposta; va bene i problemi, va bene l’incompetenza, ma qui siamo oltre: mi sa che è davvero una caccia al tesoro per chi ha abbastanza pazienza come me. Vabbè, tanto ora il numero 0 è ricaricato sul mio sito… e comunque ci ho perso solo 2-3 minuti, ma in cambio ho subito questa user experience assurda da raccontare. 👌

#Shopify #UX #web

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Formare al futuro, partendo dallo Spazio

edu.inaf.it/approfondimenti/in…

Sogni un futuro in campo spaziale? Per l’apertura del nuovo ciclo del Dottorato Nazionale in Space Science and Technology (SST PhD), intervistiamo il Coordinatore nazionale Roberto Battiston in occasione dei Dottorato Days di Palermo.

#altaFormazione #dottorato #dottoratoSst #OsservatorioAstronomicoDiPalermo #UniversitàDiPalermo #UniversitàDiTrento


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Il Sahel è la regione maggiormente colpita dal terrorismo nel 2024.


Il Burkina Faso al primo posto per numero di morti.

Nel 2024, la regione del Sahel in Africa ha registrato il 51% delle morti globali legate al terrorismo, un aumento rispetto al 48% del 2023, secondo il Global Terrorism Index (GTI) 2025, pubblicato dall’Institute for Economics and Peace con sede a Sydney. Il rapporto evidenzia che il Sahel ha rappresentato anche il 19% di tutti gli attacchi terroristici mondiali nel 2024.

Il Burkina Faso detiene il triste titolo di paese più colpito della regione, con oltre 700 morti collegati a gruppi come Jamaat Nusrat Al-Islam wal Muslimeen; ciò nonostante i proclami di riconquista da parte del governo di Ibrahim Traoré ed i selfie dei suoi soldati sui social network, fatti in territori liberati e subito dopo ripersi, spesso con gli interessi. La situazione in Niger è altrettanto drammatica, con più di 400 vittime perdute nell’anno scorso. La maggior parte dei caduti si hanno in villaggi, avamposti militari e raduni pubblici.

In Nigeria, un attacco avvenuto nel villaggio di Mafa, nello stato di Yobe, ha causato la morte di tra i 100 e i 150 individui, oltre a numerosi feriti. Un altro attacco significativo è stato quello dell’Islamic State West Africa Province (ISWAP) contro i membri di Boko Haram nelle aree nordorientali del Lago Ciad, nello stato di Borno, avvenuto il 24 aprile dell’anno scorso, che ha comportato la morte di settanta membri di Boko Haram e dieci dell’ISWAP. Secondo alcuni, uno scontro fratricida…

L’attività terroristica ha colpito anche il Mali, dove un attacco audace a una scuola della Gendarmerie nella parte meridionale della capitale, Bamako, ha provocato la morte di 60 soldati. Jamaat Nusrat Al-Islam wal Muslimeen ha rivendicato la responsabilità per questo attacco.

Secondo le Nazioni Unite, gli attacchi terroristici sono continuati senza sosta anche nel 2025, con un incremento ulteriore del numero delle vittime. La situazione nel Sahel rimane preoccupante, evidenziando la necessità di interventi urgenti e strategie a lungo termine per affrontare questa crisi in corso.


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Background tossici

Il giocatore che rompe il mondo (e non se ne accorge)


Nel gioco di ruolo, i background dei personaggi sono uno strumento potente. Offrono spunti, legano i PG al mondo, creano traiettorie drammatiche. Ma come ogni strumento potente, se usato male può fare danni. A volte anche irreparabili.

Non è raro che un giocatore, in buona fede, scriva un retroterra personale che introduce razze inesistenti, portali dimensionali, imperi mai menzionati, capacità fuori scala o conoscenze che scavalcano l’intera ambientazione. Lo fa per arricchire la storia del suo personaggio, per renderlo “interessante”, “diverso”, “profondo”. Ma il risultato, molto spesso, è che rompe il mondo di gioco.

E nella maggior parte dei casi, non se ne accorge nemmeno.

Il background non è un override


C’è un’idea sottesa, mai detta apertamente, secondo cui il background sia uno spazio libero. Come se, in quella porzione di pregioco, il giocatore avesse pieni poteri. Ma questo è un equivoco pericoloso.

Il background è un contributo, non un override. Non può ridefinire l’ambientazione, né introdurre elementi che il tavolo non ha discusso. Un giocatore non può semplicemente dichiarare che esistono portali interdimensionali, o che è il figlio segreto dell’imperatore, o che ha viaggiato nel tempo. Non se il gioco non lo prevede. Non se nessuno l’ha messo sul tavolo prima.

Il caso del portale interdimensionale


Un esempio emblematico è emerso nella conversazione che ha ispirato questo articolo: durante una campagna fantasy, un giocatore rivela improvvisamente di provenire da un altro mondo, di conoscere l’esistenza di un portale segreto, e di volerci tornare per chiedere aiuto a un vecchio alleato.

Il problema non è solo la portata dell’elemento introdotto (un portale segreto tra dimensioni), ma il modo in cui è stato introdotto: senza preavviso, senza confronto, e con un impatto potenzialmente dirompente sulla coerenza dell’ambientazione.

Il Master, colto alla sprovvista, prova a riassorbire l’elemento nella trama con qualche contromossa (il portale è sorvegliato da nemici, è parte del piano del villain, ecc.). Ma il danno è fatto. Non solo narrativo, ma strutturale: è stato rotto il contratto implicito sui ruoli.

La sessione zero non è opzionale


Questa dinamica si verifica soprattutto quando manca (o è fatta male) la sessione zero. Quel momento iniziale in cui si definiscono le aspettative, le regole implicite, i toni e – soprattutto – i limiti del mondo.

Una sessione zero efficace dovrebbe rendere impossibile che un background simile passi inosservato. Dovrebbe chiarire:

  • Qual è l’orizzonte di possibilità dell’ambientazione
  • Che tipo di agenzia narrativa è concessa ai giocatori
  • Chi decide cosa esiste nel mondo

Se queste cose non sono dette in anticipo, il fraintendimento è garantito. E spesso si scarica tutto sulle spalle del GM, che si trova costretto a fare da filtro posticcio, mediatore e rattoppo ambulante.

Ma non è questione di controllo


Attenzione, il punto non è “vietare” i background creativi. Il punto è stabilire se stanno dentro le regole del gioco e del mondo condiviso. Un Master può accettare qualsiasi cosa, anche un personaggio che viene da un altro piano di esistenza, ma deve saperlo prima, e decidere se e come integrarlo.

Altrimenti, il giocatore sta esercitando un’autorità narrativa che non gli spetta. E anche se lo fa in buona fede, sta scavalcando il tavolo.

Non è una questione di controllo. È una questione di rispetto.

Conclusione


Il background non è un luogo neutro. Non è una fanfiction autonoma. È un contributo che va accordato con il resto della tavolata. Altrimenti diventa tossico: mina la coerenza, rompe i ruoli, e avvelena la fiducia.

Un buon giocatore scrive un background che risuona con il mondo, non che lo riscrive.
Un buon Master lo legge, lo integra, o lo rifiuta.
Un buon gruppo ne parla prima, non quando è troppo tardi.

#gdr #giochiDiRuolo #tecniche


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Leader delle nazioni aderenti a ECOWAS riuniti ad Abuja fra tensioni e nuove sfide.


Oltre all’elezione del nuovo presidente, numerose le problematiche da affrontare

Il 22 giugno 2025, la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS) si è riunita nella capitale della Nigeria, Abuja. I capi di Stato della regione si sono radunati per valutare lo stato attuale del blocco, che continua a confrontarsi con l’instabilità interna dopo una serie di colpi di stato militari avvenuti in diversi paesi membri.

Il Presidente della Commissione ECOWAS, Omar Alieu Touray, presenterà un aggiornamento sullo stato delle negoziazioni riguardanti il ritiro formale di Mali, Niger e Burkina Faso. Questo sviluppo potrebbe ridefinire il panorama politico ed economico dell’organizzazione.
ECOWAS logoECOWAS logo
Il summit si svolge mentre il Presidente nigeriano Bola Ahmed Tinubu si prepara a lasciare il suo incarico di presidente di ECOWAS, ruolo che ha assunto a Bissau nel 2023. Il mandato di Tinubu è stato caratterizzato da ambiziose dichiarazioni di intenti ma da risultati non proprio esaltanti. Sebbene abbia adottato una netta posizione contro i colpi di stato e abbia invocato un’integrazione regionale più profonda, i suoi sforzi non hanno raggiunto pienamente gli obiettivi prefissati. La sua spinta per un intervento militare contro la giunta del Niger non ha sortito effetto, e i suoi progetti più ampi per rivitalizzare il blocco restano in gran parte incompiuti.

In un ultimo gesto diplomatico, Tinubu ha convocato una riunione economica subregionale il giorno precedente, invitando Mali, Niger e Burkina Faso. Tuttavia, queste tre nazioni guidate da giunte militari hanno rifiutato di partecipare, sottolineando il fossato sempre più profondo tra di esse e l’organizzazione.

Dal summit dovrà emergere il successore di Tinubu come presidente di ECOWAS. I principali contendenti includono il Presidente senegalese Bassirou Diomaye Faye e l’ex Presidente ghanese John Dramani Mahama. Una tradizione di lunga data, sebbene non ufficiale, di rotazione della leadership tra paesi anglofoni, francofoni e lusofoni avrà il suo peso nella scelta finale.

Chiunque assuma la guida si troverà a gestire un’organizzazione in difficoltà, in un momento cruciale. Oltre a necessarie riforme interne, il nuovo leader dovrà affrontare relazioni tese con le nazioni saheliane in rottura e tentare di riportarle all’interno dell’alleanza; in tal senso le difficoltà non mancano, anche a causa degli attriti con gli stati confinanti.


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Visti Schengen, porta chiusa per molti Africani.


Il tasso di rigetto delle richieste è molto più elevato che non per gli altri continenti.

Per molti africani sognare di visitare l’Europa per turismo, conferenze, istruzione o riunioni familiari si sta trasformando in una lotta sempre più difficile. Le ultime statistiche della Commissione Europea rivelano una realtà preoccupante: i richiedenti africani affrontano alcuni dei tassi di rifiuto più elevati del mondo nel tentativo di ottenere il visto Schengen.

Nel 2024, sono stati migliaia i viaggiatori africani i quali hanno visto infrangersi le loro speranze di viaggio. Secondo dati ufficiali, paesi come Comore, Guinea-Bissau, Senegal, Nigeria e Ghana hanno registrato tassi di rifiuto oscillanti tra il 45% e il 63%, rendendoli tra i più colpiti a livello globale.

Quest’anno, la zona Schengen, ha ricevuto oltre 11,7 milioni di domande di visto per soggiorni brevi. Sebbene la domanda globale sia aumentata del 13,6%, la porta è rimasta saldamente chiusa per molti africani.

Oltre alla beffa, anche il danno.


Ogni domanda di visto Schengen costa 90 euro (circa 100 dollari americani), indipendentemente dall’esito. Si tratta di una tassa non rimborsabile che deve essere pagata anche quando la domanda viene respinta, spesso con spiegazioni minime.

Secondo un’analisi del LAGO Collective, gli africani hanno perso un patrimonio stimato di 60 milioni di euro (67,5 milioni di dollari) solo nel 2024 a causa di domande respinte. Si tratta di denaro speso non per viaggiare, bensì a causa della burocrazia.

“Le nazioni più povere del mondo stanno pagando i paesi più ricchi per non essere accettate”, afferma Marta Foresti, fondatrice della succitata associazione che ha sede nel Regno Unito. “Più povero è il paese di origine, maggiori sono i tassi di rifiuto.” Dal punto di vista europeo, la spiegazione è però piuttosto evidente: il timore che una volta scaduto il visto, il visitatore faccia perdere le proprie tracce e non rientri più nella nazione d’origine.

I dati della Commissione Europea rivelano quanto sia diseguale il peso dei rifiuti:

– Comore: 62,8%
– Guinea-Bissau: 47,0%
– Senegal: 46,8%
– Nigeria: 45,9%
– Ghana: 45,5%
– Congo-Brazzaville: 43,0%
– Mali: circa 43%
– Guinea: 41,1%
– Burundi: 40,0%
– Etiopia: 36,1%

A titolo di confronto, il tasso medio di rifiuto globale si attesta intorno al 18%, rendendo i numeri africani eccezionalmente elevati.

Più di Una Questione Burocratica


Le ambasciate europee insistono sul fatto che ogni domanda è valutata singolarmente, considerando aspetti come lo scopo della visita, i mezzi finanziari e la volontà del richiedente di tornare a casa. Tuttavia, i critici sostengono che il processo rimane opaco, con poca responsabilità.

“Questi alti tassi di rifiuto non sono solo amministrativi, ma sintomatici di problemi più profondi: disuguaglianza, sospetto e pregiudizio sistemico,” aggiunge Foresti.

Molti richiedenti affermano di presentare regolarmente tutti i documenti necessari, dalle lettere di impiego ai bilanci bancari e all’assicurazione di viaggio, solo per ricevere dinieghi vaghi e senza chiarimenti. In alcuni casi, le persone vengono ripetutamente negate, anche per motivi di viaggio legittimi come conferenze o eventi familiari.

Mentre i governi africani costruiscono partenariati con l’Europa in vari settori, tra cui commercio, istruzione e tecnologia, le barriere al movimento contrastano fortemente con la retorica di cooperazione. Nel frattempo, i cittadini europei affrontano poca resistenza quando viaggiano in Africa, sollevando interrogativi difficili su equità, reciprocità e rispetto.

In un mondo globalizzato dove la mobilità spesso equivale a opportunità, gli africani si trovano esclusi non perché manchino di intenzione o preparazione, ma perché il sistema sembra sempre più orientato contro di loro. Con la pressione che aumenta per una riforma dei visti e una maggiore trasparenza, la speranza è che le voci e i portafogli africani non continuino a sopportare i costi più elevati per i risultati più bassi.


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pod al popolo, # 067: vincenzo ostuni, “faldone” (il saggiatore), presentazione a milano, 11 giu. 2025


Audio completo della presentazione del Faldone, di Vincenzo Ostuni (il Saggiatore, 2025), al ferrobedó, Milano, 11 giugno 2025, con interventi critici di Tommaso Di Dio, Daniele Giglioli e Arturo Mazzarella. Ora su Pod al popolo. Podcast irregolareed ennesimo fail again fail better dell’occidente postremo. Buon ascolto.
Vincenzo Ostuni, "Faldone" (il Saggiatore, 2025)
pagina del libro: ilsaggiatore.com/libro/faldone

#ArturoMazzarella #audio #DanieleGiglioli #Faldone #Ferrobedò #IlSaggiatore #lettura #mp3 #PAP #pap067 #pap067 #podAlPopolo #podalpopolo #podcast #poesia #poesie #presentazione #reading #scritturaDiRicerca #scrittureDiRicerca #TommasoDiDio #VincenzoOstuni

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Note dal Convegno “Legge Sicurezza”: contro le Legge spinte autoritarie, questioni di costituzionalità e tutela dei diritti umani a Padova il 21 giugno 2025


Una positiva giornata di discussione e condivisione

Partecipata ed appassionata la presenza al Convegno “Legge Sicurezza”: contro le spinte autoritarie, questioni di costituzionalità e tutela dei diritti umani , promosso da Associazione Nazionale Giuristi Democratici e Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca”, Università di Padova che si è svolto a Padova il 21 giugno 2021.

La qualità degli interventi nei diversi momenti dell’incontro attesta l’impegno di chi è intervenuto nel portare un contributo utile a tracciare un percorso collettivo di opposizione al Decreto Sicurezza oggi Legge, proprio a partire dalle diverse specificità e competenze come nelle migliori jam session musicali.

Proponiamo solo alcune brevissime note a caldo. Quanto prima saranno disponibili a cura del Centro Diritti Umani le registrazioni video integrali degli interventi e sarà cura dei GD far circolare in forma di opuscolo le interessanti relazioni svolte.

La giornata si è aperta con le brevi introduzioni dei promotori.

Il primo a prendere la parola è stato il Marco Mascia a nome del Centro Diritti Umani. Al centro del suo intervento la pericolosità dell’attacco al diritto, che dovrebbe essere bussola della politica, sul piano internazionale e locale. Nel tempo della presa di potere di sovranisti, nazionalisti e populisti questa connessione va analizzata nella sua complessità per alimentare forme di contrasto capaci in maniera innovativa di saldare quel che accade nel mondo con i fatti di casa nostra.

Roberto Lamacchia, copresidente GD ha ricordato i motivi che hanno portato a elaborare l’idea dell’iniziativa a fronte delle preoccupazioni che fin dall’inizio l’associazione ha avuto nei confronti del Decreto Sicurezza poi diventato legge attraverso una forzatura di iter anch’essa preoccupante, a dir poco. L’obiettivo che ci è proposti era quello di realizzare nella stessa giornata un approfondimento dottrinario e un momento di confronto per rafforzare la volontà comune di opporsi in maniera concreta nelle aule di tribunale alle norme approvate attraverso le questioni di illegittimità costituzionale.

Aurora D’ Agostino, copresidente GD ha esordito dicendo che la presenza al Convegno non solo di avvocati o giuristi ma anche esponenti di realtà associative, studenti e studentesse è importante proprio per lanciare il messaggio che ritrovarsi insieme, aprire spazi di approfondimento ed azione fuori e dentro le aule di Tribunale è fondamentale per scardinare l’autoritarismo alla base delle norme della nuova Legge Sicurezza. Automatismi, eccessività della pena, il tabù del tema della gestione di Pubblica Sicurezza sono alcuni degli aspetti che vanno affrontatati per contrastare anche attraverso lo strumento della legittimità costituzionale l’intera Legge Sicurezza e le sue singole norme. “Difendersi e contrattaccare con il sistema democratico” ha concluso augurando buon lavoro per la giornata.

E’ seguito il saluto di benvenuto fatto da Francesca Venturini a nome dell’Associazione Giuristi Democratici di Padova che ha sottolineato l’importanza di una discussione comune sui profili problematici dell’impianto normativo e le ricadute che possono avere sull’intero tessuto democratico.

La mattinata si è articolata in due panel coordinati con maestria dalla Professoressa Paola Degani del Centro di Ateneo per i Diritti Umani – Università di Padova che ha ospitato l’iniziativa.

Ad apertura della prima sessione Paola Degani ha sottolineato l’importanza del confronto nel momento in cui stiamo assistendo a torsioni antidemocratiche che si inseriscono in una sorta di anti umanesimo legislativo in cui si usano volutamente orientamenti targhetizzanti per un attacco complessivo ai diritti soggettivi ed umani.

Alessandra Algostino dell’Università di Torino non ha usato mezzi termini nel definire un atto eversivo il passaggio del Decreto Sicurezza in Legge visto che l’inter di trasformazione deve avere precisi requisiti di necessità ed urgenza oltre al fatto che ci dovrebbe essere omogeneità nel provvedimento. Questi aspetti inquietanti insieme all’uso spregiudicato della fiducia portano ad una deriva autoritaria che , squilibrando i poteri, incide sulla forma stato. Per questo è importante guardare con le lenti costituzionali alle norme per incidere sugli aspetti di repressione del dissenso, la forzatura del passaggio da stato sociale a stato penale, l’introduzione di privilegi istituzionali. L’intervento puntuale si è soffermato su tutti questi temi per chiudersi sull’importanza di impostare con chiarezza le tante questioni di legittimità costituzionale da presentare.

Fabio Corvaja dell’Università di Padova, partendo dagli spunti presentati, ha approfondito la libertà di riunione come un presupposto del sistema democratico che spetta ai cittadini, tutti nell’accezione più piena e il nesso tra esercizio della libertà di riunione e la sovranità popolare. Aspetti già toccati dalla giurisprudenza costituzionale che vanno sempre tenuti presenti. Altro punto toccato è stato quanto norme presenti nella Legge Sicurezza che agiscono ex ante e non ex post si inseriscano nel solco di limitazioni autoritarie della libertà di riunione con un effetto intimidatorio sull’intera azione sociale. L’imbrattamento dei muri da pura espressione del pensiero diventa comportamento che può portare in carcere come per reati ben più gravi in contraddizione con il principio della congruità della pena, l’uso di norme che trasformano in reati condotte inserite nel diritto riconosciuto di sciopero lede un diritto fondamentale preminente, l’eccessiva tutela delle Forze dell’ordine crea un vulnus ai principi di eguaglianza. Sono tutti aspetti che portano a carichi sanzionatori molto cupi da maxi processi. “Il Re è nudo” ha concluso e speriamo che “non finisca come nella favola di Andersen in cui il bambino che dice la verità viene preso a bastonate”.

Antonello Ciervo di Unitelma, Sapienza Università di Roma ha aperto il suo intervento collocando le vicende italiane nel contesto internazionale, citando le contraddizioni del Consiglio dei Ministri sui dazi di Trump proprio nello stesso momento in cui si decideva la trasformazione del Decreto Sicurezza in Legge per “reprimere oggi quelli che domani protesteranno quando i dazi saranno applicati”. Ha continuato soffermandosi su punti particolarmente contradditori presenti in vari articoli della Legge che forzano sistematicamente aspetti legislativa all’interno di una logica che non è solo una patologia securitaria ossessiva ma il punto di partenza per un complessivo disegno di modifica costituzionale verso uno stato autoritario.

Paolo De Stefani dell’Università di Padova ha illustrato approfonditamente le preoccupazioni contenute nelle comunicazioni dei Relatori speciali dell’ONU in riferimento al Decreto Sicurezza. Un intervento molto utile sia per capire meglio le dinamiche sottese all’operato di questi esperti indipendenti che agiscono all’interno delle strutture dell’ONU sia per riflettere su come utilizzare efficacemente il piano internazionale nelle vicende giuridiche nostrane. La relazione ha illustrato in maniera precisa in particolare l’operato del Relatore Internazionale in tema di diritto all’abitare.

A seguire si è svolto il secondo panel in cui sono intervenuti esperti penalisti sempre coordinato da Paola Degani che ha intervallato gli interventi sottolineando gli spunti per analizzare i problemi posti dalla Legge in maniera efficace a contrastare il clima politico complessivo.

Il primo a prendere la parola è stato Antonio Cavaliere dell’Università di Napoli constatando positivamente come sui punti critici della Legge ci sia attenzione comune da parte di professori di Diritto penale, magistrati come quelli dell’ANM e avvocati delle Camere Penali. Voci critiche da fronti diversi che fanno ben sperare per un contrasto articolato alle logiche sottese dalla legge. Si tratta di mettere in campo un piano culturale per affermare il valore di una sicurezza reale non solo di misure atte a rassicurare in maniera simbolica l’opinione pubblica. Approfondire la critica sul piano legislativo complessivo afferente all’uso dei decreti legge che ha ricordato dovrebbero essere basati su necessità e urgenza come fondamenti non solo da enunciare ma da dimostrare. Riaffermare l’uso del diritto penale come arma estrema non come supplenza ad un generico concetto di legalità usato per altri fini. L’intervento ha affrontato i temi come il principio di offensività, la proporzione della pena per affrontare non in maniera generica gli aspetti di legittimità costituzionale delle norme approvate.

Gian Luigi Gatta dell’Università Statale di Milano, Presidente dell’Associazione dei Professori Penali ha aperto il suo intervento analizzando come ci troviamo in un contesto di populismo non solo in Italia e come viviamo in un tempo di campagna elettorale permanente che porta alla continua enfatizzazione mediatica degli argomenti. I penalisti dovrebbero diventare nuovi virologi a cui si chiede di risolvere ogni male in una situazione in cui l’obiettivo per i politici è creare, mantenere il proprio consenso nell’opinione pubblica. Mantenere saldi principi fondamentali come la libertà del dissenso, la necessità della legittimità costituzionale delle norme è quanto mai importante in un momento in cui si vuol far valere una sorte di delegittimazione 2.0 della Carta Costituzionale così come della Magistratura.

La mattinata è stata chiusa dall’intervento di Chiara Pigato dell’ASGI che ha portato l’attenzione su alcune norme specifiche riguardanti i migranti nell’accezione più ampia. In particolare ha ben illustrato come la norma riferita alla vendita di SIM telematiche a cittadini stranieri colpisca i richiedenti asilo, una categoria che internazionalmente è riconosciuta come da tutelare. Ha poi concluso toccando anche il tema della criminalizzazione delle proteste nei CPR. Aspetti inquietanti nel tentativo costante di esternalizzare fino all’invisibilità soggetti specifici per spostare problemi reali sempre più lontano dai nostri occhi.

Alla conclusione della mattinata abbiamo chiesto a Paola Degani un breve commento sui lavori.

PAOLA DEGANI

Il convegno ha proposto una riflessione sul DL sicurezza, oggi Legge sicurezza che si è declinata sul piano concettuale, teorico ed anche esaminando le potenziali implicazioni dal punto di vista dei profili di legittimità costituzionale nonchè dal punto di vista del profilo penalistico delle nuove norme.

Il primo panel ha riguardato una serie di interventi inerenti i profili costituzionali che vengono toccati dalla Legge. Profili che peraltro intersecano la rilevanza penale. Proprio il tema della rilevanza penale è stata oggetto specificamente del secondo panel che si è concluso con un intervento specifico in materia di migrazione visto che anche questo Decreto legge oggi Legge non ha omesso di prendere in considerazione in chiave restrittiva talune condizioni che riguardano esplicitamente i soggetti stranieri presenti nel nostro territorio.

Due momenti di approfondimento contigui assolutamente prossimi l’uno all’altro e direttamente correlati. Il primo più attento alle norme costituzionali e ad una loro lettura alla luce del Decreto legge introdotto e la seconda parte invece più vicina, direttamente esplicitativa delle questioni rilevanti sul piano penale.

Il pomeriggio sarà dedicato ad un confronto tra avvocati su quali possono essere le strategie con cui affrontare la casistica che si sta già creando con questa nuova Legge.

Dopo la pausa con il buffet curato dalle storiche Cucine Popolari di Padova allestito negli accoglienti spazi del Centro è iniziata la parte pomeridiana, in cui i numerosi interventi hanno dimostrato la voglia di contendere nelle aule di Tribunale dotandosi degli strumenti e suggerimenti stimolati dalla prima parte della giornata.

A Giuseppe Romano, che insieme a Aurora d’Agostino ha coordinato i lavori pomeridiani abbiamo chiesto un veloce commento.

GIUSEPPE ROMANO

Abbiamo cercato di tradurre da un punto di vista concreto le numerose ed interessanti sollecitazioni della mattina.

Come primo punto da affrontare ci pare utile cercare di capire la tempistica di presentazione delle questioni di legittimità costituzionale. Tecnicamente si potrebbero presentare anche nell’udienza detta pre-dibattimentale, una specie di udienza filtro, dove però c’è il rischio che alcuni giudici ritengano di non poter procedere rimandando la questione all’esito. Questo comporterebbe lo scivolamento anche di anni; il che vale in assoluto anche per altri fasi del dibattimento. Sollevare davanti ai giudici territoriali dei dubbi che le norme siano in contrasto con la Carta Costituzionale significa che se un giudice accoglie le eccezioni, le deve trasmettere a Roma alla Corte Costituzionale per vagliare la legittimità delle disposizioni e sappiamo che per vari motivi l’iter diventa molto lungo. Questo è un problema reale nel momento in cui queste norme vengono applicate e creano inevitabilmente un tentativo di influenzare le proteste nelle piazze etc… La tempistica di presentazione diventa fondamentale e c’è la necessita di accelerare la discussione per capire dove proporre le questioni.

Abbiamo poi affrontato diversi temi sullo stimolo degli interventi della mattina.

Il principio di offensività in riferimento ad esempio al blocco stradale o alla resistenza passiva in carcere come condotte che potrebbero essere sospette proprio di mancare di quella offensività che la Costituzione richiede nella normazione penale.

La tassatività, chiarezza e determinatezza di scrittura delle norme. Noi stessi, che ci occupiamo spesso di processi contro attiviste e attivisti del diritto all’abitare, non abbiamo capito se colui che entra in una casa abbandonata, magari forzando la porta, elemento questo di violenza richiesta dalla norma, risponderà del vecchio reato di invasione o del nuovo reato di occupazione di domicilio. La nuova norma parla non solo di domicilio, il che farebbe pensare che chi entra in una casa abbandonata non commette reato, ma anche di immobile destinata a domicilio. Possiamo supporre che per qualche Pubblico ministero anche una casa abbandonata potrebbe essere ritenuta destinata a domicilio. Si capisce bene che c’è un reale problema di interpretazione. Se noi che siamo tecnici di questo tipo di reati abbiamo dei dubbi tanto più il cittadino sarà in grave difficoltà a capire in quale norma potrebbe ricadere. Si crea un vulnus che a potrebbe avere a che fare con la violazione proprio del principio di conoscibilità e determinatezza fondante quando si scrivono le norme. Una scrittura volutamente opinabile, che si presta a interpretazioni discutibili, vale per altri aspetti della legge e va sottolineata tanto più se si creano sovrapposizioni normative di difficile comprensione.

L’importanza di capire e socializzare le forme migliori con cui utilizzare la normativa internazionale nelle nostre attività difensive.

I molti interventi di colleghe e colleghi hanno arricchito il dibattito aggiungendo altri temi importanti. Ne citiamo solo alcuni.

La questione delle body cam della polizia: non essendoci una chiara normativa sulla loro attivazione questo potrebbe inquinare i vari procedimenti con una narrativa puramente accusatoria ed in più c’è l’aspetto della non accessibilità delle registrazioni nella loro completezza.

L’ installazione delle Zone Rosse già impugnata da alcune Camere penali.

L’esercizio del diritto ad usare le scriminanti. Per esempio per i blocchi stradali nelle lotte della logistica esiste già una giurisprudenza favorevole sulla contrapposizione tra alcuni diritti riconosciuti come quello di sciopero e alcuni fatti che si inseriscono in questo diritto. Non occorre andare in Corte Costituzionale perché ci sono già sentenze di assoluzione in cui il giudice ha proceduto con l’assoluzione perché i sindacati esercitano il loro diritto allo sciopero anche se fermano dei mezzi di trasporto. Queste sentenze vanno conosciute e fatte circolare.

E’ emerso un tema di profonda preoccupazione in merito alla questione casa-occupazioni quando il legislatore vede come reati l’intromissione e cooperazione, perché se per la prima fattispecie si può forse intuire che ci si riferisca a chi partecipa ad iniziative di sostegno alle occupazioni o a blocchi degli sfratti la seconda non si capisce se è riferita addirittura a forme come gli sportelli di consulenza. Un pomeriggio ed una giornata intera caratterizzata da un buon clima di condivisione fondamentale nel momento in cui diversi attori del mondo del diritto, del mondo penale si stanno confrontandosi su questi temi.

La giornata si è chiusa con gli interventi dei Co-Presidenti dei GD Aurora d’Agostino e Roberto Lamacchia.

ROBERTO LAMACCHIA

Per trent’anni quando se ne presentava il caso non ho mai smesso di sollevare la questione che prima di caricare i manifestanti ci doveva essere un preventivo avviso di scioglimento della manifestazione, per la precisione accompagnato da squilli di tromba, avviso al megafono, fascia tricolore.

Per dovere di cronaca in trent’anni ho visto solo una volta in cui un Pubblico ufficiale si è messo la fascia tricolore, ha preso un megafono, dato l’avviso e poi ha massacrato i manifestanti. In tutti gli altri casi non è mai stato dato nessun avviso, le cariche ci sono sempre state e i manifestanti sono stati massacrati ugualmente. Ho sollevato la questione per trent’anni e mi sono sentito dire che gli squilli di tromba erano anacronistici come lo stesso megafono. Ho tenuto il punto perché anche se squilli e megafono non c’erano almeno bisogna dirlo a voce. Ma in ogni caso l’eccezione veniva respinta.

Due anni fa circa incredibilmente ho trovato un giudice che ha detto che non c’era nulla che impedisse al pubblico ufficiale responsabile di dire “la vostra manifestazione in questo momento è diventata illegittima vi dovete sciogliere se non vi sciogliete caricheremo” e per questo il Tribunale ha assolto tutti gli imputati.

Questo per dire che tenere il punto penso sia importante perché qualcuno mi deve dire la ragione per la quale non abrogano il Testo Unico di Pubblica sicurezza visto che se il Testo continua ad esistere mi pare che sia pacifico che deve essere applicato laddove dice che è illegittimo qualunque uso della forza che non sia preceduto dall’invito ai manifestanti a demordere dal loro comportamento.

Ho fatto questo esempio per invitare tutti ad insistere sulle nostre teorie che riteniamo fondate. A mio avviso è questo lo spirito che ci deve animare.

AURORA D’AGOSTINO

Sono molto contenta dell’incontro di oggi, perché è stato un incontro tra il formale e l’informale che ha approfondito molti aspetti.

In sintesi mi pare di poter affermare che ci troveremo davanti nella nostra attività legale a scontrarci con norme a favore della poliziai e a sfavore qualunque forma di opposizione. Faremo più che altro processi per resistenza e lesioni aggravate a Pubblico ufficiale. In trent’anni ne ho fatti molti di processi per resistenza pubblico ufficiale però oggi cominciano ad avere una piega, una pesantezza diversa.

Credo che se il nostro obiettivi in quanto legali sia evitare la prospettiva della pena e del carcere per più gente possibile sia anche necessario oggi più che mai fare un lavoro anche culturale. Sottolineo l’aspetto del piano culturale complessivo, che veniva richiamato negli interventi di questa mattina, perché ci sono aspetti che perfino noi abbiamo introiettato con il passare del tempo. La questione manifestazione autorizzata o non autorizzata, il fatto che sia legittimo o meno manifestare e altri aspetti che abbiamo lasciato passare. Su questo non esito a fare autocritica. Mi riferisco a Daspo, fogli di via che oggi vediamo applicati in molte situazioni e che all’inizio quando venivano sperimentate per prima cosa sulle tifoserie non abbiamo affrontato con la dovuta attenzione perché riguardavano soggetti diversi di cui francamente non ci occupavamo. Proprio perché una determinata prassi, un determinato istituto si consolida su un soggetto specifico e poi viene esteso a molti è importantissimo bloccare alcune cose fin dal principio.

Due giorni di prognosi per un Carabiniere – e sappiamo che due giorni al Pronto Soccorso non si negano a nessuno – valgono due anni di carcere per un imputato. In questo scenario dobbiamo riportare l’attenzione su concetti base, affrontare con caparbietà il discorso sul valore di autorità, sull’autoritarismo, sulla legalità e illegalità.

E’ importante fare anche un discorso riguardo alle forme della resistenza. Nel nostro recente passato ci sono state ben altre espressioni di piazza, di manifestazioni e se si fossero usati i parametri che vogliono imporre oggi avrebbero dovuto “fucilare in pubblica piazza” un sacco di gente. Per cui riacquistare un minimo di sano ragionamento su aspetti come la penalizzazione della resistenza passiva, della resistenza non violenza penso sia un elemento utile per scardinare immediatamente quello che vogliono imporre con le norme di cui stiamo parlando. Anche perché se lasciamo passare queste norme che cercano di inserire per i carceri e i migranti non tarderemo a vedere che verranno estese a tutte quante le situazioni.

Dobbiamo fare dei veri picchetti contro la deriva autoritaria che sta avanzando, se no non ne usciamo.

Vi ringrazio di questa giornata in cui si è percepito un interesse, una passione reale.

Ricordo per chi ancora non lo sapesse che c’è anche un buon numero di avvocate ed avvocati, impegnate ed impegnati a vario titolo nella difesa delle diverse forme di movimento, che sta cercando di creare una rete che possa essere utile quantomeno a fare circolare le sentenze positive e a far conoscere anche i provvedimenti negativi per ragionare insieme sulle forme di critica da portare.

Si percepisce un bel clima di collaborazione. Non lo vedevo da parecchio tempo, l’ultima volta che ho visto qualcosa di simile penso sia stato all’epoca del processo di Genova o sulla Tav che essendo processoni collettivi costringevano a ragionare insieme. La differenza è che oggi non stiamo parlando necessariamente di processoni collettivi ma invece di difesa collettiva di situazioni analoghe, magari anche individuali. E’ importante proprio oggi la condivisione e per questo ringrazio chi si è fatto maggiormente carico di avviare questo percorso.

Usciamo da questa giornata con la contentezza del bel clima tra di noi che va coltivato e mantenuto.

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Padova 21 giugno 2025 – Convegno DL Sicurezza: contro le spinte autoritarie, questioni di costituzionalità e tutela dei diritti umani


Promosso da Associazione Nazionale Giuristi Democratici e Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca”, Università di Padova.

Evento accreditato ai fini della formazione professionale forense con 4 crediti in materia penale. Per gli iscritti all’Ordine Avvocati di Padova registrazione tramite Sfera.

Programma

  • 9:00-9.30
    Apertura dei lavori e saluti introduttivi

Marco Mascia, Presidente delCentro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca”, Università di Padova

Roberto Lamacchia e Aurora d’Agostino, Co-Presidenti dell’Associazione Giuristi Democratici

  • 9:30-13:00

Coordina: Paola Degani, Centro di Ateneo per i Diritti Umani, Università di Padova

Intervengono

Alessandra Algostino, Università di Torino: “Legge sicurezza: un provvedimento da regime, radicalmente incostituzionale”

Fabio Corvaja, Università di Padova: “Libertà di riunione e manifestazione politica del dissenso dopo la legge sicurezza”

Antonello Ciervo, Unitelma, Sapienza Università di Roma: “Decreto sicurezza e criminalizzazione dell’opposizione sociale: le possibili questioni di legittimità costituzionale”

Paolo De Stefani, Università di Padova: “Reazioni internazionali al decreto sicurezza: preoccupazioni e critiche espresse dagli esperti indipendenti del Consiglio sui diritti umani”

Antonio Cavaliere, Università di Napoli: “Profili di contrasto con i principi di offensività e proporzione nelle norme penali della legge sicurezza”

Gian Luigi Gatta, Università Statale di Milano: “Il decreto legge sicurezza tra politica criminale e principi costituzionali”

Chiara Pigato, Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione – ASGI: “Trattenere il nemico – Le norme di sfavore sui cittadini stranieri”
13:00

  • 13.00 – 14.00

Pausa pranzo

  • 14:00 – 16.30

Tavola rotondaConfronto operativo su possibili strategie di contrasto alla normativa
Coordina: Giuseppe Romano, Esecutivo Giuristi Democratici
Conclude: Cesare Antetomaso, Esecutivo Giuristi Democratici, Rete “A pieno regime – No DL Sicurezza”

Per partecipare è necessaria l’iscrizione al seguente link: forms.gle/Ag5Z2nVQLQ9z13HD6

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San Berillo, una festa per non rinunciare alla speranza


Doveva essere una festa e certamente lo è stata. Soprattutto per i bambini, anche molto piccoli, che hanno potuto giocare sulla pista gialla di Spazio Clatù, mentre fratellini e amichetti appena più grandi sperimentavano gli attrezzi da circo proposti dagli animatori dell’associazione. A poca distanza, ragazzi bianchi e neri si rimandavano un pallone insieme ai giocatori della San […]

Leggi il resto: argocatania.it/2025/06/23/san-…

#centroAstalli #CrocifissoDellaBuonaMorte #OsservatorioUrbanoELaboratorioPolitico #SanBerillo

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Capraia


Quest’anno io e la mia compagna Saì siamo andati in vacanza, per una settimana, sull’isola di Capraia. Un po’ incautamente ci siamo buttati nell’avventura senza prepararci adeguatamente, quindi qui scriverò, a beneficio dei miei due lettori rimasti, i pochi consigli basilari utili per visitare l’isola. Ovviamente il vero consiglio è informarsi bene negli appositi siti, magari chiedendo a qualcuno che ci è stato più di una volta.

L’isola è lunga 8 km e larga 4 km, con un perimetro di 30 km ed è piena di sentieri che raggiungono tutti i posti interessanti. La parte sud è completamente disabitata e non raggiunta dal segnale telefonico dei cellulari. Se non siete attrezzati e abituati a lunghe escursioni non avventuratevi nella parte sud. Per raggiungere il mare, se non avete una barca, si deve camminare. Per raggiungere il mare, il posto (cala del Bagno) più vicino è a 15 minuti da piazza Milano , il centro cittadino. Tutti gli altri posti sono a distanze maggiori, anche a ore di cammino.

L’isola è di origine vulcanica e quindi ci sono solo sassi, scogli, muri di roccia e macchia mediterranea. Gli alberi sono pochissimi, quindi tutti i sentieri sono sotto il sole.

Il collegamento con la terraferma è via traghetto, in media una volta al giorno, salvo condizioni avverse del mare. Da Livorno sono 2,5 ore di traversata. Per le emergenze mediche c’è un poliambulatorio attrezzato e l’eliporto. I residenti sono poco meno di 400, ma chi ci ha fatto da guida per il giro dell’isola ci ha detto che a Natale 2024 erano in 86, segno che qualcuno, nonostante la residenza, passa parte dell’anno sul continente.

Arrivando tutto dalla terra ferma, i prezzi sono mediamente alti, alcune cose tipiche locali hanno prezzi da gioielleria (il formaggio di capra del posto viaggia fra i 45 e 55 €/kg, per dire).

Cosa non vi serve sull’isola:

È inutile l’auto. La rete stradale c’è, le auto sull’isola ci sono, ma come turisti molto probabilmente non ci farete molto. Nel caso assicuratevi di avere un parcheggio, perché quelli che ho visto erano solo per residenti. E fate benzina prima di imbarcarvi sul traghetto, sul posto costa circa 0,60€/l in più.

È inutile l’ombrellone e il materassino. La sabbia è in quantità omeopatica e comunque poco accessibile e gli scogli rendono di fatto impossibile l’uso del materassino gonfiabile. Per l’ombra portatevi un cappello o un ombrello portatile. Per chi è amante di sdraia e ombrellone ci sono due “spiagge” attrezzate, dove spiaggia si intende un pavimento fatto di assi di legno sopra gli scogli. Ovviamente a pagamento.

Cosa è molto utile sull’isola:

Attrezzatura da escursione: scarponi, zaino, bastone, borraccia, cappello, pantaloni e calzini. La stessa attrezzatura che usate in montagna. L’isola si percorre tutta a piedi, ma i sentieri sono a volte molto impegnativi.

Attrezzatura per vedere sott’acqua (snorkeling): maschera, boccaglio, eventuali pinne o scarpe a prova di riccio di mare. Ci hanno detto che la zona è ideale per immersioni con la dovuta attrezzatura.

Un termometro, un antipiretico/antidolorifico, eventuali farmaci che dovete prendere abitualmente. Portatene per qualche giorno in più rispetto al previsto. L’ideale sarebbe portarvi anche un antibiotico, ma forse esagero.

Il mare è stupendo, il paesaggio suggestivo, la settimana scorsa i turisti ancora pochissimi.

I soldi meglio spesi sono stati quelli per il giro dell’isola in gommone. A dire il vero il giro sarebbe da fare una volta al mattino e una volta alla sera, per apprezzare le varie sfumature di colori della roccia e della vegetazione con diverse angolature di luce. (Noi l’abbiamo fatto al mattino.) State attenti alle meduse: possono causare ustioni importanti.

I locali sono cordiali e affabili; la camera affittata era pulita, fresca e silenziosa.

Non so se vi avrò fatto venire voglia di andare a Capraia – dicono che il nome derivi da “karpa”, che sta per “roccia” e non da “capra” – ma almeno una volta nella vita una visita la merita.

#capraia #vacanze

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pazzia marittima già nella spiaggia del paese italico


Sembra assurdo doverlo realizzare così a caso, ma stranamente (…o forse no?) al mare già è più o meno pieno di pazzi. Siamo appena verso la fine di giugno… ossia tecnicamente proprio all’inizio dell’estate, anche se non sembra (e a proposito, ieri era il solstizio, quindi ora tramonterà sempre più presto la sera… preparatevi a soffrire!!!)… e già al lido se ne vedono veramente di tutti i colori. Nulla di troppo grosso eh, il solito… ma, pure a rischio di sembrare io la pazza, certe cose vanno dette per come stanno, e quindi ecco: è un delirio. 🤯

Come primo, c’è il fatto che da questa settimana il lido ha messo la musica, nella rotonda (che non è troppo lontana dagli ombrelloni, quindi ops)… e il problema è che in qualche modo non riescono a mettere roba decente neanche per sbaglio! Solo canzoni italiane (nemmeno spagnole finite in mezzo per errore, mi sa!) dell’ultimo decennio, che già è molto dire… ma nemmeno per idea qualche canzone “importante”, sempre e solo le solite “da mare” trite e ritrite; e ho detto tutto! Ma come si fa a trattare l’arte musicale con così tanta superficialità… cioè, a questo punto mettete in riproduzione una radio, piuttosto che questa playlist fatta con lo stampino… 😭

Poi boh, si scende sempre più nella crisi di nervi intanto: noi abbiamo l’ombrellone fisso, mentre a quanto sembra quello subito più avanti ogni giorno ha sempre persone diverse dal giorno prima (…ammesso non sia io incapace di vedere, che è un’ipotesi non escluderei purtroppo…). Anche qui, apparentemente nulla di strano… se non fosse che in qualche modo, sotto quell’ombrellone finisce sempre per esserci qualcuno che fuma le fottute sigarette!!! E quindi, pure stando a 3 metri buoni di distanza, ti arrivano i tumori direttamente nel naso, perché il vento convenientemente soffia sempre dal mare in dentro; mai di lato o nel verso opposto. Ci sarebbe un intero discorso a parte da fare sul fatto della gente che ancora compra ed usa in pubblico quei bastoncini al cancro, però che cazzo!!! 🤮

Almeno qualcosa di non snervante, seppur comunque in qualche misura preoccupante, l’ho vista oggi: dei bambini in tarda infanzia che facevano degli strani balli sotto le docce… mi chiedo se stessero copiando Fortnite, TikTok, altre diavolerie dei giorni loro, oppure semplicemente avessero freddo durante il paio di minuti buono che hanno speso sotto l’acqua, e se quelli fossero quindi semplicemente riflessi corporei… non lo sapremo mai, ma ho riso… Mentre invece non ho affatto riso all’andata, per la via, dove in qualche modo si è veramente visto il traffico peggiore di tutti i tempi; giuro, mai in anni e anni abbiamo visto tutto quel traffico in quella direzione, che per giunta per qualche motivo avanzava a tratti anziché fluidamente… e non ci abbiamo capito niente della causa, perché da che era tutto incastrato a un certo punto si è iniziati a fluire, e vaffanculo al secchio. 🦏

m.youtube.com/watch?v=4XX7r1ga…

#estate #giugno #lido #mare #spiaggia

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in reply to minioctt

baby-K si sente da 10 fottuti anni, e LeiKiè mai sentita in nessun luogo pubblico

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Iran-Usa, a che punto è la guerra mondiale non dichiarata?


– la distopia è diventata reale e si estende

La prima pagina della Handelsblatt di pochi giorni fa , che in parte qui riproduciamo, titolava sulla esistenza di guerra mondiale non dichiarata poche ore prima dell’attacco degli Usa all’Iran. Per il quotidiano tedesco si tratta della guerra tra democrazie e autocrazie, esprimendo una visione del conflitto globale ferma al conflitto tra stati e piegata alla contingenza politica. Allo stesso tempo, proprio se guardiamo alla contingenza, l’attacco Usa all’Iran lascia diversi dubbi su quanto siano reali gli effetti fine-di-mondo dichiarati da Washington come conseguenza dei bombardamenti di questi giorni. Ma capire cosa sta accadendo bisogna uscire dalla contingenza, quella degli schieramenti degli stati e quella degli effetti dei bombardamenti visto che da metà degli anni ’10, specie in Medio Oriente, di attacchi fatti più di messaggio politico che di distruzione materiale, ce ne sono stati e la guerra del mondo non dichiarata si è comunque estesa su scala planetaria come se il contenuto diplomatico di alcuni bombardamenti (dalla Siria del 2017 allo scambio di missili Israele-Iran di questa primavera) praticamente non esistesse.

Quindi la guerra mondiale non dichiarata esiste, si tratta di capire cosa è, a che punto siamo in questo genere di guerra e quali sono le prospettive che ha davanti a sé. Dall’inizio degli anni ’90 la guerra, come da sua costante antropologica, ha alimentato le rivoluzioni tecnologiche (dalla microelettronica alla rete fino alla AI) si è estesa fino ai confini temporali (guerra permanente), ha raggiunto ogni attività umana (guerra senza limiti), ha moltiplicato i piani di realtà sui quali si esercita necessitando di una strategia che li sincronizzasse (guerra ibrida). La guerra mondiale non dichiarata emerge da questo contesto di moltiplicazione delle mutazioni dei conflitti basati su una violenza sia esplicita, tradizionale fino a sembrare ancestrale, che mimetica o innovativa tanto da sembrare magica a causa della performatività tecnologica che la pervade. E’ quindi analiticamente necessario parlare oggi di “guerra mondiale non dichiarata”. L’obiezione più ovvia – ovvero che mancano le caratteristiche formali delle guerre mondiali del XX secolo (dichiarazioni di guerra tra grandi potenze, mobilitazione totale delle nazioni, fronti militari convenzionali su scala planetaria) – non coglie però la profonda natura la natura della trasformazione che stiamo attraversando.

Il conflitto contemporaneo non dichiarato condivide con le guerre mondiali “tradizionali” due aspetti fondamentali: la portata globale e il carattere totale. Tuttavia, li manifesta in forme nuove, ibride, reticolari e, appunto, non dichiarate. Prima di tutto la “mondialità” di questa guerra non è più definita dalla geografia dei fronti militari (Israele e Usa che attaccano un paese non confinante ne è un esempio) ma dalla connessione dei piani di conflitto. Il piano finanziario, le guerre commerciali, le ritorsioni economiche, lo stesso piano informativo-cognitivo, il piano cibernetico, quello tecnologico e molti altri, fanno parte di questa interconnessione che, sulla superficie planetaria, genera criticità come gravi, permanenti conflitti. Oltretutto se guardiamo il fenomeno secondo la logica dei sistemi complessi adattivi ( CAS, Complex Adaptive Systems) vediamo come ogni azione locale può generare effetti emergenti e non non lineari per cui ogni crisi locale, potenzialmente, può improvvisamente generare una crisi planetaria. La “totalità” di questa guerra non si misura tanto nel numero di soldati mobilitati, ma nella pervasività dei domini che essa ingloba: il conflitto russo-ucraino, quello medio-orientale e quello che riguarda la sovranità di Taiwan, in modo molto diverso, inglobano una molteplicità di domini connessi tra loro che sono sinergici con guerre locali e guerre non militari alimentando l’instabilità planetaria proprio perché moltiplicano i piani di battaglia esistenti.

L’assenza di una dichiarazione formale di guerra non è un segno di pace, ma è la condizione strategica fondamentale di questo nuovo scenario. Perché permette di operare costantemente nella “zona grigia”, al di sotto della soglia del casus belli tradizionale, e di condurre ostilità prolungate evitando le conseguenze politiche, legali ed economiche di una guerra dichiarata (dalla “operazione militare speciale” russa all’attacco all’Iran “che non è un atto di guerra” Usa sono molti i casi di questo tipo). Questa è la modalità giuridica con la quale i conflitti locali, geopolitici alimentano i piani di conflitto, necessari a vincere la guerra, producendo una guerra mondiale non dichiarata che ha emarginato la governance mondiale della neutralizzazione dei conflitti. Inoltre la guerra mondiale non dichiarata registra una mutazione nella Rete di Attanti (ANT) presente nei conflitti: La guerra non è più solo tra stati o tra attori finanziari, economici, dei media. Come l’ANT, teoria antropologica che si sviluppa da John Law a Latour, ci aiuta a vedere, la guerra mondiale non dichiarata è condotta anche da reti complesse di attanti : fatte di agenzie statali, aziende private (come Palantir), gruppi di contractor miliari, aziende della filiera innovazione tecnologica e logistica, interi parchi tecnologici, social a diffusione istantanea e planetaria. Questa rete di attanti è particolarmente attiva nella globalizzazione di una crisi locale che è la condizione della propria interna economia di sviluppo.

Così quando parliamo di “guerra mondiale non dichiarata” parliamo di conflitti locali che hanno effetti planetari e stiamo descrivendo un conflitto che è globale nella sua portata e totale nei suoi metodi, e che ha quindi cambiato forma. Ha abbandonato la visibilità e la ritualità formale della guerra del XX secolo per adottare una modalità più fluida, pervasiva, persistente e fatta di moltiplicazione di piani di realtà, che si adatta perfettamente alla natura della nostra società globale, interconnessa, tecnologica fatta di mille piani. È una guerra la cui logica, proprio perché non dichiarata, può permeare ogni aspetto della vita sociale, subordinando a sé la politica senza che questa possa neppure formalmente riconoscerla e nominarla come tale.

In questo modo la guerra mondiale non dichiarata, e in particolare la guerra ibrida contemporanea che la alimenta, deve essere definita come un sistema complesso adattivo che ha poco dell’ evento lineare, meccanico e controllabile dall’alto, e molto di un ecosistema dinamico, emergente e fondamentalmente imprevedibile. È proprio questa sua natura di CAS della guerra mondiale non dichiarata che spiega la crisi profonda del modello clausewitziano della guerra come continuazione e la subordinazione del politico alla guerra ibrida. Questo per diversi motivi:

Molteplicità ed eterogeneità degli agenti (o “attanti”): La guerra moderna non è un duello tra due stati-nazione monolitici. È un terreno affollata da una moltitudine di agenti eterogenei, ciascuno con propri obiettivi e capacità di azione: eserciti regolari, attori finanziari, forze speciali, aziende, milizie proxy, contractor privati, singoli “foreign fighters”, cellule terroristiche, ma anche (e qui l’ANT ci è indispensabile) attanti non-umani come sciami di droni, algoritmi di intelligenza artificiale che gestiscono la sorveglianza o il targeting, malware cibernetici, piattaforme social che diffondono narrazioni, e flussi finanziari globali. Ognuno di questi agenti agisce e reagisce, creando un sistema denso che produce continuamente eventi dagli effetti imprevedibili.

Adattamento costante: I CAS sono caratterizzati da agenti che imparano e si adattano. La guerra è forse l’esempio più estremo di questo processo. Ogni parte in conflitto studia, impara e si adatta alle tattiche, alle tecnologie e alle strategie dell’avversario in un ciclo di co-evoluzione accelerata. L’uso dei droni FPV in Ucraina ha generato lo sviluppo di nuove contromisure di guerra elettronica, che a loro volta hanno spinto a sviluppare nuove tattiche per i droni, e così via. Questa corsa all’adattamento rende il sistema intrinsecamente dinamico e instabile.

Comportamento emergente (l’imprevedibilità come norma): Il risultato complessivo del conflitto (l’esito di una battaglia, l’evoluzione di una crisi, la traiettoria della guerra) non è il prodotto di un piano centrale eseguito alla perfezione, ma è una proprietà emergente delle innumerevoli interazioni decentralizzate tra tutti gli agenti. La celebre “nebbia di guerra” di Clausewitz, quella frizione e incertezza che ogni comandante sperimenta, può essere riletta oggi come una manifestazione del comportamento emergente non da un campo di battaglia ma di un intero sistema complesso. È questa imprevedibilità strutturale che rende il controllo politico così difficile.

In questo scenario, la politica non può “dettare” la logica alla guerra. Al contrario, è costretta ad adattarsi alla logica emergente del sistema conflittuale stesso. E questa logica, nello scenario contemporaneo della guerra mondiale non dichiarata, è quella della guerra ibrida: pervasiva, accelerata, multiforme. Ecco perché la politica, per sopravvivere e mantenere una qualche forma di agency all’interno di questo sistema, ne adotta gli strumenti e le logiche, diventandone, di fatto, la continuazione. In questo senso l’imprevedibilità di Trump che alimenta il caos globale e le dichiarazioni feroci ma politicamente misurate di Teheran sono qualcosa di simile: il tentativo, da posizione differente, di adattare il proprio ruolo politico all’ambiente ostile del sistema adattivo complesso detto guerra mondiale non dichiarata che è cresciuto attorno a loro e loro malgrado.

Oggi la guerra mondiale non dichiarata non si sta evolvendo verso un nuovo scontro bipolare (es. USA vs Cina), ma verso una maggiore protagonismo della stessa guerra mondiale mondiale non dichiarata che vede la crisi delle alleanze tradizionali (si veda Usa-Europa e Usa-Canada ad esempio) e l’emergere di nuove tipologie di potere fatte di attori non-statali, finanziari, grandi corporazioni tecnologiche, e potenze regionali che agiscono come “poli” autonomi all’interno del sistema, formando alleanze fluide e opportunistiche. La rete globale che alimenta la guerra mondiale non dichiarata cresce continuamente in complessità.
La guerra mondiale non dichiarata è così non lineare da non essere prevista? Esattamente. La sua caratteristica fondamentale è la non linearità. Questo non significa che sia totalmente casuale. Possiamo identificare le logiche (la ricerca di potere, gli interessi concentrati che prevalgono nelle crisi), ma non possiamo prevedere l’esito emergente delle interazioni tra tutti questi attanti e su tutti questi piani. Un piccolo incidente tecnico, un errore di calcolo di un’IA, una campagna di disinformazione che “sfugge di mano” e diventa più virale del previsto, possono generare effetti a cascata sproporzionati e globali. L’escalation non è più una scala lineare che si sale gradino per gradino, ma un cambiamento di stato improvviso e catastrofico del sistema, sempre possibile. Tutto questo può spaventare ma è l’esito della perdita della presa di potere della politica sui fenomeni reali.

In conclusione, con la guerra Iran-Israele-USA a che punto siamo della guerra mondiale non dichiarata? Non siamo né all’inizio né alla fine. Siamo in una fase di escalation della complessità. La guerra mondiale non dichiarata si sta espandendo (in termini di domini coinvolti e di attori partecipanti) e si sta intensificando (in termini di velocità e di pervasività tecnologica). È un sistema che si auto-alimenta: la sua stessa esistenza produce più frammentazione, più anomia e più crisi, che a loro volta giustificano un ulteriore ricorso alla sua logica da parte della politica che cerca di sopravvivere. La politica arranca, tentando di gestire le singole crisi (il “fatto compiuto” sul campo, gli infiniti tentativi diplomatici, la crisi economica, umanitaria etc.) senza riuscire a governare il sistema nel suo complesso, del quale è ormai diventata una semplice, e spesso disperata, funzione. La prossima evoluzione di questo sistema adattivo complesso che è la guerra mondiale non dichiarata sarà un suo nuovo piano di complessità. Piano che sarà letto, ancora una volta come “l’esito di una mossa della Cina, della Russia, di Trump” etc. quindi tramite confusione narrativa ma non nella sua chiarezza. Poi, quando la politica capirà che non si evade tentando di sfondare il muro a testate per ritrovarsi nella cella accanto, allora le cose, nella loro reale complessità, saranno comunque diverse.

per Codice Rosso, nlp

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il festival di ‘inverso’ il 5 e 6 luglio a roma: dati, programma e biglietti


sono stato invitato al festival che vedete qui: t.ly/VX3-R

vi aspetto per un reading collettivo con confronto/dibattito il 5 alle ore 16, e poi anche alle 18 per parlare della Scuola delle cose. qui di séguito il cronotopo (ma il programma intero è assai ricco e – per completezza – suggerisco di cliccare sul primo link).

cronotopo di Inverso festival - parte del pomeriggio del 5 luglio 2025
cliccare per ingrandire

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La scuola delle cose, n. 19, aprile 2025, SCRITTURA DI RICERCA (pubbl. Mudima / Lyceum)>>> Personalmente – come sopra accennato – parteciperò alla sezione “Mappare il poetico” dando un contributo al dialogo, parlando delle scritture sperimentali per come si sono sviluppate / articolate negli ultimi venti-venticinque anni, partendo dal tabloid “La scuola delle cose” (Lyceum/Mudima, aprile 2025), fascicolo n. 19 dedicato interamente alle SCRITTURE DI RICERCA. <<<<

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Elementi essenziali, dal post di ‘Inverso’ su fb:

Sabato 5 e domenica 6 luglio
Ex mercato di Torre Spaccata, nella struttura di Associazione Calpurnia
(Viale dei Romanisti 45 / Via Filippo Tacconi 11 – Roma)

Talk, laboratori, presentazioni e performance

N.B.: biglietto singola giornata e accesso ai laboratori per adulti e accompagnatori: €10
Biglietto valido per sabato e domenica: €15
*Nel biglietto sono inclusi il tesseramento all’Associazione Calpurnia e alla futura Inverso APS

Localizzazione:
maps.app.goo.gl/ozJeMvsSZdhx8A…

#AssociazioneCalpurnia #carotaggi #CentroScritture #DimitriMilleri #EmanueleFranceschetti #FedericoItaliano #GildaPolicastro #InVerso #InversoAPS #LaScuolaDelleCose #laboratori #lettura #letture #LucaRizzatello #Lyceum #MarcoGiovenale #Mudima #NikolaMadzirov #performance #presentazioni #reading #readingCollettivo #scritturaDiRicerca #talk #TommasoDiDioù #ValerioMassaroni


un inquadramento della scrittura di ricerca: nel n. 19 della ‘scuola delle cose’ (lyceum/mudima)


La scuola delle cose, n. 19, aprile 2025, SCRITTURA DI RICERCA (pubbl. Mudima / Lyceum)
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forse per la prima volta dopo oltre 20 anni di non disonorevole attività, un certo modo di fare sperimentazione letteraria ottiene un inquadramento teorico-critico complessivo, pur sintetico.

esce cioè il n. 19 del periodico ‘La scuola delle cose”, dell’associazione Lyceum (grazie alla Fondazione Mudima), interamente dedicato alla SCRITTURA DI RICERCA.

lo si sa e lo si è ripetuto assai: la (formula) “scrittura di ricerca” ha una storia di lunga durata, attraversando un po’ tutto il Novecento, almeno dagli anni Quaranta-Cinquanta, e in maniera nemmeno poi troppo carsica. d’accordo. tuttavia questo numero della “Scuola delle cose” non è una disamina storica integrale, semmai un lavoro sugli ultimi venti-venticinque anni di ricerca letteraria, o scrittura complessa. con (ovviamente, immancabilmente) puntuali affondi nel passato e nella produzione di certi autori a dir poco fondativi, soprattutto Corrado Costa e Jean-Marie Gleize.

prima occasione di presentazione: 19 giugno, Milano, Fondazione Mudima:
slowforward.net/wp-content/upl…

rapidamente descrivendo:

dettaglio de La scuola delle cose n 19_ 2025__ foto di Antonella Anedda
dettaglio da una foto di Antonella Anedda. cliccare per ingrandire

L’espressione “scrittura di ricerca” è in azione da diversi decenni, e di certo si perde già nelle “profondità” del Novecento. Tuttavia, dagli anni 2003-2009 (ovvero fra l’esplosione dei blog letterari e l’uscita del libro collettivo Prosa in prosa – edito da Le Lettere; ora da Tic edizioni) e fino a oggi, il numero di materiali sperimentali e saggi sugli stessi è decisamente cresciuto. Ha dunque senso ed è forse addirittura indispensabile iniziare a fare il punto della situazione. Un primo e senz’altro assai sintetico tentativo è rappresentato da questo numero de «La scuola delle cose», che raccoglie otto interventi di altrettanti studiosi e studiose, intorno alla ricerca letteraria e alle scritture complesse.

queste le autrici e gli autori dei saggi nel tabloid, e i titoli degli interventi:

Gian Luca Picconi,
Scrittura di ricerca, prosa in prosa, letteralità

Massimiliano Manganelli,
Appunti sulle scritture procedurali

Luigi Magno,
Cinque nomi (più uno) e dieci titoli. La poesia di ricerca francese (oggi) in Italia

Chiara Portesine,
Il compromesso fonico: l’eredità di Corrado Costa

Renata Morresi,
Il movimento chiamato Language Poetry in Italia oggi

Chiara Serani,
Scritture non convenzionali e intermedialità (2000-2025)

Luigi Ballerini,
Intervento sulla poesia che si potrebbe fare

Daniele Poletti,
Scritture complesse. Il superamento dell’appartenenza

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il tabloid gratuito è disponibile a Milano in Fondazione (via Tadino 26); a Roma presso la Libreria Tic (piazza San Cosimato 39); presto a Perugia nella libreria Mannaggia (via Cartolari 8) e a Bologna da Modo Infoshop (via Mascarella 24/b).


Lyceum _ Scuola delle Cose _ dati editoriali e redazionali
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Fondazione Mudima
FONDAZIONE MUDIMA

Via Tadino 26, Milano
info@mudima.net
mudima.net

*

in collaborazione con
l’associazione dipoesia
logo dell'"associazione dipoesia"

#ChiaraSerani #CorradoCosta #DanielePoletti #FondazioneMudima #GianLucaPicconi #GinoDiMaggio #intermedialità #kritik #LaScuolaDelleCose #langpo #languagePoetry #letteralità #LuigiBallerini #LuigiMagno #Lyceum #MassimilianoManganelli #MicheleZaffarano #Mudima #poesiaDiRicercaFrancese #ProsaInProsa #RenataMorresi #ricercaLetteraria #scritturaComplessa #scritturaDiRicerca #scritturaNonAssertiva #scrittureComplesse #scrittureDiRicerca #scrittureNonAssertive #scrittureNonConvenzionali #scrittureProcedurali #ScuolaDelleCose #segnaliEAzioni #traduzione #traduzioni #zinesAuthorsETaggatoComeChiaraPortesine


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dip 053


#israele – come Stato – da settimane paga e fa mettere queste pubblicità inquietanti su #youtube in cui si vede addirittura un soldato isr ripreso di spalle di tre quarti che fa con le due mani unite il segno del cuore; e – a seguire – pacchi di cibo vengono consegnati a #palestinesi (?) che sorridono felici guardando in macchina.
è il modo sionista di finire di fare schifo. di completare il quadro.
a fingere aiuti per uccidere sì, ma a fare il cuore con le mani sul #genocidio ancora non ci erano arrivati.
izrahell fa il cuore sul genocidio

#bambini #children #colonialism #dip #dip053 #dip053 #Gaza #genocide #genocidio #IDF #invasion #IOF #israelcriminalstate #Israele #israelestatocriminale #israelterroriststate #izrahell #massacri #Palestina #Palestine #palestinesi #sionismo #sionisti #starvingcivilians #starvingpeople #warcrimes #youtube #zionism



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Gli alleati si accingevano ad amministrare l’Italia occupata


Nell’estate del ’43, occupata la Sicilia, gli Alleati si trovano ad affrontare la questione che li aveva maggiormente impegnati nei mesi precedenti: l’amministrazione dell’isola, che costituiva in definitiva la sperimentazione del sistema di occupazione pianificato nella primavera del ’43 e da applicare poi al resto della penisola. Il piano che stabiliva come il governo militare avrebbe dovuto gestire il territorio, di cui diremo più avanti, era il frutto di un lavoro congiunto di americani e britannici, con una predominanza però dell’apporto britannico, considerato che gli Stati Uniti non potevano vantare un’esperienza pari a quella del Regno Unito nell’amministrazione di territori nemici. Subito dopo la Conferenza di Casablanca <68, mentre Roosevelt e Churchill sono impegnati nella ricerca di una linea politica alleata da adottare nei confronti dell’Italia, i vertici militari, già impegnati in Nord Africa nell’operazione Torch <69, iniziano a studiare un programma per l’amministrazione della Sicilia; sistema cui fra l’altro si attribuisce un grande valore simbolico. É infatti sin dalle prime bozze della pianificazione dell’invasione della Sicilia che gli Stati Uniti individuano nell’occupazione della penisola un momento fondamentale della loro politica, sia per il ruolo che questa acquista come prima esperienza di occupazione militare di un territorio nemico sia come modello per le successive operazioni in Europa <70. Tuttavia, non vi è una immediata consonanza fra le proposte dei vertici militari e la linea politica che Roosevelt tenta di affermare. Per il Presidente dovrebbe essere costituito un sistema a preponderanza Usa, lo storico distacco americano dalle questioni che coinvolgono le relazioni degli stati europei con ogni altro viene così contrapposto da Roosevelt all’imperialismo britannico, e l’assenza degli Stati Uniti dal Mediterraneo viene ribaltata in un vantaggio, rappresentando una sorta di verginità politica che collocherebbe gli Usa in un ideale interventismo super partes, che è poi un po’ l’anima dell’interventismo democratico americano nella seconda guerra mondiale <71. In realtà, i militari statunitensi sanno bene che l’esperienza britannica nelle politiche di amministrazione di territori occupati è un elemento imprescindibile per assicurare la riuscita della missione in Europa, tanto che pochi giorni dopo la Casablanca, l’8 febbraio, il generale Eisenhower scrive al Dipartimento di Guerra raccomandando la necessità di adottare un sistema concordato. Intanto, il generale aveva designato due ufficiali americani qualificati, i colonnelli Spofford e Holmes, già membri della sezione affari civili in Nord Africa, per elaborare un piano in seno al quartier generale delle Forze Alleate (AFHQ), piano da presentare poi al Dipartimento di Guerra e al Presidente <72: si trattò di un adattamento dei principi del governo militare a quelli del sistema amministrativo britannico, già ben sperimentato in Medio Oriente, ora adattato alla joint responsibility di Stati Uniti e Gran Bretagna e inserito nella cornice del quartier generale alleato <73. La proposta di un governo congiunto si scontra però con il tentativo di entrambi gli alleati di assicurarsi il ruolo di senior partner <74. Sebbene il JCS (Joint Chief of Staff) approvi il progetto di Eisenhower che prevede una responsabilità congiunta dei due governi <75, ancora Roosevelt, pur favorevole ad una amministrazione a tutti gli effetti alleata e pur approvando la nomina del britannico generale Alexander a governatore militare alleato, continua a ribadire la preferenza per un marcato carattere americano dell’impegno in Sicilia. Va osservato, comunque, che la linea politica di Roosevelt nei confronti dell’Italia, come ha scritto Miller, “fu presentata un pezzo per volta, aggiungendo nuove idee quando divenivano politicamente potenti in patria” <76, e in questo senso la programmazione dell’amministrazione alleata non fa eccezione <77.
Ad aprile, però, né britannici – che in un primo tempo avevano fatto pressioni per avere la leadership della missione <78 – né americani, a parte il Presidente, sono ancora favorevoli all’idea di un senior partner. All’interno del governo americano la preferenza va a un sistema che esclude un senior partner, come fa presente a Roosevelt, ad aprile, il segretario del Dipartimento di Guerra Cordell Hull, esponendo il programma di un governo militare alleato composto da uno staff misto e suddiviso in divisioni amministrative <79. Questo governo militare dovrà dipendere dal Comandante in Capo Alleato, che riceverà attraverso il CCS (Capi di Stato Maggiore Combinati) le direttive coordinate dei due governi: in questo modo sin dall’inizio il luogo della decisione politica nel territorio occupato viene di fatto individuato nei vertici militari. Questa competenza tutta militare viene ulteriormente sancita dal netto rifiuto della presenza di civili in qualità di consiglieri politici o di rappresentanti di agenzie governative, espresso da ambo le parti. Nel dibattito tra governi ed esercito per la pianificazione dell’invasione, infatti, il problema della “civilizzazione” o meno dell’amministrazione militare emerge sin dall’inizio, e diventa lo spazio in cui, nelle diverse fasi dell’occupazione italiana, si gioca la capacità di esercitare un ruolo predominante. In questo senso, una delle preoccupazioni principali degli americani è costituita dalla presenza di consiglieri politici a fianco dei britannici. Ma sia il Dipartimento di Stato che il Dipartimento di Guerra si oppongono ad ogni tipo di rappresentanza politica nella catena delle comunicazioni, soprattutto nella prima fase dell’occupazione <80. A maggio del ’43 la posizione del Dipartimento di Guerra è definitivamente quella di un governo che deve essere militare.
Dunque, oltre all’opposizione in linea di massima a una ingerenza politica in affari ritenuti in quel momento strettamente militari, quello che disturba maggiormente gli Usa è la “politicizzazione” della partecipazione militare britannica, attraverso la nomina di personaggi politici in ruoli chiave dell’amministrazione militare. E un’egemonia britannica sul campo agli americani proprio non va giù.
Il problema di una maggiore presenza britannica al vertice sarà una delle questioni maggiormente dibattute lungo tutto il periodo in cui i due alleati coopereranno in Italia. Soprattutto nel ’44, quando a capo del teatro del Mediterraneo e della Commissione di Controllo ci saranno dei britannici: il generale Sir Henry Maitland Wilson, nuovo comandante in capo del Mediterraneo dopo Eisenhower, Sir Frank Noel Mason MacFarlane, presidente aggiunto e commissario capo della Commissione di Controllo Alleata, oltre che capo dell’amministrazione militare alleata in Italia, e il generale Harold Alexander, comandante per il teatro italiano <81.
L’ostilità americana per l’atteggiamento britannico, se da un lato certamente tende a ridimensionare il ruolo dell’alleato inglese nel Mediterraneo, è però anche figlia di un limitato realismo politico, palesato dall’idea che l’introduzione di rappresentanti politici introdurrà prematuramente questioni politiche <82. In questo sta tutto il limite della politica Usa prima e durante l’occupazione: le questioni politiche saranno infatti all’ordine del giorno all’indomani stesso dello sbarco, e in Sicilia le forze politiche si riaggregheranno immediatamente, già prima della libertà concessa dal governo militare alleato <83. Affidare interamente a uomini dell’esercito la macchina amministrativa, significherà in concreto lasciare nelle mani dell’esercito stesso la politica estera americana, perlomeno per quanto riguarda l’impatto che le decisioni prese sul campo hanno sulla vita di milioni di persone, e certamente anche per l’immagine che questi cittadini si costruiscono dei “conquistatori-liberatori”. Ma gli effetti sono anche a lungo termine, quando le scelte dei militari influiscono anche sulla riorganizzazione dello Stato <84, e quando ai militari viene affidato il compito di condurre verso la democrazia una popolazione che si lascia alle spalle vent’anni di dittatura.
Il piano politico che interesserà gli ufficiali degli affari civili sarà ovviamente, nella fase iniziale, maggiormente legato a una dimensione locale; e in ogni caso l’apertura degli ufficiali alleati alle istanze locali, è inizialmente volta soprattutto a favorire il buon funzionamento della macchina amministrativa e quindi a garantire alla popolazione condizioni di vita accettabili. Il tentativo, in particolare da parte americana, è infatti quello di costituire relazioni politicamente “neutre”, ma espressione della rinascita della democrazia <85, pur mantenendo un controllo militare sulla popolazione. Sarà questo – e, come si vede, già dall’estate del ’43 – uno dei paradossi dell’amministrazione alleata: l’oscillazione continua fra la dichiarata volontà di restaurare le libertà democratiche e il tangibile controllo della vita civile e politica italiana, mantenuto anche dopo l’armistizio e dopo il passaggio dal governo militare alla Commissione di Controllo. Già a pochi giorni dall’invasione, nei paesi alleati inizia un dibattito sulla volontà di ricostituire le istituzioni democratiche nei territori liberati dal fascismo, ma di fatto occupati dalle potenze alleate.
Mentre la politica promette una rapida conversione democratica, sul campo gli ufficiali alleati elevano notabili prefasciti e aristocratici siciliani al rango di prefetti e sindaci, secondo lo schema coloniale britannico di una cooptazione delle élites locali a capo dell’amministrazione <86. Ma in breve il tentativo si rivela fallace, per l’irriducibilità a mere questioni di amministrazione locale di problematiche più ampie e molto presto eminentemente politiche. Come già detto, la pratica amministrativa era intesa dagli angloamericani come una scuola di democrazia, che avrebbe educato gli italiani e avrebbe preparato il terreno per la riorganizzazione politica. Di fatto, però, la situazione si era andata rivelando sin dall’inizio molto più complessa, e se da un lato prevaleva appunto la dimensione locale-comunitaria, ben testimoniata dalle prime nomine di sindaci e podestà nei paesi occupati, espressione del notabilato e delle gerarchie locali, dall’altro queste gerarchie stesse non erano altro che il riflesso dell’ultima struttura politica della comunità prima del fascismo, quella del notabilato liberale. E se ciò in Sicilia vale anche per i grandi centri come Palermo e Catania, varrà anche nei centri occupati nel corso dell’avanzata fuori dalla Sicilia, come Cosenza, dove viene nominato sindaco il socialista Giacomo Mancini <87.

[NOTE]68 La conferenza di Casablanca fu tenuta all’Hotel Anfa a Casablanca, Marocco, dal 14 al 24 gennaio 1943, per pianificare la strategia europea degli Alleati durante la seconda guerra mondiale. Cfr., D. W. Ellwood, op. cit., pp. 33 – 35.
69 L’operazione Torch (Torcia) era il nome assegnato dagli Alleati anglo-americani alla grande operazione di sbarco in Marocco e Algeria effettuata a partire dall’8 novembre 1942 durante la seconda guerra mondiale.
70 Sull’argomento soprattutto i giudizi di E. Miller, op. cit., pp. 3 – 7.
71 Ibidem. Cfr. inoltre E. Foner, op. cit., p. 33
72 Cfr., D. W. Ellwood, op. cit., pp. 228 – 234.
73 Ibidem.
74 Ibidem.
75 Ivi, pp.217 – 224.
76 Cfr., E. Miller, op. cit., p. 42.
77 La posizione di Roosevelt varia notevolmente nel corso degli eventi anche in relazione al governo militare e alla presenza di civili nell’amministrazione militare. Nelle sue memorie il segretario di guerra Stimson riferisce che per il
presidente “il concetto stesso di governo militare era curioso e per così dire spregevole” (Stimson cit. da D. W. Ellwood, op. cit., p. 214). In seguito, invece, sarà Roosevelt a caldeggiare un governo militare in uno schema di
controllo diretto, attribuendo proprio al governo militare enormi competenze.
78 Cfr., D. W. Ellwood, op. cit., p. 36.
79 Ibidem.
80 Ivi, pp. 214 – 217.
81 Cfr., E. Di Nolfo, M. Serra, op. cit., p. 61.
82 Sull’argomento cfr. soprattutto i giudizi di D. W. Ellwood, op. cit., pp. 207 – 239.
83 Cfr., Mangiameli, op. cit., p. 496.
84 Alla fine, la programmata epurazione dei quadri fascisti – voluta soprattutto dagli americani – fu di molto ridotta per evitare il collasso delle amministrazioni locali. Cfr. per esempio Rennell, che già a pochi giorni dallo sbarco sosteneva la necessità di un’azione graduale contro “ostruzionismo, ostilità o forti sentimenti fascisti”, per evitare la “rovina” e il collasso dell’intero sistema. (Rapporto Rennell, 2 agosto 1943, in Coles – Weinberg, Civil Affairs, op. cit., p. 195).
85 Cfr. R. Mangiameli, op. cit., pp. 507-8; cfr. inoltre E. Miller, op. cit., pp. 42 – 44.
Vincenzo Aristotele Sei, Italia e Stati Uniti, l’alleato ingombrante, Tesi di laurea, Università degli Studi della Calabria, 2014

#1943 #alleati #amministrazione #angloamericani #civili #controllo #fascisti #guerra #Italia #liberale #militari #notabilato #occupata #riorganizzazione #sicilia #VincenzoAristoteleSei


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All’interno della setta brigatista, iniziarono a manifestarsi i primi veri disaccordi


In seguito al sequestro e alla morte di Moro, le BR continuarono gli attacchi, colpendo funzionari dell’antiterrorismo e continuando la campagna contro il trattamento carcerario dei prigionieri, uccidendo Girolamo Tartaglione, direttore generale degli affari penali del ministero della Giustizia e due agenti di polizia addetti alla sorveglianza esterna del carcere Le Nuove di Torino: Salvatore Lanza e Salvatore Porceddu. Per tutto il 1978 nelle grandi fabbriche del nord Italia, le Brigate Rosse agirono contro le gerarchie e i dirigenti industriali: morirono Pietro Coggiola, capofficina torinese, e Sergio Gori, vicedirettore del Petrolchimico di Marghera (VE); l’omicidio di Gori, il 19 gennaio 1980, fu l’ultima azione delle Brigate Rosse inserita nel contesto di fabbrica. L’uccisione del sindacalista della CGIL Guido Rossa, avvenuta il 24 gennaio 1979, marcò l’inizio di un inesorabile declino delle Brigate Rosse: in quel contesto uscirono dall’organizzazione sette militanti, che confluirono nel Movimento Comunista rivoluzionario. Nel corso dell’estate del ’79, le BR, nel tentativo di far evadere i suoi militanti incarcerati all’Asinara, fecero pervenire all’Esecutivo brigatista un documento di 130 pagine in cui venivano esposte le tesi politiche che avrebbero dovuto indirizzare l’attività dopo il sequestro Moro.
Tra il giugno 1978 e la primavera 1980 venne condotta una campagna contro gli apparati dell’antiterrorismo, durante la quale vennero uccisi 12 militari di vario grado. Nel febbraio del 1980 venne arrestato a Torino Patrizio Peci, uno dei maggiori pentiti dell’organizzazione, che collaborando con le forze dell’ordine facilitò centinaia di arresti in tutta Italia. L’episodio scatenò anche la vendetta per la campagna contro l’antiterrorismo, per cui i carabinieri uccisero quattro brigatisti.
All’interno della setta brigatista, iniziarono a manifestarsi i primi veri disaccordi riguardo al futuro dell’organizzazione e su come procedere con le loro attività: l’Esecutivo brigatista non si trovava d’accordo con le tesi politiche esplicitate nel documento dell’Asinara, per cui vennero richieste le dimissioni dei suoi componenti; i principali dissidi riguardavano la questione operaia e, appunto, il problema della liberazione dei prigionieri. Per via delle contraddizioni interne all’organizzazione, per la prima volta le BR non furono presenti alla reazione della Fiat contro le vertenze operaie, che portò alla cassa integrazione di migliaia di operai e un centinaio di licenziamenti. Diverse colonne, dissentendo con Direzione Strategica, cominciarono ad agire in modo autonomo, e nel 1980 si verificarono le prime separazioni ufficiali. La prima colonna a distaccarsi dalla leadership brigatista fu la “Colonna Walter Alasia” il cui nome era un omaggio a un compagno caduto in azione a Milano: gestendo autonomamente l’omicidio dell’industriale Renato Briano, questa frangia uscì dal controllo politico dell’esecutivo Brigatista, separazione che venne ufficializzata nel dicembre del 1980 <107.
Nonostante questi conflitti interni, i media continuarono a riportare notizie sugli eventi legati alle Brigate Rosse. Nel dicembre 1980, fu ucciso il generale dei Carabinieri Enrico Galvagli, mentre il mese successivo si concluse il sequestro del Magistrato D’Urso in cambio della chiusura delle carceri speciali sull’isola dell’Asinara: fu proprio questa la campagna conclusiva del percorso unitario delle Brigate Rosse, nonostante i successivi tentativi di ripresa. Tuttavia, nell’aprile 1981, l’arresto di Mario Moretti, il leader incontrastato delle Brigate Rosse dal 1976, pose fine alle ultime speranze di un nuovo avvicinamento tra i brigatisti. Tutte le azioni successive, tranne il sequestro e l’assassinio dall’ingegnere Giuseppe Taliercio, direttore del petrolchimico di Mestre, rivendicati dai brigatisti, non furono più attribuite alla famosa sigla BR.
Nel corso degli anni successivi, vennero effettuati tentativi di riconciliazione tra i vari gruppi dissidenti, ma senza risultati significativi. Da quel momento in poi, le Brigate Rosse come un’organizzazione armata unitaria e diffusa su gran parte del territorio nazionale cessarono di esistere, dividendosi in BR-Walter Alasia, BR-Partito Guerriglia e BR-Per la Costruzione del Partito Comunista Combattente, che continuarono autonomamente il percorso di lotta armata.
Nel 1986 iniziò il cosiddetto processo Moro-ter, che pose fine alla storica organizzazione delle Brigate Rosse e portò alla luce molti degli eventi discussi in precedenza.
Nel gennaio del 1987, una serie di “lettere aperte” firmate da diversi militanti segnarono la conclusione dell’esperienza unitaria delle Brigate Rosse. Queste lettere enfatizzarono l’avvio di una nuova fase di lotta, focalizzata sulla risoluzione politica del conflitto degli anni Settanta, sulla liberazione di tutti i prigionieri detenuti a seguito delle azioni delle BR, e sulla facilitazione del ritorno degli esuli nel contesto sociale e politico italiano. Questo momento rappresentò una svolta significativa nella storia delle Brigate Rosse, poiché segnò la fine ufficiale dell’organizzazione e il passaggio a iniziative volte a raggiungere obiettivi politici attraverso mezzi pacifici <108.

[NOTE]107 Bartali R., 2004, “L’inizio della fine: le BR dal 1978 al 1987”, robertobartali.it/cap07.htm
108 Bartali R., 2004, “L’inizio della fine: le BR dal 1978 al 1987”, robertobartali.it/cap07.htm
Lidia Puppa, La violenza politica degli anni di piombo: un confronto tra terrorismo rosso e terrorismo nero, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno accademico 2022-2023

#1978 #1979 #1980 #1981 #1987 #arresto #BR #brigate #GirolamoTartaglione #GiuseppeTaliercio #GuidoRossa #LidiaPuppa #MarioMoretti #PatrizioPeci #pentito #processi #rosse #terrorismo


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dip 052


che poi alla fine si sa benissimo come funzionano. decine di migliaia di loro film lo hanno per decenni vomitato e fatto introiettare (come cosa normale) a tutti.

sono nati, proprio come entità nazionale, sul genocidio dei nativi e il furto delle loro terre. assassini e ladri, dunque. e schiavisti, e razzisti. colonialismo e apartheid di squisito stampo britannico.

hanno messo a punto e usato l’atomica.

fanno i conti col loro inconscio di merda, pieno di sangue altrui, lasciandogli mano libera nella prassi. soprattutto davanti a una convenienza economica immediata, che si sbarazza della storia e del futuro.

gli altri vanno distribuiti in sole tre categorie: zombie (morti che non si decidono a morire e vanno quindi aiutati a farlo), alieni e predatori. tutti pericolosi di fatto.

del resto, se la sottilissima pellicola del sogno lo dice, dev’essere così vero da spingere anche il più mite cittadino a uscire a sparare all’impazzata.

#amerika #dip #dip052 #dip052

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25 giugno, matteo tonoli: “forward thinking and new models of sustainability” (seminar held in Italian, thx to the ‘neocybernetic crew’)

Forward Thinking and New Models of Sustainability

Matteo Tonoli

25 giugno 6pm


LINK TO THE MEETING

I will start with a symbolic episode, “raining stones,” from Douglas Rushkoff’s book Throwing Rocks at the Google Bus.

Throwing rocks and protesting require a second-order view of the future (Wiener and Rosenblueth), on a generational scale. This vision is difficult to acquire because crushed by presentism (a consequence of the information and digital noise explosion of the 2010s), it flattens our temporal perception, limiting it to instants of eternal present under the banner of the “disposable.” This phenomenon impoverishes the vision of a possible future and, in some ways, makes us unable to glimpse its real implications.

I will argue that sustainable leadership must overcome presentism and adopt a generative, auto-poietic relationship with time in its dimensions of memory, present and future. Specifically, the tool that allows one to “prune the crown of the tree of possible futures” is accountability: knowing how to model the future to understand the consequences of actions on a generational time scale. As a result of these predictions we then act on the present, in a retroactive process.

A central aspect of this reflection is the retrieval of la parole (Grothendieck), a fundamental tool for imagining the future accurately and consciously, and then communicating it effectively to the actors involved in the sustainability chain. Linguistic sustainability then becomes a key element: a clear, unambiguous language that leaves no room for bad faith (Sartre), or that tendency to deceive ourselves (as happens when we reduce global warming to climate change, confusing cause and effect). In this sense, pertinence, which for Augé is the ability to “understand an epoch and speak to an epoch,” is essential for responsible communication.

I will conclude by emphasizing how a leadership that can retrieve the deep sense of the word and communicate it, succeeds in speaking with a political language. A language that, nourished by a highly informative past breaking into a dense and lived present, works every day to expand the horizon of possibilities (von Foerster).

An engineer first and sociologist later, Matteo Tonoli translates his many interests and passions into reflections on several issues that include complexity, innovation, the relationship between science and society, design and music. He is an education consultant and his latest work has been published within the collective volume Communication and Scientific Uncertainty in the Knowledge Society (Cerroni and Carradore, Franco Angeli, 2021).

neocyberneticcrew.org/

#CommunicationAndScientificUncertaintyInTheKnowledgeSociety #complexity #disposable #eternalPresent #ForwardThinkingAndNewModelsOfSustainabilit #Grothendieck #innovation #laParole #linguisticSustainability #MatteoTonoli #NeocyberneticCrew #ouglasRushkoff #presentism #sustainability #temporalPerception #theDisposable #ThrowingRocksAtTheGoogleBus #vonFoerster #WienerAndRosenblueth

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Il premio Margherita Hack raddoppia


Anche quest’anno il circolo Uaar di Catania e Cobas Scuola della provincia di Catania hanno bandito il concorso per un elaborato testuale, in forma di racconto o saggio, ispirato ad una frase di Margherita Hack. Concorso aperto a tutti gli studenti del triennio superiore della scuola secondaria di secondo grado, che frequentano istituti della Provincia di Catania. La premiazione ha avuto […]

Leggi il resto: argocatania.it/2025/06/22/il-p…

#BoggioLera #CobasScuola #IstitutoArchimede #LiceoPrincipeUmberto #MargheritaHack #UAAR

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windows sul blocco e il momento iconoclasta


Una roba come una settimana e mezza fa, ho visto un altro di quei bug stupidi e insignificanti, ma bizzarri ed inspiegabileggianti, sul mio amatissimo Windows 10… Poi però, non ho fatto il post subito per immortalare l’ops, perché girlfailure… E, visto che a schermo si vedono data ed ora, ovviamente in un punto scomodo per tagliare, e mettere una censura sopra avrebbe reso ancora più evidente quello che avrei voluto nascondere… non mi sono sentita di farlo il giorno dopo… e ovviamente quello dopo anche peggio… Ma oggi è ricapitato!!! 🙀

Sulla schermata di blocco del mio computer, e a quanto pare su quelli di pochi altri utenti (gli unici sui quali l’ho visto sono appunto il mio fiisso e quello di non ricordo chi su Internet, mentre tutti gli altri PC Windows che vedo in giro non ce l’hanno), c’è questa specie di sezione che appare in basso, tipo un widget che replica le sezioni importanti dalla roba “News e Interessi”, probabilmente non disattivabile (ma tanto a me piace, visto che riempie lo schermo altrimenti mezzo vuoto…). Molto simpatica e brio-portante. 🙏
13:38Saturday 21 June12:51Wednesday 11 June(Si, ecco qua: la schermata di oggi è di 6 ore fa, e quella passata è di 10 giorni fa… ormai ho già confessato, quindi non c’è rischio di mettermi in ridicolo ammettendo la mia inadeguatezza in cose particolari come questa. ❤️‍🩹)
Peccato solo che, in alcuni giorni molto fortunati (per me che trovo scuse per scrivere, non per Microsoft che si prende l’ennesima presa per il culo sa parte mia), capita che il merdino parta rotto all’avvio del sistema. Poi si sistema da solo dopo qualche decina di secondi, per qualche motivo, però intanto per quel periodo iniziale non carica nessuna immagine o icona sul widget. Ci sono degli eclatanti spazi vuoti sulle varie schede: manca l’icona dello stato corrente su quella del meteo, e mancano le miniature degli articoli per le schede più a destra. 🙈

Una cosa per fortuna non da impazzirci, perché non mi dispererò se manca l’icona del sole sul mio monitor (specialmente ora, con questo caldo, soli non ne voglio vedere nemmeno in SVG) ma comunque una roba da pazzi! Non mi capacito di come possa succedere, banalmente. Se la connessione Internet funziona per prendere il testo da mostrare, allora deve funzionare anche per scaricare le immagini… (oltre al fatto che le icone del meteo dovrebbero stare in qualche cache, ma lo sappiamo che il software Microsoft non è mai ideale…) Boh, basta Minisoft… 🥴

#NewsAndInterests #NotizieEInteressi #Windows #Windows10

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Il lato diseducativo del CRE in oratorio


Sono ormai tre anni che faccio il CRE dell’oratorio in una cittadina vicino casa. Il CRE è profondamente diverso da quello che facevo io da bambino o, forse, vederlo dall’altra parte è solo molto diverso, si notano più cose.

Ma la cosa diseducativa non sono gli animatori, spesso troppo giovani e inesperti, che si preoccupano poco o per niente dei bambini e ragazzi che dovrebbero controllare e con cui dovrebbero interagire (anzi, preferiscono passare giornate al cellulare e a sbuffare se gli viene chiesta un po’ di collaborazione). No, il vero problema diseducativo del CRE è aver introdotto le squadre e la conseguente classifica.

Ora. Magari non è una cosa che fanno in tutti gli oratori (anche se da una veloce ricerca sembra che la situazione prevalente sia questa), però introdurre una classifica delle squadre porta inevitabilmente varie conseguenze.

In primis, i bambini sembra che non siano in grado di giocare se non per vincere. E capisco che il discorso possa valere per i ragazzi delle medie, ma i bambini dovrebbero giocare per divertirsi, non per vincere qualcosa. Lo so che in tutto il resto dell’anno sono abituati a giocare per vincere, per conquistare qualcosa, per guadagnare qualcosa, perché per queste 3/4 settimane non possono essere semplicemente bambini che giocano per divertirsi, stare insieme, essere spensierati? Sono davvero così incapaci a giocare solo per il gusto di giocare? Secondo me, anche da quello che vedo a scuola coi giochi che propongo durante i laboratori, non sono assolutamente incapaci di giocare per il solo gusto di giocare.

Altro problema sono le continue lotte interne al gruppo: da ogni dove piovono accuse, richieste di penalità, l’unica domanda prima di un gioco è quasi sempre “Vale punti? Quanti punti dà?” ed è abbastanza avvilente.

E non mi sembra nemmeno una cosa educativa dire implicitamente ai bambini che il gioco serve sempre e solo per raggiungere un obiettivo. I bambini, che già hanno grosse difficoltà nel gioco non digitale e a gestire noia e tempi morti, dovrebbero essere invogliati a giocare per divertirsi, senza che ci sia un obiettivo finale da raggiungere. Il gioco dovrebbe essere fine a sé stesso e poi, sì, qualche gioco con classifiche e premi si può anche inserire, ma non dovrebbe essere la base di un centro estivo.

#Blog #lavoro



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nel comparto “post-poetica” di ‘ahida’ online, “serie limitrofa”, testo di luca zanini


su 'ahida' un testo di Luca Zanini
cliccare per leggere

ahidaonline.com/post/post-poet…

_

#ahida #ahidaOnLine #ahidaonline #LucaZanini #postPoetica #postpoetica #scritturaDiRicerca #scrittureDiRicerca

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Preso ad un #mercatino del #baratto. Il #nerd che è in me non ha resistito. Chi nota qualcosa di anomalo?

#baratto #mercatino #nerd

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black out / nanni balestrini. 1979


archive.org


cliccare per leggere

Alle origini di questo poemetto è il progetto di una «azione per voce»
che avrebbe dovuto essere eseguita da Demetrio Stratos alla Rotonda
della Besana di Milano nel maggio 1979. L’improvvisa malattia e la morte
di Stratos, avvenuta il 14 maggio al Memorial Hospital di New York, e
l’incriminazione di Balestrini nel quadro dell’inchiesta del 7 aprile ne
hanno impedita la realizzazione. Questi avvenimenti divengono i
principali motivi di ispirazione del testo, al quale Balestrini ha
lavorato durante la sua latitanza, tuttora in corso. Al centro
dell’opera si collocano il mito e la realtà del ’68, dell’indomabile
processo di trasformazione dei rapporti politici, sociali e personali di
questi dieci e più anni. Stretta tra la morsa di un terrorismo, che le è
storicamente e culturalmente estraneo, e la repressione dello stato e
dei mass-media che criminalizza il suo rifiuto, la sua opposizione, i
suoi desideri e i suoi bisogni, «la parte migliore di una generazione» è
qui rappresentata in un atroce fase d’impotenza, di smarrimento, di
oscurità della coscienza e dell’azione, in attesa di ritrovare in se
stessa la forza di continuare a vivere e a sperare. Ritagliando blocchi
di immagini-linguaggio con la tecnica del patchwork, Balestrini fonde le
sue precedenti esperienze del verso e della prosa in un linguaggio
articolato, lucido e appassionato, che riconquista alla poesia italiana
un «tono alto» da tempo assente.

#NanniBalestini

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pod al popolo, # 066: presentazione di “nz”, di antonio syxty (ikonalíber) a roma, studio campo boario, 3 giu. 2025


Audio completo della presentazione di NZ, di Antonio Syxty (ikonaLíber, collana Syn, 2025), presso lo Studio Campo Boario, Roma, 3 giugno 2025, con interventi critici di MG. Ora su Pod al popolo. Podcast irregolareed ennesimo fail again fail better dell’occidente postremo. Buon ascolto.
copertina di NZ, di Antonio Syxty
pagina del libro: ikona.net/antonio-syxty-nz/

#AntonioSyxty #audio #collanaSyn #IkonaLíber #lettura #MarcoGiovenale #mp3 #PAP #pap066 #podAlPopolo #podalpopolo #podcast #presentazione #reading #scritturaDiRicerca #scrittureDiRicerca #StudioCampoBoario #SYN #SynScrittureDiRicerca #SYN_ScrittureDiRicerca

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Già l’inizio dell’estate del 1944 porta la Resistenza italiana a guadagnare consistenza, coesione e capacità operative


Il 9 settembre, mentre Roma è già occupata dai tedeschi, il Comitato delle opposizioni prende il nome di Comitato di liberazione nazionale (Cln), organismo in cui siedono i rappresentanti dei sei principali partiti antifascisti. Oltre al Cln centrale (Ccln), organismi con la stessa struttura sorgono nelle principali città italiane (Torino, Firenze, Milano, Genova Bologna e Padova), e, in seguito, anche in numerosi altri centri minori. Sin dal principio, il Comitato di Roma cercherà di assumere una funzione dirigenziale a livello nazionale, che però non riuscirà ad esercitare nemmeno sui compositi gruppi armati dell’Italia centrale, così come saranno ricchi di contrasti anche i suoi rapporti con la Resistenza armata romana. Formalmente, il 31 gennaio 1944, il Cln di Milano assume il comando della lotta armata dell’Italia occupata, prendendo il nome di Clnai (Comitato di liberazione nazionale alta Italia) <10. In questa fase è impossibile anche un semplice censimento attendibile delle forze disponibili; ne consegue che un’autentica e unitaria direzione comune, in questo momento, è completamente impossibile. Tra i limiti maggiori che l’attività del Cln incontra c’è, soprattutto, il fatto che essi rappresentino una camera di compensazione, un punto di intersezione tra partiti che portano avanti progetti e ideali molto diversi tra loro. La volontà di deporre temporaneamente le tensioni in nome dell’unione delle energie per perseguire uno scopo comune prevalse sugli attriti esistenti, ma questa fu un’unione tutt’altro che semplice e priva di scontri: già dai primi mesi apparve evidente una netta diversità nel modo di intendere i metodi della lotta. Da una parte esisteva il progetto di suscitare un moto di radicale cambiamento fondato sulla partecipazione attiva delle masse, con conseguente liberazione non solo dall’occupazione nazista, ma anche dagli strascichi culturali, politici e sociale del ventennio fascista; questo progetto implicava una netta rottura e un’epurazione drastica dei responsabili delle scelte passate. Dall’altra parte, invece, si assisteva al tentativo di conciliare liberazione dal nazifascismo e continuità dei rapporti sociali consolidati. Da una parte una pregiudiziale repubblicana, particolarmente forte in azionisti, socialisti e comunisti (almeno fino alla svolta di Salerno del 1944); dall’altra, una complessa strategia istituzionale che non escludeva di restare in un impianto monarchico, accontentandosi di liberare l’Italia da Vittorio Emanuele III. A tutto ciò si aggiungeva anche una certa diffidenza tra i due partiti più attivamente impegnati nella Resistenza, il Pci e il PdA, resa evidente dalla formazione di due diverse forze armate che dipendevano, distintamente, da questi due partiti, ben più che dal Cln. La partecipazione dei partiti al Cln esprime una genuina convinzione riguardo la necessità di unità politica, ma convive con la rivendicazione di autonomia nell’ambito dell’organizzazione delle forze armate. Probabilmente sarebbe stato impossibile fare diversamente, se si considerano le profonde diversità nei tempi e nei modi dello sviluppo delle forze armate che scorrono tra comunisti e azionisti, soprattutto nel periodo dell’estate del 1944. Alla base della strategia dei comunisti c’è l’assalto continuo e sistematico, usato anche come metodo di propaganda e di crescita, fondato sulla convinzione che “è dalla lotta e dall’esperienza che sorgeranno i migliori quadri di combattenti contro i tedeschi, contro i fascisti” <11. Questa impostazione è inizialmente decisamente lontana dal pensiero di Ferruccio Parri, che ancora era concentrato sulla necessità della ricostruzione dell’”esercito discioltosi l’8 settembre, potenziandolo e trasformandolo con l’innesto di volontari civili, senza però alterarne la struttura gerarchica e i criteri di efficienza: un esercito ‘patriottico’ ma non ‘politicizzato’”. L’esperienza di ufficiale durante la Grande Guerra portava Parri a “privilegiare soprattutto il ‘recupero’ dei soldati e degli ufficiali regolari” <12. Questa prima fase è dunque una sorta di laboratorio, dove si confrontano modelli e progetti e diffidenze molto lontani dalla possibilità di una sintesi pacifica. Mentre l’azionista Parri viene riconosciuto da tutti i comitati regionali militari come il “coordinatore centrale”, il comando generale delle brigate Garibaldi rifiuta di sottoporsi alla sua autorità <13. Ne nasce un clima di crescente tensione, alimentato anche dalla forte campagna contro l’attesismo che i comunisti portarono avanti, con bersaglio il Cln di Milano. Bisogna però sottolineare che, come all’interno del partito comunista vi furono opinioni diametralmente opposte tra la direzione milanese e quella romana, anche nel variegato universo azionista i piemontesi, Livio Banco e Duccio Galimberti in primis, non si mossero in assoluta armonia con la direzione milanese. Mentre Parri ancora nutre profonde insicurezze sull’opportunità di creare delle bande direttamente “politiche”, in Piemonte, già alla fine del 1943, queste rappresentano una realtà consistente.
All’interno del Cln la discussione continua ad essere molto accesa, ma, verso l’esterno, la possibilità di comunicare come un fronte unito e collaborante si rivela decisiva nella costituzione di una prospettiva politica e militare alternativa a quella monarchico-badogliana. Senza un’unitaria rappresentazione politica, la resistenza armata difficilmente avrebbe potuto assumere l’ampiezza e il rilievo successivi. D’altra parte, il compito di rappresentare la resistenza armata, dandone un’immagine centralizzata, organizzata e politicizzata, probabilmente più di quanto non fosse realmente, è realizzato unicamente grazie all’esistenza stessa delle prima bande, dalla loro capacità di radicarsi nel territorio, di resistere ai rastrellamenti e alle rigidità dell’inverno, di non farsi scoraggiare nemmeno quando andò in fumo la speranza di una rapida avanzata degli Alleati anglo-americani. L’esistenza delle bande partigiane e della loro rappresentanza politica ebbe dunque, già nei primi mesi, effetti maggiori della loro stessa consistenza militare, sia sul piano politico che su quello simbolico. In primo luogo, infatti, furono in grado di limitare la credibilità e l’autorevolezza della Rsi, e quindi la sua stessa capacità di aggregare consensi; in secondo luogo, misero in discussione la pretesa di monopolio della rappresentanza degli italiani, avanzata dal governo del sud.
l’inverno è ancora una stagione di forti dubbi e incertezze, già l’inizio dell’estate del 1944 porta la Resistenza italiana a guadagnare consistenza, coesione e capacità operative. Per quanto riguarda il piano istituzionale e dei rapporti politici, le tappe fondamentale di questo processo di consolidamento sono la svolta di Salerno (aprile 1944), e la costituzione del comando generale del Corpo volontari della libertà (giugno 1944). Si tratta di uno sviluppo che prende piede dall’interno stesso della Resistenza, ma che trova indispensabile aiuto in alcuni cambiamenti decisivi del quadro storico e politico generale.
Ci sono due avvenimenti che, dal punto di vista militare, furono decisivi, sul fronte italiano, nell’inverno del 1943-1944. Il primo è la resistenza dei tedeschi arroccati sulla linea Gustav, che blocca l’avanzata verso Roma e il Nord dal mar Tirreno al mar Adriatico, e si snoda lungo l’asse dei fiumi Garigliano e Sangro. La determinazione della difesa e dei combattenti tedeschi trova un forte alleato nelle violente piogge e nel rigidissimo gelo, che limitano drasticamente la possibilità degli alleati di sfruttare la loro superiorità in fatto di carri armati e aerei. Il secondo è lo sbarco alleato ad Anzio (22 gennaio 1944), che pare inizialmente essere in grado di attanagliare le truppe tedesche, aprendo la possibilità di una rapida conquista di Roma. Nuovamente, l’indecisione che condusse questo sbarco e la prontezza della risposta delle truppe tedesche, produssero una situazione di stallo.
Tra l’autunno del 1943 e la primavera del 1944, le formazioni partigiane dell’Italia centrale, pur portando a casa qualche modesta vittoria e dimostrandosi efficaci nelle azioni di sabotaggio, risultarono incapaci di coinvolgere significativamente buona parte della popolazione civile. La liberazione di Roma verrà completamente portata a termine dagli Alleati, con apporto pressoché nullo da parte della Resistenza organizzata. I militari strettamente monarchici rivelano scarse abilità organizzative, e soprattutto nessun interesse a coinvolgere ampi strati di popolazione civile in una eventuale prospettiva insurrezionale. In realtà, nonostante i lunghi dibattiti e i piani insurrezionali, nemmeno la sezione politica della Resistenza, almeno quella che faceva capo al Cln romani, sarà in grado di organizzare la partecipazione popolare alla liberazione della capitale. Debolezze e divisioni interne al Cln romano, mancanza di classe operaia, posizioni compromesse dall’ingombrante vicinanza del Vaticano e ceto politico particolarmente autoreferanziale sono le principali cause della mancata risposta alla chiamata insurrezionale in occasione della liberazione di Roma.
L’arresto dell’avanzata alleata all’altezza della linea Gustav ha una conseguenza immediata sulla Resistenza armata: permette, infatti, agli occupanti tedeschi di dedicarsi, durante un rigido inverno, a rastrellamenti sistematici, ai danni di buona parte delle forze partigiane dislocate nell’arco alpino. A questa prova dei fatti resistono meglio le formazioni più dichiaratamente politiche, mentre le bande autonome vengono completamente travolte. Questi rastrellamenti, però, pur indebolendo notevolmente le forze della Resistenza partigiana, falliscono nel loro intento di debellarla completamente. Alla fine dell’inverno era chiaro, tanto agli occupanti tedeschi, quanto alle autorità fasciste, che la Resistenza armata era, seppur fiaccata, un fenomeno endemico, impossibile da cancellare completamente. Anzi, questi rastrellamenti invernali e primaverili produssero una nuova selezione: coloro che restarono in montagna e sopravvissero al clima proibitivo, sotto l’incombente minaccia della cattura e della morte, pur essendo solo poche migliaia di combattenti, dimostravano però grande capacità di adattamento, di organizzazione, e saranno loro ad inquadrare le nuove reclute che, nei mesi successivi, prenderanno la strada delle montagne, creando la nuova dimensione della Resistenza.
La ferocia con cui i tedeschi conducono questi rastrellamenti non lascia dubbio: il loro scopo non è solo sradicare la Resistenza partigiana, ma anche, tramite saccheggi e incendi di case e stalle, terrorizzare la popolazione e estirpare ogni possibilità di solidarietà civile. Malgrado ciò, pur con eccezioni significative, nella primavera del 1944, prevale un atteggiamento di tacita connivenza, se non di aperto favore, tra la popolazione civile e i partigiani, soprattutto laddove i partigiani erano nativi delle zone. Nonostante i rastrellamenti e il clima di costante terrore, vi è dunque un sostegno consistente, anche se mai totale e irreversibile, variabile a seconda delle zone, dell’intensità della repressione, della quantità e della provenienza dei partigiani presenti, della stagione e della disponibilità delle risorse.
Non siamo in possesso di una stima precisa su quanti fossero, alla fine della primavera del 1944, i partigiani in armi, ma possiamo dire con certezza che ci fu una crescita costante dall’inverno all’estate, con un notevole flusso nel mese di giugno, quando “un soffio di entusiasmo e di speranze percorse le città e le campagne, e spinse in montagna una quantità di persone che sino allora, per una ragione o per l’altra, non avevano ancora creduto giunto il momento di agire, o non avevano potuto muoversi. Si iniziò un nuovo grandioso afflusso” <14. La crescita improvvisa delle bande comporta, però, un decisivo aumento della precarietà: i flussi intensi verso le montagne hanno, inevitabilmente, al loro interno le loro criticità, soprattutto in molti giovani che partono decisi più che altro a sottrarsi a una guerra, piuttosto che ad iniziarne una nuova. Le bande che si sono assestate con difficoltà sulle montagne non hanno i materiali e le risorse necessari per trasformare rapidamente decine di migliaia di nuove reclute in partigiani addestrati a questo tipo di vita e di guerra. Le reazioni dei comandanti partigiani in loco si discostano drasticamente da quelle, più politiche, dei dirigenti nazionali, che, ovviamente, vedono in questo ampliamento un passaggio fondamentale per il consolidamento della Resistenza. Gran parte dei comandanti partigiani, invece, manifestano forti riserve riguardo alle nuove reclute di aprile-maggio, per una serie di ragioni: in primo luogo, l’impossibilità di operare una rigorosa selezione, considerata necessaria per assicurare l’affidabilità delle bande; la totale mancanza di esperienza dei nuovi arrivati; l’impossibilità di armarli; la difficoltà di reperire approvvigionamenti per numeri così alti di uomini; infine, il complicarsi dei rapporti con le popolazioni locali, sulle cui spalle gravava il peso del sostentamento dei partigiani. L’atteggiamento comunista è, però, diametralmente opposto: “nelle forze garibaldine vennero sempre accettati tutti i giovani che si presentavano. In primo luogo, perché le armi se le sarebbero conquistate, e poi perché se è vero che in determinati momenti (rastrellamenti, ritirate ecc.) i ‘disarmati’ posso rappresentare un ostacolo” in generale, secondo le parole di Lenin come indiscutibile insegnamento dai dirigenti comunisti, “un reparto organizzato e compatto è una grande forza quando non manca l’energia. In nessun caso bisogna rifiutare di formare dei reparti e rinviarne la costituzione col pretesto che mancano le armi” <15.

[NOTE]10 E. Collotti, Natura e funzione storica dei Comitati di liberazione, in Collotti, Sandri e Sessi, Dizionario della Resistenza, vol. I, Storia e geografia della Liberazione.
11 P. Secchia, Perché dobbiamo agire subito, in “La nostra lotta”, novembre 1943.
12 P. Levi Cavaglione, Guerriglia nei castelli romani, Einaudi, Torino, 1945.
13 L. Valiani, Tutte le strade conducono a Roma, il Mulino, Bologna, 1983.
14 D. L. Bianco, Guerra partigiana, Einaudi, Torino, 1973.
15 P. Secchia e C. Moscatelli, Il Monte Rosa è sceso a Milano. La resistenza nel Biellese, nella Valsesia e nella Valdossola, Einaudi, Torino 1958; la citazione di Lenin è ripresa dalle Opere complete di Lenin, vol. VIII (edizione russa).
Giulia Arnaldi, Partigiane tra guerra e dopoguerra: donne e politica in Veneto, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2021-2022

#1943 #1944 #1945 #alleati #CLN #comunisti #fascisti #GiuliaArnaldi #guerra #partigiani #rastrellamenti #Resistenza #stragi #tedeschi


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Sarebbe erroneo immaginare la Resistenza come un percorso rettilineo


Dopo l’8 settembre 1943, con l’annuncio dell’armistizio, la dissoluzione dell’esercito, l’occupazione tedesca e l’avanzata anglo-americana, inizia, per l’Italia, la fase più drammatica della Seconda Guerra Mondiale. L’Italia si trasforma in fronte di guerra, e la lotta partigiana prende la connotazione di una vera e propria guerra civile.
Questo è il punto di connessione tra la Resistenza e la guerra nazionale: la resistenza politica, organizzata ed egemonizzata dai partiti antifascisti, prende forza con il fallimento del regime fascista, con la caduta di tutto il suo apparato dirigenziale e con la sua rovinosa sconfitta militare. Da questo tracollo nasce l’occasione per riprendere la battaglia che vent’anno prima aveva portato Mussolini al potere e aveva condannato alla galera o all’esilio i principali esponenti antifascisti. Il primo obiettivo di buona parte della Resistenza politica è, quindi, quello di rendere irreversibile il tracollo non solo del regime, ma anche della monarchia, che ne aveva avvallato la nascita e condiviso le vittorie.
Accanto a questa resistenza organizzata ne esiste un’altra, più diffusa e mutevole, che nasce dal comune malcontento e rifiuto nei confronti della guerra, e che si manifesta nel rifiuto di aderire alla leva militare obbligatoria e al lavoro per gli alleati-occupanti tedeschi, così come in molte forme di autosottrazione e di mancata collaborazione.
Per mettere a fuoco la sfida storico-politica della Resistenza è necessario tenere a mente che la società usciva da un ventennio di dominazione che, infiltrandosi in tutte le pieghe dell’esistenza dei cittadini, aveva notevolmente appiattito la consistenza delle forze di aggregazione sociale. La stragrande maggioranza degli accademici italiani, insieme ad insegnanti di ogni ordine e grado, hanno, nel migliore dei casi, taciuto, e nel peggiore hanno aderito con intimo ardore, davanti alla retorica, all’estetica, alle leggi razziali, al sogno imperiale e, in generale, al progetto politico, culturale e pedagogico fascista. È quindi necessario alfabetizzare politicamente dei ragazzi che, dopo un ventennio di appiattimento del dibattito e dell’abitudine politica, erano stati formati dalla scuola fascista a una pedagogia fortemente connotata dal punto di vista autoritario.
Mentre gli eserciti di tipo tradizionale trovano in una certa mancanza di personalità, nell’adesione alla routine e alla gerarchia, le virtù necessarie per la loro stessa sopravvivenza, la guerra per bande richiede, invece, una grandissima elasticità, doti di intraprendenza, e, soprattutto, una profondissima adesione etica. Per questo, la scarsità di uomini che uniscano in sé maturità politica, coraggio, preparazione militare e salde convinzioni, sarà uno dei problemi più ardui che dovranno affrontare gli organizzatori della Resistenza. L’esercito partigiano vuole essere nuovo, così come avrebbe dovuto essere nuova la società Italiana, seppure immaginata con connotazioni spesso contrastanti dalle diverse forse politiche che presero parte alla Resistenza. È questa, già nella fase di ideazione, una realtà che subito si scontra con diversi ostacoli: oltre che contro i tedeschi e al governo collaborazionista di Salò, si tratta qui di battersi contro i risultati, a livello culturale e antropologico, di vent’anni di dittatura. Una delle caratteristiche, infatti, che accomuna molte delle esperienze eticamente e intellettualmente dalla Resistenza, è la ribellione al fascismo come ribellione antiretorica, come necessità vitale di superare la distanza tra l’individuale esperienza concreta e la vana retorica ufficiale. Purtroppo, il tentativo di realizzare questa rottura, risulta evidente solo dopo lo sbarco alleato in Sicilia nel luglio del 1943, e quindi dopo che la gerarchia fascista e la monarchia si erano già mosse per liberarsi di Mussolini.
Molte ricerche di carattere prevalentemente particolaristico hanno sottolineato come la Resistenza sia stato un fenomeno alimentato da motivazioni, energie e progetti del tutto autonomi. L’attenzione dedicata alle dinamiche interne alle formazioni, alla vita delle bande, ha contribuito a isolare la Resistenza, a interpretarla prevalentemente come un fenomeno autoreferenziale, dotato internamente di autonomi fini e strategie. Una mole gigantesca di informazioni, a volte affidabili, altre contaminate da intenti autocelebrativi, ha finito per oscurare le concrete determinazioni storiche, al cui interno, e solo qui, la Resistenza acquista possibilità di lettura. Insomma, invece che davanti ad un fenomeno storicamente e concretamente strutturato in un contesto ben preciso, siamo, al contrario, davanti a una Ricostruzione in cui la Resistenza diviene essenzialmente una categoria dello spirito, una manifestazione di umanità. La comprensione del perché certi progetti nascano in un determinato periodo e si sciolgano in un altro, è possibile solo tenendo conto contemporaneamente della complessità e della variabilità del contesto. Accostarsi allo studio della Resistenza implica necessariamente lo sforzo costante di mettere a fuoco le interdipendenze tra la “guerra rossa” e i suoi effetti sulla società italiana, nella quale la Resistenza si inscrive come un’inconciliabile contraddizione.
La Resistenza che viene studiata coincide principalmente con il tentativo di trovare, tra il 1943 e il 1945, uno spazio di iniziativa, una nuova identità autonoma tra le forze che già sono attrici in questo palcoscenico: Alleati, esercito tedesco, Repubblica sociale, monarchia e governi del Sud. La sopravvivenza della Resistenza in questo scenario, scontata a posteriori, in un primo momento non è affatto ovvia, non solo nell’inverno del 1943, ma anche nell’anno successivo. Si tratta di un’avventura della durata di appena venti mesi, che sarebbe erroneo immaginare come un percorso rettilineo.
Giulia Arnaldi, Partigiane tra guerra e dopoguerra: donne e politica in Veneto, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2021-2022

#1943 #1944 #1945 #alleati #armistizio #fascisti #GiuliaArnaldi #guerra #partigiani #Resistenza #tedeschi

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oggi, 21 giugno, a roma: manifestazione nazionale contro il riarmo, il genocidio e l’autoritarismo


manifestazione nazionale contro il riarmo
cliccare per ingrandire

I tempi sono bui. Serve una mobilitazione mondiale CONTRO LA GUERRA, IL RIARMO, IL GENOCIDIO, L’AUTORITARISMO

Aderiscono e promuovono; mille sigle in 18 paesi, di cui oltre 300 in Italia.

Appuntamento sabato 21 giugno, alle ore 14, a Roma per la manifestazione nazionale contro guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo, promossa dalle oltre 300 reti, organizzazioni sociali, sindacali, politiche nazionali e locali che hanno sottoscritto l’appello della Campagna europea #StopRearmEurope (stoprearm.org/), che ad oggi conta tra le proprie adesioni circa mille sigle in 18 paesi e che vede come promotori italiani Arci, Ferma il Riarmo (Sbilanciamoci, Rete Italiana Pace e Disarmo, Fondazione Perugia Assisi, Greenpeace Italia), Attac e Transform Italia.

La manifestazione nazionale del 21 giugno rientra nella settimana di mobilitazione europea, che si terrà dal 21 al 29 giugno in occasione del vertice della Nato a L’Aja, che proprio in quei giorni deciderà i dettagli del gigantesco piano di riarmo deciso dall’Unione Europea, e vedrà la convergenza di tante identità, tutte impegnate contro la guerra, per la pace, per la giustizia sociale e climatica, i diritti e la democrazia nel nostro paese.

Un appuntamento che si inserisce nello stesso percorso di mobilitazione che attraverserà altre due tappe fondamentali: la manifestazione nazionale contro il Decreto legge Sicurezza, promossa il 31 maggio a Roma da “A pieno regime”, e il voto per i 5 sì ai Referendum dell’8-9 giugno su lavoro e cittadinanza.

www.fermailriarmo.it | stoprearmitalia [at] gmail.com
Per adesioni: stoprearm.org

Rete Italiana Pace e Disarmo

#Arci #Attac #controIlDecretoLeggeSicurezza #controIlGenocidio #controIlRiarmo #controLAutoritarismo #controLaGuerra #FermaIlRiarmo #FondazionePerugiaAssisi #Greenpeace #GreenpeaceItalia #manifestazione #manifestazioneNazionale #organizzazioniSociali #pace #pacifismo #ReteItalianaPaceEDisarmo #reti #Sbilanciamoci #StopRearmEurope #TransformItalia

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Il blog #ilfediversofaschifo è tornato on line, ma mi sono posto una domanda: la tua istanza è silenziata dal mio provider?


[AGGIORNAMENTO: sembra che ci sia un problema con TUTTE le istanze Friendica; nessun problema con la maggior parte delle istanze italiane e internazionali. Ho ricevuto un post da @pirati e non mi è andato in spam]


Rieccomi qui, dopo essere stato temporaneamente sospeso probabilmente a causa di un post in cui ricorrevano diverse buzzword che in questo periodo è meglio usare con parsimonia.

Ho notato infatti che il post di @gubi quello di @enzoesco e quello di @blogverso erano finiti nello spam (capito @informapirata?).

Non mi è successo con i post di mastodon.uno, infosec.exchange e mastodon.social

A questo punto chiedo se c’è qualcuno che vuole provare a rispondere a questo post, tanto per provare!
Qualcuno può rispondere a questo post?Qualcuno può rispondere a questo post?
#GubitosaPiuBelloDiCaparezza


Come avere successo su Mastodon e guadagnare soldi con Mastodon: questi sono i 20 consigli segreti di “FediversoFaSchifo”


In tanti mi hanno chiesto insistentemente consigli su come avere un account di successo e siccome sono l’unico in grado di rispondere a questa domanda, ho deciso di scrivere un post che anche l’utente medio di Mastodon è in grado di capire.

Mi hanno chiesto anche si spiegare come avere successo con un account Misskey, ma purtroppo non sono esperto di fumetti pedopornografici giapponesi, quindi no, non saprei esservi d’aiuto. Se usate Friendica invece ho il consiglio giusto: passate a Mastodon.

Ecco invece i 20 consigli segreti e sperimentati che devi seguire per avere successo su Mastodon con il tuo account Mastodon

Come avere successo su Mastodon:


  1. curare la descrizione del profilo: anche se tutti sanno che non esistono donne su Mastodon, presentati possibilmente come una donna giovane e con la passione per qualche sport. Aggiungi un gatto o un cane nella foto, ma niente figli. Ricorda a tutti della tua neurodivergenza: sarà un’ottimo argomento di conversazione: fatto questo, scrivi un post lecchino e pieno di piaggeria e lodi verso gli amministratori così loro te lo ricondivideranno e ti risponderanno e questo crea engagement
  2. scrivere un post vittimista contro GAFAM e Twitter/Facebook a favore di Mastodon. Se raggiunge almeno 10 condivisioni, fissalo in cima alla tua timeline
  3. se hai fatto una donazione, scrivilo, fornisci motivazioni ideologiche e ringrazia gli amministratori: loro ricondivideranno il tuo profilo e tu avrai visibilità; meglio ancora se aggiungi che hai fatto una donazione malgrado i tuoi problemi economici (lacrimuccia)
  4. non parlare mai della morte dei tuoi cari/amici/animali, ma limiti a parlare della loro malattia; come sanno bene i venditori di rimedi miracolosi, la malattia crea coinvolgimento, la morte no.
  5. parlare malissimo della destra, perché sta sul cazzo a tutti in maniera indistinta, ma ATTENZIONE: non parlare mai bene della sinistra, perché anche la sinistra sta sul cazzo a tutti, ma a ognuno in modo diverso (semicit)
  6. scopiazza le notizie dall’estero e traducile come viene: @informapirata non ha mai fatto nient’altro e lui ha 7000 follower, mentre io ce ne ho 355 e ne ho guadagnato 200 quando ho tradotto un post dall’inglese
  7. se hai deciso di essere una donna, prendi posizioni antifemministe: i maschietti adorano le donne maschiliste
  8. parlare male di mastodon uno per raccogliere le reazioni dei disagiati, ma ATTENZIONE: fallo solo se non sei iscritto a mastodon uno, altrimenti sarai bannato senza alcuna pietà
  9. se sei stato bannato senza pietà da mastodon uno, non preoccuparti: iscriviti su sociale network, menziona @gubi e lamentati del fatto che sei stato bannato. Aggiungi dettagli raccapriccianti anche se inventati (esempio: “ho parlato contro la strage di Gaza e mi hanno bannato per antisemitismo”; “ho problemi economici e mi hanno bannato perché non ho fatto donazioni”; “ho detto che non mi piacciono i nudi e mi hanno inviato un cazzo in PVT, ed era pure piccolo”, etc), tanto l’amministratore di sociale network li prenderà comunque per buoni e ricondividerà i tuoi messaggi
  10. se sei stato bannato da Mastodon uno e ora sei in un’istanza sfigata come bida, puntarella, devianze e poliversity, partecipa attivamente alle discussioni su #chiesebrutte, cose di #taglioecucito, #cucinaveg e musica rinascimentale suonata con strumenti improbabili e temperamenti molesti per l’orecchio umano. E ricordati di parlare male di mastodon uno perché tanto queste sono le uniche cose che ti daranno gratificazione
  11. se ti trovi su livellosegreto, usa almeno degli avvisi di contenuto intriganti: tanto devi mettere il content warning ogni volta che non parli di videogiochi
  12. pubblicare meme che sembrano da nerd, possibilmente riciclati da Reddit
  13. mostrare ogni tanto qualche foto del culo o della scollatura: Mastodon è sessualmente represso e per i suoi utenti ogni centimetro di pelle è un raggio di sole e una scarica di noradrenalina
  14. non seguire i VIP perché non sono simpatici: @quinta quasi sicuramente ti odia perché sei un comunista di merda, @marcocappato non ti darà neanche un passaggio, @giuliocavalli non ti si inculerà neanche con un wurstel, @phastidio è stronzo qui come su twitter e @smaurizi è sempre di cattivo umore: e no, neanche @sio su Mastodon è veramente simpatico e se gli scrivi non ti si caga di pezza. Ok @ildisinformatico è un’eccezione, ma solo perché non è italiano
  15. seguire solo persone attive nelle ultime 24 ore; e se non vi seguono a loro volta mandatele affanculo perché vuol dire che non vi si cagheranno mai
  16. rispondere solo alle persone che di solito rispondono; e se non vi rispondono mandatele affanculo perché vuol dire che non vi si cagheranno mai
  17. menzionare solo le persone che di solito rispondono; e se non vi rispondono mandatele affanculo perché vuol dire che non vi si cagheranno mai
  18. seguire tutti i consigli precedenti per creare altri due o tre account per istanza, così create rumore e almeno vi rispondete da soli
  19. litigare e bullizzare male qualche account debole e con pochi follower. Se non ne trovate, createvene uno
  20. quando avrete più di 200 follower, non ricondividete più nessuno: più sono sfigati gli account intorno a voi, più voi sembrate importanti


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  • chiudi il tuo account e vai a lavorar, terùn!

#chiesebrutte #cucinaveg #mastostar #taglioecucito


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installance #0193: a divination card


installance 0193
installance n. : # 0193type : divination cardsize : ~ cm 7,5 x 5record : lowres shotadditional notes : abandoneddate : Jun 20th, 2025time : 1:01pmplace : Rome, viale Marconi footnote : ---copyright : (CC) 2025 differx
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#art #arte #conceptual #conceptualArt #divination #divinationCard #i0193 #i0193 #indexCard #installance #konzept

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distruzione internata insopportabilmente certificata


Quando la notte passata ero dentro il mio letto a disperarmi tremendamenteunica attività che puntualmente l’universo mi concede di praticare senza che le solite strane distrazioni fastidiose prendano in ostaggio il mio cervelloho realizzato una verità tanto banale quanto dolorosa, che mi stava venendo alla testa da in realtà già qualche giorno, ma solo ieri sono riuscita a collegare i puntini: nothing ever happens. Si, i wojak insomma avevano ragione; ma, scherzi a parte, così mi arriva dritta in testa distruggendomi, come un fulmine a cielo scuro, la realizzazione che la mia vita è ahimè, da più anni di quanti io possa davvero contare, circa in una fase di stasi inscrostabile, dove le cose importanti semplicemente non migliorano, e dunque matematicamente il mio stato inevitabilmente peggiora.

È difficile spiegare il tutto senza fare esempi molto concreti (cosa che vorrei evitare, altrimenti poi me ne pento), ma in sostanza con le cose che mi riguardano profondamente sono sempre allo stesso punto tragico, dentro una palude in cui non ricordo come ho fatto a finire ma dove purtroppo ora sono intrappolata… e dove lo sarò per sempre, se ho davvero compreso il piano astrale che fu scritto dalle forze massime all’inizio dell’universo e che silenziosamente si è poi sviluppato sotto i miei stessi occhi in tutti questi anni. In breve, non c’è davvero stata alcuna svolta significativa nella mia esistenza negli ultimi lunghi tempi, né considerando le cose accidentali né quelle in cui ho messo un impegno mirato.

Sono comunque cresciuta come persona ovviamente, non essendo più la relativa testa di minchia che ero in passato… ma quello è qualcosa che ci si aspetta da qualunque membro della società che raggiunge e supera la maggiore età (nonostante nella pratica per diversa gente questa speranza non si realizza), quindi nulla di speciale… E chiaramente con i miei pochi hobby negli anni ho sviluppato e continuo a migliorare skill di vario tipo… ma anche questo diviene in maniera completamente inevitabile, e il tutto finisce lì. Per il resto, invece, per ora il mio corpo non fa che invecchiare anziché poter essere ancora ripristinato allo stato che avrei programmato, e la mia anima già tremendamente avvizzita continua ad essere privata di adeguato nutrimento che mischi adeguatamente il magico ed il babbano: sono nello stato di disperazione finale in cui vorrei fosse possibile il di più, ma ovviamente non è affatto così.

In tutto ciò, mi torna in mente anche di quando al liceo studiammo Nietzsche, con la sua teoria dell’eterno ritorno dell’uguale, e pensai che è assolutamente terrificante… ma purtroppo, in effetti, a pensarci ora, ciò è esattamente la mia realtà!!! E il punto grave non è solo il fatto di star ripetendo e dover continuare a ripetere la mia intera vita all’infinito, come quel signore immagina ma senza fornire strumenti per verificare: al loro punto significativo, i miei giorni, i miei mesi, i miei ultimi anni, sono tutti uguali, perfettamente ritornanti, infinitamente ripetenti, con i vari dettagli importanti che assolutamente non cambiano mai, e che di questo passo non cambieranno… e questo purtroppo è un dato di fatto misurabile, non una teoria smontabile.
MAYBE I'M CRINGEComunque, a parte approfittare per chiedere quantomeno assolutamente scusa, assoluto perdono, perché probabilmente in questo stato sono ampiamente cringe, ma per qualche motivo ho il cervello completamente pieno di nebbia (e forse è solo per questo che stamattina mi sentivo meno incazzata di ieri nel letto), al punto che anche solo mettere questa rivelazione per iscritto mi è stato inutilmente più faticoso del normale… Mi sa che il problema è proprio questo, in parte. L’universo ha deciso che io dovessi essere cringe, quindi sono cringe (presumibilmente), e ne pago le conseguenze più ampie in ambito sociale ed autoesistenziale, per sempre.

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L’arbitro e il mondo

Perché il Master non è un co-narratore, ma un garante


C’è un’idea sempre più diffusa nel discorso contemporaneo sul gioco di ruolo: che il Master (o GM) non debba più “controllare” il mondo, ma solo facilitare una narrazione condivisa. In molti casi, questo si traduce in una pratica concreta: chiedere ai giocatori di riempire pezzi di ambientazione, inventare PNG sul momento, o descrivere luoghi che il Master non ha previsto. Tutto in nome della “collaborazione narrativa”.

Ma c’è un problema. In un gioco asimmetrico, dove il Master ha un ruolo distinto, questa delega non è collaborazione. È abdicazione.

L’arbitro non crea con te, reagisce a te


Il Master non è un autore che racconta una storia da solo, né uno scenografo che sistema il palco su richiesta. Il suo compito è mantenere la coerenza del mondo e l’imparzialità del giudizio. È la terza parte che tiene insieme le conseguenze, i limiti, le risposte di un mondo autonomo a ciò che i personaggi fanno.

Quando un GM chiede: “Questo PNG lo conosci tu?”, oppure “Com’è fatta questa stanza? Descrivila tu”, sta spostando il baricentro del gioco. In apparenza sembra coinvolgere i giocatori. Ma in realtà, li sta caricando di una responsabilità che non è loro. La distinzione di ruoli viene meno, e con essa anche la coerenza sistemica che dovrebbe tenere insieme il gioco.

Non è worldbuilding condiviso, è deresponsabilizzazione


Collaborare all’ambientazione non è sbagliato in sé. Esistono giochi pensati per farlo, con strumenti strutturati (Microscope, Archipelago, Wanderhome). Ma questi giochi definiscono in anticipo i confini di autorità narrativa, spesso attraverso sessioni zero dettagliate e regole precise su chi può dire cosa e quando.

Quando invece, in un gioco classico con GM (come D&D), si adotta un metodo simile in modo estemporaneo e disordinato, si rischia la disfunzione. Il Master si libera del carico decisionale, i giocatori improvvisano su territori che non conoscono, e il mondo si svuota di significato. A quel punto non si esplora più qualcosa: si lo inventa a caso.

E se tutto è possibile, niente è significativo.

Il problema del “GM pigro”


Manuali come La Guida del Dungeon Master Pigro (The Lazy Dungeon Master) promuovono l’idea che si possa costruire una sessione senza preparazione, affidandosi all’improvvisazione e alle proposte dei giocatori. Ma spesso questa “pigrizia” diventa una scusa per non assumersi la responsabilità dell’arbitraggio.

Non è solo questione di lavoro: è questione di ruolo. Il Master non è tenuto a sapere ogni dettaglio, ma è tenuto a decidere quando una cosa ha senso e quando no. Se cede questa facoltà, il mondo perde peso. Tutto diventa un collage arbitrario di idee individuali senza un referente stabile.

Il confine tra partecipazione e confusione


Collaborare non vuol dire rompere i ruoli. Un giocatore può proporre un aggancio per il suo personaggio (es. “vengo da questa città, potrei avere un contatto lì”), ma è il Master a decidere se e come quell’elemento esiste nel mondo. È il GM che integra, adatta, risponde. Non deve chiedere al giocatore: “Conosci qualcuno?” ma piuttosto dire: “Conosci qualcuno. Ti dirò chi è, e poi vedremo che succede.”

Questo non nega la collaborazione: ne tutela la coerenza.

Esempi disfunzionali


Un giocatore dichiara all’improvviso che il suo personaggio viene da un mondo parallelo, conosce un portale segreto e vuole tornarci. L’ambientazione non prevedeva nulla del genere. Il GM resta spiazzato: accetta l’input per non rompere il ritmo, ma poi è costretto a riassorbire forzatamente l’incoerenza, inserendo nemici che presidiano il portale e alterando la trama.

Ma la verità è semplice: quel giocatore ha oltrepassato un confine. Ha deciso per il mondo, non per il suo personaggio.

E questo è sempre, senza ambiguità, compito del Master.

Conclusione


Il GM non è un demiurgo dispotico. Ma non è nemmeno un notaio silenzioso che timbra tutto ciò che viene proposto. Il suo ruolo è essere il garante della reattività e della coerenza. È il mondo che risponde, non che si modella a piacimento.

Rinunciare a questo ruolo non è collaborazione. È confusione.

E quando tutto è condiviso senza criterio, nulla è davvero condiviso. Solo mescolato.

#gdr #giochiDiRuolo #tecniche

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Popoli e culture


Note riservate a chi lavora “sul campo missionario” per capire le popolazioni cui è diretta la sua attività.

Popoli e culture di Achille Da Ros è un testo di antropologia culturale che esplora la diversità dei popoli e delle loro espressioni culturali, con un’attenzione particolare all’Africa, dove l’autore ha vissuto per oltre vent’anni come missionario, per la precisione in Kenya.

Il libro descrive il concetto di cultura intesa non solo come arte o letteratura, ma come l’insieme di pratiche, valori, simboli e strutture sociali che definiscono un gruppo umano; definito ciò, Da Ros riflette sulle dinamiche di dialogo, conflitto e trasformazione che emergono quando culture diverse si incontrano, specialmente nel contesto della globalizzazione. Le culture diverse vengono descritte con un approccio rispettoso, paritario e critico verso le culture “altre”, superando stereotipi e pregiudizi. L’analisi dell’autore è supportata da racconti e osservazioni dirette maturate durante la sua permanenza in Kenya, ed in ciò appare un’evidente nota autobiografica.

È un libro pensato per studenti, educatori e chiunque voglia avvicinarsi all’antropologia con uno sguardo aperto e sensibile. A testimonianza dell’apprezzamento da parte dei lettori, il volume è giunto alla sua 21a edizione. In sede si trova la prima edizione, risalente ad un’epoca in cui l’antropologia missionaria era ancora poco diffusa in Italia, la quale rispetto alle ultime presenta un taglio più “pastorale”, pensato per sensibilizzare i lettori alla diversità culturale e alla missione; l’impostazione risulta più narrativa e testimoniale, con forte enfasi sulle esperienze personali dell’autore in Kenya, mentre la struttura si presenta meno articolata, con un linguaggio più semplice e diretto, pensato per un pubblico non specialistico.

Achille Da Ros (1937-2010), originario del Friuli, è stato antropologo missionario della Consolata.


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Abbiamo visto UFC BJJ: Road to the Title Ecco cosa ne pensiamo.


Composizione del Team Sulla carta il Team Gabriel è MOLTO meglio, ma non sottovalutere il fatto che Musumeci ha preso alcuni fighter che stanno ancora crescendo dalla New Wave di Danaher oltre al ruleset con match da 3 round in 5 minuti UFC BJJ: Road to

Composizione del Team


Sulla carta il Team Gabriel è MOLTO meglio, ma non sottovalutere il fatto che Musumeci ha preso alcuni fighter che stanno ancora crescendo dalla New Wave di Danaher oltre al ruleset con match da 3 round in 5 minuti

UFC BJJ: Road to the Title – Riassunto Puntate

UFC BJJ: Road to the Title EP 1


Conosciamo i partecipanti e vediamo il primo match sul tatami

Welterweights Andrew Tackett #TeamGabriel fa il suo zozzo dovere e finalizza Aaron Wilson #TeamMusumeci in pochi minuti, con un mataleao.

UFC BJJ: Road to the Title EP 2


Musumeci cucina per i suoi atleti, parlano un gran bene della sua pasta, a me sembrava cibo rigurgitato dal cane, ma vabbe
Keith Krikorian Lightweight numero 1 combatte contro Issac Doederlein #TeamMusumeci
il R1 va a Doederlein, ma davvero pericoloso ma ha sempre iniziato l’ingaggio.
il R2 va a Krikorian nettamente che negli ultimi secondi riesce a mettere anche una Darce notevole. Dorederlein salvato dall campanella, si alza un po’ rintronato. Non so come danno i punteggi ma se quello di prima era 10-9, questo è un 8-10.
Il R3 inizia con Doederlein distrutto, tanto che si butta per terra, poi piano piano riprende fiducia fa tentativi di leglock, Krikorian è più preoccupato ma generalmente ha subito di più. R3 a Doederlein

AI punti vince l’underdog Issac Doederlein, che però esce consumato

UFC BJJ: Road to the Title EP 3


Focus su #TeamGabriel, che oltre a fare altro pranzetto ridicolo sfida i suoi allievi a braccio di ferro, sfondandoli tutti.

Il match sarà tra i pesi welter Austin Oranday , texano cintura nera di Luca Lepir e Davis Asare, ghanese, nato e cresciuto in Norvegia arriva dalla New Wave / King’s way di Gordon Ryan, che per la produzione è un semplice “campione IBJJF” dimenticando che sia il super champ ADCC (che però è trasmesso da flo grappling, concorrente ufc fight pass).

R1. Asare parte a cannone con un Double leg, Orandey si riprende subito, ma sembra non riuscire a mettere nessuna barriere al norvegese che infatti gli fa un ankle lock brutale come pochi. Vince Asare

UFC BJJ: Road to the Title EP 4


Mikey porta i suoi a giocare a Bowling

Il match della puntata è tra Gianni Grippo ormai over 30 ma ancora super competitivo e Carlos Henrique, più giovane e new skool.

R1 Henrique più propositivo nella prima metà del match con Grippo che difende e avanza di posizioni. Non saprei a chi dare il round

il R2 parte più o meno come il round 1 con tentativi di leglock, al secondo minuto Henriques finalmente decide di fare jiu-jitsu, passa la guardia e mette un anaconda choke da manuale

UFC BJJ: Road to the Title EP 5


la puntata 5 ha DUE match: Jason Nolf (New Wave / King’s Way)#Team Musimeci è stato un wrestler di alto livello e solo recentemente si è convertito il BJJ vs Elijah Carlton (10th Planet)

Nolf mette a terra Carlton in due secondi ma non riesce a impesiere Carlton che anzi mette a segno due tentativi di finalizzazione. Il video dell’incontro è tagliato (!!!!) e quindi non posso dare un giudizio, dal poco che si vede Carlton 10-9

R2: Nolf prende le misure e riesce a essere molto più aggressivo. Anche qui l UFC ci grazia di meno di metà round quindi non so, ma direi Nolf 10-9

R3: Non si vede tutto. Carlton che attende e Nolf che spinge e prova di passare. sul finale si prende un armbar da cui riesce a uscire solo grazie a fine del round. mmhhh sul mio cartellino Nolf ha fatto di più ma l’ultimo armbar era bello stretto.

Vince per split decision Carlton

Secondo match: Kyvan Gonzales #TeamMusumeci vs Josh Cisneros #TeamGabriel. Cisneros sviene in sauna e i dottori gli impediscono il taglio del peso. Al suo posto entra Cobey Fehr, pescato dalla undercard del FPI. Fehr è un altro wrestler di alto livello, nonchè fighter di MMA. Non è però abituato allo sport jiu-jitsu

R1:

UFC BJJ: Road to the Title EP 6


Match che aspettavo: Andy Varela, 10th Planet jiu-jitsu #teamGabriel vs Nathan Haddad #TeamMusumeci .

R1: la produzione che taglia i pezzi del match mi irrita e mi impedisce di godere del gesto tecnico. Da quello che si vede, finalmente due grappling che sanno fare Grappling, in sostanziale parità, forse in vantaggio Varela che finisce il round sopra.

R2, scambio in piedi Varela riesce a portare a terra Haddad, prendere la schiena e finalizzare.

UFC BJJ: Road to the Title EP 7


Siamo alle semifinali. Elijah Carlton, vittorioso nell’episodio 5 avrebbe dovuto combattere contro Tacket, ma un infortunio al braccio gli impedisce di combattere: a sostituirlo sarà Nolf, che era stato sconfitto ai quarti. Tacket contro Nolf promette molto bene.

R1 schermaglia in piedi e poi un double leg da parte di Nolf che quasi gli porta fuori dalla fossa. si riparte con lotta in piedi e dei timidi tentativi di takedown da parte di tackett. Quando Nolf tenta una kataguruma, Andrew Tacket gli scivola sopra e si ritrova alla schiena, da li a chiudere un Mataleao la strada è brevissima.

il Secondo match della puntata è tutto #TeamMusumeci: Moreira vs Gonzalez

R1 super divertente, qualche scramble in piedi e poi tentativi di leglock con entrambi che attaccano in continuazione. il round è stato tagliato quindi non so giudicare bene, mi sembra in equilibrio, forse Gonzalez un filo in vantaggio anche se il tentativo di finalizzazione migliore è stato di Moreira.

R2 simile al primo Gonzalez passa, Moreira fa sweep, Moreira fa takedown Gonzalez tenta finalizzazione. sostanziale parità

R3 Moreira gioca più classico, dedicandosi alla parte superiore del corpo. passa tiene il controllo e blocca con un d’arce l’avversario che tiene per un minuto ma alla fine è sofferente. R per Moreira.

Alla fine il braccio alzato è quello di Moreira ma il costaricano Gonzalez ha fatto la sua figura!

Dove vedere UFC BJJ: Road to the Title – Link ai video


youtube.com/watch?v=61M_EvA1ey…

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Tanto come luogo di fuga quanto come luogo di rifugio, la famiglia si configurava dunque come un luogo di inclusione repressiva


Lo scontro politico tra modernizzatori e conservatori fu culturalmente accompagnato da fenomeni sociali che trovarono difficile ascolto e precaria attenzione. L’Italia del secondo dopoguerra era riuscita a trasformarsi nella sua veste istituzionale, politica ed economica ma i primi vent’anni di storia repubblicana sembravano rimandare l’altro aspetto del rinnovamento, quello socio-culturale. Abbiamo già richiamato l’attenzione sull’importanza di considerare il concetto di modernizzazione come un concetto totale, che includa cioè non solo gli aspetti più visibili di un cambiamento ma anche quelli più profondi, i quali, toccando le strutture antropologiche di una società, si dimostrano capaci di creare un consenso più genuino di quanto possa fare l’approvazione di un algido codice giuridico.
Ora, gli spazi entro i quali l’assenza o il ritardo di questa seconda trasformazione meglio si possono osservare sono quelli della famiglia, in cui per certi versi colpevole, per altri innocente appare il retaggio culturale di alcune tradizioni, gli istituti scolastici, in cui manca una progettualità riformatrice, e infine la fabbrica, luogo dove emerge più potente l’esclusione della classe lavoratrice dal processo di modernizzazione.
Vediamo dunque come, ciascuno a suo modo, questi spazi siano attraversati da una forma di inclusione repressiva.
Famiglia. Le testimonianze che sono state raccolte in un prezioso studio del 1988 di Luisa Passerini, “Autoritratto di un gruppo”, e che segnano una specie di autobiografia collettiva di quella generazione che fece il Sessantotto, mostrano da diverse angolazioni quanto problematico fosse il rapporto che questa ebbe con la famiglia. Nell’Italia delle passioni politiche, del boom economico e dell’immigrazione venivano a coagularsi in questo vissuto privato stimoli e circostanze che producevano incomprensioni, distanze, scontri e rifiuti non ricomponibili.
Poteva ad esempio accadere che, pur aderendo alla stessa fede politica di famiglia, alcuni vivessero con incomprensione ciò che, privatamente ostentato con orgoglio, veniva pubblicamente nascosto o stentava a trovare un riconoscimento identitario. Era questo il caso di Franco Russo: “Io sono di famiglia proletaria, mio padre era falegname e mia madre ha fatto la portiera, insomma i quattro quarti di nobiltà proletaria. Mio padre è socialista da sempre e mi portava ai comizi, però bisognava nascondere l’«Avanti!». Mio padre non è stato aiutato dal suo partito a fare della condizione di proletario un punto di identità sociale, è stato un continuo mascheramento di questa identità. C’è sempre stata una zona d’ombra in cui si è vissuti in casa” <95.
In altri casi, come in quello di Maria Teresa Fenoglio, la distanza con la famiglia era strettamente legata a quella incomunicabilità che risentiva del peso della tradizione sia in modo diretto, cioè come oggettiva difficoltà a confrontarsi con il cambiamento di costume in atto, sia in modo indiretto, cioè come incapacità soggettiva, anche in presenza di un’apertura mentale, di accettare fino in fondo la rottura di alcuni tabù culturali: “Mia madre era in tutto e per tutto meridionale, portava la cultura mediterranea della suggestione magica, del malocchio. Mi era impossibile identificarmi con un materno così minaccioso, legato alla grande potenza della madre benefica e malefica. Un altro elemento materno era il piacere dell’esibizione, che mia mamma aveva moltissimo, le unghie rosse laccate, la gonna stretta, il trucco. Quando nell’adolescenza tentavo di imitarla, il risultato era un grande senso di depressione, perché mi giudicavo. Non potevo piacermi in quella maniera, perché dal punto di vista delle scelte ideali ero con mio padre – socialdemocratico, poi socialista, uno dei pochi comandanti delle Garibaldi non comunisti: idee democratiche, convinzione di essere superiore agli altri, per noi non contano i beni materiali. La rottura con mio padre è poi avvenuta con la mia scelta di libertà sessuale” <96.
Ma a segnare lo scontro era la distanza tra l’orgoglio di appartenere ad una storia proletaria e l’imitazione di modelli sociali che invece garantivano la promozione sociale, sporcando così quella dignità dovuta alla fierezza della propria differenza. È questo il ricordo di Marino Sinibaldi: “Io sono nato in un quartiere a forte tradizione anarchica e socialista, mio nonno era fornaciaio, e nella piazza c’è sempre stato attaccato «Umanità nuova», oltre all’«Unità». Ma io andai al liceo Mamiani, e c’è dietro una storia patetica familiare. Mia nonna lavava i panni di gente ricca che abitava nel quartiere Prati e mia madre mi raccontò, che ero già grande, che quando era piccola accompagnava mia nonna a prendere e a portare i panni e passava davanti al Mamiani e vedeva questi ragazzi bellissimi con le automobili. E lei si è battuta moltissimo perché andassi al Mamiani, mentre per la territorialità mi sarebbe spettato un altro liceo. Quando me l’ha rivelato, ho radicalizzato il mio odio per questa scuola, naturalmente” <97.
A volte il dramma dell’abbandono e il peso di un’educazione tradizionale erano così forti da trasformare l’estraneità nei confronti dei propri genitori in un rifiuto totale della famiglia. Così Roberto Dionigi: “Gli estremi: miniborghesia, due insegnanti, uno di ginnastica, uno di lettere. Vivono di lavoro, senza niente alle spalle, mio nonno paterno era oste, quell’altro era un maresciallo dei carabinieri in Sicilia. Tante bastonate, grande pedagogia fascista. Non ho niente in casa, nessun bagaglio di memoria, dalla famiglia non mi viene nulla” <98.
Quello che queste voci sembrano dire è che a mancare fu quel valore di testimonianza – di fragilità, di esempio, di difficoltà a scegliere la giusta educazione in un momento in cui il paese stava cambiando – proprio delle figure parentali che avrebbe costruttivamente accompagnato i figli nella complessità di crescere in un momento come quello che l’Italia stava vivendo. L’assenza di questo valore spinse spesso a scegliere tra le stesse figure parentali, scelta che, data l’impossibilità di confrontarsi criticamente con il peso di una tradizione o di un’appartenenza, lasciò insoddisfatti e soli, rendendo la famiglia stessa come luogo di non identità.
Non stupisce allora come il sentimento che molto spesso prevalse in questa generazione fu l’identificazione in un rifiuto radicale: la scelta di essere orfani. Lo ricorda, ad esempio, Fiorella Farinelli con un senso estremo di liberazione: «La più bella scritta sui muri della mia facoltà, me la ricordo in maniera nettissima, di tutte quelle che c’erano: “Voglio essere orfano”. L’ho condivisa, l’ho fotografata, mi sono portata il manifesto a casa, era quella che a me piaceva di più: “Voglio essere orfano”» <99. E tanto sentita appariva la verità di quella frase che essa finì per allargarsi anche alle altre istituzioni della società: «Non siamo figli, né padri di nessuno, siamo uomini che non vogliono credere in niente e a nessuno: senza dio, senza famiglia, senza patria, senza religione, senza legge, senza governo, senza Stato, senza polizia […]. Ecco, siamo dei bastardi» <100 – avrebbe scritto un gruppo di Provos milanesi in un foglio volante alla metà degli anni Sessanta.
Ora, il rifiuto radicale dell’appartenenza alla famiglia era la soluzione estrema a cui molti giunsero data appunto l’impossibilità di un confronto interno con quegli aspetti, materiali e culturali, a cui la modernità richiamava.
D’altra parte, però, si poteva assistere alla reazione contraria: posti davanti alla modernità metropolitana, la famiglia appariva non come luogo da cui fuggire ma come luogo in cui rifugiarsi dalla perdizione e dalla corruzione indotte da quella stessa modernità. Questo aspetto toccava prevalentemente il mondo degli immigrati: molto spesso le difficoltà oggettive in cui si trovarono a muoversi le famiglie meridionali – alloggio, ricerca di un posto di lavoro e un generale senso di straniamento indotto dalla città e dai suoi atteggiamenti razzisti – rendevano questo l’unico spazio sicuro, sia in termini economici – in famiglie numerose il lavoro di uno dei membri poteva provvedere a compensare i bisogni primari degli altri nelle fasi di assestamento o di crisi -, sia in termini socio-culturali – tanto profonda era la differenza tra città e campagna da preferire la riproposizione di valori tradizionali davanti ad un mondo che incuteva timore <101.
Tanto come luogo di fuga quanto come luogo di rifugio, la famiglia si configurava dunque come un luogo di inclusione repressiva: o perché, culturalmente non aperta, poteva difficilmente costituirsi come spazio di dialogo e di confronto gravata dal peso innocente di tradizione ed appartenenza, o perché, culturalmente chiusa, sostituiva alla lontananza e all’incertezza dei nuovi diritti la sicurezza e l’intimità della tradizione. In tutto questo, la responsabilità politica stava nell’incapacità di intuire quale riflesso determinante avrebbe avuto gestire in modo diverso il processo di trasformazione sociale, rendendo meno difficoltosa nei suoi ostacoli immediati la trasformazione antropologica: gli scarsi investimenti, sia materiali che culturali, nel settore della formazione avrebbero appunto dimostrato questa incuria.

[NOTE]95 Passerini, Autoritratto di un gruppo, cit., p. 44.
96 Ivi, p. 53.
97 Ivi, p. 45.
98 Ivi, p. 47.
99 Ivi, p. 46.
100 Citato in A. De Bernardi – M. Flores, Il Sessantotto, Il Mulino, Bologna 1998, p. 167.
101 Uno dei capolavori cinematografici del neorealismo italiano girato da Luchino Visconti nel 1960, Rocco e i suoi fratelli, ha colto molto bene questa dinamica di scontro della famiglia immigrata con la metropoli. L’incontro con la modernità viene qui proposto, inter alia, secondo la prospettiva della giustizia democratica: davanti al diniego e alla disapprovazione della famiglia, la scelta di Ciro di denunciare alla polizia l’omicidio compiuto dal fratello Simone rompe in questo senso quella solidarietà meridionale tradizionalmente legata allo ius sanguinis per aprirsi alla fiducia nelle istituzioni moderne.
Andrea Bertini, Una sola moltitudine. Rivoluzione e modernizzazione alle origini del Sessantotto, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2013-2014

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