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Il quotidiano [«l’Unità»] puntava ad esprimersi attraverso un linguaggio semplice, schietto e persuasivo: la sua funzione era quella di educare l’elettorato del Pci, tanto che nelle intenzioni di Palmiro Togliatti c’era l’idea che «diventasse il Corriere della Sera del proletariato». Il picco delle vendite venne raggiunto durante gli anni Settanta, quando il giornale arrivò ad oltre 94 milioni di copie vendute. In questo periodo, alla direzione del quotidiano si sarebbero succeduti Luca Pavolini, direttore dal 1975 al 1977, e Alfredo Reichlin, dal 1977 al 1981. Seppur diverse tra loro (basti ricordare, ad esempio, che Reichlin durante il decennio lavorò a fianco di Enrico Berlinguer nella direzione nazionale del partito), le due direzioni ebbero il merito di fare del giornale uno strumento e una forma di condivisione di quella linea dell’intransigenza adottata dal Partito comunista nei confronti del fenomeno terrorista apparso in Italia all’inizio del decennio. Durante gli anni di piombo, il mondo del giornalismo non fu solo centrale all’interno per il sistema d’informazione del paese, ma fu anche uno degli sfortunati protagonisti che, insieme alla magistratura, al corpo di polizia e alla classe dirigente italiana, subirono con maggiore frequenza e ferocia gli attacchi dei gruppi terroristici, in particolare della frangia più estrema e organizzata rappresentata proprio dalle Brigate rosse. Fu questo, ad esempio, il caso del vice-direttore de «La Stampa» Carlo Casalegno, primo giornalista ucciso dalle Br, e del cronista de «Il Corriere della sera» Walter Tobagi, rispettivamente morti il 29 novembre 1977 e il 28 maggio 1980. Durante la stagione degli anni di piombo «l’Unità» si sarebbe resa portavoce di quel tentativo culturale, politico e ideologico, portato avanti dal Pci e orientato a infondere una speranza nel futuro della Repubblica. Lo si evince con chiarezza nell’articolo di Giorgio Amendola pubblicato il 12 giugno 1977, in cui si affermava: «oggi intendiamo difendere lo Stato repubblicano, anche se ne vediamo esattamente le piaghe create dalla mancata attuazione della Costituzione. Ma sono queste piaghe che vogliamo eliminare, attraverso un’opera di risanamento e rinnovamento che esige il concorso della maggioranza del popolo» <54.
Conclusasi la parentesi degli anni di piombo, a partire dall’inizio degli anni Ottanta il giornale affrontò la prima crisi delle vendite, passando da 100 milioni di copie annue nel 1981 a 60 milioni nel 1982. A determinare questo esito avrebbe certamente contribuito la diffusione di una stampa concorrente: lo sviluppo di quotidiani come «La Repubblica», ad esempio, segnò un momento di transizione per i quotidiani di partito poiché i lettori cosiddetti “non fidelizzati” avrebbero potuto ora trovare le informazioni sulle pagine di giornali più generalisti che disponevano di eccellenti redazioni politiche ed economiche e che utilizzavano un linguaggio lontano dai tecnicismi della politica e, dunque, più facilmente comprensibile. Per potenziare il numero delle vendite, nel 1986, il quotidiano avrebbe dato il via libera alla distribuzione della rivista satirica «Tango». Cinque anni più tardi, nel 1991, «l’Unità» avrebbe cessato di essere organo di partito, passando nelle mani di Walter Veltroni che avrebbe rivoluzionato il quotidiano arricchendolo di gadget a pagamento da vendere ai lettori: videocassette di film, audiocassette, ristampe di album delle figurine Panini rappresentano il nuovo orizzonte del quotidiano.
19 febbraio 1977: «Ferma condanna in tutto il paese dell’aggressione squadristica di Roma»
Particolarmente interessante fu il modo in cui l’organo di stampa del Partito comunista decise di interpretare i fatti del 17 febbraio del 1977, quando il segretario della Cgil Luciano Lama aveva presieduto un comizio sindacale presso l’università La Sapienza di Roma, sul tema dei precari. Il discorso di Lama era iniziato in questo modo: «i lavoratori, i sindacati sono venuti qui per ragionare, per parlare, per ascoltare con calma. La manifestazione di oggi non è fatta, come qualcuno ha detto, con i carri armati: migliaia di lavoratori e di studenti vogliono raccogliersi per discutere di un problema vitale per l’intera società» <55. Le parole che venivano diffuse dagli altoparlanti del dodge rosso che fungeva da palco per i rappresentanti della Federazione sindacale Cgil, Cisl e Uil, vennero inizialmente ascoltate dal pubblico di studenti, lavoratori e sindacalisti presenti quel giovedì mattina in Piazza della Minerva; tuttavia non era sfuggito agli occhi attenti del servizio d’ordine dell’organizzazione sindacale, un movimento sviluppatosi al lato del camion rosso, iniziato dagli esponenti degli “indiani metropolitani” e da quelle forze che poi «l’Unità» si sarebbe ostinata a definire «degli autonomi» (alcuni dei gruppi coinvolti nel cosiddetto “Movimento del ‘77”). Lama continuò a parlare, nonostante i manifestanti avessero alzato al cielo un fantoccio di cartapesta raffigurante lo stesso Lama, con un chiaro incoraggiamento rivolto ai giovani studenti «A chi grida che vogliamo affrontare il “movimento” rispondiamo che non abbiamo mai pensato di agire senza, e tantomeno contro le grandi masse di giovani – sottolineava Lama – dobbiamo lottare e vincere assieme la grande battaglia per il rinnovamento dell’intera società, battere e vincere il fascismo, le tentazioni reazionarie, le provocazioni eversive, ogni violenza o tentazione irrazionali» <56. Come riferiva nella sua ricostruzione un articolo de «l’Unità», pubblicato il 20 febbraio, inizialmente «c’era voglia di dialogare, di polemizzare magari duramente, ma con la forza delle sole idee» <57. Il comizio sindacale organizzato dalla Federazione e dal Partito comunista aveva preso accordi con il movimento studentesco: dopo il comizio di Lama, sarebbe stato uno studente del movimento a prendere la parola; tuttavia la situazione degenerò poco prima che il segretario della Cgil potesse completare il suo discorso, quando, dalle file degli “autonomi”, vennero lanciati dei palloncini pieni di vernice contro il palco della Federazione. Il servizio d’ordine
dell’organizzazione sindacale si scagliò contro gli studenti e i manifestanti brandendo degli estintori per farsi largo tra la folla. La manifestazione si era sciolta lasciando spazio ad un feroce scontro tra studenti e forze dell’ordine, gli “indiani americani” e il gruppo degli “autonomi”, e tra gli uni e gli altri, indistinguibili a quel punto in Piazza della Minerva.
Nei giorni seguenti quella che passò alla storia come “la cacciata di Lama” dal comizio e gli scontri dell’ateneo romano sarebbero stati ripresi da tutti i principali organi di stampa. Il primo a denunciare le aggressioni fu, il 19 febbraio, proprio «l’Unità» che, in prima pagina, usciva con il titolo “Ferma condanna in tutto il paese dell’aggressione squadristica di Roma” <58. La posizione dell’organo ufficiale del Partito comunista sui fatti dell’ateneo romano era esplicita: la colpa era da attribuirsi ad «uno squadrismo dall’etichetta di sinistra, espressione dei gruppi che si muovono nell’area della cosiddetta “autonomia”» <59; e l’obiettivo di tali gruppi era quello «di paralizzare le istituzioni, di provocare l’ingovernabilità dell’Università e del Paese» <60.
Nel giorno di domenica 20 febbraio la direzione di Alfredo Reichlin pubblicava in prima pagina il “Documento della direzione Pci dopo i fatti di Roma”, nel quale il gruppo dirigente del Partito comunista proponeva «unità e iniziativa di massa contro lo squadrismo, per rinsaldare il legame fra giovani e democrazia» <61. La direzione del Pci esprimeva lo «sdegno» dei comunisti per la serie di atti che, a partire dall’Università di Roma, si stavano susseguendo in tutti gli atenei italiani. Dal nord a sud le maggiori università d’Italia erano state prese d’assalto da gruppi che, approfittando della occupazione imposta dagli studenti negli atenei, riuscivano a prendere il sopravvento, allontanando sempre di più i giovani dal dialogo con la classe politica italiana. Proprio perché l’emergenza non rappresentava un caso isolato alla capitale italiana, la dirigenza del Partito comunista considerava «necessaria una pressione unitaria perché lo Stato democratico agisca risolutamente contro tutte le centrali eversive e le formazioni squadristiche e armate – scrive la Direzione del Pc – ciò che si deve difendere è innanzitutto la possibilità della piena esplicazione della vita democratica, del dibattito e del confronto nella scuola, nell’università, nella società» <62. Nello stesso numero del quotidiano, in un articolo intitolato “Commenti della stampa: verità e deformazioni”, il Partito comunista denunciava la «soddisfazione dei giornali della destra per l’attacco squadristico» <63. Le lamentele erano soprattutto rivolte a «Il Giornale» ma anche a «la Repubblica». I comunisti riferivano nell’articolo le parole del foglio di Montanelli che «si augura che i fatti romani possano costituire una scintilla per lo scatenamento di una “rabbia” generale contro le sinistre e i sindacati» <64. «La Repubblica», invece, veniva accusata di aver riportato nei suoi articoli una versione stravolta dei fatti accaduti in Piazza della Minerva il 17 febbraio, attribuendo la responsabilità degli avvenimenti agli aggrediti e non agli aggressori, comeriportava nel titolo “Il comizio di Lama scatena gravi incidenti”. «Nessuna parola di condanna si legge su “la Repubblica” nei confronti di chi ha tentato di abolire la libertà di manifestazione e di parola» <65, mentre era stata apprezzata la linea di solidarietà espressa dal Partito socialista nelle righe de «l’Avanti!».
Dall’analisi degli articoli citati si evince come la condanna del Partito comunista nei confronti dei gruppi eversivi fosse ferma e decisa; tuttavia nelle pagine del quotidiano «l’Unità» veniva taciuto un aspetto che potrebbe essere ritenuto centrale all’interno del contesto degli scontri di Roma. La stampa comunista, infatti, in nessun articolo avrebbe menzionato il fatto che il 12 febbraio 1977, cinque giorni prima del comizio di Lama, era stata prevista in Via delle Botteghe Oscure una riunione del Pci nella quale vennero convocati anche alcuni membri della Federazione sindacale e il Segretario della Camera del Lavoro di Roma, Bruno Vittoriano. Sarebbe stato proprio quest’ultimo, in un’intervista pubblicata postuma su «la Repubblica», a dichiarare al giornalista Luca Villoresi, che quello che doveva essere un comizio sindacale aveva “tacitamente” assunto un altro obiettivo: la manifestazione dei precari sarebbe dovuta diventare l’occasione per scacciare gli occupanti dall’ateneo romano. I vari accordi presi dal sindacato con il movimento studentesco saltarono: Lama non avrebbe più parlato sulle scale del Rettorato ma dal furgone rosso con il quale la Federazione era abituata ad aprire le file dei cortei; il rappresentante degli studenti occupanti non avrebbe più esposto la sua testimonianza; il servizio d’ordine per l’evento sarebbe stato garantito non dalle forze della polizia, ma dall’organizzazione sindacale. «A riveder oggi le posizioni di tanti protagonisti dell’epoca, sembra davvero che quella manifestazione fosse figlia di nessuno – dichiarava Vittoriano – mentre invece, diciamolo, la situazione precipitò perché qualcuno scelse, anche consapevolmente, la strada dell’atto di forza» <66. Il riferimento del Segretario della Camera del Lavoro era certamente indirizzato al Pci e alla sua scelta di rendere quel comizio sindacale una manifestazione di più largo respiro <67. Nelle pagine del «l’Unità» non fu fatto cenno neppure all’atteggiamento provocatorio che il servizio d’ordine della Federazione aveva assunto non appena entrato in Piazza della Minerva: le “tute blu”, infatti, erano arrivate armate di secchi di vernice bianca e pennelli, pronti a cancellare le scritte di protesta che erano apparse sui muri intorno alla facoltà nei precedenti 14 giorni di occupazione, prima tra tutte fu cancellata la scritta «i Lama stanno nel Tibet». Le provocazioni arrivarono certamente anche da parte dai movimenti studenteschi, dal fantoccio raffigurante il segretario della Cgil ai cori che recitavano «Lama nessun l’ama». Tuttavia, mentre in merito a queste provocazioni si trovano numerosi riferimenti tra le righe degli articoli pubblicati nei giorni che seguirono i fatti di Roma, del vero intento del Partito comunista, ossia quello di mandare un messaggio ben preciso alla popolazione, ossia che il Pc stesse lavorando in difesa delle istituzioni, non si dava neppure un accenno.
Contemporaneamente al problema dei movimenti sociali, a partire dal 1976 le istituzioni italiane dovettero anche affrontare l’ascesa dell’organizzazione rivoluzionaria delle Brigate rosse, guidata dal brigatista Mario Moretti, artefice della strategia condotta contro il cuore dello Stato italiano, che avrebbe colpito non solo gli alti dirigenti delle fabbriche e volti noti della politica, ma anche professionisti, magistrati e giornalisti, come il vice direttore de «la Stampa» Carlo Casalegno.

[NOTE]54 Giorgio Amendola, Difendere la Repubblica, in «l’Unità» del 12 giugno 1977, ora in Archivio storico de «l’Unità».
55 Discorso di Luciano Lama alla manifestazione in Piazza della Minerva del 17 febbraio 1977, in «l’Unità», 19 febbraio 1977.
56 Ibidem.
57 Roberto Roscani, Studenti e operai insieme al comizio dei sindacati, in, «l’Unità», 20 febbraio 1977.
58 Gregorio Botta, Ferma condanna in tutto il paese dell’aggressione squadristica di Roma, in, «l’Unità» del 19 febbraio 1977.
59 Marisa Musu, I comunisti discutono gli incidenti, in, «l’Unità» del 20 febbraio 1977.
60 Ibidem.
61 Direzione del Partito comunista, Documento della direzione Pci dopo i fatti di Roma, in, «l’Unità» del 20 febbraio 1977.
62 Ibidem.
63 La Direzione del Partito comunista, Commenti della stampa: verità e deformazioni, in, «l’Unità» del 20 febbraio 1977.
64 Ibidem.
65 Ibidem.
66 Luca Villoresi, Così andò quella mattina del 1977, quando Lama…, in «la Repubblica», 1987, ora in archivio storico de «la Repubblica».
67 Ibidem.
Francesca Lanzillotta, La svolta degli anni Settanta nelle pagine de «L’Unità» e de «Il Popolo», Tesi di Laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno accademico 2015-2016

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