Dillon Danis vuole la corsia preferenziale verso la UFC
Dillon Danis vuole la UFC. Non è un mistero, non lo è mai stato. Ma sa bene che la strada standard – quella dei preliminari, del Contender Series, dei match di costruzione lenta – non fa per lui. Danis è convinto di dover trovare una corsia preferenziale. E ci sta provando.
Sabato scorso, a Misfits Boxing 22, ha centrato la terza vittoria da professionista in MMA sottomettendo Warren Spencer in 15 secondi netti. Spencer era al debutto, il divario tecnico era imbarazzante: un pugno, un clinch, una ghigliottina, fine. Un incontro da highlight più che da curriculum.
Eppure per Danis il punto non era il livello dell’avversario. Il punto era dimostrare che lui vende. Che quando entra in gabbia, lo show funziona.
“Appena l’ho colpito sapevo che stava andando giù. Ha provato a stringere e da lì non importa se è collo o braccio: quando mi agganci, sei finito.”
Il setup e il messaggio
Per molti, questo era un setup fight. Un match da imbastire, consumare e dimenticare. Ma per Danis era un segnale: non gli interessa accumulare record, gli interessa convincere i matchmaker della UFC a dargli la scorciatoia.
Non vuole il Contender Series, non vuole le selezioni. Vuole saltare la fila, entrare nel roster principale e generare rumore. In un certo senso, sta usando lo stesso approccio che ha portato influencer e YouTuber sul ring: bypassare il merito tecnico e puntare tutto sull’attenzione.
E qui c’è la sua scommessa.
L’intrattenitore travestito da fighter
Negli ultimi anni Danis ha fatto più rumore fuori dalla gabbia che dentro. Una sola apparizione, ma una pioggia di tweet velenosi, provocazioni, risse verbali e incursioni nel circo dell’influencer boxing.
La narrativa che cerca di costruire è chiara: “La UFC è noiosa, sta morendo. Io posso portare intrattenimento, pacchetto completo.”
Non è un caso che citi Kevin Holland, Leon Edwards, Michael Page: non come rivali tecnici, ma come pedine per dimostrare che lui vende più di loro. La qualità del grappling è innegabile – background da élite mondiale – ma Danis vuole far passare un altro messaggio: il suo ingresso non è un affare sportivo, è un affare mediatico.
La corsia preferenziale
Danis non cerca di costruire una carriera, cerca di forzare una porta. Sa che il percorso lineare non gli spetta, che in UFC ci sono decine di fighter più solidi, più costanti, più meritevoli. Ma lui scommette sullo shortcut: farsi notare, creare hype, diventare “il nome” che non puoi ignorare.
È un gioco rischioso, ma coerente col personaggio. Nel frattempo, cavalca anche l’opzione Misfits: lo stesso evento ha visto Tony Ferguson battere Salt Papi, e Danis sogna già un duello con lui – un classico “fight-spettacolo” che allinea guadagni e storyline.
“Tony ha vinto, sono contento. Ci siamo parlati, ci siamo detti: andiamo a prenderci i soldi. Io ho detto no a GFL, meglio Misfits. Ma so che lui ci pensa ancora.”
La domanda vera
Non è se Danis possa stare in UFC sul piano tecnico – il grappling ce l’ha, e questo è indiscutibile. La domanda è se la UFC ha ancora bisogno di personaggi come lui, di schegge mediatiche che cercano l’ingresso laterale.
In un’epoca in cui la promotion spinge su star globali e mercati nuovi, Danis cerca di posizionarsi come “quello che accende le luci”. Se riuscirà a convincere Dana e i matchmaker, non sarà per i 15 secondi di Las Vegas. Sarà perché avrà reso impossibile ignorarlo.
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