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Why do we fall?


3 minuti

Alfred: «Why do we fall sir?» (Perché noi cadiamo?)
Bruce: «So we can get up again» (Così possiamo rialzarci di nuovo)

Il ritorno del cavaliere oscuro


Rialzarsi


In realtà non è Alfred, ma il padre di Bruce, Thomas Wayne, che per la prima volta chiede a Bruce: «Why do we fall Bruce?». E glielo chiese quando Bruce da bambino cadde in un fosso, rimanendo ferito dalla caduta e spaventato dal buio e dai pipistrelli. Nella storia raccontata da Nolan, Bruce diventa Batman perché vuole rendere la sua più grande paura il suo simbolo di giustizia.

Il pipistrello rappresenta tutto ciò che teme. E proprio con questa sua paura insuperabile Bruce decide di rialzarsi e di rinascere. Batman diventa l’alter ego tramite cui rende ordine e combatte ciò che teme. Batman è tutto ciò che Bruce, non riesce e, non può essere.

Coraggio non è non aver paura


Il coraggio non coincide con l’assenza di paura. Il coraggioso è colui che affronta ciò che lo spaventa. Senza paura non c’è nemmeno il coraggio.

Essere liberi significa essere con scontro con ciò che ci opprime. Essere coraggiosi significa affrontare ciò che ci fa paura e spaventa. Bruce diventa coraggioso, usando Batman come maschera della giustiza e “del coraggio”, affrontando e, letteralmente, indossando ciò che lo terrorizza. Non cerca né vuole eliminare le sue paure, ma vuole imparare ad usarle come spinta ad agire.

La domanda «Why do we fall?» è uno sprono alla consapevolezza della propria fallibilità. La domanda conduce ad una precisa risposta. Fondamentale è imparare ad educarsi a farsi le giuste domande. Molto prima che imparare a darsi risposte. La domanda non mette in discussione un dato, ma lo evidenzia. La domanda cerca di dare un significato educativo all’inevitabile fallimento a cui ognuno di noi andrà in contro. Più volte nella propria vita. A volte anche cadendo male, fino in fondo al baratro.

La risposta «So we can get up again», invece, è uno sprono alla reazione. Il fatto di aver fallito non dice nulla su di noi. Se abbiamo sbagliato non significa che non siamo abbastanza o che siamo inetti o sbagliati… Falliamo, accettiamo l’errore e poi ci riproviamo. O come diceva Samuel Beckett:

«Ho provato, ho fallito. Non importa, riproverò. Fallirò meglio


Ma senza la domanda non ci sarebbe la risposta. Senza la consapevolezza della propria fallibilità, imperfezione e limitatezza non ci sarebbe nemmeno l’accettazione del fallimento. Ogni buona risposta è sempre preceduta da una buona domanda.

Accettare il fallimento


Nessuno è perfetto. Tutti sbagliano e falliscono. La differenza sta nel saper reagire agli inevitabili fallimenti della propria vita . Non è la ricetta per il successo, ma semplicemente per una buona vita. Fatta di tentativi e non di arrese.

L’insegnamento del padre di Bruce tramandato da Alfred è un’educazione al fallimento. Al saper accettare il fallimento da cui poi ripartire. Nessuno vuole dire che non bisogna soffrire o patire il dolore, la rabbia o la sofferenza per aver fallito.

Così come per essere coraggiosi aver paura e saper accettare la stessa paura per poi affrontarla, allo stesso modo questo vale per i propri successi personali.


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Verità immaginarie


3 minuti

Immaginando…


«Chi apprende sulla vita di un altro un qualche particolare esatto ne trae subito conclusioni che non lo sono e vede nel fatto recentemente scoperto la spiegazione di cose che con esso non hanno proprio nessun rapporto»[1].


Peccare d’immaginazione


L’uomo è un essere peccaminoso, perché immagina e non ragiona. Anzi, l’uomo è peccaminoso perché quando immagina pensa di conoscere. Scambia i fantasmi per corpi reali.

Peccare significa letterlamente mancare, errare, fallire. Perciò quando diciamo che l’uomo compie un peccato, qua non vogliamo dire altro che l’uomo sta mancando, errando e fallendo la conoscenza della realtà.

E perché dovrebbe essere un peccato? Perché chi immagina è sempre guidato dalle passioni. Quasi sempre dalla paura e dalla speranza. E per provare paura e speranza c’è sempre bisogno di un nemico da sconfiggere o da temere.

In questo senso, peccare significa immaginare domande sbagliate che giustificano e alimentano la speranza e la paura, creando conflitti inutili con nemici che non esistono ma che si immaginano.


Per Spinoza il peccato sta nell’immaginare Dio (che coincide con la Natura) anziché conoscerlo, dunque seguendo i dogmi della religione che stimolano gli spettri dell’immaginazione anziché la guida della ragione.

L’immaginazione con paura e speranza trasformano donne in streghe, serpenti in draghi, uomini in razze maledette.

Conoscere fantasmi


Possiamo dire che quando crediamo di conoscere tramite l’immaginazione non facciamo altro che conoscere fantasmi. Fantasma è un’immagine vana e illusoria generata dalla fantasia. Quindi, quando diciamo che conosciamo fantasmi non affermiamo altro che conoscere in maniera errata la realtà. Ovvero, compiere un peccato per come lo abbiamo definito in precedenza.

Spesso, anche quando si conosce qualcuno, si confonde l’immaginazione per la conoscenza di qualcuno. Marcel Proust descrive limpidamente come a partire da un particolare casuale giungiamo con facilità e certezza a credere di conoscere le leggi dei rapporti universali che come un enorme meccanismo di ingranaggi determina e spiega la verità del prossimo.

Ogni gesto, azione e parola sono, secondo l’immaginazione, traccia di una legge universale che spiega e che mostra la verità della persona.

Domande sbagliate per presupposti sbagliati


La ragione, così come l’educazione filosofia, conduce a criticare e a mettere in discussione quello che sembra essere certo. La ragione non conduce verso nessuna verità ultima, ma obbliga a superare i fantasmi che abitano la nostra vita.

Mentre l’immaginazione genera domande fantasiose che confermano le nostre convinzioni, la ragione vuole frantumare quelle stesse convinzioni. Per questo motivo conoscere è sempre accompagnato da una certa sofferenza.

Per comodità, abitudine e pigrizia l’essere umano tende sempre a cercare certezze a basso costo. Così, anche nei rapporti interprersonali giungiamo a trarre conclusioni affrettate e sconsiderate da un qualunque particolare esatto.

Non dovremmo farci domande per dare conferma alle nostre convizioni, ma dovremmo imparare a farci domande che verificano l’affidabilità delle nostre convinzioni. E di capire, se dietro i fantasmi che incontriamo nella nostra vita si trovano corpi veri e non altri fantasmi.


Riferimenti


[1] M. Proust, Precauzione inutile, Gruppo Editoriale L’Espresso, Roma, 2011, p. 16.


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