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Sindona tuttavia non fu il primo maestro di Calvi


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Sindona sopravvalutò se stesso, la sua rete relazionale, la sua abilità su un mercato instabile come quello degli anni ’70 e, preso da delirio di onnipotenza, pensò di poterla fare franca persino di fronte all’omicidio di Giorgio Ambrosoli. La sua tragica fine, accreditata come suicidio dai più <792, ne è la prova esemplare.
Al di là della variabile psicologica nella personalità di Michele Sindona, che ebbero certamente un peso nella sua vicenda, c’è un punto, segnalato anche dalla sentenza che lo ha condannato all’ergastolo, che vale qui sottolineare, cioè la radicata concezione del potere nella società italiana che aveva fatto propria. Una concezione: «secondo la quale il potere, meramente formale ed apparente, che si fonda sulle leggi e si esercita attraverso le istituzioni pubbliche è destinato fatalmente, in caso di conflitto, a soccombere di fronte a quello, effettivo e reale, che promana da certe condizioni di fatto, quali le amicizie influenti, le complicità, gli appoggi politici che contano, la disponibilità di danaro e le possibilità di ricatto, di corruzione e di intimidazione. Questa concezione essenzialmente mafiosa del potere – nella quale si rinvengono perfino connotazioni ideologiche antistatuali, come è confermato anche dalla evocazione e dalla mobilitazione dei vari poteri illegali ed occulti di Cosa Nostra, di mafia e di massoneria piduista compiute dal Sindona durante il suo finto rapimento – non era priva di un suo torvo realismo» <793.
Un realismo che Sindona probabilmente aveva fatto proprio sin dalla tesi di laurea su Il Principe di Machiavelli, se arrivò a sbandierare quel suo legame col potere mafioso tanto agli amici che ai nemici, pur negandolo sempre davanti all’opinione pubblica. La sua vicenda è paradigmatica di come contiguità culturali, territoriali e biografiche possano portare un soggetto assolutamente estraneo all’organizzazione ad acquisire quegli schemi cognitivi e comportamentali tipici dell’habitus mafioso. E nonostante questo riuscire a sviluppare un’affinità elettiva immediata con più di un esponente della borghesia milanese, che nel finanziere siciliano trovò un formidabile alleato per arricchirsi speculando ed evitando pure di pagare il dovuto all’erario.
Il suo riferimento accademico, Milton Friedman, nel 1970 scrisse che l’unica responsabilità sociale di un’impresa è aumentare i propri profitti, nel rispetto delle regole del gioco <794. Ed è questo il punto: Sindona iniziò la sua carriera aderendo perfettamente alle regole del sistema, che lo lasciò crescere e addirittura cercò di trasformarlo in un suo alfiere, come dimostrano i primi idilliaci rapporti d’affari con Cuccia, che una volta rotto col finanziere di Patti puntò sull’ingegnere di Paternò Salvatore Ligresti, che in quanto a spirito speculativo non era da meno. Sindona sarebbe potuto diventare il principe dei mediatori degli interessi tra quell’anima conservatrice-reazionaria della borghesia milanese e il potere mafioso, unite nella speculazione e l’arricchimento facile ai danni dello Stato e del sistema economico: il problema fu che voleva far saltare gli equilibri della finanza italiana, imponendo il suo capitalismo relazionale essenzialmente mafioso, che implicava la polverizzazione di quello imperniato su Mediobanca.
«La storia, in fondo, è tutta qui», scrisse una volta Marco Vitale, definendo la vicenda Sindona una storia semplice e banale: «è il dilagare del metodo mafioso a tutta la società, la penetrazione progressiva del modello del ricatto, della minaccia, dell’avvertimento» <795. Non qualcosa di così semplice e banale, pensando alla gloriosa storia imprenditoriale che esprimeva la città di Milano.
Il «cuore» della P2: Roberto Calvi e il Banco Ambrosiano
La storia di Roberto Calvi è strettamente legata a quella di Michele Sindona, sebbene poi i destini dei due si separarono una volta caduto in disgrazia il finanziere di Patti, e soprattutto dopo il ricatto ai danni del banchiere milanese di cui abbiamo parlato. Una cosa è certa: il triumvirato Calvi-Sindona-Marcinkus, ufficializzato il 23 marzo 1971 con la fondazione della Cisalpine Overseas Bank, fu l’elemento decisivo per la penetrazione nell’economia milanese dei soldi di Cosa nostra, dando inizio a quel processo di ibridazione a livello di classe dirigente tra habitus milanese e habitus mafioso.
Calvi, milanese doc la cui famiglia era originaria di Como, presentò subito un’affinità di stile con quel modo di fare finanza tipico dei «siciliani di Milano» e sfruttò come il suo maestro Sindona il legame con il Vaticano, Licio Gelli e, per loro tramite, con il potere mafioso espresso da Cosa Nostra.
Il sistema di società estere dell’Ambrosiano ideato da Calvi era infatti una versione migliorata di quello ideato da Sindona fondato sui depositi fiduciari. Nel Sistema Calvi, il meccanismo centrale era rappresentato dalle cosiddette operazioni back to back, attraverso le quali il Presidente dell’Ambrosiano effettuava investimenti all’estero senza che ne risultasse chiara evidenza nelle registrazioni contabili, dato che figuravano come un deposito o un prestito a banche terze, estranee al gruppo, anziché un reale finanziamento a società controllate per fini non apertamente dichiarabili, a causa, ad esempio, di restrizioni valutarie o di particolari vincoli imposti dalla Banca d’Italia <796. Sindona tuttavia non fu il primo maestro di Calvi, né fu quest’ultimo a creare il primo nucleo delle partecipazioni estere dell’Ambrosiano, volte ad aggirare i (pochi) vincoli imposti dalla legislazione italiana al mercato finanziario.
Genesi di un banchiere cattolico
Roberto Calvi venne assunto al Banco Ambrosiano con decorrenza 1° gennaio 1948, quando aveva appena 27 anni. Nato a Milano il 13 aprile 1920, suo padre Giacomo era un funzionario della COMIT di Raffaele Mattioli e fu decisivo nel suo primo incarico presso la Banca Commerciale, dove venne assunto il 16 ottobre 1943 <797, dopo essersi arruolato al fronte da convinto fascista ed essere tornato dalla disastrosa campagna di Russia. Prima della guerra, fresco del diploma in ragioneria, si era iscritto alla Bocconi, non riprendendo tuttavia più gli studi.
Sempre il padre fu decisivo nell’assunzione all’Ambrosiano, anche se sul punto esistono due versioni: la prima vede un ruolo di primo piano di Francesco Bianchi, compagno di scuola del padre, nell’altra di Carlo Alessandro Canesi, di cui il giovanissimo Calvi divenne da subito il delfino, incaricato delle prime delicate e discrete operazioni del Banco con l’estero <798. Ad ogni avanzamento di carriera di Canesi, Calvi lo avrebbe seguito, fino alla nomina a direttore generale nel 1971 e a Presidente nel 1975.
Il 19 settembre 1956 la Allgemeines Treuunternehmen, rappresentata da Walter Keicher, costituì a Vaduz, in Liechtenstein, la Lovelok Establishment, con 20mila franchi svizzeri di capitale. Questa società fu la capostipite di tutte le società estere, ufficiali e occulte, del Banco Ambrosiano sorte tra il 1956 e il 1982. Ufficialmente, Canesi non informò il Consiglio d’amministrazione della sua costituzione, anche se informalmente tutti ne erano a conoscenza <799.
Le ragioni di questa costituzione furono essenzialmente due: poter operare in maniera occulta sul mercato azionario, senza far risalire ogni manovra direttamente al Banco, e acquisire partecipazione finanziarie in ogni parte del globo, come accadde nel 1963 in occasione della fondazione della Compendium in Lussemburgo e nel 1971 della Cisalpine a Nassau <800. Il primo passo fu la costituzione della Banca del Gottardo attraverso la Lovelok, che poi fu acquisita direttamente nel dicembre 1960 dal Banco Ambrosiano per esportare illegalmente un’ingente quantità di capitali all’estero, business che divenne un tratto distintivo della banca negli anni a venire.
Insomma, Calvi sfruttò il Banco Ambrosiano per aumentare il proprio potere, ma il primo architetto dell’intricato sistema di relazioni estere non fu lui, ma Canesi, il quale se lo portò dietro nei viaggi all’estero insieme a Italo Signora, incaricato dei “rapporti tradizionali” del settore estero, e lo rese ben presto partecipe di tutti i segreti del Banco <801.
È in quegli anni di apprendistato che Calvi maturò la sua concezione del potere e della finanza, tutta interna a quella che nel terzo capitolo abbiamo definito l’anima reazionaria-conservatrice della borghesia milanese. Carlo Alessandro Canesi aveva una concezione del potere fondata sull’accentramento di tutte le funzioni: quando divenne finalmente Presidente il 6 marzo 1965, inaugurò un nuovo criterio nella selezione del gruppo dirigente, quello della devozione al capo rispetto all’autonomia personale e di giudizio <802. Sotto questo punto di vista, Roberto Calvi fu un buon discepolo, tanto da arrivare a sommare su di sé non solo la carica di Presidente ma anche di amministratore delegato del Banco Ambrosiano, gestendo come fossero suoi i depositi dei clienti della banca per le spericolate operazioni finanziarie finalizzate ad ottenere maggior potere in seno alla classe dirigente.
Il disegno iniziale di Calvi, ad ogni modo, era in stretta continuità con i suoi predecessori, Canesi e Mozzana, che fino al 1975 presero parte e avallarono tutte le iniziative finanziarie dell’allora Direttore Generale.

[NOTE]792 Si veda al riguardo, Simoni, Turone, op. cit., p. 73 e ss.
793 Sentenza n. 20/86 contro Michele Sindona + 25, p. 25.
794 “Esiste una e una soltanto responsabilità sociale dell’impresa: usare le sue risorse e impegnarsi in attività pensate per aumentare i profitti in una aperta e libera competizione senza inganni o frodi”, cfr FRIEDMAN, M. (1970). The Social Responsibility of Business is to Increase its Profits, The New York Times, 13 settembre.
795 VITALE, M. (1989). La lunga marcia verso il capitalismo democratico, Milano, il Sole 24 Ore Libri, p. 254
796 MAUGERI, V. (2004). Consulenza Tecnica Contabile nell’ambito del Procedimento penale n. 13034/95, Tribunale di Roma, p. 6.
797 Bellavite Pellegrini, Storia del Banco Ambrosiano, p. 84.
798 Ivi, p. 85.
799 Ivi, p. 100.
800 Ivi, p. 101.
801 Ivi, p. 109.
802 Ivi, p. 143.
Pierpaolo Farina, Le affinità elettive. Il rapporto tra mafia e capitalismo in Lombardia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2019-2020

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