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L’importanza dell’accordo di marzo si sarebbe mostrata appieno durante il dibattito interalleato


La restituzione al governo italiano delle prime province liberate nel febbraio del 1944 acutizzava la consapevolezza nell’amministrazione centrale di dover intervenire sui rami periferici interessati dal radicale cambiamento comportato dalla nuova situazione istituzionale. Informato della riluttanza mostrata dalle amministrazioni locali site nelle province restituite all’autorità italiana nell’assumere l’effettiva direzione di uffici e servizi ora di loro competenza, lasciandone di conseguenza il controllo ancora agli organi alleati, Badoglio incoraggiava queste, qualora non lo avessero ancora fatto, a recarsi presso gli uffici alleati e reclamare «l’urgente ed effettivo trapasso dei poteri stessi». I funzionari italiani dovevano energicamente salvaguardare gli interessi nazionali e categoricamente evitare di abbandonarsi nei confronti delle autorità alleate ad atteggiamenti servili, tenendo presente che una tale attitudine sarebbe valsa soltanto a compromettere il prestigio delle istituzioni e a dare luogo ad apprezzamenti poco lusinghieri da parte degli Alleati stessi <484. Alla data del passaggio di consegne, gli organi di governo dell’AMG si trasformavano, sia de jure che de facto, in organi dell’ACC [Commissione di Controllo Alleata sull’Italia]. Da questo derivava che tutti gli uffici e i funzionari italiani, ancorché istituiti e nominati dalle autorità alleate, dipendevano esclusivamente dalle autorità italiane e che, poiché l’ACC esercitava le sue funzioni presso il governo italiano, «gli interventi degli Alleati si svolgono di regola pel tramite delle autorità centrali». Ancora nell’estate del ’44, dopo il cambio al governo, si ribadiva l’esortazione a prendere contatto con le locali autorità alleate e pretendere il pieno passaggio dei poteri, un passo da compiere «con cortese fermezza, senza malintesi timori» <485.
Con Bonomi al comando, dunque, il quadro non mutava. In preparazione di una eventuale revisione della situazione italiana, avvertita sempre più vicina e inevitabile con il passare dei mesi, il governo doveva farsi trovare pronto a fungere da interlocutore propositivo nelle possibili trattative con gli Alleati e preparare una lista delle maggiori problematiche emerse durante l’anno di convivenza da presentare affinché potessero servire da base per le discussioni con l’ACC, sulla base di quanto già tentato a suo tempo da Badoglio nel marzo precedente. A tal proposito, Bonomi chiedeva a ciascuno dei suoi ministri la redazione di un rapporto che fornisse una conoscenza esatta dei vari aspetti e dello stato attuale delle tematiche da affrontare, accompagnate da una serie di controproposte da presentare, ricordando che i rapporti tra l’Italia e gli Alleati si fondavano sì sulle condizioni d’armistizio – «le quali tuttavia hanno avuto in molti casi una interpretazione estensiva, oppure sono state modificate o aggravate da accordi particolari intervenuti successivamente» – ma che, indipendentemente da qualsiasi accordo, «le autorità alleate esercitano di fatto in vari casi ingerenze che ostacolano gravemente il normale funzionamento degli organi e delle autorità italiane». La relazione richiesta ai dicasteri doveva essere compilata sulla base di un questionario composto di sei domande: quali erano le ingerenze alleate nel ministero? Tra queste quali le più gravi? Vi erano impegni aggiuntivi stipulati successivamente all’armistizio? Quali erano le pretese alleate che nascevano al di fuori da impegni armistiziali precisi? La raccolta di informazioni, spiegava Bonomi in conclusione, era concepita in funzione di una revisione dell’attuale situazione armistiziale e «di un possibile allentamento degli odierni pesantissimi controlli e delle non meno ingombranti ingerenze alleate in tutti gli aspetti della vita della nazione» <486.
Da quanto delineato nelle pagine precedenti emerge un quadro ben preciso dei motivi di frizione che si generavano tra occupati e occupanti nella gestione dell’ambiguo status governativo che regnava in Italia sin dal settembre del ’43. Un consistente aiuto è fornito allo studioso dalla catena di documenti prodotta in ossequio a quanto stabilito in marzo, quando Badoglio si era accordato con MacFarlane affinché si tenesse una riunione congiunta dell’ACC con il governo italiano. Dietro stimolo della Presidenza del Consiglio, ogni ministero aveva presentato un elenco di rimostranze riguardanti il proprio ambito legislativo e il 13 aprile 1944 Badoglio poteva inviare una lista dettagliata degli argomenti da trattare nel futuro incontro misto. Contenuta in una ventina di pagine, la lista spaziava dai rapporti con le autorità alleate alle comunicazioni, dalla protezione del patrimonio artistico e boschivo sino alla pubblica amministrazione e alla pesca. Si lamentava l’insorgere di casi di incomprensione e la malcelata sfiducia da parte delle autorità alleate «il cui controllo, estendendosi spesso sino ai più minuti particolari, oltre a risultare troppo macchinoso, finisce con l’assumere la veste di una vera e propria ingerenza in tutta quanta l’attività amministrativa». Si notava, in altri termini, la tendenza degli organi periferici alleati a prolungare l’esercizio dei poteri già demandati all’AMG nei territori occupati anche dopo la restituzione di tali territori all’amministrazione italiana e di estendere tali poteri anche alle province che erano sempre rimaste soggette alla piena sovranità del governo italiano <487.
Tra le tematiche considerate di maggiore urgenza figurava la richiesta di consultazione delle autorità italiane prima della nomina di funzionari di alto grado. La questione dell’approvazione delle nomine effettuate dagli italiani e sospese in attesa di conferma da parte degli Alleati era infatti una delle più scottanti dell’intera vicenda amministrativa dell’occupazione, intrecciandosi al profondo disaccordo che vi era tra le diverse interpretazioni delle prerogative del controllo alleato. Nel marzo 1944, uno scambio epistolare tra Badoglio e MacFarlane assicurava agli Alleati l’istituzione della pratica di non nominare ufficiali governativi senza previa approvazione della Commissione. L’accordo era però di natura consuetudinaria e non legislativa, non rientrando negli obblighi previsti dai termini armistiziali ed era figlio della volontà di Algeri di mantenere il potere di veto nell’eventualità di qualche nomina sgradita. Il 10 marzo, facendo riferimento alla contestata nomina di Piacentini al Ministero dell’Aeronautica, MacFarlane pregava il governo italiano di consultare l’ACC «before making any senior appointments in their own departments either at the seat of the Italian Government or in those provinces under Italian jurisdiction» <488. Badoglio, ispirandosi alla piena collaborazione con le autorità alleate che a sua detta aveva caratterizzato il suo intero mandato, prometteva l’emanazione di ordini precisi «to the effect that no government appointment be made without previous agreement with the Commission» <489.
L’importanza dell’accordo di marzo si sarebbe mostrata appieno durante il dibattito interalleato sul percorso da seguire durante la crisi governativa del luglio 1944, quando, arrivati a Roma, gli Alleati si erano visti imporre un cambio al governo che, almeno sul versante britannico, era considerato fortemente contrario allo spirito dell’occupazione. In occasione della sedicesima seduta dell’ACI, nella quale si era discusso delle nomine governative e dell’intervento alleato in merito, gli americani, supportati dai francesi, avevano sostenuto che la trattazione di tali questioni si collocasse al di fuori delle competenze del Consiglio, mentre gli inglesi, proprio richiamando l’intesa raggiunta tra MacFarlane e Badoglio e invocando le clausole del regime armistiziale, insistevano sulla legittimità del proprio intervento <490. Nelle settimane seguenti, anche in campo italiano si tentava di ritoccare la questione delle nomine, quando Visconti Venosta portava la vicenda all’attenzione del nuovo capo del governo. Il sottosegretario agli esteri riportava che, in un colloquio avuto con un ufficiale alleato, un tale Professor Forti aveva sostenuto che lo scambio di lettere e l’impegno che sottintendevano si riferissero esclusivamente alle province restituite in data 11 febbraio e che un nuovo accordo sarebbe stato necessario nel caso gli Alleati avessero voluto mantenere simili diritti nei territori trasferiti in fasi successive. Il colonnello Thackrah, da parte sua, aveva ribadito che quello del marzo precedente andava considerato come un gentlemen’s agreement di carattere generale che non necessitava di conferme in occasione delle successive restituzioni <491. Visconti sposava la linea di Forti, ma Fenoaltea, segretario alla Presidenza del Consiglio, nella risposta del 4 settembre, per quanto convinto che un riesame della questione fosse ormai opportuno, non era del tutto convinto della fondatezza della tesi esposta dal Forti in merito all’impostazione giuridica della questione. Secondo Fenoaltea, lo scambio di lettere non nasceva in connessione con la vicenda delle province restituite, ma aveva piuttosto una validità generica che investiva il problema delle nomine nella sua interezza. Se dal punto di vista giuridico la questione sembrava dunque chiusa in favore degli Alleati, su un versante più prettamente politico questa poteva servire ad incentivare una rielaborazione dei rapporti esistenti in Italia. Diversi accadimenti avevano mutato profondamente lo scenario politico e militare italiano dal lontano 10 marzo, una lontananza «tale da giustificare una radicale revisione dell’estensione e della portata del controllo alleato». La necessità di un controllo politico sulle nomine dei funzionari, giustificabile in marzo, «oggi evidentemente più non sussiste». In fondo, continuava Fenoaltea, «il controllo non ha ragione d’essere là dove, all’infuori di ogni loro diretto interesse, gli Alleati credano di dover tutelare ragioni ed interessi prettamente italiani di fronte al governo democratico italiano», aggiungendo che «se è giustificabile la vigilanza non è giustificabile la tutela» <492. Il controllo delle nomine, insomma, era interpretato dal governo italiano come manifestazione caratteristica di una pratica soffocante del controllo che non aveva più motivo di essere.

[NOTE]484 Cfr. la circolare n. 713 di Badoglio ai ministri dell’11 marzo 1944, Assunzione di poteri da parte delle autorità italiane delle provincie restituite dal governo alleato, in ACS, PCM, AG, b. 1.1.26 – 10991. Lo stimolo giungeva al Premier da un appunto del Capo di Gabinetto, preparato il 4 marzo e approvato dal Consiglio dei Ministri il 9 marzo, nel quale si faceva presente che, nonostante il trasferimento fosse già avvenuto, in molti casi erano ancora gli Alleati a gestire l’amministrazione delle regioni meridionali, così come notato da un rapporto dello stesso Ufficio di Collegamento tra l’ACC e il governo italiano. Si riteneva pertanto necessario un invito ai funzionari operativi a livello locale a reclamare l’assunzione delle funzioni che spettavano loro. Con la stessa circolare, Badoglio invitava contestualmente a comunicare gli argomenti da trattare in una riunione mista della ACC e del governo (cfr. una circolare analoga di Bonomi del 22 settembre 1944 in nota 486).
485 Si veda la circolare di Bonomi per i ministeri del 17 agosto 1944, Assunzione dei poteri da parte delle autorità italiane nelle provincie restituite dall’autorità alleata, in ACS, PCM, AG, b. 1.1.26 – 10991. Si ricordava inoltre che da quel momento cessavano di essere in vigore i provvedimenti di contenuto normativo emanati dagli Alleati, direttamente o per delega, ma che questi andavano considerati validi per il periodo della loro applicazione (come viene stabilito dal Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 161 del 20 luglio 1944, Provvedimenti sul regime giuridico dei territori restituiti all’Amministrazione italiana).
486 Cit. la circolare Bonomi a tutti i ministeri del 22 settembre 1944, in MAE, Archivio di Gabinetto, 1944-1958 (d’ora in avanti ADG), b. 85bis.
487 Cfr. Badoglio a MacFarlane, Riassunto delle questioni sollevate dai vari dicasteri e da discutersi nella riunione da indire con la Commissione Alleata di Controllo, foglio n. 1941, del 13 aprile 1944, in ACS, PCM, Brindisi-Salerno, cat. 2.
488 Cit. MacFarlane a Badoglio del 10 marzo 1944, ACC, b. 1055.
489 Cit. il telegramma di Badoglio a MacFarlane del 13 marzo 1944 con il quale si concludeva lo scambio epistolare che regolerà la questione delle nomine italiane da sottoporre alla previa approvazione dell’ACC, FO 371/43916.
490 I contenuti della seduta erano riportati il 15 luglio 1944 da Charles a Londra in FO 371/43829.
491 Cfr. il rapporto di Visconti Venosta a Fenoaltea sulla conversazione avuta con il col. Thackrah il 25 luglio 1944, MAE, SG, vol. VI.
492 Cit. Fenoaltea a Visconti Venosta, 4 settembre, 1944, MAE, SG, vol. VI.

Marco Maria Aterrano, “The Garden Path”. Il dibattito interalleato e l’evoluzione della politica anglo-americana per l’Italia dalla strategia militare al controllo istituzionale, 1939-1945, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Anno Accademico 2012-2013

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