Salmo 39
Pallida la luna scruta questa gelata sera d'ottobre. Le case - come lapidi incolonnate custodiscono le strade: troppo profondo il silenzio per tacere il mio segreto. L'ombra leggera e scura che già tante volte ho conosciuto ecco arriva alle mie spalle e mi sussurra all'orecchio l'orrore che non ha nome: durare, esistere, questo il destino di noi che cerchiamo di fuggire — essere una cosa tra le cose — dividerci gli attimi di questa falsa eternità. Simulacri delle ore e dei minuti s'obliano gli istanti e raccogliamo i nostri giorni come fossero macerie e i nostri scheletri invecchiati bisbiglieranno dalla polvere “ancora tempo, ancora un po' di tempo”.
Ma io conosco quest'inganno, io che ho imparato a fuggire dal miraggio dell'eterno, a guisa di un Lucifero demente innalzo al cielo la mia fiamma m se passo tra gli uomini ogni solco della pelle è una piaga di dolore. Il Tempo annulla la fatica delle genti sventa i progetti dei popoli ma il suo piano esiste per sempre. L'occhio del Tempo è su quelli che lo temono. Il mio cuore ha le vertigini e la forza m'abbandona: “Fammi conoscere, Signore, la misura dei miei giorni”. Io, presso di te, sono un forestiero. Potessi avere un respiro ancora prima dell'oblio della notte, prima di tornare alla casa senza tempo, prima che si spezzi il filo d'argento e la lampada d'oro si rompa e ogni cosa torni a essere un soffio: così come è sempre stato.