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Quando ero giovane forse la situazione non era poi tanto meglio di quella attuale, c'era il Viet Nam c'era l'ingiustizia sociale, c'erano i ricchi e prepotenti e c'erano i politici corrotti.Però c'era qualcosa che purtroppo i nostri ragazzi non hanno più, c'era la speranza per un mondo migliore, più giusto, più umano. La cosa che mi fa rabbia, tanta rabbia, è che siamo stati noi a rubare la speranza ai nostri figli. Con tutte le nostre belle parole non siamo riusciti non dico a migliorare il mondo ma nemmeno a non peggiorarlo. Quando siamo cambiati al punto da non riconoscerci nemmeno più e perché siamo cambiati? Adesso stiamo distruggendo il pianeta perché tanto, quando le cose andranno davvero male noi non ci saremo più. Il cinico egoismo che combattevamo è diventato il nostro modo di essere, la disumanità la nostra bandiera, conta ormai solo apparire non essere. In questo momento ci sono cinquantasei guerre in tutto il mondo, gente che muore stupidamente per soddisfare le brame di potere di questo o quel tiranno; ma tutto passa sotto silenzio, la grande stampa non ne parla quindi queste guerre non esistono, poi nella maggior parte dei casi sono combattute lontano da qui e poco o nulla importa se le armi le forniamo noi popoli «civilizzati». Non so, non credo che i nostri figli potranno mai perdonarci per tutto questo, io certo non me lo perdonerò mai.


noblogo.org/rigoga/quando-ero-…



Exploring the Advantages of Second Citizenship Through Real Estate Investment


In an increasingly interconnected world, the idea of obtaining a second citizenship is gaining traction. One of the most effective ways to achieve this is through real estate investment. But what are the real benefits of pursuing this option?

First and foremost, second citizenship can significantly enhance your global mobility. Many countries that offer citizenship through investment provide visa-free or visa-on-arrival access to numerous destinations, making international travel easier and more convenient. This can be especially beneficial for business professionals who frequently travel for work.

Additionally, investing in real estate can serve as a solid financial strategy. Not only do you secure a new passport, but you also have the potential to earn rental income or see your property appreciate over time. This dual benefit makes it an attractive option for savvy investors.

Companies like Citizenship-By.Investments specialize in helping individuals navigate this process, ensuring they make informed decisions that align with their long-term goals.

So, what do you think? Are the advantages of obtaining second citizenship through real estate investment worth considering? How might this opportunity impact your life and future plans?


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GIOBBE - Capitolo 31


Sicuro della propria innocenza, Giobbe si appella a Dio1 Ho stretto un patto con i miei occhi, di non fissare lo sguardo su una vergine.2E invece, quale sorte mi assegna Dio di lassù e quale eredità mi riserva l'Onnipotente dall'alto?3Non è forse la rovina riservata all'iniquo e la sventura per chi compie il male?4Non vede egli la mia condotta e non conta tutti i miei passi?5Se ho agito con falsità e il mio piede si è affrettato verso la frode,6mi pesi pure sulla bilancia della giustizia e Dio riconosca la mia integrità.7Se il mio passo è andato fuori strada e il mio cuore ha seguìto i miei occhi, se la mia mano si è macchiata,8io semini e un altro ne mangi il frutto e siano sradicati i miei germogli.9Se il mio cuore si lasciò sedurre da una donna e sono stato in agguato alla porta del mio prossimo,10mia moglie macini per un estraneo e altri si corichino con lei;11difatti quella è un'infamia, un delitto da denunciare,12quello è un fuoco che divora fino alla distruzione e avrebbe consumato tutto il mio raccolto.13Se ho negato i diritti del mio schiavo e della schiava in lite con me,14che cosa farei, quando Dio si alzasse per giudicare, e che cosa risponderei, quando aprisse l'inquisitoria?15Chi ha fatto me nel ventre materno, non ha fatto anche lui? Non fu lo stesso a formarci nel grembo?16Se ho rifiutato ai poveri quanto desideravano, se ho lasciato languire gli occhi della vedova,17se da solo ho mangiato il mio tozzo di pane, senza che ne mangiasse anche l'orfano18– poiché fin dall'infanzia come un padre io l'ho allevato e, appena generato, gli ho fatto da guida –,19se mai ho visto un misero senza vestito o un indigente che non aveva di che coprirsi,20se non mi hanno benedetto i suoi fianchi, riscaldàti con la lana dei miei agnelli,21se contro l'orfano ho alzato la mano, perché avevo in tribunale chi mi favoriva,22mi si stacchi la scapola dalla spalla e si rompa al gomito il mio braccio,23perché mi incute timore il castigo di Dio e davanti alla sua maestà non posso resistere.24Se ho riposto la mia speranza nell'oro e all'oro fino ho detto: “Tu sei la mia fiducia”,25se ho goduto perché grandi erano i miei beni e guadagnava molto la mia mano,26se, vedendo il sole risplendere e la luna avanzare smagliante,27si è lasciato sedurre in segreto il mio cuore e con la mano alla bocca ho mandato un bacio,28anche questo sarebbe stato un delitto da denunciare, perché avrei rinnegato Dio, che sta in alto. 29Ho gioito forse della disgrazia del mio nemico? Ho esultato perché lo colpiva la sventura?30Ho permesso alla mia lingua di peccare, augurandogli la morte con imprecazioni?31La gente della mia tenda esclamava: “A chi non ha dato le sue carni per saziarsi?”.32All'aperto non passava la notte il forestiero e al viandante aprivo le mie porte.33Non ho nascosto come uomo la mia colpa, tenendo celato nel mio petto il mio delitto,34come se temessi molto la folla e il disprezzo delle famiglie mi spaventasse, tanto da starmene zitto, senza uscire di casa.

35Se contro di me grida la mia terra e i suoi solchi piangono a una sola voce,36se ho mangiato il suo frutto senza pagare e ho fatto sospirare i suoi coltivatori,37in luogo di frumento mi crescano spini ed erbaccia al posto dell'orzo.

38Oh, avessi uno che mi ascoltasse! Ecco qui la mia firma! L'Onnipotente mi risponda! Il documento scritto dal mio avversario39vorrei certo portarlo sulle mie spalle e cingerlo come mio diadema!40Gli renderò conto di tutti i miei passi, mi presenterei a lui come un principe”.

40b Sono finite le parole di Giobbe. _________________Note

31,9-10 Se il mio cuore si lasciò sedurre: l’adulterio era punito con la morte. mia moglie macini: alla macinazione erano addetti gli schiavi.

31,27 Il bacio va qui inteso come gesto idolatrico..

31,38 la mia firma: alla lettera “il mio tau”. Il tau, ultima lettera dell’alfabeto ebraico (in antico a forma di croce), era usato dagli illetterati come firma. L’ordine di questi versetti è cambiato, per una migliore comprensione del testo.

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Approfondimenti


31,1-4. Giobbe richiama innanzitutto il suo impegno riguardo agli occhi, nella loro connotazione del desiderio (31,1,7; cfr. Gn 3,6; Nm 15,39; Ger 22,17; Ez. 20,7.8; Qo 2,10), e ne riferisce l'esercizio di una fondamentale moderazione e disciplina. Egli con una certa enfasi nota però che su di lui si è abbattuta la sciagura che dovrebbe essere assegnata di solito al malvagio (v. 3). Dunque Giobbe segnala un'incongruenza. Queste considerazioni ribadiscono che il problema è in Dio e nel suo agire sconcertante.

vv. 5-6. Giobbe, immune dalla menzogna, si rimette sicuro alla giustizia di Dio, rappresentata con l'immagine della bilancia (cfr. Prv 11,1; 16,2; 20,10; 21,2; 34,12). Giobbe non può sapere che Dio già prima della tragedia aveva ripetutamente apprezzato la sua rettitudine (cfr. 1,8; 2,3).

vv. 7.8. Avviata ormai la sfida diretta di Giobbe a Dio, la dichiarazione d'innocenza prosegue (31,7-23) nella particolare forma del giuramento con imprecazioni su di sé (cfr. Sal 7,4-6).

vv. 9-12. In caso di adulterio (cfr. Es 20,17; Dt 22,22-24; Prv 6,29.32-35), la maledizione colpirà Giobbe sempre in ciò che gli appartiene, e stavolta si tratta della moglie (cfr. Dt 28,30; 2Sam 12,11), che era considerata proprietà dell'uomo.

vv. 13-15. Dell'eventuale violazione, negazione del diritto dei propri servi (cfr. Es 21,2-11.20-21.26-27; Lv 25,39-55; Dt 15,12-18), Giobbe ritiene che si debba rispondere dinanzi a Dio, perché padrone e schiavo sono accomunati dalla stessa natura umana che Dio ha creato (cfr. Prv 22,2; Sap 6,7). Dio ha formato e intessuto entrambi nel grembo materno (cfr. Sal 139,13).

vv. 16-23. L'attenzione di Giobbe si volge ora ai diseredati (il povero, la vedova e l'orfano) e al soccorso prestato loro nella forma del cibo e della veste (cfr. 24,7.10; Is 58,7), che evidentemente costituivano l'aiuto primario che poteva garantire la loro sopravvivenza. Egli riferisce che tale sollecitudine (cfr. 29,12-17) lo ha guidato fin dalla sua giovinezza, replicando anche, in modo definitivo, alle accuse infamanti di Elifaz (cfr. 22,6-9). Tuttavia, se in qualche modo fosse venuto meno a tale protezione e cura, o avesse inteso opprimere il debole, Giobbe invoca su di sé un castigo che comporti la privazione di quella parte del suo corpo che si è resa colpevole. L'imprecazione segue strettamente il principio «occhio per occhio» (cfr. Es 21,23-24; Lv 24,19-20; Dt 19,21).

vv. 24-28. In questa breve sezione ricorre una forte attestazione della fede di Giobbe nell'unico Dio, il Dio di Israele. Una particolare attenzione merita, nel contesto della sezione, il riferimento al «confidare», più precisamente, al motivo del confidare. Si deve tener conto che il termine usato (v. 24b: mibṭāḥ, come pure il verbo bṭḥ) ha, in ambito biblico, una predominante denotazione religiosa (cfr. Ger 17,7; Sal 40,5; 65,6; 71,5); pertanto le parole di Giobbe assumono un nuovo rilievo. Giobbe in una forma sicuramente originale nega di aver posto la sua fiducia nell'oro: non ha stabilito la sua sicurezza di vita né ha cercato protezione in esso, che a questo punto si presenta come una forte allusione agli idoli di metallo fuso fatti dall'uomo (cfr. Es 32; Sal 115,4.8; 135,15.18). Dunque Giobbe respinge di avere, in qualche modo, venerato degli idoli, così come di aver reso omaggio e culto alle divinità astrali, al sole e alla luna per la loro luminosità (vv. 26-27; cfr. Dt 4,19). Si tratta di divinità onorate, pur con altri attributi, dai popoli della Mesopotamia, ma non mancano testimonianze sul loro culto anche in Israele (cfr. per es. 2Re 21,3.5; 23,4-5; Ger 8,2; Ez 8,16-17). Giobbe pertanto ripudia l'idolatria in tutte le sue manifestazioni, reputandola come apostasia (v. 28).

vv. 33-34. Giobbe giura di non aver nascosto o negato il suo peccato (cfr. Gn 3,10), dunque di aver ammesso le proprie trasgressioni (cfr. 7,21; Sal 32,5; 69,6) senza sottrarsi alla disapprovazione, allo sdegno della gente. Pertanto la sua proclamazione di innocenza non è ipocrisia, non è negazione del peccato.

vv. 35-37. L'ultimo giuramento con imprecazione di Giobbe riguarda la terra, nell'eventuale violazione dei ritmi per essa stabiliti (cfr. Es 23,10-11; Lv 25,2-7), e la mancata retribuzione di chi vi ha lavorato (cfr. Lv 19, 9-10.13). Gran parte dei commentatori moderni hanno ritenuto questi versetti fuori posto, come una conclusione incongruente. Come BC, molti spostano questi versetti dopo il v. 34, ma senza basi testuali e con motivazioni non decisive. Tale conclusione, aperta, contribuisce invece a rendere l'ultimo discorso di Giobbe una sfida diretta a Dio, ma non un ultimatum, una sfida dalla quale Dio non può esimersi. In qualunque modo, tuttavia, Dio intervenga, l'evento costituirà per Giobbe non un atto dovuto, ma una manifestazione di benevolenza, la riconferma dell'inestimabile benevolenza di Dio.

vv. 38-40a. La sfida di Giobbe a Dio raggiunge a questo punto il suo culmine. La dichiarazione volge ormai al termine; egli vi pone il suo sigillo. Riguardo allo scritto di accusa della parte avversa, gli amici, suoi contendenti, Giobbe pensa di portarlo sulla spalla come un trofeo, e di cingerselo come un diadema. Così si presenterebbe a Dio per narrargli la sua vita, e come un principe (nāgîd), dunque con una dignità regale. Riaffiora quindi la certezza di Giobbe: se Dio gli prestasse attenzione, sicuramente riconoscerebbe la sua integrità (cfr. 23,3-7; Sal 17; 26). Egli ritiene pure che le accuse degli amici concorrono a stabilire e mettere in evidenza la sua rettitudine, che è fedeltà alle vie di Dio (cfr. 23,11-12). Attende, oltre la persecuzione e la prova, l'evento della rinnovata vicinanza di Dio (cfr. Sal 73,28).

v. 40b. L'informazione della fine dei discorsi di Giobbe, viene riferita e utilizzata dal narratore come un antefatto, una circostanza che gli permette di porre in rilievo altri fatti: che gli amici hanno cessato di rispondere a Giobbe e, soprattutto, che un nuovo personaggio, Eliu, mosso, dallo sdegno, si appresta ad intervenire (32,1-5). Se si considera che l'inserzione dei discorsi di Eliu (cc. 32-37) è avvenuta in un momento successivo alla composizione principale del libro, non si può far a meno di riconoscere, anche nella cura prestata ai passaggi fra le diverse tappe del poema, la singolare raffinatezza della tecnica narrativa.

La conclusione dei discorsi di Giobbe segna in modo definitivo la fine della Disputa. Essa è stata aperta e chiusa dai monologhi di Giobbe. Nel primo monologo Giobbe preferiva la morte alla vita (c. 3), nell'ultimo (cc. 29-31) giunge a sfidare Dio, sottoponendo la sua vita a una verifica in relazione all'istruzione divina. All'inizio, Giobbe chiedeva la morte come estremo atto in cui poteva affermare la fedeltà a Dio (cfr. 6,8-10), e alla fine, dopo aver sostenuto la sua permanente integrità, egli chiede che Dio lo ascolti e gli risponda, che lo avvicini a sé in una riconfermata comunione di vita (cfr. 31,35-37). La vita e la storia sono il luogo in cui Giobbe attende l'intervento di Dio.

È evidente, ormai, come la Disputa rappresenti, nello sviluppo narrativo, la “complicazione”. Essa costituisce, infatti, il tentativo di spiegare le ragioni della tragedia che si è abbattuta su Giobbe, nel Prologo, e proprio questo tentativo di spiegare e risolvere la situazione di Giobbe conduce, con le questioni sollevate, a un ampliamento dell'intreccio narrativo. All'iniziale intreccio di risoluzione è andato affiancandosi l'intreccio di rivelazione, centrato su un'assenza di conoscenza che deve essere colmata. La Disputa, infatti, ha messo in evidenza, peraltro confermandolo anche con il suo fallimento, la finitezza della conoscenza umana sull'ordine dell'universo, e, soprattutto, riguardo a Dio, al nascondimento e al silenzio di Dio.

Giobbe si delinea, nel corso della Disputa, attraverso il forte contrasto con gli amici, come un personaggio complesso, umano, che esprime questioni drammatiche fra l'uomo e Dio, dà voce al grido che emerge nella tragedia del singolo (cfr. Sal 88; ecc.), del popolo (cfr. Sal 44; 74; 79; 80; ecc.). Egli osa chiedere conto a Dio del suo agire, osa sfidare Dio, perché non intende rinunciare a lui, alla vicinanza, alla comunione di vita con lui. L'incalzante progressione dell'argomentazione di Giobbe esige una presa di posizione, apre all'attesa di un pronunciamento di Dio, ormai inevitabile, in risposta alla sete di conoscenza e di comunione. L'imprevista svolta narrativa, con i discorsi di un nuovo personaggio, Eliu (cc. 32-37), ne ritarderà il momento, rendendo, tuttavia, ancora più acuta l'attesa di Dio.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Allineamento Il 25 gennaio 2025, diversi pianeti del Sistema Solare saranno visibili nel cielo serale, offrendo uno spettacolo affascinante per gli appassionati di astronomia. Tuttavia, è importante notare che, dal punto di vista astronomico, non si verificherà un allineamento perfetto di tutti gli otto pianeti, poiché le loro orbite non giacciono sullo stesso piano, rendendo tali allineamenti estremamente rari. In astrologia, gli allineamenti planetari sono spesso associati a influenze specifiche sugli individui e sulla collettività. Ogni pianeta è ritenuto governare particolari aspetti della personalità e della vita umana. Ad esempio, Mercurio è associato alla comunicazione e all'intelletto, Venere all'amore e all'armonia, Marte all'azione e all'energia, Giove all'espansione e alla crescita, Saturno alla disciplina e alla responsabilità, Urano all'innovazione e al cambiamento, Nettuno alla spiritualità e all'intuizione, e Plutone alla trasformazione e al potere. Quando più pianeti si trovano in particolari configurazioni, come congiunzioni o allineamenti, gli astrologi interpretano queste disposizioni come momenti di potenziale intensificazione delle energie planetarie coinvolte. Ad esempio, un allineamento che coinvolge Venere e Nettuno potrebbe essere interpretato come un periodo favorevole per l'ispirazione artistica e l'approfondimento spirituale, mentre un allineamento tra Marte e Saturno potrebbe suggerire una fase di sfide che richiedono disciplina e perseveranza. È importante sottolineare che l'astrologia non è riconosciuta come una scienza dalla comunità scientifica, e le interpretazioni astrologiche si basano su tradizioni simboliche piuttosto che su evidenze empiriche. Pertanto, l'influenza spirituale degli allineamenti planetari è una questione di credenze personali. Per coloro che attribuiscono significato a tali eventi, l'allineamento del 25 gennaio potrebbe essere visto come un'opportunità per riflettere su determinati aspetti della propria vita, meditare o cercare una maggiore connessione con l'universo. In sintesi, mentre l'allineamento planetario del 25 gennaio 2025 offre una meravigliosa opportunità per osservare il cielo notturno e apprezzare le meraviglie del cosmo, l'interpretazione delle sue influenze spirituali varia a seconda delle convinzioni individuali.


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Hackerismo Gli attacchi ai siti istituzionali rappresentano una delle manifestazioni più evidenti e mediatiche del cybercrime. Questi attacchi, spesso spettacolari, colpiscono siti governativi, enti pubblici e organizzazioni di rilevanza strategica, sollevando interrogativi sulle motivazioni che spingono gli hacker a intraprendere azioni di questo tipo. Le ragioni dietro tali attacchi possono essere molteplici e spesso intrecciate, variando da obiettivi politici a interessi economici, da atti dimostrativi a intenti puramente criminali. Uno dei motivi principali risiede nel cosiddetto “hacktivismo”, un fenomeno in cui i cyberattivisti utilizzano le loro competenze informatiche per promuovere cause politiche, sociali o ideologiche. Attacchi di questo tipo sono mirati a sensibilizzare l’opinione pubblica su temi specifici, come la lotta alla censura, la difesa dei diritti umani o la critica verso governi considerati repressivi. Spesso gli attacchi hacktivisti assumono la forma di defacement, in cui la homepage del sito viene sostituita con messaggi propagandistici, o DDoS (Distributed Denial of Service), che mira a rendere il sito irraggiungibile tramite un sovraccarico di richieste. Un'altra motivazione comune è legata alla criminalità informatica vera e propria. Gli hacker possono colpire i siti istituzionali per sottrarre dati sensibili, come informazioni personali, documenti riservati o dettagli relativi a infrastrutture critiche. Questi dati possono essere rivenduti nel dark web o utilizzati per ulteriori attacchi, come campagne di phishing o estorsioni. Gli attacchi ransomware, ad esempio, bloccano l'accesso ai dati dell'ente colpito, richiedendo il pagamento di un riscatto per sbloccarli. Tale strategia si è dimostrata particolarmente efficace contro le istituzioni pubbliche, spesso poco preparate a gestire emergenze di questo tipo. Inoltre, gli attacchi possono essere motivati da interessi geopolitici. In questo contesto, si parla di cyber warfare, ovvero guerra cibernetica, dove gli attacchi ai siti istituzionali di un Paese sono condotti da attori statali o gruppi sponsorizzati da governi per destabilizzare un avversario, raccogliere intelligence o influenzare la politica interna. Questi attacchi spesso rientrano in strategie più ampie di conflitto asimmetrico, dove il cyberspazio diventa un campo di battaglia non convenzionale. Alcuni hacker, invece, agiscono per pura vanità o per dimostrare le proprie capacità tecniche. In questi casi, l'obiettivo non è tanto danneggiare, quanto ottenere riconoscimento all'interno della comunità hacker. Questo fenomeno, noto come “hacking for fame”, può sembrare meno pericoloso ma contribuisce comunque a minare la fiducia nei sistemi informatici istituzionali. A livello operativo, la vulnerabilità dei siti istituzionali può essere sfruttata per compromettere la fiducia dei cittadini nelle istituzioni stesse. Un sito governativo che viene hackerato trasmette l'idea di inefficienza e insicurezza, erodendo la credibilità dell’ente attaccato. Questo è particolarmente rilevante in Paesi con situazioni politiche già instabili, dove tali attacchi possono avere effetti dirompenti sull'ordine pubblico. Infine, va considerato l'impatto economico. Gli attacchi ai siti istituzionali possono paralizzare servizi essenziali, causando perdite finanziarie dirette e indirette. Un esempio è il blocco di sistemi di pagamento o piattaforme di gestione di servizi pubblici, che possono creare disagi significativi per i cittadini. Per difendersi da questi attacchi, le istituzioni devono adottare strategie di sicurezza informatica avanzate, che includano l'implementazione di firewall, la protezione contro attacchi DDoS, l’utilizzo di sistemi di autenticazione multifattoriale e la formazione del personale. Inoltre, è fondamentale investire nella creazione di team di risposta rapida per gestire gli incidenti e ridurre al minimo i danni. Tuttavia, la sicurezza informatica non è solo una questione tecnologica: richiede una cultura della prevenzione, un monitoraggio costante delle minacce e la collaborazione tra pubblico e privato. In un mondo sempre più interconnesso, la protezione dei siti istituzionali non è solo una priorità per i governi, ma una responsabilità collettiva per garantire la stabilità e la fiducia nell'era digitale.


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Noi che guardiamo a volte in maniera convulsiva il cellulare, per controllare chi è online o ancora sveglio e viviamo di aspettative. Noi che ci aspettiamo che alcune persone possano cambiare, che immaginiamo che possano nascere attenzioni, sentimenti che non ci sono stati fino ad ora. Ed eccoci qui spesso malinconici,ogni sera, ad aspettare fissando un cellulare.. a rincorrere, chi non ci pensa, perché ancora non abbiam compreso che chi ci vuole, ci saprà trovare e non ci lascerà ore ed ore ad aspettare un segno di vita o una risposta! Non ci saranno silenzi, perché chi ci vuole bene, riempirà il vuoto che ormai da tempo, pensiamo che ci accompagni.... A volte ci capita solo di volere bene alle persone sbagliate. Sbagliate non sono loro, ma lo sono per noi, perché se non siamo noi l'interesse, il centro del loro cuore, allora ciò significa che qualcosa non va, che ci stiamo illudendo , immaginando cose che nn ci sono.. Lo sbaglio però non siamo noi, forse meritiamo altro, una carezza, delle parole che sappiano darci un sorriso, una semplice buonanotte, un messaggio in cui qualcuno ci dice che ci vuole bene. E allora ci meritiamo solo qualcuno di veramente speciale, qualcuno per cui non dobbiamo versar lacrime, sogni e speranze.. Bisogna semplicemente lasciar andare ...e non aspettare..


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L’aide Divine

Pour pouvoir aider quelqu’un, tu devrais avoir de l’empathie envers lui, sentir sa douleur et sa souffrance, et effacer les émotions en toi qui les engendrent. L’empathie te met à la même fréquence que l’autre.

Tu ne peux pas aider effectivement l’autre si tu n’as pas le même problème ou s’il ne te demande pas de l’aider. L’aide, par principe, est un concept mental qui te donne l’illusion d’être charitable, un acte dénué de compassion ; il est inefficace sur le plan énergétique.

L’aide est aussi un engagement ; comme tout acte véritable, c’est ton âme qui doit agir dans ce monde pour que l’acte soit efficace. Elle met le baume Divin qui guérit toutes les blessures : l’amour inconditionnel.

Reste attentif à ce monde, à ses cris et souffrances que tu ressens en toi, réponds à la demande d’aide et offre la guérison par la prière et par la compassion. Attends l’inspiration divine pour agir. Quelquefois, une pensée d’amour suffit ; quelquefois, cela demande une intervention concrète.

En guérissant l’autre, tu te guériras ; en aimant l’autre, tu t’aimeras. Tu es l’autre et l’autre est toi, ce n’est qu’une question de temps pour en prendre conscience. Sois le guérisseur des âmes et tu sauveras le monde.

L’illusion cause la maladie et la souffrance, c’est l’ombre qui disparaît par la lumière de la présence de ton âme. Ce monde a besoin de ta lumière, ne perds pas ton temps à l’analyser ou à le juger. Celui qui souffre a besoin de la lumière chaleureuse, celui qui demande de l’aide a besoin de l’amour qui le réveille : il a froid et il n’ose pas sortir de son cocon à la rencontre de la lumière.

Ton amour est chaleureux, ton amour est lumineux, car il est émis par ton âme, cette parcelle Divine qui englobe le tout et se manifeste d’une façon individuelle en portant tes expériences personnelles.

La froideur ne peut exister que dans un mental basé sur une logique de séparation. Elle t’apprend à feindre la vie au lieu de la vivre, à abandonner ta nature et à vivre dans un système rigide dépourvu de sens.

Tu ne peux pas vivre vraiment sans tenir compte de l’état de l’autre, puisqu’il est toi. L’union par l’amour que tu cherches est la reconnaissance de ton identité sous un autre aspect. Pour t’unir à lui, tu dois le guérir d’abord.

Tout problème relationnel est dû à cette non-reconnaissance ; l’autre n’est pas toi et il a des problèmes qui ne te concernent pas. Tout problème que tu rencontres dans ta vie te concerne et tu as le pouvoir et la responsabilité de le dissoudre par l’amour inconditionnel, qui est une acceptation totale.

Quand tu es dans l’amour inconditionnel, tu es fusionné avec l’âme Divine et tu as les pleins pouvoirs sur la vie. Permets à la Divinité d’agir par toi, laisse-la s’occuper de la Création par ton engagement. Prête-lui ton corps afin de matérialiser sa présence. Sois l’amour Divin.

Nova : L’esprit des Élémentaux

Riad Zein

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Tecno Oligarchie


C'erano tutti:Musk, ovvio, poi Zuckie, Bezos, Pichai etc.

Ai tempi del primo mandato lo criticavano, votavano democratico (a loro dire) e adesso...


Tecno oligarchia, si chiamano cosi, sono i capitalisti digitali (cit.Biden) che, chi più chi meno, accorrono festanti a donare soldi al nuovo Re, supportando l'estrema destra che l'Arancione rappresenta,e l'era di barbarie che sta iniziando. Tanto a loro che gli frega. Hanno in mano una ricchezza spropositata, sia di denari che di potere.

La tecnodestra di Trump favorisce i monopoli e i ricchi, vuole deregolamentare l'economia in modo selvaggio, mina le istituzioni democratiche, i diritti civili, ed ha bisogno di controllare l’informazione, garantendo la libertà di manipolazione e fake news (a cui Zuckie si è subito adeguato, scodinzolando felice). E noi abbiamo consegnato le chiavi delle nostre vite a questi tizi qua, che hanno il potere digitale, che sarà messo al servizio del Pregiudicato in capo, merdificando ulteriormente i social, già ripieni di paccottiglia in salsa AI. Le nuove linee guida di Feisbuc sono basate sui discorsi che fa il vostro zio salviniano e ubriaco alla cena di Natale. Finalmente possiamo di nuovo dire che le donne sono oggetti, che gay e lesbiche sono dei malati mentali, che gli immigrati delinquono,puzzano e portano malattie. E tutto questo nel nome della “libertà di espressione”. Una fantastica età dell'oro sta iniziando, torna persino il Ku Klux Klan.

Ma, esattamente, i poveri, i malati, gli anziani e le minoranze che lo hanno votato, che cosa si aspettavano?


Un dittatore che possa aver accesso alla profilazione digitale di ciascuno di noi, gentilmente messagli a disposizione dai tecnomiliardari di cui sopra, può comodamente scegliere dove colpire il dissenso, fino a farlo scomparire in modi piu o meno legali.E loro cosa ci guadagnano?

Senza regole, che sono in procinto di essere eliminate, potranno vendere il loro prodotto (cioè, noi) al miglior offerente.

La domanda sorge spontanea: > se non siete nel Fediverso, perché non siete nel Fediverso?


noblogo.org/pabba60/tecno-olig…


**Tecno Oligarchie**


C'erano tutti:Musk, ovvio, poi Zuckie, Bezos, Pichai etc.

Ai tempi del primo mandato lo criticavano, votavano democratico (a loro dire) e adesso...


Tecno oligarchia, si chiamano cosi, sono i capitalisti digitali (cit.Biden) che, chi più chi meno, accorrono festanti a donare soldi al nuovo Re, supportando l'estrema destra che l'Arancione rappresenta, e di conseguenza l'era di barbarie che sta iniziando. Tanto a loro che gli frega. Hanno in mano una ricchezza spropositata, di denari e di potere.

La tecnodestra di Trump favorisce i monopoli e i ricchi, vuole deregolamentare l'economia in modo selvaggio, minare le istituzioni democratiche, i diritti civili, ed ha bisogno di controllare l’informazione, garantendo la libertà di manipolazione e fake news (a cui Zuckie si è subito adeguato, scodinzolando felice).

E noi abbiamo consegnato le chiavi delle nostre vite a questi tizi qua, che hanno in mano il potere digitale, che sarà messo al servizio del Pregiudicato in capo, merd*ficando ulteriormente i social, già ripieni di paccottiglia in salsa AI. Le nuove linee guida di “Feisbuc” saranno basate sui discorsi che fa vostro zio salviniano e ubriaco alla cena di Natale, per dire. Finalmente possiamo di nuovo dire che le donne sono oggetti, che gay e lesbiche sono dei malati mentali, che gli immigrati delinquono, puzzano e portano malattie, wow! E tutto questo nel nome della “libertà di espressione”. Una fantastica età dell'oro sta iniziando, torna persino il Ku Klux Klan...

Ma, esattamente, i poveri, i malati, gli anziani e le minoranze che lo hanno votato, che cosa si aspettavano?


Un dittatore che possa aver accesso alla profilazione digitale di ciascuno di noi, gentilmente messagli a disposizione dai tecnomiliardari di cui sopra, può comodamente scegliere dove colpire il dissenso, fino a farlo scomparire in modi più o meno legali.

E loro cosa ci guadagnano?

Senza regole, che sono in procinto di essere eliminate, potranno vendere il loro prodotto (cioè, noi) al miglior offerente, e moltiplicare le loro già immense ricchezze (primo tra tutti il nazi nella foto).

La domanda sorge spontanea:Se non siete nel Fediverso, perché non siete nel Fediverso?


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Kraftwerk - The Man Machine (1978)


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The Man-Machine (in tedesco: Die Mensch-Maschine) è il settimo album in studio del gruppo di musica elettronica tedesco Kraftwerk. È stato pubblicato il 19 maggio 1978 da Kling Klang in Germania e da Capitol Records altrove. Un ulteriore perfezionamento del loro stile meccanico, l'album ha visto il gruppo incorporare ritmi più ballabili. Include i singoli “The Model” e “The Robots”. Sebbene l'album non abbia avuto inizialmente successo nella UK Albums Chart, ha raggiunto una nuova posizione di picco al numero nove nel febbraio 1982, diventando il secondo album con il picco più alto della band nel Regno Unito dopo Autobahn (1974).


Ascolta: album.link/i/726157248



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Kraftwerk - The Man Machine (1978)


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The Man-Machine (in tedesco: Die Mensch-Maschine) è il settimo album in studio del gruppo di musica elettronica tedesco Kraftwerk. È stato pubblicato il 19 maggio 1978 da Kling Klang in Germania e da Capitol Records altrove. Un ulteriore perfezionamento del loro stile meccanico, l'album ha visto il gruppo incorporare ritmi più ballabili. Include i singoli “The Model” e “The Robots”. Sebbene l'album non abbia avuto inizialmente successo nella UK Albums Chart, ha raggiunto una nuova posizione di picco al numero nove nel febbraio 1982, diventando il secondo album con il picco più alto della band nel Regno Unito dopo Autobahn (1974).


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GIOBBE - Capitolo 30


Giobbe rievoca la sua attuale situazione di infelicità1 Ora, invece, si burlano di me i più giovani di me in età, i cui padri non avrei degnato di mettere tra i cani del mio gregge.2Anche la forza delle loro mani a che mi giova? Hanno perduto ogni vigore;3disfatti dall'indigenza e dalla fame, brucano per l'arido deserto, da lungo tempo regione desolata,4raccogliendo erbe amare accanto ai cespugli e radici di ginestra per loro cibo.5Espulsi dalla società, si grida dietro a loro come al ladro;6dimorano perciò in orrendi dirupi, nelle grotte della terra e nelle rupi.7In mezzo alle macchie urlano accalcandosi sotto i roveti,8razza ignobile, razza senza nome, cacciati via dalla terra.9Ora, invece, io sono la loro canzone, sono diventato la loro favola!10Hanno orrore di me e mi schivano né si trattengono dallo sputarmi in faccia!11Egli infatti ha allentato il mio arco e mi ha abbattuto, ed essi di fronte a me hanno rotto ogni freno.12A destra insorge la plebaglia, per far inciampare i miei piedi e tracciare contro di me la strada dello sterminio.13Hanno sconvolto il mio sentiero, cospirando per la mia rovina, e nessuno si oppone a loro.14Irrompono come da una larga breccia, sbucano in mezzo alle macerie.15I terrori si sono volti contro di me; si è dileguata, come vento, la mia dignità e come nube è svanita la mia felicità.16Ed ora mi consumo, mi hanno colto giorni funesti.17Di notte mi sento trafiggere le ossa e i dolori che mi rodono non mi danno riposo.18A gran forza egli mi afferra per la veste, mi stringe come il collo della mia tunica.19Mi ha gettato nel fango: sono diventato come polvere e cenere.20Io grido a te, ma tu non mi rispondi, insisto, ma tu non mi dai retta.21Sei diventato crudele con me e con la forza delle tue mani mi perseguiti;22mi sollevi e mi poni a cavallo del vento e mi fai sballottare dalla bufera.23So bene che mi conduci alla morte, alla casa dove convengono tutti i viventi.24Nella disgrazia non si tendono forse le braccia e non si invoca aiuto nella sventura?25Non ho forse pianto con chi aveva una vita dura e non mi sono afflitto per chi era povero?26Speravo il bene ed è venuto il male, aspettavo la luce ed è venuto il buio.27Le mie viscere ribollono senza posa e giorni d'affanno mi hanno raggiunto.28Avanzo con il volto scuro, senza conforto, nell'assemblea mi alzo per invocare aiuto.29Sono divenuto fratello degli sciacalli e compagno degli struzzi.30La mia pelle annerita si stacca, le mie ossa bruciano per la febbre.31La mia cetra accompagna lamenti e il mio flauto la voce di chi piange. _________________Note

30,4 erbe amare e radici: gli unici alimenti che si potevano trovare in tempo di carestia.

30,29 sciacalli e struzzi: considerati animali impuri e nemici dell’uomo. In 39,13-18 lo struzzo è presentato come animale stupido e crudele.

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Approfondimenti


30,1-31. Alla nostalgica rievocazione del passato, Giobbe contrappone l'amarezza del presente caratterizzato dal radicale capovolgimento della condizione precedente. Egli è disprezzato e deriso dagli scellerati (30,1-8); è attaccato e aggredito da ogni parte (30,9-15); è in grave pericolo di vita (30,16-19); è perseguitato da Dio (30,20-23); ormai stremato dall'afflizione grida aiuto (30, 24-31).

30,1-8. All'onore del passato si oppone la constatazione di Giobbe per il presente, del disprezzo e della derisione da parte addirittura dei delinquenti, gente infame, senza nome, bandita dal consorzio umano (cfr. 24,5), che egli stesso detesta.

vv. 9-15. Giobbe individua la ragione di questo cambiamento senza alcun dubbio nell'agire di Dio che ha indebolito la sua forza (v. 11; al contrario di quel che si aspettava in 29,20), così che da ogni parte egli è aggredito e molestato (vv. 12-14; cfr. 19,12). L'assedio non è solo intorno a Giobbe, all'esterno, ma si estende anche all'interno, dentro di lui; infatti aspri terrori lo assalgono (v. 15a), che di solito sono connessi alla fine sciagurata degli empi (cfr. 18,11.14; 24,17; 27,20; Sal 73,19).

vv. 16-19. A motivo di così tanta e persistente tribolazione ora la vita di Giobbe è in pericolo, dilaniata da una sofferenza ininterrotta (vv. 16-17; cfr. 7,3-7; 17,1.7; Sal 22,15). Egli bruscamente è stato spogliato della veste che mostrava la giustizia (cfr, 29,14) per indossare quella dell'afflizione (v. 18; cfr. 16,15), Dio lo ha gettato nel fango, lo ha trattato da malvagio, (cfr. 27,16) ed egli è diventato come polvere e cenere (v. 19; cfr. 42,6), evidente riferimento non solo alle espressioni di lutto (cfr. 2,8.12; 16,15b), ma anche alla prossimità con la morte (cfr. 7,21; 17,16). Un'altra possibilità è che Giobbe si consideri davanti a Dio come Abramo, che designò se stesso come polvere e cenere (cfr. Gn 18,27), dunque consapevole della propria natura creaturale, della sproporzione delle parti, nella relazione fra Dio e l'uomo. Si osservi che la coppia di parole «fango, argilla» (ḥōmer) / «polvere» (‘āpār), ricorre, in 10,9, in rapporto alla creazione dell'uomo nella sua originaria precarietà. Le stesse parole vengono ora usate (v. 19) per mettere in risalto che la precarietà umana appare ulteriormente acuita e aggravata dall'incomprensibile avversione di Dio all'uomo, a Giobbe.

vv. 20-23. Consapevole della propria strutturale condizione di inferiorità, Giobbe grida, con un nuovo accenno sporge querela a Dio sulla violenza in atto (cfr. 19,7), rivendica che la giustizia, il diritto vengano ristabiliti. Ma ciò che continua a destare più sconcerto è il silenzio di Dio; nonostante l'insistenza, benché Giobbe persista, Dio non gli risponde. Pertanto, Giobbe interpreta ciò non come indifferenza (cfr. 24,12), bensì come aperta opposizione di Dio che si mostra suo spietato avversario (cfr. 6,4; 9,17-18; 16,12-14; 19,10-12) e che con tutta la sua forza lo perseguita (cfr. 16,9). L'insistente invocazione di aiuto di Giobbe, con la quale sollecita l'intervento di Dio, sfocia in un'aperta sfida a Dio, un'ulteriore intensa attestazione, l'ultima, per incalzare Dio e premere perché si pronunci. Dopo aver ripetutamente accusato Dio della sua sciagura (ancora una volta nei vv. 18-23), Giobbe argomenta ora (c. 31) dettagliatamente la sua rettitudine avvalendosi della predominante metafora legale di una deposizione sotto giuramento, con imprecazioni su di sé (cfr. Es 22,9-10; Nm 5,20-22; 1Re 8,31-32); è la sua estrema dichiarazione di innocenza, a rischio della vita (cfr. 13,14-15).

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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GIOBBE - Capitolo 29


Giobbe rimpiange la felicità e la prosperità di un tempo

1 Giobbe continuò il suo discorso dicendo:2“Potessi tornare com'ero ai mesi andati, ai giorni in cui Dio vegliava su di me,3quando brillava la sua lucerna sopra il mio capo e alla sua luce camminavo in mezzo alle tenebre;4com'ero nei giorni del mio rigoglio, quando Dio proteggeva la mia tenda,5quando l'Onnipotente stava ancora con me e i miei giovani mi circondavano,6quando mi lavavo i piedi nella panna e la roccia mi versava ruscelli d'olio!7Quando uscivo verso la porta della città e sulla piazza ponevo il mio seggio,8vedendomi, i giovani si ritiravano e i vecchi si alzavano in piedi,9i notabili sospendevano i loro discorsi e si mettevano la mano alla bocca,10la voce dei capi si smorzava e la loro lingua restava fissa al palato;11infatti con gli orecchi ascoltavano e mi dicevano felice, con gli occhi vedevano e mi rendevano testimonianza,12perché soccorrevo il povero che chiedeva aiuto e l'orfano che ne era privo.13La benedizione del disperato scendeva su di me e al cuore della vedova infondevo la gioia.14Ero rivestito di giustizia come di un abito, come mantello e turbante era la mia equità.15Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo.16Padre io ero per i poveri ed esaminavo la causa dello sconosciuto,17spezzavo le mascelle al perverso e dai suoi denti strappavo la preda.18Pensavo: “Spirerò nel mio nido e moltiplicherò i miei giorni come la fenice.19Le mie radici si estenderanno fino all'acqua e la rugiada di notte si poserà sul mio ramo.20La mia gloria si rinnoverà in me e il mio arco si rinforzerà nella mia mano”.21Mi ascoltavano in attesa fiduciosa e tacevano per udire il mio consiglio.22Dopo le mie parole non replicavano, e su di loro stillava il mio dire.23Le attendevano come si attende la pioggia e aprivano la bocca come ad acqua primaverile.24Se a loro sorridevo, non osavano crederlo, non si lasciavano sfuggire la benevolenza del mio volto.25Indicavo loro la via da seguire e sedevo come capo, e vi rimanevo come un re fra le sue schiere o come un consolatore di afflitti. _________________Note

29,6 la roccia che versa l’olio: il frantoio per le olive, che era di pietra.

29,7 la porta della città: era il luogo dove si amministrava la giustizia e si concludevano gli affari più importanti.

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Approfondimenti


Il grido e la sfida di Giobbe a Dio 29,1-31,40Il fatto che Giobbe prenda di nuovo la parola suppone un tempo di silenzio dopo l'elogio della sapienza, e l'attesa di una replica da parte degli amici ai quali egli ha rivolto la sua istruzione. Ma essi tacciono, nessuno più risponde. In questo modo giunge un'ulteriore conferma della fine del dibattito. Giobbe dunque continua a parlare, non ha esaurito le sue argomentazioni. L'unico suo interlocutore è ormai solo Dio, dato il ritiro, nell'ombra, degli amici. Si tratta di un monologo, è il discorso più lungo di Giobbe (cc. 29-31). Esso contiene l'appello e la sfida con cui Giobbe sollecita intensamente l'intervento di Dio. Giobbe rievoca il suo passato caratterizzato dalla comunione con Dio e dal trionfo della sua giustizia (c. 29); rileva il contrasto con il presente sconvolto dall'amarezza e dalla riprovazione di Dio e degli uomini, anche di coloro che egli aveva soccorso (c. 30); infine, un grande spazio è occupato da una dichiarazione d'innocenza espressa in parte nella singolare forma di un giuramento con imprecazione (c. 31). La confessione di Dio anche nella prova costituisce la testimonianza della fede di Giobbe.

29,2-6. Giobbe ricorda con nostalgia, con desiderio, il suo inizio caratterizzato dalla protezione e dalla benedizione di Dio. Era il tempo in cui Dio lo proteggeva (šmr, v. 2b) e non lo sorvegliava (šmr, cfr. 10,14; 13,27; 14,16) per punire il suo peccato. Allora, Dio era fonte di luce; Dio era con lui e non contro di lui. Quel tempo era «l'autunno» della vita (v. 4a); come in Prv 20,4 «autunno» pare indicare il principio dell'anno, il tempo del primo raccolto e della semina, e dunque riferirsi metaforicamente alla giovinezza. L'immagine iperbolica che conclude la sezione (v. 6; cfr. 20,17; Es 3,8; Dt 32,13; 33,24; Sal 81,17) è tesa a mettere in risalto il diletto e il gaudio di Giobbe, e la sovrabbondanza di beni connessi all'inesauribile benevolenza di Dio (cfr. 10,12).

vv.7-11. La presenza salvifica e la prossimità di Dio comportavano la realizzazione umana e il successo. Pertanto ora Giobbe descrive l'onore che la sua gente gli rendeva. I tratti patriarcali della presentazione iniziale di Giobbe (cfr. 1,3-4) vanno dunque completati in relazione all'articolato tessuto sociale urbano, nel quale egli vive, con le sue istituzioni e consuetudini, con le sue regole e ideali di vita. Giobbe infatti rammenta che disponeva del seggio alla porta della città (v. 7; cfr. Rt 4,1a; Prv 31,23), la sede in cui abitualmente gli anziani si radunavano per dirimere le varie questioni di ordine giudiziario o per altri affari ed eventi pubblici (cfr. 31,21; Dt 21,19; 22,15; 25,7; Gs 20,4; Rt 4,11; ecc.). La stima per Giobbe era unanime e senza riserve da parte di tutti (cfr. vv. 21-25).

vv. 12-17 Giobbe si distingueva nell'impegno per il diritto dei poveri, nel compimento della giustizia, che è ciò di cui asserisce essersi rivestito (v. 14) e a cui egli, ora, non intende rinunciare (cfr. 27,5-6). Di grande rilievo è il titolo che Giobbe si attribuisce: «padre per i poveri» (v. 16a). Esso rimanda alla tradizione degli epiteti regali nel Vicino Oriente Antico. I titoli che i re dei popoli della Mesopotamia, fin dal terzo millennio a.C., si attribuivano nelle loro iscrizioni, riferiscono della loro potenza e della designazione divina, talvolta rivelano le ambizioni di conquista, e di frequente vi ricorre un riferimento all'impegno del re in favore dei sudditi socialmente deboli (come le vedove e gli orfani), oltre alla preoccupazione per l'amministrazione della giustizia nel paese, come per incarico proveniente da un'investitura divina. Tali titoli regali sono stati riferiti, in Israele, a JHWH (cfr. Dt 10,17-18; Sal 68,6) che viene designato come re (cfr. Es 15,18; Is 52,7) e che sempre rende giustizia agli oppressi e li salva dal sopruso dei prepotenti (cfr. Es 22,21-22; 1Sam 2,8). Pertanto Giobbe sembra attribuirsi un epiteto regale, così come più avanti, per esprimere il suo ruolo di guida tra la sua gente, userà una similitudine centrata sulla figura del re (cfr. 29,25). Il concomitante convergere di tali elementi nel contesto di questo discorso pare non essere casuale, ma rispecchiare un preciso ideale, quello regale.

vv. 21-25. Ora Giobbe mette in risalto la qualità del suo insegnamento, riferendo gli effetti e le reazioni dei suoi uditori (vv. 21-23. Sulla similitudine dell'attesa della parola come acqua che stilla cfr. Dt 32,2; Os 6,3; Is 55, 10-11). Ancora una volta si ha la percezione che la capacità di Giobbe, la premura per la sua gente, scaturivano dalla fondamentale presenza e benevolenza di Dio nella sua vita, e si configuravano come partecipazione alla sollecitudine di Dio per il suo popolo, per l'uomo.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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The Sugarcubes - Life's Too Good (1988)


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Life's Too Good è l'album di debutto in studio del gruppo rock alternativo islandese The Sugarcubes. È stato pubblicato nell'aprile 1988 da One Little Indian nel Regno Unito e in Europa e nel maggio 1988 da Elektra Records negli Stati Uniti. L'album è stato un successo inaspettato e ha attirato l'attenzione internazionale sulla band, in particolare sulla cantante Björk, che avrebbe lanciato una carriera da solista di successo nel 1993. Composta da veterani della cultura rock dei primi anni '80 di Reykjavík, la band ha preso elementi del suono post-punk che caratterizzava la scena, con l'intenzione di creare una versione umoristica dell'ottimismo della musica pop, che si riflette nel titolo dell'album. Nonostante non abbiano mai avuto intenzione di essere presi sul serio, e grazie al successo del loro debutto e ai loro obblighi contrattuali, gli Sugarcubes hanno continuato a pubblicare altri due album in studio.


Ascolta: album.link/i/1726662462



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The Sugarcubes - Life's Too Good (1988)


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Life's Too Good è l'album di debutto in studio del gruppo rock alternativo islandese The Sugarcubes. È stato pubblicato nell'aprile 1988 da One Little Indian nel Regno Unito e in Europa e nel maggio 1988 da Elektra Records negli Stati Uniti. L'album è stato un successo inaspettato e ha attirato l'attenzione internazionale sulla band, in particolare sulla cantante Björk, che avrebbe lanciato una carriera da solista di successo nel 1993. Composta da veterani della cultura rock dei primi anni '80 di Reykjavík, la band ha preso elementi del suono post-punk che caratterizzava la scena, con l'intenzione di creare una versione umoristica dell'ottimismo della musica pop, che si riflette nel titolo dell'album. Nonostante non abbiano mai avuto intenzione di essere presi sul serio, e grazie al successo del loro debutto e ai loro obblighi contrattuali, gli Sugarcubes hanno continuato a pubblicare altri due album in studio.


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🌙 Quando non riesci a dormire 😴, e ti discriminano per questo 🚫.

Sembrava che la vita mi stesse abbandonando. In treno, qualche volta ero caduto addormentato, nonostante la sveglia, e mi ero risvegliato a Piacenza o a Milano al ritorno, avendo mancato la mia stazione. Stava cominciando a diventare un problema enorme. Figurati come potevo sentirmi.

Se preferisci ascoltare questo episodio (il n. 12), anziché leggerlo, puoi farlo qui:

[...]

In questo episodio ti racconto le luci e le ombre del mio momento di massima evoluzione musicale e anche alcuni miei pensieri sul sonno.

Ti è mai capitato di pensare al sonno? Quella cosa che da giovane dai per scontata, ma andando avanti con gli anni ti ritrovi a desiderarlo e a trovarlo con difficoltà? Secondo me viviamo in una società che ha un rapporto molto conflittuale con il sonno: da un lato tutti abbiamo sempre più problemi di sonno e, dall'altro, chi dorme viene criticato. Se ci pensi, dormire ha un significato metaforico abbastanza brutto nella nostra lingua, nella nostra società.

Quando diciamo che qualcuno dorme, in tanti casi stiamo dicendo che è poco sveglio, che non è una persona intelligente. Quando abbiamo qualcosa di importante da fare, invece, diciamo che non dobbiamo “dormirci sopra”, dando automaticamente un significato negativo al sonno. Quando una persona vive nel mondo dei sogni, significa che non sta coi piedi per terra, non è una persona concreta. Pensaci bene: quanti modi di dire conosci che sono legati al sonno come cosa negativa? Quanti ne ho dimenticati? Se ne conosci altri, fammelo sapere con un commento e lo leggerò davvero con molto piacere.

Quindi, dicevamo, da un lato tutti vorremmo dormire e, dall'altro, chi dorme tanto viene giudicato come poco intelligente o sfaticato. Poi ci siamo noi, malati invisibili che, per non sbagliarci, riusciamo sia a non dormire sia a dormire. Non dormiamo di notte per i motivi più strani e fantasiosi e poi dormiamo di giorno, essendo stravolti dalla notte in cui abbiamo fatto di tutto tranne che riposare. Anzi, usiamo pure il plurale: le notti sono tutte così per noi. Il giudizio della società nei nostri confronti, quindi, è una cosa abbastanza automatica, vista la nostra cultura di partenza. Anche questo è un modo per essere malati invisibili: la carenza di sonno non si vede, provoca effetti che non saltano all'occhio e l'insonnia è una brutta bestia, che sia l'ansia, o la psoriasi, o l'artrite a tenerti sveglio, qualsiasi cosa. Quindi, in sostanza, per noi non solo non c'è mai pace neanche da questo punto di vista, ma non veniamo visti di buon occhio se mostriamo sonnolenza o stanchezza.

Ti raccontavo della mia situazione negli episodi precedenti: praticamente quasi ogni notte è un incubo per me, immagino anche per te se soffri delle mie stesse patologie, perché, nonostante io sia stanchissimo, spesso non riesco a chiudere occhio prima dell'una del mattino. Questa cosa è inspiegabile, ma è così. Dovendo andare al lavoro e con tutta la trafila che devo fare per svegliarmi, che ti raccontavo nell'episodio 2 del podcast, diventa impossibile svegliarsi più tardi delle 6 per essere al lavoro alle 8:00/8:15 e considera che vivo a 20 minuti di bici dall'ufficio. Ormai sono così sregolato che non ci sono bioritmi che tengano: nei fine settimana mi sveglio comunque prestissimo e, anche quando faccio qualcosa di particolarmente stancante, non c'è nulla da fare, fino all'una non se ne parla.

Come ti dicevo, se hai ascoltato il secondo episodio del podcast, ricorderai che il mio problema, come quello degli altri malati invisibili, non è tanto ansiogeno, ma è causato da mille fattori: dolore, prurito, bassissima soglia di tolleranza al rumore e così via. E quindi qui mi rivolgo in particolare agli amici e conoscenti che, in totale buona fede, mi dicono se ho già provato con la melatonina o con qualche ansiolitico. Sì, abbiamo già provato con la melatonina e anche con gli ansiolitici, ma dormire bene resta un sogno per noi, che a volte si avvera, almeno per me, e ti racconterò come, ma non è così frequente. Il fatto è che i nostri non sono problemi di ansia, o almeno non solo quelli, la situazione è molto più complessa di così.

Ricordo, però, momenti della vita in cui non era così, anzi era molto più facile dormire. Ci sono stati momenti in cui per me dormire era ancora una cosa bella, piacevole, naturale. Quando mi avvicinavo ai 30 anni, ad esempio; erano gli anni tra il 2004 e il 2007 più o meno, dopo varie peripezie acrobatiche per distribuire il mio curriculum vitae in tutto l'emisfero nord del pianeta, finalmente avevo trovato un buon impiego, ma c'era un problema: era a Bologna e dalle colline di Parma, dove vivevo in quegli anni, fino al centro del capoluogo emiliano, beh, c'era tanta strada. Mangiare bisogna pur mangiare e, alla fine, senza un diploma [universitario] era difficile pretendere di meglio. Accettai dunque il lavoro e iniziai a fare il pendolare: in un'ora arrivavo alla stazione di Reggio Emilia, dove prendevo il treno e poi un'altra ora fino a Bologna in treno e poi un'altra mezz'ora a piedi fino all'ufficio, vicinissimo alle Due Torri, in centro. Una lunghissima tirata sia all'andata che al ritorno, che mi stancava moltissimo, di notte, però, dormivo beatamente. In quegli anni ne approfittavo, anzi, per dormire anche in treno, sia all'andata che al ritorno, mettendo una sveglia sul mio cellulare nuovo di zecca per evitare di rimanerci sopra.

Quel cellulare mi aiutava tantissimo a passare il tempo: era un modello tutto blu a conchiglia ed era uno dei primi a basso costo in grado di leggere gli MP3 e usarli come suoneria: avanguardia pura per quegli anni. La cosa che preferivo, però, era il mio iPod, uno dei primi, dove iniziai ad innamorarmi dei podcast. Con un piccolo sforzo, potevo ascoltare la musica e cose nuove per ore su questo dispositivo facilmente trasportabile che per me aveva qualcosa di magico. Naturalmente c'erano anche i libri a tenermi compagnia, ma, come dicevo, tanta, tanta musica. In quegli anni uscirono molti album di un paio di chitarristi che in poco tempo erano diventati i miei preferiti. Si trattava di Joe Satriani e Steve Vai, entrambi statunitensi, ma con radici italiane. Negli episodi precedenti del podcast ti ho già fatto i loro nomi. Se sei un chitarrista, senz'altro li conoscerai perché sono due dei pezzi grossi del nostro tempo per quanto riguarda la chitarra elettrica. Quei due signori sono individui molto influenti che, se non ci fossero stati, la chitarra moderna non sarebbe la stessa cosa.

Come dicevo, entrambi hanno lontane origini italiane pur essendo statunitensi. Te ne parlerò brevemente perché è importante per la mia storia farti capire chi siano. Joe Satriani, nel corso degli anni, ha insegnato a molti altri chitarristi di grande successo, come quello dei Metallica, ad esempio, cioè Kirk Hammett, e lo stesso Steve Vai ha portato nel mondo della chitarra moderna uno stile che è semplice soltanto all'apparenza: melodie canticchiabili con la voce, ma suonate divinamente e, a ben guardare, proprio difficili da suonare, quantomeno come le suona lui. Uno dei suoi brani famosi, ad esempio, è un pezzo iconico che tutti ricordiamo: la colonna sonora del film Top Gun.

Avendo ascoltato Satriani, il passo per conoscere Steve Vai è stato brevissimo. Nonostante Satriani sia stato il suo maestro, Steve Vai ha uno stile completamente diverso. Nei suoi dischi trovano posto suoni tremendamente elaborati, ma che sembrano quanto di più naturale esista. La sua chitarra sembra quasi possederlo, piuttosto che il contrario. È capace di velocità supersoniche, ma anche di avere un timbro speciale che lo distingue da chiunque altro e, naturalmente, una grande capacità di comporre brani e melodie. Steve sa leggere e scrivere perfettamente la musica fin dalla tenera età e il suo cervello, come ti raccontavo anche del mio, anche se non vorrei fare paragoni azzardati, ha la capacità di gestire note anche senza suonarle; ha la capacità di gestirle, diciamo, di sentirle nella sua testa. Nella sua carriera ha scritto pezzi per intere orchestre senza toccare neanche uno strumento, ma la sua musica di solito è quanto di più lontano dal genere orchestrale si possa immaginare. Come il sonno, la sua musica può essere delicata e inquietante, a volte nello stesso tempo. Prova a cercare qualche suo pezzo su internet e capirai di cosa parlo. A volte sembra ascoltabile e un disco intero, in effetti, si ascolta a fatica tutto in una volta, ma lentamente, almeno da chitarrista, ti chiedi: “Ma come fa a fare quei suoni? Cioè, com'è possibile che quella sia una chitarra?”. Sentire per credere.

Per me era naturale che, a forza di ascoltare la musica di Steve Vai, mi venisse voglia di suonarla. Con la mia chitarra del '94, che si prestava molto bene a quel tipo di musica, il passo fu ancora più breve. Le cose che ascoltavo sui dischi dello “zio Steve” mi erano sembrate subito inarrivabili e lo erano. Era frustrante, in un certo senso. Mi chiudevo nel garage della mia casa di Reggio Emilia, dove mi ero trasferito...cioè nella casa, non nel garage...e alla fine suonavo, suonavo, suonavo davanti al mio computer, dove la musica veniva artificiosamente rallentata per cercare di renderla più facilmente suonabile per me. Mi ricordo che mi sedevo alla scrivania spesso alle due del pomeriggio, magari in estate, nei giorni liberi, suonavo e, quando guardavo fuori dalla finestra, mi rendevo conto che era arrivato il buio, era buio pesto e stavo suonando lì da solo al buio da ore. Proprio come mi capitava quando vivevo coi miei nelle montagne. Suonare mi faceva perdere la cognizione del tempo. Ecco quanto era importante per me.

Nonostante questo, nonostante questo impegno, la musica di Steve Vai restava irraggiungibile per le mie dita. Suonavo bene i Led Zeppelin e anche tante cose dei Pink Floyd, ero felicissimo di questo, ero al settimo cielo per le capacità che avevo appreso tutto sommato da solo, ma Steve Vai...niente da fare, era proprio di un altro livello e mi frustrava moltissimo non poterlo suonare.

A furia di viaggi in treno arrivarono persino i 30 anni, tra mille stress sul lavoro. Mi capitava già di non dormire e la causa allora era semplicemente l'ansia. Il pendolarismo era lungo e pesante e, in più, da qualche anno mi ero anche iscritto in palestra. Adoravo come il mio corpo reagisse agli allenamenti. Sul lavoro ero un punto di riferimento per l'assistenza informatica e anche questo mi rendeva tutto tronfio e sicuro di me; diciamolo pure, presuntuoso su alcune cose. Ero persino un po' dittatoriale e sicuramente i colleghi dell'epoca, se sono in ascolto, potranno darmi ragione. Quando ero convinto che una soluzione fosse la migliore, per esempio adottare un nuovo software in particolare ci mettevo tutto me stesso per implementarlo. E fin qui niente di male, ma, se era il caso e potevo farlo, imponevo le mie scelte. In fondo io ero l'esperto lì, i colleghi avrebbero dovuto imparare. Intendiamoci, trovare soluzioni ai problemi e implementarle è uno dei compiti degli informatici e sì, spesso siamo noi quelli che decidono che cosa implementare e come. Comunque, abbiamo una pesante voce in capitolo nel processo, ma io ci mettevo un po' troppo zelo, spesso mi rendevo antipatico e oggi non ho alcun dubbio su questo, ma allora mi veniva spontaneo a credermi un po' migliore degli altri. D'altra parte, non solo sapevo fare un sacco di cose, ma suonavo sempre meglio, sapevo suonare il basso, la batteria, tante cose. Quanti potevano dire di saperlo fare?

Arrivato, ai 30 anni, decisi di iscrivermi all'università, ingegneria informatica, niente meno. Certamente mi sarebbe stata utile, magari anche per trovare un nuovo lavoro più vicino a casa, magari anche più soddisfacente. Non avevo messo in conto, però, che studiare e lavorare a tempo pieno era pesantissimo. Conoscevo così bene la musica di Steve Vai ormai che in treno me la sparavo in cuffia insieme a Satriani, a Guthrie Govan, un altro grande chitarrista contemporaneo, e a tutti gli altri. Mi faceva l'effetto dei Deep Purple quando tornavo a casa dalle scuole superiori. Mi ci ritrovavo così bene che ormai mi rilassava, mi faceva venire voglia di dormire, ma mi imponevo di stare sveglio e, isolandomi dalla confusione del treno, sceglievo io una confusione che conoscevo e che mi consentiva di studiare per l'università. Le serate e i fine settimana liberi erano interamente dedicati allo studio, ma ogni minuto che avevo libero lo passavo sulla chitarra.

All'improvviso, senza che ci fosse nessun segnale ad avvisarmi, accadde qualcosa di veramente terribile per me. Le mie dita iniziarono ad aprirsi, la pelle delle mani perdeva elasticità, i polpastrelli diventavano duri e si spaccavano come se un coltello li avesse tagliati e, per un chitarrista, i polpastrelli sono tutto. Queste lesioni di cui ti sto raccontando sanguinavano, si infettavano e non guarivano più. Suonare stava diventando impossibile. Toccando le corde sottilissime della chitarra elettrica, spesso queste si incastravano nei tagli sui polpastrelli e li aprivano ancora di più. Non sapevo veramente cosa fare. Suonare con i cerotti era impossibile. Un chitarrista è un tutt'uno con le corde, deve poterle sentire, deve tirarle, deve maltrattarle o accarezzarle sapendo dosare bene la forza per tutti i sentimenti diversi che vuole esprimere attraverso lo strumento. Tentai di tutto, dai cerotti spray ai guanti, a creme varie per fare guarire le dita più in fretta, ma niente, nessun risultato apprezzabile.

In quello stesso periodo, una specie di grande macchia violacea che avevo sulla tibia e che mi prudeva già da qualche anno, prese ad allargarsi fino a ricoprire tutta la tibia e una parte del polpaccio, dal ginocchio alla caviglia. Altre due macchie dello stesso colore comparvero al centro dei palmi delle mani. Anche queste, come le dita, come la tibia, si spaccavano e sanguinavano. Immagina la mia gioia nel girare su e giù per i treni con ferite aperte!

Il medico mi mandò da una dermatologa piuttosto in gamba nella nostra regione e lei, dopo avere fatto qualche test e sentita la mia storia, emise un verdetto: allergia al nichel. Le corde della chitarra elettrica, in effetti, sono di nichel. Nella mia testa tutto cominciava ad avere un senso. Toccavo continuamente del nichel nella chitarra, nelle posate e nei computer che configuravo per lavoro, e anche le monete che tenevo in tasca, in fondo, erano anch'esse di nichel. Questo, a detta della dermatologa, poteva benissimo causare una reazione allergica più giù lungo la tibia e sulle mani, e poi quella era una zona colpita dall'ustione dieci anni prima (la tibia, intendo), e quindi tutto poteva succedere a quella povera pelle.

Cominciai quindi a trattare il problema come se fosse un'allergia.

Localmente mettevo del cortisone e, dopo un po', passai alle cose naturali. L'estratto di ribes sembrava farmi ottenere qualche piccolo risultato, ma solo per qualche mese. Funzionò. Si pensò allora che fosse celiachia e, anche in quel caso, migliorai un pochino con la dieta senza glutine, ma non del tutto. Si pensò all'HIV, ma risultai negativo. Si pensò allo stress, ma niente da fare, niente di tutto questo sembrava essere la risposta.

Un po' frustrato, pensai che l'unica soluzione possibile era quella di suonare ancora di più, sacrificando le dita. Vivevo quindi con i cerotti perché le dita sanguinavano sempre. Penso di avere alimentato da solo l'industria dei cerotti fino a pochi anni fa. Me li toglievo soltanto per suonare, i tagli si aprivano, sanguinavano e a quel punto io smettevo di suonare, ma non mi importava, appena potevo ricominciavo. Ogni nota era un bruciore infinito, con le corde che spesso mi penetravano nei polpastrelli. Chi ha visto suonare un chitarrista avrà notato che le corde spesso vanno percorse con il dito lungo tutta la loro lunghezza. Un martirio. Mi ero abituato a suonare in tanti nuovi modi. Se il polpastrello aveva un taglio a destra, mi abituavo a spostare il dito e a usare la parte sinistra del dito e viceversa, se invece era spaccato ai lati, cercavo di usare la punta quando possibile oppure direttamente l'unghia. A un certo punto dovetti rallentare perché capii che avrei perso le dita a furia di infezioni. Ti racconto tutto questo non per disgustarti, ma per farti capire quanto fosse importante per me lo strumento. Non mi fermavo di fronte a niente. Non so se anche tu nella tua vita hai trovato qualcosa che ti piace e che ti completava così tanto da non farti sentire i problemi. Questo per me era la chitarra.

Ma nel 2010 accadde un altro evento terribile, come se non fossero bastati i precedenti.

All'improvviso non riuscivo più ad alzarmi dal letto, ma intendo letteralmente, non ne avevo la forza né le energie. È difficile spiegarti come mi sentissi, ma tutto partì dalla palestra. Un bilanciere con 80 kg che solitamente alzavo come se fosse uno scherzo mi parve all'improvviso pesante come una montagna, non c'era modo di gestirlo. Peccato che in quel frangente l'avessi già sollevato e fosse direttamente sopra la mia testa e in qualche modo avrei dovuto riportarlo in basso. Ci provai, ma ci rimasi sotto e, per fortuna, senza danni gravi quella volta. Chi era lì mi vide in difficoltà e mi aiutò immediatamente, ma io non riuscivo a spiegarmelo il motivo.

Qualche giorno dopo non riuscivo a risvegliarmi al mattino come se fossi drogato, fare una scala era un'impresa, dovevo fermarmi due volte ogni 10 gradini, mantenere la concentrazione sembrava qualcosa di impossibile, mi addormentavo a volte anche guidando e anche mentre parlavo con i colleghi al lavoro. Immaginati cosa avranno pensato di me. Sembrava che la vita mi stesse abbandonando in treno. Qualche volta ero caduto addormentato, nonostante la sveglia, e mi ero risvegliato a Piacenza o a Milano al ritorno, avendo mancato la mia stazione. Stava cominciando a diventare un problema enorme; figurati come potevo sentirmi.

In tutto questo, per i miei familiari più o meno stretti era impossibile che io avessi qualcosa di serio. Più o meno esplicitamente mi stavano comunicando che, secondo loro, mi stavo inventando tutto, stavo fingendo per non mettere a posto la legna nella cantina, era chiaro, per non andarli a trovare, era evidente, per non andare alle tanto pubblicizzate riunioni dei gruppi spirituali che continuavo a frequentare. Mi sentivo tremendamente confuso, non capivo cosa stesse succedendo. Non c'era una risposta e io avevo solo 30 anni. Com'era possibile tutto questo? Era questa la vecchiaia?

I miei amici mi chiedevano di uscire e accettavo sempre, poi all'ultimo non potevo presentarmi alle cene, alle uscite, ero già esausto alle 7:00 di sera. Se tu che mi ascolti sei sano, ti ricordi com'erano i tuoi 30 anni? Ti chiederei la gentilezza di farmelo sapere con un commento perché io non ho conosciuto i 30 anni come tutti gli altri e quindi per me è importante sapere qual è, diciamo, la normalità.

Non ci volle molto prima che mi venisse l'ansia. Come potevo impegnarmi con i miei amici se poi non potevo uscire con loro? Iniziai quindi a non programmare più nulla, evitavo il problema direttamente. Conoscevo solo il lavoro e il sonno, il sonno e il lavoro. Mi ero completamente ritirato dalla mia vita sociale, sabati e domeniche interminabili a letto. Il mio era un sonno malato, innaturale, narcotico. Studiare era diventato impossibile, tentavo di suonare qualcosa, ma riuscivo a malapena a stringere il manico e le dita erano lente, non rispondevano alla velocità che io avevo in testa.

Chiesi consiglio a più di un medico, ma nessuno riusciva a unire i puntini. Alla fine, un otorinolaringoiatra mi disse che la causa di tutto questo poteva essere nei denti del giudizio: erano in brutte condizioni e sarebbero stati da togliere, ma un dentista non ce l'avrebbe fatta.

Strano, perché in generale sono stato così fortunato con la salute!

Più di un dentista mi confermò che non sarebbe stato in grado di toglierli, quella era cosa per un reparto di maxillo-facciale, una vera e propria mini-chirurgia. Mi feci togliere il primo e, dopo tante altre settimane di sonno, di gelato e di dolore, circa tre, finalmente mi sentivo un po' meglio. Stranamente le spaccature sulle dita e la mia chiazza viola sulla gamba e sui palmi si erano molto attenuate. Che fossero state le massicce dosi di antibiotici? Ma allora il mio era un problema battereico? Cosa c'entrava l'allergia al nichel? Non riuscivo più a capirci veramente nulla.

Dopo molte altre settimane tornai in palestra e in un giorno come tanti vidi un annuncio che mi lasciò di stucco: Steve Vai stava per venire a Reggio Emilia. Non potevo aver letto bene. Steve Vai a Reggio Emilia? Il mio idolo, la mia ispirazione, qui vicino a me? No, non era vero.

E invece lo era. Il mio sogno di avvicinarlo stava per avverarsi. Non si trattava di un concerto, ma di una masterclass. In poche parole, un incontro in cui si suppone che il maestro insegni i suoi trucchi e i suoi segreti. Non credo di poterti raccontare cosa provai in quel momento, un misto di gioia e senso di colpa per la spesa che si doveva affrontare, ma dovevo assolutamente andarci, anche se quei soldi me li sarei cavati dalla pelle. L'occasione era davvero allettante. L'incontro non era in una grande città, anzi era un piccolo paese di provincia. Steve non era molto conosciuto come lo è oggi e, in più, non era neanche un concerto. In quanti saremmo mai potuti essere interessati in zona? In quanti avremmo potuto partecipare? Pochi, e l'avrei quindi visto da vicino finalmente.

Nell'episodio precedente ti dicevo che ho perso fiducia nelle entità superiori, l'unica entità superiore che sono certo che esista oggi è l'inquilino del secondo piano, ma nel 2010 ero ancora certo che qualcuno vegliasse su di me e quindi ancora una volta...per me era evidente: cose terribili in quell'anno, cose inspiegabili che non avevano neanche un nome, ma ricompensate da una gioia immensa.

“Grido Muto” nasce per far conoscere le esperienze di chi vive malattie invisibili in una realtà troppo spesso ignorata. Creare questo podcast è una sfida in termini di tempo, energia e competenza, specialmente nelle condizioni di vita che ti sto raccontando. Se il mio lavoro ti ha colpito, considera di supportarmi su Patreon, anche un piccolo contributo può fare la differenza e aiutarmi a continuare a dare voce a chi spesso non ne ha. Il link lo trovi nella descrizione di questa puntata del podcast, quel posto dove nessuno guarda mai. Ti aspetto martedì prossimo con un nuovo episodio in cui ti racconterò il mio incontro con il mio idolo Steve Vai.

Stammi bene.

Questo podcast è pensato esclusivamente per raccontare la mia esperienza personale e la mia storia, non contiene in alcun modo consigli di carattere medico o curativo. Per qualsiasi problema di salute ti invito a consultare il tuo medico o uno specialista di fiducia.

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Imparare a resistere

Segnaliamo il libro “Imparare a resistere, per una pedagogia della resistenza” di Raffaele Mantegazza.

Il libro esplora i seguenti percorsi di riflessione:

  • Pedagogia della resistenza come pratica educativa
  • Modalità di apprendimento della resistenza
  • Analisi delle forme di sopraffazione e oppressione
  • Strategie per contrastare l'annientamento individuale e collettivo
  • Riflessioni sulle esperienze storiche di resistenza

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A Padova: no atomiche

Vi invitiamo a partecipare all’iniziativa promossa dalle Associazioni padovane riunite sotto la sigla “Uniti per la Pace” e aderenti alla Rete Italiana Pace e Disarmo. L’evento consiste in un sit-in che si terrà domani, mercoledì 22 gennaio, dalle ore 12:00 alle ore 13:00, di fronte a Palazzo Moroni, in occasione del 4° anniversario dell’entrata in vigore del Trattato TPNW (Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari).

Contatti: Denis Cagnoli Ufficio Pace, Diritti Umani e Cooperazione Internazionale – Settore Gabinetto del Sindaco – Comune di Padova Via del Municipio, 1 – 35122 Padova​ Tel. 049 820 5629 Email: cagnolid@comune.padova.it;


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Leonard Peltier: le sue parole

Dall'ergastolo ai domiciliari, una parziale vittoria della campagna in suo sostegno. Amnesty International ne sosteneva l'innocenza. Anche #PeaceLink ha partecipato alla campagna promossa in Italia da Peppe Sini (Centro Ricerche per Pace di Viterbo). Queste le sue prime parole (al telefono) youtube.com/shorts/eVmWW1V7jqU…


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Trump/2

Uscita dall’OMS: la salute globale abbandonata

Trump ha ribadito la sua posizione di sfida alle istituzioni multilaterali annunciando il ritiro degli Stati Uniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). In un mondo ancora vulnerabile a pandemie e crisi sanitarie globali, questa decisione rischia di indebolire la cooperazione internazionale e lasciare scoperti milioni di individui, soprattutto nei paesi in via di sviluppo che beneficiano del supporto statunitense in ambito sanitario.

Fine dello ius soli: un’America più chiusa

L’addio allo ius soli segna un colpo duro ai principi fondamentali dell’inclusività e dei diritti civili. Negare la cittadinanza automatica ai nati sul suolo statunitense trasforma gli Stati Uniti in una nazione ancora più ostile nei confronti dell’immigrazione e delle minoranze.

Emergenza nazionale al confine: una cortina di ferro a sud

La dichiarazione di emergenza nazionale al confine con il Messico rappresenta un ritorno al nazionalismo sfrenato e alla militarizzazione delle frontiere. Una strategia che non risolve le cause strutturali delle migrazioni, ma che invece alimenta divisioni e disumanizza intere popolazioni.

Clima e ambiente: un colpo al futuro

L’uscita dagli Accordi di Parigi per il clima, già avviata durante il primo mandato, sarebbe un passo indietro devastante nella lotta globale contro il cambiamento climatico. Con gli Stati Uniti fuori dai giochi, gli sforzi internazionali per ridurre le emissioni di gas serra perderebbero uno dei principali attori, compromettendo l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C.

Grazia ai rivoltosi di Capitol Hill: l’erosione della democrazia

Tra i provvedimenti più inquietanti c’è la promessa di graziare i rivoltosi responsabili dell’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Questo atto rappresenta un chiaro segnale di legittimazione della violenza politica e un pericoloso precedente per il futuro della democrazia statunitense.


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Trump/1

Trump e il ritorno dell’”America First”: l’impatto su ambiente, diritti e politica globale

Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca significa un’accelerazione drastica di politiche già ampiamente contestate nel suo primo mandato. Sin dal primo giorno di insediamento, Trump ha dichiarato la sua intenzione di ribaltare le principali riforme del suo predecessore, firmando oltre 100 decreti esecutivi in tempi record.

Le decisioni anticipate lasciano intravedere un’America sempre più protezionista sul piano internazionale, meno attenta ai diritti umani e all’ambiente, e orientata a una gestione autoritaria del potere.


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Johnny Cash - At Folsom Prison (1968)


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Johnny Cash at Folsom Prison è il primo album dal vivo del cantautore americano Johnny Cash, pubblicato dalla Columbia Records il 6 maggio 1968. Dopo la sua canzone del 1955 “Folsom Prison Blues”, Cash era interessato a registrare un'esibizione in una prigione. La sua idea fu messa in attesa fino al 1967, quando i cambiamenti di personale alla Columbia Records misero Bob Johnston a capo della produzione del materiale di Cash. Cash aveva recentemente controllato i suoi problemi di abuso di droga e stava cercando di dare una svolta alla sua carriera dopo diversi anni di scarso successo commerciale. Sostenuto da June Carter, Carl Perkins e i Tennessee Three, Cash tenne due spettacoli alla Folsom State Prison in California il 13 gennaio 1968. L'album è composto da 15 canzoni dal primo spettacolo e due dal secondo. Nonostante il piccolo investimento iniziale da parte della Columbia, Johnny Cash at Folsom Prison fu un successo negli Stati Uniti, raggiungendo il primo posto nelle classifiche country e la top 15 della classifica nazionale degli album. Il singolo principale, una versione live di “Folsom Prison Blues”, è stato un successo nella top 40, il primo di Cash dal “Understand Your Man” del 1964. At Folsom Prison ha ricevuto recensioni positive e ha rivitalizzato la carriera di Cash, diventando il primo di una serie di album live registrati nelle prigioni che includono At San Quentin (1969), På Österåker (1973) e A Concert Behind Prison Walls (1976). L'album è stato ripubblicato con tracce aggiuntive nel 1999, un set di tre dischi nel 2008 e un cofanetto di cinque LP con prove bonus nel 2018 per il Record Store Day. È stato certificato triplo disco di platino nel 2003 per vendite negli Stati Uniti superiori a 3,4 milioni.


Ascolta: album.link/i/825516828



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Johnny Cash - At Folsom Prison (1968)


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Johnny Cash at Folsom Prison è il primo album dal vivo del cantautore americano Johnny Cash, pubblicato dalla Columbia Records il 6 maggio 1968. Dopo la sua canzone del 1955 “Folsom Prison Blues”, Cash era interessato a registrare un'esibizione in una prigione. La sua idea fu messa in attesa fino al 1967, quando i cambiamenti di personale alla Columbia Records misero Bob Johnston a capo della produzione del materiale di Cash. Cash aveva recentemente controllato i suoi problemi di abuso di droga e stava cercando di dare una svolta alla sua carriera dopo diversi anni di scarso successo commerciale. Sostenuto da June Carter, Carl Perkins e i Tennessee Three, Cash tenne due spettacoli alla Folsom State Prison in California il 13 gennaio 1968. L'album è composto da 15 canzoni dal primo spettacolo e due dal secondo. Nonostante il piccolo investimento iniziale da parte della Columbia, Johnny Cash at Folsom Prison fu un successo negli Stati Uniti, raggiungendo il primo posto nelle classifiche country e la top 15 della classifica nazionale degli album. Il singolo principale, una versione live di “Folsom Prison Blues”, è stato un successo nella top 40, il primo di Cash dal “Understand Your Man” del 1964. At Folsom Prison ha ricevuto recensioni positive e ha rivitalizzato la carriera di Cash, diventando il primo di una serie di album live registrati nelle prigioni che includono At San Quentin (1969), På Österåker (1973) e A Concert Behind Prison Walls (1976). L'album è stato ripubblicato con tracce aggiuntive nel 1999, un set di tre dischi nel 2008 e un cofanetto di cinque LP con prove bonus nel 2018 per il Record Store Day. È stato certificato triplo disco di platino nel 2003 per vendite negli Stati Uniti superiori a 3,4 milioni.


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L'illusione della redistribuzione della ricchezza nel capitalismo


La crescente disuguaglianza economica è uno dei temi più urgenti del nostro tempo. Secondo un rapporto Oxfam, nel 2024 i miliardari hanno accumulato oltre 2.000 miliardi di dollari, mentre metà della popolazione mondiale vive in condizioni di estrema precarietà, con meno di 6,85 dollari al giorno. Questo divario non è un'anomalia del sistema capitalistico, ma una conseguenza strutturale delle sue dinamiche.

Il capitalismo, pur essendo celebrato per la sua capacità di generare ricchezza e innovazione, si dimostra inefficace nel distribuire equamente i benefici di questa crescita. Al contrario, perpetua le disuguaglianze attraverso meccanismi sistemici. Per comprendere le radici del problema e identificare possibili alternative, è necessario analizzare le fallacie del sistema attuale e considerare nuovi paradigmi economici.

Le fallacie del sistema attuale

L'illusione del Trickle-Down


Uno dei pilastri ideologici del capitalismo contemporaneo è la teoria del “trickle-down”. Questa prospettiva sostiene che, lasciando i più abbienti liberi di accumulare ricchezza, i loro investimenti e consumi genereranno una cascata di benefici per l'intera società. Tuttavia, i dati economici degli ultimi decenni dimostrano chiaramente che questa promessa è rimasta largamente disattesa.

In primo luogo, la ricchezza non solo non “sgocciola” verso il basso, ma tende a concentrarsi nelle mani di una minoranza sempre più ristretta. Le disuguaglianze economiche sono cresciute in modo esponenziale: secondo uno studio di Oxfam, l'1% più ricco della popolazione mondiale detiene oggi quasi il doppio della ricchezza posseduta dal restante 99%. Questo squilibrio non è semplicemente una questione di giustizia sociale, ma un ostacolo strutturale alla crescita economica sostenibile. Quando il denaro si accumula senza circolare, l'intera economia ne risente.

In secondo luogo, il divario tra ricchi e poveri continua ad allargarsi, alimentato da sistemi fiscali che, invece di riequilibrare, spesso favoriscono i più ricchi. Laddove i redditi delle fasce più abbienti crescono rapidamente, quelli della classe media e delle fasce più deboli stagnano o diminuiscono in termini reali, erodendo il potere d'acquisto e accentuando le disparità.

Infine, si osserva un preoccupante declino della mobilità sociale. In molte economie sviluppate, le possibilità di migliorare la propria posizione economica attraverso il merito e il lavoro si sono drasticamente ridotte. L'accesso a un'istruzione di qualità e a opportunità professionali rimane spesso legato alla classe sociale di origine, perpetuando un sistema che favorisce chi è già avvantaggiato.

Contrariamente a quanto postulato dal trickle-down, i miliardari non reinvestono automaticamente la loro ricchezza nell'economia reale. Una parte significativa di queste risorse viene indirizzata verso attività finanziarie speculative, come il trading di titoli e derivati, che arricchiscono ulteriormente i detentori di capitale senza produrre un valore tangibile per la società. Questa disconnessione tra ricchezza accumulata e benessere collettivo mina le basi stesse della narrazione capitalistica, evidenziando l'urgenza di un ripensamento strutturale.

Meccanismi di auto-perpetuazione


Il capitalismo contemporaneo non solo produce disuguaglianze, ma le perpetua attraverso una serie di meccanismi che rinforzano le posizioni di vantaggio. Uno di questi è il predominio del capitale sui redditi da lavoro. Come sottolineato dall’economista Thomas Piketty nel suo celebre studio sul capitale nel XXI secolo, il ritorno sugli investimenti (che comprende rendite immobiliari, dividendi azionari e altre forme di reddito da capitale) tende a crescere più rapidamente dei salari. Questo significa che chi già possiede capitale ha la possibilità di incrementare la propria ricchezza in modo più veloce e costante rispetto a chi vive esclusivamente del proprio lavoro.

Anche l’accesso diseguale alle opportunità educative e sanitarie gioca un ruolo chiave nel perpetuare le disuguaglianze. Le migliori scuole, università e servizi sanitari, spesso private, rimangono privilegio di pochi. Questo crea un circolo vizioso: i figli delle famiglie più ricche hanno maggiori probabilità di accedere a posizioni di prestigio e alto reddito, mentre le fasce meno abbienti rimangono intrappolate in condizioni di svantaggio. In molti Paesi, il costo dell’istruzione superiore o delle cure mediche è un ostacolo insormontabile per le famiglie a basso reddito, escludendo intere generazioni da opportunità di crescita sociale.

Un altro elemento fondamentale è l'influenza sproporzionata che i grandi capitali esercitano sulla politica e sulla legislazione. I miliardari e le multinazionali possono finanziare campagne elettorali, assumere costosi gruppi di pressione e plasmare le leggi in modo che favoriscano i loro interessi. Questo potere si traduce in politiche fiscali e normative che consolidano le loro posizioni di privilegio, rendendo quasi impossibile un cambiamento significativo.

Questi meccanismi si alimentano a vicenda, creando un sistema economico e sociale sempre più polarizzato. Affrontare queste dinamiche richiede non solo interventi correttivi immediati, ma una revisione strutturale che rimetta in discussione i principi fondamentali del capitalismo contemporaneo.

Alternative sistemiche

Economia Partecipativa (Parecon): un modello di equità e democrazia economica


L'economia partecipativa, o Parecon (Participatory Economics), è un modello economico proposto da Michael Albert e Robin Hahnel che mira a superare le disuguaglianze sistemiche generate dal capitalismo e dai sistemi centralizzati di pianificazione economica. Al cuore di questo modello c'è un principio rivoluzionario: sostituire la gerarchia economica con una democrazia partecipativa che restituisca ai lavoratori e ai cittadini il controllo sulle decisioni economiche.

I principi dell'economia partecipativa


  1. Autogestione democratica
    In una Parecon, le decisioni economiche non sono prese da élite aziendali o burocrati centrali, ma da coloro che sono direttamente coinvolti nelle attività produttive e di consumo. Ogni individuo ha una voce proporzionata all'impatto che una decisione avrà su di lui o lei. Questo elimina le disparità di potere, promuovendo una governance collettiva delle risorse economiche.
  2. Retribuzione basata su impegno e sacrificio
    Contrariamente al capitalismo, dove la retribuzione è spesso determinata dalla proprietà, dalla produttività o dalla posizione di potere, la Parecon introduce un sistema in cui il compenso economico è proporzionato all’impegno e ai sacrifici personali. Questo approccio non solo rende il sistema più equo, ma valorizza anche lavori spesso sottostimati nel contesto capitalistico, come quelli manuali o di cura.
  3. Pianificazione partecipativa
    Le decisioni relative alla produzione e alla distribuzione non sono lasciate al mercato o a un’autorità centrale, ma sono il risultato di un processo collettivo e decentralizzato. Attraverso assemblee e negoziazioni tra produttori e consumatori, la pianificazione partecipativa riduce gli sprechi, affronta le priorità sociali e mira a massimizzare il benessere collettivo anziché il profitto individuale.


Efficienza ridefinita: rispondere alle critiche


Una delle critiche più comuni al modello Parecon è che sarebbe inefficiente rispetto al capitalismo, che viene spesso celebrato per la sua capacità di allocare risorse in modo “ottimale”. Tuttavia, questa visione è basata su una concezione limitata dell’efficienza, intesa esclusivamente in termini finanziari.

In una Parecon, l’efficienza viene ridefinita includendo criteri come l’equità sociale, la sostenibilità ambientale e il benessere collettivo. Ad esempio, una produzione industriale che riduca i costi a scapito dell'ambiente o delle condizioni di lavoro può essere “efficiente” nel capitalismo, ma sarebbe considerata altamente inefficiente in una Parecon, dove l'impatto sociale e ambientale è una priorità.

Scalabilità e modelli reali


Un'altra obiezione ricorrente è che il modello partecipativo non sarebbe scalabile su larga scala. Tuttavia, esperienze pratiche dimostrano il contrario. Un esempio di successo è rappresentato dalle cooperative Mondragón, un conglomerato di cooperative basato nei Paesi Baschi, in Spagna. Fondato nel 1956, Mondragón è oggi uno dei principali esempi di gestione democratica sul posto di lavoro, impiegando decine di migliaia di persone e dimostrando che i principi partecipativi possono funzionare anche in un contesto competitivo globale.

Analogamente, piccole comunità in America Latina e in altre parti del mondo hanno adottato approcci partecipativi per gestire risorse locali, dimostrando che la democrazia economica non solo è praticabile, ma può anche produrre risultati sostenibili e inclusivi.

Un modello per il futuro


L'economia partecipativa rappresenta una rottura radicale con le logiche dominanti del capitalismo, proponendo un sistema che combina giustizia sociale, democrazia economica e sostenibilità. Lontano dall’essere un’utopia teorica, il Parecon offre una visione concreta e attuabile di come ristrutturare le relazioni economiche per mettere al centro non il profitto, ma il benessere collettivo.

Attraverso l’autogestione democratica, la retribuzione equa e la pianificazione partecipativa, il modello Parecon propone un’alternativa sistemica che non solo risponde alle disuguaglianze del presente, ma getta le basi per un’economia più giusta e resiliente nel futuro.

Socialismo di Mercato: un equilibrio tra equità e dinamismo economico


Il socialismo di mercato rappresenta un modello economico che cerca di coniugare il meglio di due mondi: la giustizia sociale garantita dalla proprietà collettiva e l'efficienza allocativa assicurata dai meccanismi di mercato. Questa visione si colloca a metà strada tra i rigidi sistemi di pianificazione centralizzata e il capitalismo liberale, proponendo una struttura in cui la produzione e la distribuzione delle risorse sono finalizzate al benessere collettivo, senza sacrificare la flessibilità e l'innovazione.

Principi del socialismo di mercato


  1. Proprietà collettiva dei mezzi di produzione
    Nel socialismo di mercato, le imprese e le risorse chiave – come energia, infrastrutture e settori strategici – non appartengono a privati, ma sono detenute collettivamente, spesso attraverso forme di proprietà statale, cooperativa o comunitaria. Questo elimina il problema della concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi, garantendo che i profitti siano reinvestiti per il beneficio della collettività anziché accumulati da individui o gruppi privati.
  2. Democrazia economica
    A differenza del capitalismo, dove le decisioni strategiche sono prerogativa esclusiva di manager e azionisti, il socialismo di mercato promuove la partecipazione attiva dei lavoratori e delle comunità nelle decisioni economiche. Questo avviene attraverso strutture democratiche all'interno delle imprese, dove ogni lavoratore ha voce in capitolo su questioni come investimenti, politiche salariali e strategie produttive.
  3. Forte stato sociale
    Uno degli obiettivi principali del socialismo di mercato è garantire che i bisogni fondamentali di ogni cittadino siano soddisfatti. Sanità, istruzione, trasporti pubblici e altri servizi essenziali sono accessibili a tutti, senza barriere economiche. Questo sistema non solo riduce le disuguaglianze, ma crea anche una base di sicurezza economica che consente alle persone di partecipare pienamente alla società e all’economia.


Risposte alle critiche: soffocamento dell'innovazione e burocrazia inefficiente


Una critica frequente al socialismo di mercato è che, eliminando la competizione tipica del capitalismo, rischia di soffocare l’innovazione. Secondo questa visione, senza la prospettiva di guadagni personali straordinari, le persone avrebbero meno incentivi a sviluppare idee rivoluzionarie. Tuttavia, questa argomentazione ignora il ruolo fondamentale degli incentivi non monetari, come il riconoscimento sociale, la passione per la ricerca e l’aspirazione a risolvere problemi collettivi. Molte delle più grandi innovazioni del XX e XXI secolo, come Internet e i vaccini mRNA, sono emerse grazie a finanziamenti pubblici e a collaborazioni collettive piuttosto che a iniziative private.

Un'altra critica riguarda il rischio di inefficienza burocratica, spesso associato ai sistemi in cui lo Stato svolge un ruolo centrale. Tuttavia, il socialismo di mercato non elimina i meccanismi di mercato per l’allocazione delle risorse, ma li integra con un controllo democratico. Questo approccio consente di evitare sia il caos del laissez-faire sia le rigidità della pianificazione centralizzata, mantenendo la flessibilità necessaria per rispondere ai cambiamenti nella domanda e nell'offerta.

Esempi pratici e applicabilità


In alcune economie contemporanee, elementi del socialismo di mercato sono già stati implementati con successo. Paesi scandinavi come la Svezia e la Norvegia, pur mantenendo un’economia di mercato, hanno introdotto forti componenti di proprietà collettiva e redistribuzione attraverso un robusto stato sociale. Questi sistemi dimostrano che è possibile combinare dinamismo economico e giustizia sociale, riducendo le disuguaglianze senza soffocare l’iniziativa privata.

Un altro esempio significativo è la Cina, che ha adottato un modello ibrido in cui settori chiave dell’economia rimangono sotto il controllo statale, mentre i mercati regolano altre aree. Sebbene il sistema cinese presenti limitazioni sul piano democratico, dimostra la capacità del socialismo di mercato di generare crescita economica e modernizzazione rapida.

Un futuro fondato sull'equilibrio


Il socialismo di mercato non si presenta come un modello perfetto o universale, ma come un'alternativa pragmatica che combina equità e innovazione. Riducendo la concentrazione della ricchezza e promuovendo la partecipazione democratica nelle decisioni economiche, questo sistema rappresenta una visione del futuro in cui lo sviluppo economico non è più un fine in sé, ma un mezzo per migliorare la qualità della vita di tutti.

L’adozione di un socialismo di mercato richiederebbe cambiamenti significativi, ma non impossibili: una transizione graduale attraverso riforme che privilegino la redistribuzione, la partecipazione e la sostenibilità potrebbe costruire le basi per un’economia più giusta e resiliente.

Economia Circolare e del Bene Comune: un nuovo paradigma per sostenibilità e giustizia sociale


L'economia circolare e del bene comune è un modello che riformula profondamente le priorità economiche, spostando il focus dalla crescita illimitata al benessere collettivo e alla sostenibilità ambientale. Questo approccio affronta due dei principali problemi del capitalismo contemporaneo: l'esaurimento delle risorse naturali e la crescente disuguaglianza sociale.

A differenza dei modelli economici tradizionali, che spesso vedono la natura e il lavoro come semplici mezzi per massimizzare i profitti, l'economia circolare e del bene comune si basa su valori come la cooperazione, l'inclusione e il rispetto per i limiti del pianeta.

I principi fondamentali dell’economia circolare e del bene comune


  1. Focus sul riuso e sulla sostenibilità
    Al centro dell’economia circolare vi è il principio di chiudere i cicli produttivi, riducendo al minimo gli sprechi e prolungando la vita utile dei materiali. In questo modello, le risorse non sono consumate in modo lineare – dall'estrazione allo smaltimento – ma sono riciclate, riparate e riutilizzate, creando un sistema rigenerativo. Questo non solo diminuisce la pressione sulle risorse naturali, ma promuove anche la creazione di nuove opportunità economiche, ad esempio nei settori del riciclo e della riparazione.
    L’approccio circolare è già stato adottato da alcune aziende e città pioniere. Amsterdam, ad esempio, ha sviluppato un piano per diventare completamente circolare entro il 2050, riducendo i rifiuti e incentivando l'uso di materiali riciclabili nella costruzione e nell'industria.
  2. Valutazione delle imprese basata sull’impatto sociale e ambientale
    Nell’economia del bene comune, il successo di un’impresa non si misura esclusivamente in termini di profitti, ma anche in base al suo contributo al benessere collettivo. Questo approccio introduce nuovi criteri di valutazione: l’impatto ambientale, la creazione di posti di lavoro dignitosi, l’inclusione sociale e l’etica aziendale diventano parametri centrali per giudicare il valore di un’attività economica.
    Modelli come il Bilancio del Bene Comune, sviluppato dall’economista Christian Felber, sono strumenti concreti per implementare questa visione. Tali bilanci analizzano come un’impresa contribuisce a valori fondamentali come la solidarietà, la sostenibilità e la trasparenza, premiando chi opera nell’interesse della collettività.
  3. Limiti alla concentrazione della proprietà
    L’economia del bene comune si oppone alla concentrazione del potere economico nelle mani di pochi, che porta a disuguaglianze strutturali e alla monopolizzazione delle risorse. Questo modello incoraggia una distribuzione più equa della proprietà, sia attraverso il sostegno alle cooperative sia mediante la regolamentazione di grandi aziende e patrimoni.
    Ad esempio, le imprese potrebbero essere organizzate in modo che i dipendenti abbiano una quota della proprietà e partecipino attivamente alle decisioni strategiche. Questa struttura non solo riduce le disparità economiche, ma favorisce anche un senso di appartenenza e responsabilità collettiva.


Un modello applicabile: esempi e potenzialità


L'economia circolare e del bene comune non è una teoria astratta: in tutto il mondo, comunità, città e aziende stanno adottando questi principi con risultati tangibili. Oltre al caso di Amsterdam, città come Copenaghen e San Francisco hanno introdotto politiche per ridurre i rifiuti, promuovere l’energia rinnovabile e incentivare la progettazione sostenibile.

Nel settore privato, aziende come Patagonia dimostrano che è possibile combinare profitto e sostenibilità. Questa azienda di abbigliamento outdoor ha introdotto programmi per riparare i prodotti usati e promuove attivamente la riduzione del consumo eccessivo, dimostrando che un modello di business rigenerativo può essere anche redditizio.

Anche in ambito educativo e politico, l'economia del bene comune sta guadagnando terreno. Università e governi locali stanno incorporando i principi del bilancio del bene comune nelle loro politiche, riconoscendo che la crescita economica da sola non basta per garantire il progresso sociale.

Sfide e opportunità di transizione


Il passaggio a un modello economico fondato sulla sostenibilità e il benessere collettivo richiede un cambiamento culturale e istituzionale significativo. Una delle principali sfide è rappresentata dall’opposizione delle élite economiche, che spesso beneficiano del sistema attuale e resistono a regolamentazioni più rigorose.

Tuttavia, le opportunità offerte da questa transizione sono immense. Un’economia circolare e del bene comune non solo affronta le sfide ambientali globali, come il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, ma promuove anche una società più giusta e coesa. Creando posti di lavoro sostenibili, riducendo le disuguaglianze e migliorando la qualità della vita, questo modello può essere una risposta concreta alle crescenti insoddisfazioni verso il capitalismo tradizionale.

Verso un futuro sostenibile e inclusivo


L’economia circolare e del bene comune rappresenta non solo una critica al modello economico dominante, ma anche una visione positiva e concreta per il futuro. Coniugando sostenibilità, giustizia sociale e responsabilità collettiva, questo paradigma offre un’alternativa praticabile a un sistema che ha dimostrato i suoi limiti.

Investire in questo modello non è solo una scelta etica, ma una necessità per garantire la sopravvivenza delle risorse del pianeta e costruire una società in cui il benessere non sia più un privilegio di pochi, ma un diritto condiviso da tutti.

Decrescita: un modello per ripensare il benessere e la sostenibilità


La decrescita è un paradigma economico e sociale che si pone in aperta contrapposizione al principio della crescita infinita, che è alla base del capitalismo moderno. In un mondo con risorse limitate, l’idea che un'economia possa espandersi indefinitamente appare non solo insostenibile, ma anche dannosa per l’ambiente e per il benessere umano. La decrescita propone, quindi, una trasformazione culturale ed economica che metta al centro non l'accumulo di beni materiali, ma la qualità della vita, la sostenibilità ecologica e i valori comunitari.

I principi fondamentali della decrescita


  1. Rifiuto del paradigma della crescita infinita
    La decrescita nasce dalla consapevolezza che la crescita economica illimitata, basata sull'aumento continuo del PIL, non è compatibile con i limiti ecologici del pianeta. Questo modello ha portato al sovrasfruttamento delle risorse naturali, alla perdita di biodiversità e al cambiamento climatico. La decrescita propone di abbandonare l’ossessione per il PIL come indicatore di progresso, puntando invece su misure che valutino il benessere sociale e la salute ecologica.
  2. Riduzione programmata del consumo e della produzione
    Una delle idee chiave della decrescita è ridurre in modo selettivo e pianificato il consumo e la produzione, concentrandosi su ciò che è realmente necessario per vivere una vita dignitosa. Questo implica ridimensionare settori che contribuiscono all’inquinamento e allo spreco (come l’industria dei beni di lusso o la produzione eccessiva di plastica), a favore di un uso più efficiente e sostenibile delle risorse.
  3. Riorganizzazione intorno a valori non materiali
    La decrescita invita a ripensare la società, spostando l’attenzione dai valori materialistici – come il consumo e il possesso – verso la solidarietà, la condivisione e il tempo libero. Questo implica rivalutare il modo in cui lavoriamo, viviamo e interagiamo con gli altri, favorendo la cooperazione e le relazioni umane rispetto alla competizione e all’individualismo.
  4. Localizzazione dell'economia
    La globalizzazione ha creato sistemi economici complessi e dipendenti da catene di approvvigionamento internazionali, vulnerabili alle crisi e responsabili di alti livelli di inquinamento. La decrescita propone di rilocalizzare le economie, incentivando la produzione e il consumo locali per ridurre le emissioni di carbonio, rafforzare le comunità e accrescere la resilienza economica.


Risposta alle critiche: sfide e opportunità


Come ogni proposta radicale, la decrescita è stata oggetto di numerose critiche. Tuttavia, molte di queste si basano su fraintendimenti o visioni distorte del modello.

  • “Porterà alla povertà”
    Una delle obiezioni più comuni è che la decrescita equivalga a un impoverimento diffuso. In realtà, questo paradigma non propone una riduzione indiscriminata della ricchezza, ma una transizione verso un sistema più equo e sostenibile. Ad esempio, ridurre la produzione di beni superflui potrebbe liberare risorse per investire in servizi essenziali come la sanità, l’istruzione e la rigenerazione ambientale.
  • “Non è realizzabile”
    La decrescita viene spesso criticata come utopica o irrealizzabile su larga scala. Tuttavia, esistono già numerosi esempi di comunità che hanno adottato pratiche di vita sostenibile basate sui principi della decrescita. Villaggi ecologici, cooperative agricole e iniziative di economia solidale in tutto il mondo dimostrano che è possibile costruire società più resilienti e meno dipendenti dal consumo eccessivo.
  • “Danneggia l’occupazione”
    La riduzione della produzione non significa necessariamente una perdita di posti di lavoro. La decrescita prevede una redistribuzione del lavoro: ad esempio, riducendo l'orario di lavoro individuale, si possono creare opportunità per più persone, migliorando al contempo la qualità della vita. Inoltre, nuovi settori come la rigenerazione ambientale, il riciclo e le energie rinnovabili potrebbero offrire numerose opportunità occupazionali.


Un esempio di transizione: verso una società post-crescita


L’idea della decrescita non richiede necessariamente una rottura immediata e drastica con il sistema attuale, ma una transizione graduale che inizi con riforme mirate. Alcuni passi già praticabili includono:

  • L’introduzione di tasse sulle attività altamente inquinanti, come l’uso di combustibili fossili.
  • L’incentivo alla riduzione dell’orario di lavoro, favorendo un equilibrio tra vita professionale e personale.
  • La promozione di economie locali attraverso il sostegno alle piccole imprese e ai mercati regionali.
  • L’educazione a stili di vita più semplici e sostenibili, che valorizzino il riutilizzo e la condivisione.


Verso un futuro sostenibile e felice


La decrescita rappresenta una sfida ai paradigmi dominanti, ma offre anche una visione entusiasmante di un futuro in cui il benessere umano non è legato al consumo infinito, ma a una vita in armonia con i limiti naturali del pianeta.

Riducendo la pressione sulle risorse e ripensando le priorità sociali, la decrescita non solo affronta le crisi ambientali ed economiche, ma promuove anche una società più equa e felice, in cui la qualità della vita prevale sulla quantità di beni posseduti. In un mondo sempre più consapevole delle proprie fragilità, questo paradigma potrebbe non essere solo un’alternativa, ma una necessità.

Communalismo e Municipalismo Libertario: la rivoluzione dal basso


Il communalismo e il municipalismo libertario offrono una visione radicalmente diversa dell'organizzazione politica, economica e sociale, basata su un principio fondamentale: restituire il potere decisionale alle comunità locali attraverso meccanismi di democrazia diretta. Questa proposta, ispirata alle teorie di Murray Bookchin, cerca di superare i limiti dello stato-nazione e del capitalismo centralizzato, favorendo invece una rete confederata di municipi autogovernati.

Elementi chiave del communalismo e del municipalismo libertario


  1. Democrazia diretta a livello municipale
    Nel municipalismo libertario, le decisioni non sono prese da rappresentanti eletti o burocrati distanti, ma direttamente dai cittadini attraverso assemblee comunali. Questo sistema permette una partecipazione attiva della popolazione nelle questioni che riguardano la comunità, dal budget municipale alla gestione delle risorse locali. La democrazia diretta non solo aumenta la trasparenza, ma responsabilizza i cittadini, rafforzando il senso di appartenenza e di solidarietà.
  2. Confederalismo come alternativa allo stato-nazione
    Per evitare l’isolamento dei singoli municipi e per affrontare questioni che superano le competenze locali, come l’energia, il commercio o la sicurezza, il municipalismo libertario propone una rete confederata. I municipi si uniscono in confederazioni regionali e interregionali, coordinando le politiche attraverso delegati eletti dalle assemblee comunali. Questi delegati, tuttavia, non detengono un potere permanente o autonomo, ma agiscono come portavoce revocabili in ogni momento, garantendo il rispetto della volontà popolare.
  3. Economia sociale ed ecologica
    L’economia, in questo modello, è orientata non al profitto ma al soddisfacimento dei bisogni collettivi. Questo implica una forte enfasi sulla sostenibilità ambientale, la produzione locale e la riduzione delle disuguaglianze economiche. Le risorse sono gestite in modo democratico e trasparente, favorendo l’uso responsabile e rigenerativo dei beni comuni.
  4. Proprietà comunale delle risorse essenziali
    Le risorse chiave, come l’acqua, l’energia e i terreni agricoli, non appartengono a privati o a grandi corporazioni, ma alla comunità. Questo principio evita la concentrazione della ricchezza e del potere economico, garantendo che i beni essenziali siano accessibili a tutti e gestiti in modo sostenibile.


Risposte alle critiche: il communalismo è realistico?


Come ogni visione radicale, il communalismo e il municipalismo libertario sono stati oggetto di critiche, spesso basate su preconcetti o sulla percezione che si tratti di un’utopia irrealizzabile.

  1. “È troppo localista per affrontare sfide globali”
    Sebbene il municipalismo si concentri sulla governance locale, il confederalismo garantisce il coordinamento su larga scala. Attraverso reti di municipi interconnessi, è possibile affrontare questioni globali come il cambiamento climatico, il commercio e i diritti umani, senza dipendere da strutture centralizzate che spesso risultano lente e distanti dalle esigenze delle persone.
  2. “È un'utopia irrealizzabile”
    Questa critica ignora gli esempi storici e contemporanei di successo. L’esperienza del Rojava, nel Kurdistan siriano, rappresenta un caso emblematico: in un contesto di conflitto e caos geopolitico, le comunità locali hanno implementato un sistema basato su democrazia diretta, uguaglianza di genere ed ecologia. Allo stesso modo, movimenti municipali in Spagna, come a Barcellona sotto l’amministrazione di Ada Colau, dimostrano che il potere locale può essere un efficace strumento di cambiamento sociale.
  3. “È inefficiente rispetto alla centralizzazione”
    L’efficienza è spesso fraintesa come sinonimo di centralizzazione e tecnocrazia. Tuttavia, le decisioni prese a livello locale tendono a essere più rapide, adattabili e vicine alle necessità delle persone. Ad esempio, la gestione locale di risorse come l’acqua e l’energia ha dimostrato in diversi casi di essere più efficace rispetto ai grandi monopoli centralizzati, riducendo sprechi e corruzione.


Una visione per il futuro: costruire dal basso


Il communalismo e il municipalismo libertario non si propongono come modelli universali da imporre, ma come strumenti flessibili che le comunità possono adattare alle proprie realtà. La forza di questo paradigma risiede nella sua capacità di trasformare le strutture di potere esistenti, decentralizzandole e democratizzandole, senza sacrificare la cooperazione su scala più ampia.

Questa visione rappresenta una risposta concreta alle sfide della modernità: in un mondo sempre più segnato da disuguaglianze, crisi ambientali e alienazione sociale, restituire il potere alle comunità locali può essere un passo cruciale verso una società più giusta, sostenibile e partecipativa.

Investire nel communalismo significa non solo immaginare un futuro diverso, ma costruirlo dal basso, un municipio alla volta.

Verso un'Ecologia Sociale: una visione integrata di sostenibilità e partecipazione


L’ecologia sociale rappresenta una sintesi tra gli ideali della decrescita e i principi del communalismo, offrendo una prospettiva che integra sostenibilità ecologica, giustizia sociale e democrazia diretta. Proposta inizialmente da Murray Bookchin, questa visione pone al centro il rapporto tra umanità e natura, sostenendo che solo attraverso un cambiamento radicale nelle strutture economiche e politiche si possa raggiungere un equilibrio tra progresso umano e rispetto per l’ambiente.

Elementi fondamentali di un’Ecologia Sociale


  1. Riorganizzazione ecologica dell’economia
    Un sistema economico basato sull’ecologia sociale abbandona l’ossessione per la crescita illimitata e si orienta verso la sostenibilità a lungo termine. Ciò significa ripensare i processi produttivi per ridurre l’impatto ambientale, favorendo il riciclo, il riuso e la rigenerazione delle risorse naturali. La produzione è pianificata per soddisfare i bisogni reali delle comunità, evitando il consumismo e gli sprechi. L’agricoltura diventa locale e agroecologica, eliminando l’uso intensivo di pesticidi e fertilizzanti chimici.
  2. Democrazia diretta e partecipativa
    Nel contesto di un’ecologia sociale, le comunità locali hanno il controllo sulle decisioni economiche e politiche che le riguardano. La democrazia diretta, praticata attraverso assemblee cittadine e municipali, garantisce una gestione inclusiva e trasparente delle risorse. Ogni cittadino partecipa attivamente, contribuendo alla creazione di politiche che rispettino sia i bisogni umani sia i limiti ecologici.
  3. Scala umana delle istituzioni
    L’ecologia sociale sostiene che le istituzioni dovrebbero essere organizzate su scala umana, favorendo strutture decentrate e facilmente accessibili. Questo contrasta con le gigantesche burocrazie centralizzate, che spesso risultano alienanti e inefficienti. Una scala ridotta delle istituzioni non solo aumenta l’efficacia della governance, ma rafforza anche il senso di comunità e solidarietà tra le persone.
  4. Integrazione tra città e campagna
    Una società basata sull’ecologia sociale supera la separazione storica tra città e campagna, creando un rapporto armonioso e integrato tra aree urbane e rurali. Le città diventano centri sostenibili che producono parte del proprio cibo attraverso orti urbani, mentre le campagne sono gestite in modo cooperativo e sostenibile per garantire una produzione alimentare locale e rispettosa dell’ambiente. Questo approccio riduce la dipendenza dalle catene di approvvigionamento globali e promuove economie locali resilienti.


L’ecologia sociale come alternativa sistemica


L’ecologia sociale non è semplicemente un insieme di idee, ma un progetto sistemico che mira a trasformare le strutture sociali ed economiche per affrontare le crisi interconnesse del nostro tempo: il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e le disuguaglianze sociali.

Questo modello invita a vedere l’umanità come parte integrante dell’ecosistema terrestre, abbandonando la visione antropocentrica che ha dominato l'era industriale. Allo stesso tempo, riconosce che la sostenibilità ecologica non può essere raggiunta senza affrontare le ingiustizie sociali: povertà, oppressione e disuguaglianza sono ostacoli fondamentali alla transizione verso una società più armoniosa.

Rispondere alle critiche: pragmatismo e applicabilità


Alcuni potrebbero considerare l’ecologia sociale troppo idealista o poco pratica. Tuttavia, esistono già esempi concreti che dimostrano la fattibilità di questo approccio. Città come Curitiba, in Brasile, hanno implementato politiche di urbanistica sostenibile, trasporti ecologici e gestione responsabile dei rifiuti, dimostrando che un’organizzazione urbana sostenibile è possibile.

In campo agricolo, i movimenti di agroecologia in America Latina mostrano come le comunità rurali possano organizzarsi collettivamente per gestire la terra in modo equo e sostenibile. Inoltre, le esperienze del Rojava, menzionate nel contesto del communalismo, confermano che la democrazia diretta e la gestione collettiva delle risorse possono funzionare anche in situazioni di grande complessità politica e sociale.

Un futuro radicato nel locale, ma con uno sguardo globale


L’ecologia sociale offre una strada per costruire un futuro in cui il progresso umano non avviene a scapito del pianeta, ma in armonia con esso. Attraverso una riorganizzazione delle economie locali, il rafforzamento delle comunità e la transizione verso una gestione democratica e sostenibile delle risorse, questo modello propone una visione di benessere che non si misura in termini di PIL, ma di qualità della vita e salute ambientale.

In un’epoca di crisi ecologica e sociale senza precedenti, l’ecologia sociale rappresenta non solo una possibilità, ma una necessità per immaginare e realizzare un futuro equo, inclusivo e sostenibile.

Conclusione: costruire un futuro equo e sostenibile


La redistribuzione della ricchezza all’interno del sistema capitalistico si è dimostrata un’illusione, incapace di affrontare le crescenti disuguaglianze economiche, sociali ed ecologiche. Tuttavia, esistono alternative concrete e praticabili, che combinano giustizia sociale, sostenibilità ambientale e democrazia partecipativa.

La sfida principale non è di natura tecnica, poiché gli strumenti e le soluzioni sono già disponibili, ma politica e culturale: costruire il consenso necessario per un cambiamento sistemico e superare le resistenze delle élite economiche e politiche che traggono vantaggio dallo status quo.

La transizione verso un nuovo sistema economico richiede un approccio integrato e multilivello, che combini riforme immediate con cambiamenti strutturali di lungo periodo. Tra le prime misure vi sono l’introduzione di una tassazione più progressiva, un reddito di base universale, la democratizzazione delle imprese e il rafforzamento dei servizi pubblici. Queste riforme possono garantire una maggiore equità nel breve termine, gettando le basi per trasformazioni più profonde.

Sul lungo periodo, è fondamentale affrontare i nodi strutturali del sistema: riformare il settore bancario e finanziario per ridurre la speculazione e orientare gli investimenti verso l’economia reale; limitare la concentrazione della proprietà per evitare monopoli e oligopoli; e costruire un nuovo sistema di governance globale che metta al centro la cooperazione, la sostenibilità e la solidarietà internazionale.

L’obiettivo finale non è semplicemente correggere le distorsioni del capitalismo, ma creare un’economia e una società che servano il bene comune, in armonia con i limiti ecologici del pianeta. Questo significa abbandonare l’ossessione per la crescita infinita e costruire un modello che valorizzi la qualità della vita, la partecipazione democratica e la giustizia sociale.

In un’epoca di crisi globali, dalla disuguaglianza al cambiamento climatico, la scelta non è tra cambiamento e immobilismo, ma tra un futuro costruito sulla cooperazione e uno dominato dal conflitto e dal collasso. La strada da percorrere è chiara: ora spetta alla volontà collettiva tracciare il percorso e rendere possibile ciò che è necessario.


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GIOBBE - Capitolo 28


Il timore del Signore, questo è sapienza1 Certo, l'argento ha le sue miniere e l'oro un luogo dove si raffina.2Il ferro lo si estrae dal suolo, il rame si libera fondendo le rocce.3L'uomo pone un termine alle tenebre e fruga fino all'estremo limite, fino alle rocce nel buio più fondo.4In luoghi remoti scavano gallerie dimenticate dai passanti; penzolano sospesi lontano dagli uomini.5La terra, da cui si trae pane, di sotto è sconvolta come dal fuoco.6Sede di zaffìri sono le sue pietre e vi si trova polvere d'oro.7L'uccello rapace ne ignora il sentiero, non lo scorge neppure l'occhio del falco,8non lo calpestano le bestie feroci, non passa su di esso il leone.9Contro la selce l'uomo stende la mano, sconvolge i monti fin dalle radici.10Nelle rocce scava canali e su quanto è prezioso posa l'occhio.11Scandaglia il fondo dei fiumi e quel che vi è nascosto porta alla luce.12Ma la sapienza da dove si estrae? E il luogo dell'intelligenza dov'è?13L'uomo non ne conosce la via, essa non si trova sulla terra dei viventi.14L'oceano dice: “Non è in me!” e il mare dice: “Neppure presso di me!”.15Non si scambia con l'oro migliore né per comprarla si pesa l'argento.16Non si acquista con l'oro di Ofir né con l'ònice prezioso o con lo zaffìro.17Non la eguagliano l'oro e il cristallo né si permuta con vasi di oro fino.18Coralli e perle non meritano menzione: l'acquisto della sapienza non si fa con le gemme.19Non la eguaglia il topazio d'Etiopia, con l'oro puro non si può acquistare.20Ma da dove viene la sapienza? E il luogo dell'intelligenza dov'è?21È nascosta agli occhi di ogni vivente, è ignota agli uccelli del cielo.22L'abisso e la morte dicono: “Con i nostri orecchi ne udimmo la fama”.23Dio solo ne discerne la via, lui solo sa dove si trovi,24perché lui solo volge lo sguardo fino alle estremità della terra, vede tutto ciò che è sotto la volta del cielo.25Quando diede al vento un peso e delimitò le acque con la misura,26quando stabilì una legge alla pioggia e una via al lampo tonante,27allora la vide e la misurò, la fondò e la scrutò appieno,28e disse all'uomo: “Ecco, il timore del Signore, questo è sapienza, evitare il male, questo è intelligenza”“. _________________Note

_28,1 A questo punto si interrompe il monologo di Giobbe e l’autore stesso dell’opera interviene, presentando in un inno la sua riflessione sulla sapienza.

28,16-19 Nei libri sapienziali è frequente il paragone tra il valore della sapienza e il valore delle pietre preziose (vedi ad es. Sap 7,9).

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti


Il timore del Signore, questo è sapienza 28,1-28Questo poema presenta una sua peculiare configurazione e pertanto suscita sempre diversi interrogativi. Lo stile e soprattutto lo sviluppo originale del tema pongono la questione dell'origine dell'inno. Infatti si parla della sapienza, della ḥokmâ, non come patrimonio e conquista dell'uomo, ma come evento divino. L'inno celebra la sapienza di Dio inaccessibile all'uomo, e di fatto rappresenta una tappa iniziale nella riflessione che ha portato, all'interno della singolare tradizione di Israele, alla personificazione della sapienza e alla sua identificazione con il dono della torah (cfr. Prv 8; Sir 24; Bar 3,9-4,4). Si tratta di un itinerario che, dalla conoscenza esperienziale dell'ordine del mondo, ha portato in Israele a riconoscere la sapienza dapprima come l'ordine della creazione operata da Dio, e infine a identificarla con l'evento della rivelazione di JHWH al suo popolo, con il piano salvifico di Dio. Diversi commentatori hanno notato non solo che il tema dell'inno contrasta con le argomentazioni precedenti, non presentando alcuna connessione ovvia né con la Disputa, né con il Prologo, ma che l'inno in bocca a Giobbe anticipa anche, e dunque rende vani, i discorsi di Dio (cc. 38,1-40,2; 40,6-41,26). Essi pertanto lo considerano un'aggiunta posteriore. Altri studiosi, pur ammettendo l'originaria appartenenza del poema al libro di Giobbe, lo reputano un intermezzo o interludio, di carattere riflessivo, pronunciato dall'autore o da un altro locutore anonimo (per es. un coro), che, dopo l'intensità drammatica della Disputa, consente al lettore una pausa e un riposo. È indispensabile prendere sul serio il fatto che, dal punto di vista narrativo, l'elogio della sapienza si presenta come una continuazione del discorso di Giobbe (c. 27). Il narratore apre il discorso di Giobbe in 27,1, e il suo successivo intervento ricorre in 29,1, con una nuova introduzione. Dunque tra la fine del c. 27 e l'inizio del c. 28 non c'è alcuna cesura da parte del narratore, ma uno straordinario cambio di argomento nel discorso di Giobbe. Peraltro la particolare struttura del c. 28 e la modalità con cui il tema viene progressivamente sviluppato, conferiscono al poema un forte carattere unitario in sé compiuto. Nondimeno, il poema ha una finalità evidentemente didattica, sottolineata dal messaggio conclusivo indirizzato all'uomo (cfr. 28,28), e pertanto si accorda con l'intenzione di Giobbe che ha dichiarato (in 27,12) di voler istruire gli amici sull'azione di Dio. Inoltre il poema presenta un significativo tratto di stile che si ritrova in altre parti del corpo poetico dell'opera. Consiste in una forma particolare della tecnica dell'espansione, ed è caratterizzata da una serie di versetti in cui l'autore elenca delle copie di parole che significano a grandi linee la stessa cosa, o che hanno qualcosa a che fare con lo stesso argomento, o presentano una qualche attinenza con esso (cfr. 4,10-11; 18,8-10; 19,13-15; 41,18-22). Compare all'inizio del poema in 28,1-2 e più avanti in 28,15-19, dove ben dieci linee consecutive sono organizzate secondo questa tecnica. Anche la sorpresa che in tale caso il poema suscita, per la novità con cui l'argomento della sapienza viene proposto, appartiene alla raffinata creatività dell'autore. Un altro esempio emblematico in questo senso, e al quale rimandiamo, è riscontrabile nel contenuto, così originale, dei discorsi di JHWH nella teofania finale. Pertanto, la collocazione del poema appare particolarmente congruente con la dinamica della narrazione. Ponendo la questione del “luogo” della sapienza (28,12.20), Giobbe contesta la pretesa degli amici che spesso inutilmente si sono appellati all'esperienza (cfr. 4,8; 5,27; 8,8; 15,17-18) e che sono convinti di essere depositari della sapienza divina (cfr. 11,6; 15,8-9). D'altra parte Giobbe nei suoi discorsi ha ripetutamente affermato l'ignoranza dell'uomo al quale sfugge il senso di ciò che accade, e nel poema ribadisce che la sapienza resta inaccessibile all'uomo, ma appartiene al dominio di Dio (28,21-27). Le precedenti critiche di Giobbe a Dio pertanto non negano, ma suppongono un piano di Dio. E la sapienza sembra essere per Giobbe il piano di Dio su tutte le cose, che sorpassa infinitamente l'intelligenza umana. I discorsi di Dio confermeranno questa prospettiva che ora Giobbe sostiene contro le presunzioni degli amici e nel contesto dei molteplici interrogativi a Dio. Per queste ragioni siamo propensi a ritenere che questo poema (c. 28) sia stato composto per il libro di Giobbe dallo stesso autore che ha dato la fondamentale impostazione e consistenza all'opera (cfr. Introduzione), e che in modo pertinente lo ha posto a conclusione della Disputa. Il poema sulla sapienza presenta un'organizzazione tripartita, in relazione al motivo conduttore che pone la questione del “luogo” della sapienza, dove l'uomo può trovarla (28,12), poi ripresa più avanti (28,20) con la significativa variante sulla provenienza della sapienza.

vv. 28,1-11. In questa prima parte ricorre l'elogio dell'homo faber che con la sua investigazione e la sua tecnica sa trarre dalle oscure profondità della terra tutto ciò che è prezioso: metalli e pietre di grande valore (vv. 1-6). L'immagine della miniera sottolinea l'intraprendenza, l'impegno dell'uomo che va in cerca e carpisce alla terra il suo tesoro. L'uomo non ha antagonisti in questa attività. Infatti gli animali, per quanto feroci o perspicaci, non ne conoscono, né scorgono il sentiero (vv. 7-8). Solo l'uomo con il suo ingegno riconosce e porta alla luce quei materiali pregiati che la terra nasconde (vv. 9-11).

v. 12. Giunge a questo punto l'interrogativo fondamentale del poema (che sarà ripreso nel v. 20). L'uomo, di sua iniziativa e con la sua intelligenza conosce, recupera e si appropria di quanto è prezioso nella terra, ma dove si trova il luogo della sapienza, da dove egli può ricavarla?

vv. 13-19. La seconda parte del poema si apre con la risposta negativa, per l'uomo, alla questione sollevata. Infatti Giobbe sostiene che la sapienza non si trova sulla terra dei viventi (v. 13b), e non si raggiunge neanche nel mare o nelle sue profondità, nell'abisso (v. 14; cfr. 38,16; Prv 8,28-29). La sapienza non ha una fonte fisica, così che distruggendo la fonte anch'essa venga distrutta. La sapienza, inoltre, non solo non ha un luogo nel mondo, ma essa non ha alcun termine di confronto e di paragone; l'uomo non ne conosce il valore (v. 13a), né può procurarsela con lo scambio, il commercio, il mercato (vv. 15-19). Una prima conseguenza è dunque la sottile distinzione per cui l'uomo dispone della conoscenza tecnica e dell'abilità nello scambio delle risorse, ma non della sapienza.

v. 20. La questione del “luogo” della sapienza rimane ancora aperta e dunque ritorna. Ora però viene ripresa con l'importante variante che pone l'accento sulla provenienza della sapienza. Ma di quale sapienza si tratta? In che cosa consiste la sapienza di cui si parla? Infatti anche qui (come in 28,12) si dice hahokmâ, la sapienza, come un termine determinato con un significato ben conosciuto, mentre la sua definizione, di fatto, va ancora delineandosi. Ciò che intanto si può dire è che essa costituisce una realtà che si impone alla riflessione dell'uomo, ma che ne oltrepassa la capacità conoscitiva, benché dotata di grande ingegno.

vv. 21-28. Nella terza parte del poema la questione ottiene la soluzione. La sapienza si sottrae alla visione di tutti i viventi (v. 21; cfr. 28,7.13), e solo Dio comprende e conosce la via e il luogo della sapienza, perché è il creatore di tutto, perché è il Dio che vede (v. 24), che interviene negli avvenimenti, che compie ciò che è necessario per la vita delle sue creature. La regola e la misura che Dio ha fissato per gli elementi naturali (vv. 25-26) di fatto consentono l'esistenza permanente del mondo, che altrimenti andrebbe distrutto (cfr. Gn 6,13; 9,11; Is 54,9-10) e ricadrebbe nella situazione di informe desolazione delle origini (Gn 1,2). Ebbene, Dio si è avvalso della sapienza quando ha stabilito l'ordine dell'universo (v. 27; cfr. Prv 3,19-20; 8,27-31). La sapienza pertanto corrisponde al progetto della creazione di Dio, è il principio, il fondamento dell'organizzazione e dell'ordine cosmico. Essa è la ragione di essere del mondo, il segreto dell'ordine del mondo. La sapienza appare così concepita come una dimensione distinta da Dio, ma che tuttavia Dio solo conosce, possiede e di cui dispone. Essa, inoltre, è anteriore, preesiste e trascende la creazione, ma anche si realizza nel creato e nella storia umana, manifestando la continua benevolenza e fedeltà di Dio (cfr. Sal 136,5; 146,6). Alle investigazioni e speculazioni umane rimane inaccessibile la sapienza divina, ma essa viene all'uomo come dono di Dio. Infatti Dio, nell'evento della sua parola, rivela all'uomo la via della sapienza: essa non può essere raggiunta se non con il timore del Signore (cfr. v. 28; Sal 111,10; Prv 1,7; 9,10; 15,33; Qo 12, 13; Sir 1,14; 21,11). Peraltro il contenuto e la modalità con cui la sapienza viene proposta come parola rivelata da Dio e come parola vicina a ogni uomo (lā’ādām) richiamano indirettamente il dono sublime della torah (cfr. Dt 4,6-8; 30,11-14). In una fase successiva e più avanzata della riflessione in Israele, giungerà l'esplicita identificazione della sapienza con la torah (cfr. Sir 24,23; Bar 4,1). La sapienza per l'uomo, dunque, consiste nella partecipazione alla sapienza di Dio. Il timore del Signore costituisce infatti un atto di penetrazione in un significato più grande di sé, per cui si diventa capaci di guardare le cose dal punto di vista di Dio (cfr. Ger 9,22-23). Peraltro, ripetutamente, l'espressione «temere Dio ed essere alieni dal male» è stata usata, come un attributo di Giobbe, dal narratore (cfr. 1,1) e da Dio (cfr. 1,8; 2 3), e pur con delle variazioni vi hanno in qualche modo fatto riferimento gli amici (cfr. 4,6; 15,4) e lo stesso protagonista (cfr. 6,14). Tuttavia, solo ora è evidente che si tratta, prima di tutto, di un insegnamento divino che guida l'uomo alla sapienza. Esso attribuisce alla fede in Dio una funzione essenziale per il sapere, quella di porre l'uomo in un corretto rapporto con gli oggetti della sua conoscenza. Una differenza essenziale è che Giobbe aderisce a questo insegnamento in modo dinamico, itinerante, come in relazione a una promessa; per questo osa con Dio l'impensabile, mentre gli amici hanno ridotto ormai la conoscenza e il timore di Dio a un rigido calcolo razionalistico di osservazioni e di comportamenti, con i quali pretendono di stabilire come garantirsi il favore di Dio. Si comprende allora perché Giobbe non intende rinunciare (cfr. 27,2-6) al bene inestimabile della sapienza, per seguire le deviazioni degli amici. La funzione del poema si dispiega ormai chiaramente. A conclusione della Disputa, Giobbe respinge, in modo radicale e definitivo, la pretesa degli amici di essere rappresentanti e depositari della sapienza umana e divina. La sapienza infatti è presso Dio e in Dio, e con essa Dio ha stabilito il mondo. Il riconoscimento della sapienza divina non elimina, tuttavia, le questioni sollevate. Pertanto proprio perché solo Dio conosce il significato pieno degli avvenimenti, Giobbe rivolgerà, ancora, a Dio il suo appello appassionato. Infine, la presenza del poema, a questo punto della Disputa, evidenzia, se ancora fosse necessario, che ciò che è in discussione è il rapporto di Dio con l'uomo e con l'ordine cosmico. Esso tuttavia non può essere ridotto a una semplice questione di giustificazione di Dio di fronte all'esistenza del male (teodicea), o di giustificazione dell'uomo (antropodicea), bensì si propone come un problema innanzitutto gnoseologico, che mette a nudo la finitezza della conoscenza umana, e quindi teologico, che esplora la dialettica inesauribile tra rivelazione e nascondimento di Dio.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Marina Militare: "Molestie sessuali a bordo"


Marina Militare: “Molestie sessuali a bordo”

TARANTO. Rischia di finire a processo l'ex comandante di nave Martinengo, unità della Marina militare a bordo della quale, secondo la procura di Taranto si sarebbero consumati abusi e violenze ai danni di una parte dell'equipaggio. È stato il pubblico ministero Marzia Castiglia, nei giorni scorsi a chiedere il rinvio a giudizio per il capitano di fregata Roberto Carpinelli e per altri due e sottocapi in servizio sulla stessa unità navale. Violenza sessuale e maltrattamenti sono i reati contestati dalla procura di Taranto a cui si aggiungono quelli ipotizzati dalla Procura militare che ha trasferito il fascicolo ai magistrati ionici.

Si tratta di episodi avvenuti quando l'unità della Marina era impegnata in acque internazionali in un una missione anti pirateria nel Golfo Persico tra agosto e dicembre 2021. Le denunce delle vittime, assistite tra gli altri dagli avvocati Antonella Notaristefano e Giovanni Vinci, raccontano storie agghiaccianti. A una delle donne in servizio a bordo, il comandante Carpinelli aveva attribuito un nomignolo che ricordava un sex symbol di un vecchio telefilm e soprattutto l'aveva costretta a subire molestie sessuali: approcci fisici, mani sul corpo e sfioramenti al punto da costringere la marinaia a dichiararsi lesbica per sottrarsi a quelle continue vessazioni. Un improvvisato coming out che aveva però generato nuove minacce: in un'occasione, secondo quanto la donna ha denunciato, il comandante le aveva infatti puntato contro un paio di forbici facendola indietreggiare fino a chiuderla in un angolo della mensa per provare a tagliarle i capelli senza riuscirci. La giovane militare avrebbe supplicato di smetterla, appelli disperati che l'hanno esaurita al punto da accasciarsi a terra per lo sforzo e la tensione emotiva: a salvarla era intervenuto un altro marinaio, anche lui poi finito nel mirino offensivo del comandante.

Francesco Casula Gazzetta del mezzogiorno 19 dicembre 2024


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Pedagogia della resistenza

Occorre costruire comunità di resistenza, evitare di cadere nelle solitudini e nella rassegnazione. Resistere è la difficile missione della nostra vita e richiede una pedagogia della resistenza.


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Leonard Peltier: dal carcere ai domiciliari

Leonard Peltier non è stato completamente liberato, ma la sua pena detentiva è stata commutata in detenzione domiciliare. Questo significa che continuerà a scontare la sua pena presso la sua abitazione a partire dal 18 febbraio 2025, invece che in carcere. Tuttavia, gli altri componenti della sua condanna rimangono invariati, quindi non si tratta di una grazia totale.

Soddisfazione, quindi, ma non piena soddisfazione.

Questa è stata la campagna di Peppe Sini (Centro Ricerche per la Pace di Viterbo) degli ultimi mesi.


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Armi all'Ucraina?

Il Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia aderisce e diffonde l’allegato appello contro l’invio di armi in Ucraina. Per un grande movimento trasversale e plurale contro la guerra!

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Cronache di voli improbabili


Chiudi bene l’abbaino, ché con tutte queste farfalle in giro potresti ritrovarti in un documentario di entomologia di quelli noiosi. E poi cancelli, porte, pensieri, braccia, cuori e pure frontiere... Ma davvero servono, o sono solo decorazioni urbanistiche per farci sentire importanti?

E loro, le farfalle, se ne infischiano. Stanno lì, a raccontarci di migrazioni impossibili, di spazi aperti che non trovano parcheggio e di pianure che si credono montagne. Che sia vero che “vola solo chi vuole farlo”? Mah, forse serve un corso motivazionale.

Intanto le nostre parole, piene di anidride carbonica e sogni preconfezionati, fluttuano come palloncini a una fiera di paese, pronti a scoppiare in un tripudio di romanticismo d’antan.

E l’Europa, poverina, lì davanti allo specchio, intenta a domandarsi se ha pettinato bene le sue lunghe trecce o se ha solo annodato problemi geopolitici. Le guarda, le sfiora, e pensa: “Forse dovrei tagliarle.”

Intanto le striature di colore si espandono come macchie di caffè sulla tovaglia buona, conquistando spazio senza permesso di soggiorno.

E lei, Europa, tutta intenta a scartare i regali di Natale. Che ci sarà dentro stavolta? Speranze, illusioni, qualche vecchio trattato dimenticato in fondo alla scatola? Oppure solo l’ennesima sciarpa di lana, perché si sa, l’inverno è lungo e le correnti d’aria non perdonano.


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Daniel Ellsberg è una figura di grande rilevanza storica per diverse ragioni, e il suo coraggio è indiscutibile.

I Pentagon Papers e il Coraggio Civile

Ellsberg non è solo un economista. Negli anni '70, ha compiuto un gesto di straordinario coraggio civile: ha reso pubblici i “Pentagon Papers”, una vasta raccolta di documenti riservati che rivelavano l'inganno sistematico del governo degli Stati Uniti sulla guerra in Vietnam.


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Dovete fare più figli, dice il Governo



L'unica possibilità per abbassare l'età media di paesi obsoleti, come Italia e Giappone, è l'immigrazione: chiarito questo, posso andare avanti. Altre formule non ne ho, non sono stato in grado di salvare me stesso, non posso salvare l'Italia e neanche il Giappone, che è così lontano.

Quali sono gli incentivi reali messi sul piatto da questo Governo? Non dico proposte fantasiose, fesserie ideologiche, costrizioni spacciate per suggerimenti e altre mosse assolutamente ininfluenti: parlo proprio di come convincere una giovane coppia a generare una nuova creatura, che sia la prima, la seconda e così via. Qualcosa di solido, efficace, concepito come concreto. Qualcosa che non esiste e non esisterà.

Ne faccio un discorso molto pratico: una mancetta una tantum, dal terzo figlio in poi, non serve a nulla, poteva andare bene 150 anni fa. In linea con questi politici, bloccati a 100 anni fa su posizioni che, lasciatemelo dire, hanno avuto un secolo intero per rivelarsi come il capolavoro che sono.

Continuo dal punto di vista pratico, livello terra terra, parlo proprio il vile denaro che, ahimè, è indispensabile nel regime capitalistico che ci soffoca.

In una coppia, oggi un solo lavoro non basta, o basta per mangiare tra uno stipendio e l'altro. Servendosi dei discount. È un boom di occupati, ma sottopagati, soccorsi dai genitori: con gli stipendi della percentuale di occupazione più alta dai tempi di Garibaldi, ci si pagano affitto e utenze. Forse. Poi bisogna mangiare, pagarsi la sanità. Poi servirebbero i soldi per i figli, chiaramente al plurale perché al Governo brillano gli occhi quando si leggono quelle storielle sulla famiglia felice con 10 figli e un parto quadrigemellare quasi a compimento. Per una semplice questione matematica, quei soldi non ci sono.

Serve un'altra fonte di reddito, servono entrambi i coniugi. I genitori possono portare i figli a lavoro, in Italia? Ne dubito, dubito sia la norma. Come non è la norma la presenza di asili nido e strutture scolastiche adeguate, non è la norma perché ce ne saranno al Nord, ma al Sud è la desolazione. Il risultato: a questi ipotetici bambini deve badarci la mamma (siamo in Italia), mentre spolvera la cristalliera e prepara la cena per il maritino. Un quadretto che qualcuno trova edificante.

Ok, uno o più pargoli vedono la luce, infine, facciamo che uno dei genitori abbia la possibilità di dedicargli tutta la giornata, risparmiando i soldi per gli asili privati. Gli alimenti per i bambini, i pannolini, tutto quel che serve ai più piccoli costa una fucilata. Non sono pratico, non so cosa serva davvero, ma non ho dubbi sui costi eccessivi e sull'incapacità (e la volontà) governativa di incidere in tal senso.

Poi ci sono le scuole, ovviamente ancora una volta si spinge al privato, piuttosto che potenziare i servizi pubblici. Con l'attrezzatura, i libri. Le gite che non ci si può più permettere.

Infine, a questa nuova generazione vogliamo imporre la stessa povertà che, generalmente, ha afflitto quell precedenti? Perché sì, con gli standard odierni, quella che ho vissuto io (come milioni di miei coetanei), oggi è povertà. E qua chiudo la parte più materiale del discorso.

Come il presente, il futuro è un'enorme fonte di preoccupazione; tuttavia, è probabile che si percepisca il presente come qualcosa di personale e il futuro come un'eredità. Le eredità contemplano anche i debiti. Il futuro è un pagherò che trasmettiamo ai nostri successori, tanto noi nel frattempo saremo morti. Questo discorso non vale per me e non vale per tantissima altra gente.

L'eredità collettiva che ci stiamo preparando a lasciare è quella dei fascismi che ritornano, una malattia che non va mai in recidiva. Stanno apparecchiando un futuro di sconquasso climatico, col mondo che è già cambiato in tal senso e sembra proprio si voglia far finta, perniciosamente, che non stia accadendo nulla.

Stanno cercando di normalizzare il fascismo e la gente, che sostanzialmente nasce di destra, sembrava non aspettasse altro. Dico che la gente nasce di destra perché, semplicemente, è più facile vivere così: non ci si fanno troppe domande, per propria debolezza si delega la propria esistenza all'uomo forte, a ogni problema si oppone la soluzione più semplice e immediata, che è sempre quella sbagliata.

L'oligarchia sta spuntando anche in occidente.

Una parte enorme della ricchezza degli Stati finisce in armamenti, non si sa perché (cioè, si sa ma sarebbe meglio il contrario).

La potenza dei social, la più grande disgrazia degli ultimi decenni, è al culmine: l'opera di disumanizzazione della gente è completa. Lo affermo da tempi non sospetti, non mi son svegliato stamattina con questa idea.

Tutto è orientato alla privatizzazione, sanità e scuola pubblica andranno avanti non si sa per quanto tempo, non si sa in quale forma.

Si studiano e promulgano leggi liberticide per sopprimere la protesta, in tutte le sue forme, anche quelle date per scontate da sempre: gli studenti, i lavoratori, le categorie dimenticate o apertamente, furiosamente osteggiate.

Piuttosto che celebrare e riconoscere la diversità per quel che è, un bene prezioso, nonché la normalità mondata da sovrastrutture religiose e ideologiche, si fa di tutto per schiacciarla e tornare a una presunta epoca d'oro di immobilismo e pietrificazione culturale.

Stanno creando un mondo mezzo bruciato e mezzo allagato, spostando la ricchezza quanto più possibile verso chi non ne ha già alcun bisogno, tentando di creare un esercito di soldatini poveri a cui è vietato qualsiasi cenno di insofferenza.

Con queste prospettive, io non contribuirei mai a mettere una nuova creatura al mondo. Mi sentirei di averla condannata.

Intanto, vi dicono di fare figli. Ma. Ma non potete adottarli e non possono farli altri per voi, perché la gestazione per altri è un reato universale sotto una certa soglia ISEE: oltre i 200 miliardi di dollari non è reato, anzi.


log.livellosegreto.it/pop/dove…



FAUNA SELVATICA: I PROGRESSI DEL MALAWI NELLA PROTEZIONE. MA LA BATTAGLIA E' ANCORA LUNGA. ED E' NECESSARIA LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE


In passato abbiamo parlato nel nostro blog della protezione della fauna selvatica e della necessaria cooperazione internazionale in tema di contrasto alla criminalità che si basa sui traffici di specie animali e di loro parti pregiate.

Leggi tutto quipoliverso.org/display/0477a01e…


noblogo.org/cooperazione-inter…


FAUNA SELVATICA: I PROGRESSI DEL MALAWI NELLA PROTEZIONE.


FAUNA SELVATICA: I PROGRESSI DEL MALAWI NELLA PROTEZIONE. MA LA BATTAGLIA E' ANCORA LUNGA. ED E' NECESSARIA LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE


In passato abbiamo parlato nel nostro blog della protezione della fauna selvatica e della necessaria cooperazione internazionale in tema di contrasto alla criminalità che si basa sui traffici di specie animali e di loro parti pregiate.

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Segui il blog e interagisci con i suoi post nel fediverso: @cooperazione-internazionale-di-polizia@noblogo.org e nel tuo lettore RSS: noblogo.org/cooperazione-inter…Tutti i contenuti sono CC BY-NC-SA (creativecommons.org/licenses/b…)Le immagini se non diversamente indicato sono di pubblico dominio. Ci trovi sul fediverso anche qui:poliversity.it/@coop_internazi… (è anche feed RSS) ;poliverso.org/profile/cooperaz… (è anche feed RSS)feddit.it/u/cooperazione_inter…



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Pulp - This Is Hardcore (1998)


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This Is Hardcore è il sesto album della band inglese Pulp, pubblicato per la prima volta nel marzo 1998. È uscito tre anni dopo il loro album di successo, Different Class, ed è stato atteso con ansia. Nel 2013, NME lo ha classificato al numero 166 nella sua lista dei 500 migliori album di tutti i tempi.


Ascolta: album.link/i/1442870914



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Pulp - This Is Hardcore (1998)


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This Is Hardcore è il sesto album della band inglese Pulp, pubblicato per la prima volta nel marzo 1998. È uscito tre anni dopo il loro album di successo, Different Class, ed è stato atteso con ansia. Nel 2013, NME lo ha classificato al numero 166 nella sua lista dei 500 migliori album di tutti i tempi.


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GIOBBE - Capitolo 27


Giustizia di Giobbe ed elogio della sapienza1 Giobbe continuò il suo discorso dicendo:2“Per la vita di Dio, che mi ha privato del mio diritto, per l'Onnipotente che mi ha amareggiato l'animo,3finché ci sarà in me un soffio di vita, e l'alito di Dio nelle mie narici,4mai le mie labbra diranno falsità e mai la mia lingua mormorerà menzogna!5Lontano da me darvi ragione; fino alla morte non rinuncerò alla mia integrità.6Mi terrò saldo nella mia giustizia senza cedere, la mia coscienza non mi rimprovera nessuno dei miei giorni.7Sia trattato come reo il mio nemico e il mio avversario come un ingiusto.8Che cosa infatti può sperare l'empio, quando finirà, quando Dio gli toglierà la vita?9Ascolterà forse Dio il suo grido, quando la sventura piomberà su di lui?10Troverà forse il suo conforto nell'Onnipotente? Potrà invocare Dio in ogni momento?11Io vi istruirò sul potere di Dio, non vi nasconderò i pensieri dell'Onnipotente.12Ecco, voi tutti lo vedete bene: perché dunque vi perdete in cose vane?13Questa è la sorte che Dio riserva all'uomo malvagio, l'eredità che i violenti ricevono dall'Onnipotente.14Se ha molti figli, saranno destinati alla spada e i suoi discendenti non avranno pane da sfamarsi;15i suoi superstiti saranno sepolti dalla peste e le loro vedove non potranno fare lamento.16Se ammassa argento come la polvere e ammucchia vestiti come fango,17egli li prepara, ma il giusto li indosserà, e l'argento lo erediterà l'innocente.18Ha costruito la casa come una tela di ragno e come una capanna fatta da un guardiano.19Si corica ricco, ma per l'ultima volta, quando apre gli occhi, non avrà più nulla.20Come acque il terrore lo assale, di notte se lo rapisce l'uragano;21il vento d'oriente lo solleva e se ne va, lo sradica dalla sua dimora,22lo bersaglia senza pietà ed egli tenterà di sfuggire alla sua presa.23Si battono le mani contro di lui e si fischia di scherno su di lui ovunque si trovi. _________________Note

27,1 Nei cc. 27-31 (escludendo il c. 28) si sviluppa, sotto forma di monologo, una lunga riflessione di Giobbe, nella quale egli ribadisce quanto ha sempre sostenuto di fronte alle accuse dei tre amici.

27,2-23 Giobbe sostiene la propria innocenza. Per la vita di Dio: formula di giuramento. Questa formula compariva solitamente all’inizio di una solenne affermazione, chiamata “giuramento di innocenza”.

27,13-23 Questi versetti, nei quali vengono descritti i mali che colpiscono l’empio, sono considerati da alcuni come il terzo discorso mancante di Sofar (che continuerebbe con 24,18-24).

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Approfondimenti


Giustizia di Giobbe ed elogio della sapienza (27,1-28,28)Il collaudato svolgimento della Disputa prevedeva a questo punto l'intervento di Sofar. Giobbe e anche il lettore lo aspettavano. Invece Sofar non prende più la parola, e così Elifaz e Bildad dopo di lui. Il silenzio di Sofar è il segnale decisivo della fine di questa fase della narrazione. Il silenzio dei tre amici determina il cessare della Disputa e prepara, provoca altre svolte narrative (cfr. cc. 29-31 e poi, soprattutto, cc. 32-37). I tre amici hanno esaurito i loro argomenti, ma non Giobbe. Essi tacciono (cfr. 5,16; 11,2-3; 32,1-3.15-20; Sal 31,18-19; 107,42) esausti, sconfitti. Non solo hanno fallito nel loro intento primario, quello di consolare Giobbe (cfr. 2,11; 15,11), ma sono stati vinti dalla resistenza dell'amico. Giobbe ha difeso strenuamente la sua integrità fino a contendere con Dio; gli amici invece ritengono che ogni uomo è peccatore, e hanno sostenuto con vigore che la sua sofferenza è la dimostrazione incontrovertibile della colpevolezza, reputando inoltre il suo comportamento come una funesta ribellione all'ordine di idee e di eventi da loro presentato come divino. La Disputa ha messo in evidenza il graduale, progressivo radicalizzarsi delle posizioni. Elifaz, Bildad e Sofar convergono nel medesimo punto di vista, sono rappresentanti della stessa corrente di pensiero.

I loro argomenti godevano originariamente di un'approvazione sicuramente superiore rispetto a quella che il lettore moderno è disposto ad accordare loro. Essi sono esponenti di una sapienza tradizionale, proverbiale, che trae prevalentemente la propria conoscenza dall'osservazione di vicende che si ripetono. Inoltre, pur avvalendosi, di elementi del patrimonio storico e vitale di Israele con il suo Dio, hanno ridotto ormai la relazione tra l'uomo e Dio ad un calcolo interessato. Il punto di partenza e di arrivo dei tre amici, che dunque fa da inclusione dei loro discorsi, consiste nell'impossibilità per l'uomo di essere giusto davanti a Dio (cfr. 4,17 e 25,4; ma anche 15,14): un argomento che insiste sulla sfiducia definitiva nei confronti dell'uomo, ed esprime una sostanziale diffidenza nel rapporto fra Dio e l'uomo, come il Satan nel Prologo. Inoltre, poiché essi sono più preoccupati di conservare e di confermare le loro certezze, piuttosto che lasciarsi interpellare dagli interrogativi scomodi e senza precedenti di Giobbe, si manifesta nella Disputa la loro crescente insofferenza e il loro irrigidimento fino all'aperta conflittualità con Giobbe. Peraltro, la soluzione che essi prospettano a Giobbe, cioè di riconoscere il suo peccato, di accettare la correzione divina e soprattutto di rinunciare alla pretesa di una propria giustizia, a garanzia di una prosperità che Dio rinnoverà nei suoi confronti, propende in fondo al modo in cui trarre il proprio beneficio da Dio. Essi non sanno prescindere dalle proprie divisioni e classificazioni (colpevole/innocente, giusto/empio) e non si lasciano raggiungere dalla realtà che la tragedia di Giobbe mette a nudo: l'ignoranza dell'uomo sugli eventi della vita la difficoltà di decifrare l'agire di Dio. Pertanto essi rifiutano, al contrario di Giobbe, di inoltrarsi nelle dimensioni ancora inesplorate della comunicazione, della relazione e della conoscenza di Dio. Nondimeno la serrata opposizione dei tre amici ha contribuito alla maturazione, allo sviluppo di quel movimento e itinerario interiore di Giobbe, il quale si appella e lotta perché sa che Dio può dare risposta al suo grido.

Alcuni commentatori hanno ritenuto di individuare il terzo discorso di Sofar in 27,13-23 (e talvolta anche in 27,7-12), dove ricorre la descrizione della sorte dell'empio che presenta alcune affinità lessicali e tematiche con il suo ultimo intervento (cfr. c. 20). Ma la ripresa di tale argomento, spesso predominante nei discorsi degli amici, ha una funzione tutta particolare in questo discorso di Giobbe (cc. 27-28), ormai verso la conclusione della Disputa, Infatti Giobbe dapprima difende la sua integrità (27,2-6), e poi riconosce nei suoi avversari (27,7-10), negli amici (27, 11-12), gli empi per i quali Dio riserva una fine ineluttabile (27,13-23). Dunque Giobbe prospetta proprio agli amici, quasi con le stesse parole, quella sorte degli empi, che essi tanto hanno usato come argomento di intimidazione. Infine, Giobbe termina con l'esaltazione della sapienza (c. 28).

27,1. Giobbe riprende a parlare e il narratore lo mette in rilievo anche con una differente formula di introduzione del discorso: Giobbe «continua a parlare», più precisamente a pronunciare il suo māšāl. Ricorre dunque, da parte del narratore, una definizione di ciò che segue, il riferimento a una figura del linguaggio poetico prevalentemente dell'ambito sapienziale (cfr. Sal 49,5; 78,2).

vv. 2-6. Giobbe argomenta che il suo lēbāb (v. 6), il cuore, l'intimo, là dove si prendono le decisioni profonde e se ne assume la responsabilità, la coscienza, non gli rimprovera come ha vissuto. Pertanto, non si tratta per Giobbe solo di affermare la propria innocenza in modo incidentale date le circostanze, ma di un orientamento fondamentale di vita perseguito nel tempo, con perseveranza e disciplina che non viene meno nelle avversità. Il richiamo di Giobbe alla sua integrità (cfr. anche Sal 41,13) e alla sua giustizia, appare a questo punto, soprattutto, un'espressione di fedeltà, un atto di fede. Benché subisca un'ingiustizia da parte di Dio, Giobbe giura proprio per Dio.

vv. 7-10. Dopo la proclamazione della sua innocenza e giustizia, Giobbe procede all'identificazione degli accusatori come colpevoli, come malvagi ed empi (v. 7; cfr. Sal 35; 58; 109; 140). Egli chiede la condanna di coloro in potere dei quali Dio stesso lo ha gettato (cfr. 16,11), che lo hanno insultato e deriso. Inoltre lascia intendere che, benché pensi che l'uomo giusto e il malvagio possano essere colpiti dalle stesse sciagure, egli non si volge all'empietà (cfr. Sal 1,1; 37; 40,5; 73; Prv 23,17-18), perché nella sventura il malvagio non ha alcuna speranza, mentre l'uomo retto può ancora sperare le delizie di Dio. Il malvagio nella tribolazione è incapace di fidarsi di Dio (v. 10; cfr. 22,26), né invoca continuamente Dio. Dunque tra Dio e l'empio c'è una distanza estrema. Per Giobbe, il poter gridare e confidare in Dio, anche nella tragedia, e persino contendere con Dio, esige la scelta persistente delle vie di Dio, suppone il precedente godimento della familiarità, della comunione, della benevolenza di Dio (cfr. 10, 12).

vv. 13-23. Giobbe descrive la sorte che Dio ha riservato al malvagio. La caratteristica di questa presentazione consiste nella ripresa, come annunciato nel v. 12, di un tema sul quale gli amici si sono a lungo soffermati. Tuttavia essi lo hanno usato come argomento di intimidazione e di minaccia per l'amico, irritati dal suo atteggiamento critico e deviante, rispetto alle convinzioni religiose da loro concordemente sostenute. Anche Giobbe li aveva esortati e avvisati a non ingannare Dio, e a considerare che anche per loro ci sarebbe stato il momento della prova (cfr. 13,7-12). Ma ora Giobbe si avvale del loro linguaggio, nel vocabolario e nelle immagini, per rimandare agli amici l'idea che su di essi incombe una tale sventura. Essi hanno pronunciato una condanna dalla quale non sono esclusi: è la loro condanna in quanto spietati prevaricatori (cfr. anche 6,27), accusatori menzogneri, persecutori del giusto, empi. Giobbe introduce la descrizione della fine che Dio ha disposto per l'empio, con le parole conclusive dell'ultimo discorso di Sofar (v. 13; cfr. 20,29), pur apportando lievi varianti che come sempre, nella narrativa biblica, caratterizzano la tecnica della ripetizione. Per quanto siano gravi le affermazioni di Giobbe, il quale prospetta agli amici il fatale ritorcersi delle loro sentenze annientamento da parte di Dio, non si avverte in lui alcuna particolare animosità e aggressività, come in altri momenti della Disputa. Giobbe indirizza ai suoi molesti interlocutori un'istruzione che affida soprattutto alla loro riflessione. Ma l'istruzione di Giobbe non è conclusa, e si direbbe anche che la descrizione appena svolta non sia ciò che riscuote il maggior rilievo rispetto all'interesse riposto in ciò che segue. Infatti il discorso di Giobbe continua con una solenne apologia della sapienza (c. 28).

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Cambiamenti?


Mi hanno insegnato che i cambiamenti sono comunque una cosa positiva. Sarà. Le terribili immagini di Valencia ci hanno confermato che questo è un Pianeta sovrappopolato, inquinato e preda di cambiamenti climatici che solo i mentecatti, gli opportunisti e i disonesti si ostinano a negare.

E in Usa sta per entrare in carica il comandante in capo dei mentecatti, degli opportunisti e dei disonesti, un delinquente ricco, golpista e razzista, il rappresentante della peggio umanità possibile, un negazionista fascista, fanatico e violento.

Finirà malissimo, per tutti, anche per quei nostri 4 dementi che tifano (e pure per i cosplayer padani); andrà malissimo anche, e soprattutto, per quei poveri che, incredibilmente, si illudono di trovare la soluzione magica votando un miliardario criminale e votando la peggior destra reazionaria, finanziata e sponsorizzata da miliardari (pericolosi) come musk (volutamente minuscolo).

Andrà malissimo alla democrazia, che sarà fatta a pezzi in America, e subito sarà seguito dai suoi emuli in Europa e Italia, che non attendono altro, che sono andati a prendere ordini.

Andrà bene solo per ricchi e ricchissimi, che infatti sono in processione da lui.E controllano il 90% di Internet, perché glielo abbiamo lasciato fare.


Io mi rifugio nel fediverso, in attesa di tempi migliori, ma nel mio piccolissimo continuerò a rompere i coglioni.

E per fortuna c'è sempre la Musica.


log.livellosegreto.it/dorica60…


Cambiamenti?


Mi hanno insegnato che i cambiamenti sono comunque una cosa positiva. Sarà. Le terribili immagini di Valencia ci hanno confermato che questo è un Pianeta sovrappopolato, inquinato e preda di cambiamenti climatici che solo i mentecatti, gli opportunisti e i disonesti si ostinano a negare.

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Paul@Dorica60




IL PROGETTO ASSET DI EUROPOL, SEQUESTRARE I BENI CRIMINALI A LIVELLO GLOBALE (COMPRESE LE CRIPTOVALUTE)


Europol ha dato il benvenuto nella sua sede oltre 80 esperti finanziari provenienti da tutto il mondo per partecipare al Progetto A.S.S.E.T. (Asset Search & Seize Enforcement Taskforce), un'iniziativa volta a migliorare il numero di beni criminali sequestrati a livello globale. In totale, 43 forze dell'ordine di 28 paesi hanno aderito all'operazione, olte ad autorità di organizzazioni internazionali, tra cui Eurojust e Interpol.

Leggi tutto quipoliverso.org/display/0477a01e…


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IL PROGETTO ASSET DI EUROPOL, SEQUESTRARE I BENI CRIMINALI A LIVELLO GLOBALE (COMPRESE LE CRIPTOVALUTE)


Europol ha dato il benvenuto nella sua sede oltre 80 esperti finanziari provenienti da tutto il mondo per partecipare al Progetto A.S.S.E.T. (Asset Search & Seize Enforcement Taskforce), un'iniziativa volta a migliorare il numero di beni criminali sequestrati a livello globale. In totale, 43 forze dell'ordine di 28 paesi hanno aderito all'operazione, olte ad autorità di organizzazioni internazionali, tra cui Eurojust e Interpol.

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Neil Young & Crazy Horse - Everybody Knows This Is Nowhere (1969)


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Everybody Knows This Is Nowhere è il secondo album in studio del musicista canadese/americano Neil Young, pubblicato nel maggio 1969 su Reprise Records, numero di catalogo RS 6349. Il suo primo con la band di supporto di lunga data Crazy Horse, raggiunse il picco al numero 34 nella classifica US Billboard 200 nell'agosto 1970 durante una permanenza in classifica di 98 settimane ed è stato certificato disco di platino dalla RIAA. L'album è nella lista dei 1001 album che devi ascoltare prima di morire. Nel 2003, l'album è stato classificato al numero 208 nella lista dei 500 migliori album di tutti i tempi della rivista Rolling Stone e al numero 407 nell'edizione del 2020. È stato votato al numero 124 nella terza edizione di All Time Top 1000 Albums di Colin Larkin (2000).


Ascolta: album.link/i/1015769589



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