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Vario fu l’atteggiamento del movimento partigiano nei confronti dei disertori tedeschi


Il contributo che i disertori [tedeschi] diedero alla lotta di Liberazione è di difficile valutazione dal punto di vista strettamente militare, perché per molti di loro non si hanno sufficienti informazioni, mentre in molti altri casi le informazioni disponibili provengono da un’unica fonte (ovvero partigiana) e furono prodotte spesso in momenti particolari che ci costringono per lo meno ad interrogarci sulla loro attendibilità (vale a dire in previsione cioè del rimpatrio nei paesi d’origine o in vista del lavoro delle commissioni per il riconoscimento delle qualifiche partigiane).
Si deve comunque considerare come molto spesso ad unirsi alle forze ribelli furono soldati che avevano già in passato combattuto su diversi fronti; la loro esperienza poté quindi rappresentare un valido aiuto, per un esercito come quello partigiano che era in buona parte costituito da civili con scarsi precedenti di guerra.
Deve essere valutato anche il contributo offerto da quanti, pur non lasciando le fila del proprio esercito, collaborarono in modi differenti fornendo, ad esempio, armi e materiale o informazioni di carattere militare (spostamenti delle truppe, loro armamento, nominativi circa le persone con ruoli di comando, morale all’interno delle formazioni). Degni di ulteriori ricerche sono anche gli episodi che videro il supporto della popolazione civile e degli enti religiosi a questi soldati in fuga in Italia, sia durante che al termine del conflitto.
Vario fu l’atteggiamento del movimento partigiano nei confronti di quanti si consegnarono alle formazioni ribelli. La diserzione venne sicuramente considerata un fattore importante, sia da parte dei partigiani che degli alleati per lo svolgimento della guerra, come dimostrano i vari appelli lanciati in tal senso tramite volantini o altro materiale. Non mancarono però atteggiamenti di diffidenza, in particolare verso i disertori di origine germanica, motivati dal timore che tra di esse si potessero nascondere spie e infiltrati. Fondamentali per il giudizio dei partigiani erano anche le condizioni nelle quali questi soldati disertavano (ad esempio portando o meno con sé le armi) o venivano fatti prigionieri (opponendo o meno resistenza).
In alcuni casi, soprattutto negli ultimi mesi di guerra, si provvide a far loro “passare il fronte”, consegnandoli cioè agli alleati, sia perché essi stessi non intendevano continuare a combattere a fianco dei partigiani, sia perché il loro numero era aumentato in modo eccessivo e ciò poteva rappresentare un ostacolo a livello organizzativo, trattandosi spesso di persone che avevano disertato principalmente perché avevano riconosciuto come ormai persa la guerra.
Sicuramente le scelte dei disertori della Wehrmacht contribuirono anche al fatto che si iniziasse a valutare il nemico non più come un blocco omogeneo, ma a riconoscerne le specificità e le differenze (provenienza geografica, carriera militare, ruolo nell’esercito). Tali dettagli vennero a volte utilizzati come elemento discriminante nel decidere riguardo la prigionia, l’ingresso nelle formazioni o ancora l’uccisione di quanti venivano catturati, ma vennero anche sfruttati proprio per indebolire il fronte avversario, come nel caso degli specifici appelli alla diserzione lanciati da partigiani e alleati.
Questa differenziazione su base etnica ebbe però anche la conseguenza di relegare ai margini il riconoscimento nei confronti di quei soldati provenienti dalla Germania che decisero di ribellarsi al nazifascismo in Italia e di continuare la guerra all’interno delle formazioni partigiane. Ad essere riconosciuto, al contrario, fu il contributo soprattutto di sovietici e jugoslavi, sia perché rappresentavano una maggioranza all’interno di queste formazioni, sia perché facenti parti di nazioni che uscirono come vincitrici dalla guerra, sia infine per le affinità ideologiche di molti di questi con le bande partigiane di ispirazione comunista. Ricordare il contributo dei soldati provenienti dal blocco sovietico significava (anche) contrapporsi alla forza politica e militare americana, che nei nuovi equilibri creatisi in seguito alla guerra aveva nella Germania federale uno dei suoi primi alleati strategici in Europa. Come già riportato al termine del V capitolo, furono poi gli stessi soldati provenienti da questi paesi ad aver maggior interesse a veder riconosciuto, anche tramite i certificati prodotti nel dopoguerra, il ruolo che essi avevano svolto all’interno delle formazioni partigiane italiane, attestati che avrebbero anche dovuto avere una funzione riabilitativa rispetto alla loro passata militanza nell’esercito nazista.
Anche questo aspetto, come gli altri messi in luce nel VI capitolo, fece sì che molte delle esperienze di lotta dei soldati tedeschi andarono perse nel dopoguerra; circostanza questa che contribuì così al consolidarsi nella storiografia italiana di un’immagine che identificava il nemico nel “cattivo tedesco” <632 e che non contemplava la possibilità che ci potesse essere, anche tra questi soldati, chi si fosse ribellato alla guerra nazista.
Ricostruire la storia di quanti decisero di abbandonare le fila dell’esercito nazista, pur con la molteplicità di motivazioni che fu alla base di tali scelte, ci permette viceversa di porre in discussione questa costruzione e di ribadire il ruolo di internazionalità della lotta al nazifascismo.
Ci aiuta però anche a ricordare come, anche nelle condizioni più difficili, ci furono persone capaci di interrogarsi e riflettere sulla giustezza o meno del proprio comportamento e di quanto veniva loro ordinato di fare, insegnamento questo in grado di superare ogni limite temporale e geografico.
Forse le loro storie ci aiutano anche a rispondere a quanto affermò alcuni anni fa Nuto Revelli, che aveva prima combattuto in Russia ed era poi stato partigiano in Italia, il quale ripensando alla sua esperienza in guerra scrisse: “Non provo alcuna pietà nei confronti dei tedeschi. Ma se è esistito anche un solo tedesco diverso dall’immagine che io mi ero fatto di loro, vorrei proprio conoscerne la storia” <633.

[NOTE]632 Filippo Focardi, Il cattivo tedesco e il bravo italiano, cit. Su questo tema anche Massimo Castoldi (a cura di), 1943-1945: i «bravi» e i «cattivi». Italiani e tedeschi tra memoria, responsabilità e stereotipi, Donzelli Editore, Roma, 2016.
633 Nuto Revelli, Il disperso di Marburg, Einaudi, Torino, 1994, p. 35.
Francesco Corniani, “Sarete accolti con il massimo rispetto”: disertori dell’esercito tedesco in Italia (1943-1945), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2016-2017

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In Italia, fino all’ultimo, il numero delle diserzioni di soldati tedeschi rimase contenuto


I documenti ancora disponibili negli archivi hanno permesso un’analisi sistematica [n.d.r.: relativa ai disertori dell’esercito tedesco in Italia] solamente per la 10ª armata tedesca. Anche in questo caso però le informazioni non coprono tutto l’arco di tempo in cui l’armata fu presente in Italia, ed è presumibile che i dati riportati rappresentino per difetto, più che per eccesso la reale consistenza numerica (a causa ad esempio di fattori come la mancanza, il ritardo o ancora la perdita delle segnalazioni).
Si può comunque ritenere che il fenomeno abbia avuto una dimensione limitata, se rapportato al milione di soldati circa dell’esercito tedesco che furono presenti tra il 1943 e il 1945 in Italia <619. Qui i soldati della Wehrmacht si trovavano in un paese straniero, circostanza questa che di per sé poteva rappresentare un deterrente per i disertori, per un’insieme di motivi che andavano dalle difficoltà linguistiche alle conoscenze geografiche insufficienti, alla presenza di formazioni partigiane e alleate.
Appare cosi corretto affermare che gli episodi di diserzione dei soldati non furono in grado di costituire un rilevante pericolo per la tenuta delle forze militari della Germania in Italia; ciò sembra confermare il giudizio espresso da Carlo Gentile, secondo il quale: “Fino al crollo del Terzo Reich le truppe tedesche presenti in Italia non andarono soggette a tendenze disgregative degne di nota, per cui nel marzo del 1945 le autorità della Wehrmacht poterono rinunciare per buone ragioni a instaurare un sistema di repressione interna simile a quello messo in atto nel territorio del Reich per punire i disertori e i disfattisti […] In Italia, fino all’ultimo, il numero delle diserzioni rimase contenuto” <620.
Diversi furono comunque i provvedimenti assunti per contrastare gli episodi di diserzione; esemplificative sono in tal senso le azioni dei reparti di polizia militare e degli altri reparti di disciplina dell’esercito tedesco.
Già nell’autunno del 1943 in un interrogatorio alleato si fece menzione della presenza nella zona di Napoli di un Jägerbattaillon il cui compito principale era il mantenimento dell’ordine tra i soldati tedeschi. Alcuni militari trovati in abiti civili, erano stati uccisi dal battaglione, mentre si riferiva che altri soldati scaricavano nell’aria le loro munizioni, così da poter finger di aver esaurito i proiettili e di aver combattuto fino all’ultimo nel caso di un loro arresto <621.
Come ricorda lo stesso Gentile inoltre nei primi mesi estivi del 1944 venne inviato in Italia un reggimento di Feldjäger, adibito alla repressione della diserzione <622.
Nella primavera del 1945 si procedette a organizzare delle linee di controllo, che dovevano servire per evitare che i soldati si intrattenessero nelle retrovie o commettessero atti di indisciplina <623. Ancora ad inizio aprile il comandante supremo del gruppo d’armate C (Oberbefehlshaber Südwest), in una sua comunicazione dai toni chiaramente propagandistici e destinata a essere diffusa tra i soldati, affermava come coloro i quali erano passati nelle fila dell’esercito angloamericano venivano considerati come “ehrlose Verräter”, traditori senza onore. La circolare riportava infatti quanto avevano riferito alcuni soldati al loro ritorno in Germania, ovvero che non appena avevano terminato di fornire informazioni di carattere militare erano stati trattati non più come normali prigionieri di guerra, ma senza alcun rispetto ed onore, con livelli minimi di assistenza e non adeguati alle norme internazionali sul trattamento dei prigionieri di guerra, proprio perché disertori <624.
Osservando le cifre di quanti tra i fuggitivi vennero ricatturati appare però come tali tentativi furono piuttosto limitati nella loro efficacia. In tal senso va fatta una considerazione anche sull’operato dei tribunali militari tedeschi e sull’efficacia del loro modus operandi. I procedimenti penali che vennero condotti nei confronti dei disertori intendevano non solo punire i colpevoli, ma tramite l’esemplarità rappresentata dalle condanne a morte anche dissuadere il resto dei soldati da questo tipo di comportamenti.
Erano però molti anche coloro i quali, colpevoli di reati minori, proprio per evitare le conseguenze di un eventuale condanna sceglievano di fuggire e abbandonare le formazioni, rendendosi però così a loro volta colpevoli di diserzione, così come emerge anche da alcuni casi presentati nel IV capitolo <625. Dai procedimenti penali dei tribunali emergono gli sforzi che questi attuarono per individuare e giudicare i comportamenti ritenuti contrari alla disciplina militare da parte dei soldati. Nei casi di diserzione alcuni elementi (la falsificazione dei documenti, l’abbandono della divisa e l’utilizzo di abiti civili, il contatto con le formazioni partigiane, l’aiuto ottenuto da persone esterne) venivano valutati dai giudici come dettagli che testimoniavano la volontà degli accusati di allontanarsi in maniera definitiva dalla propria unità. L’assenza, in alcuni casi, di queste aggravanti era invece sottolineata nelle arringhe dei difensori per mettere in risalto al contrario le buone intenzione degli imputati.
Ancora sulla base dei dati presentati nel III capitolo emerge come la maggior parte di coloro i quali si resero colpevoli di diserzione o di essersi allontanati dalle proprie formazioni non fossero nati in Germania ma provenissero invece da “paesi dell’Est”, reclutati spesso forzatamente, da persone appartenenti alla “Deutsche Volksliste III” o ancora da austriaci, jugoslavi, francesi. Ne è una conferma anche il fatto che, nei dati presentati nelle tabelle del terzo capitolo, il maggior numero di diserzioni è attribuibile alla 5ª Gebirgs-Division e alla 44ª Infanterie-Division, composte proprio da soldati di origine austriaca e slovacca, nei confronti dei quali particolarmente attiva era la propaganda partigiana.
Un’ulteriore conferma arriva anche dalla preponderante presenza di questi soldati all’interno delle bande partigiane italiane, rispetto ai loro camerati germanici; si deve però ricordare come questi gruppi etnici rappresentassero una minoranza nel numero complessivo dei soldati della Wehrmacht, che si dimostrarono invece pronti a combattere fino agli ultimi giorni di guerra. A simili risultati, per quanto riguarda i disertori dell’esercito tedesco passati a combattere con le formazioni partigiane nella provincia di Parma è giunto anche Marco Minardi, come abbiamo visto nel paragrafo conclusivo del III capitolo.
Come emerge dagli interrogatori condotti dagli alleati, i timori che i soldati tedeschi nutrivano per la propria sorte e per quella della Germania, che in caso di sconfitta si riteneva potesse andare incontro a distruzione materiale e culturale, rappresentarono un fattore di forza (insieme all’indottrinamento ideologico, alla propaganda e alla repressione interna) <626 dell’esercito nazista, anche quando la disfatta appariva ormai inevitabile.
Le fonti alleate riportavano anche come le classi di soldati più giovani e quelle più anziane apparivano quelle dal morale più basso durante la guerra <627. Sarebbero però necessarie ulteriori ricerche per ricostruire con più precisione i profili biografici di un più ampio numero di disertori, per valutare l’esistenza o meno di una relazione tra la frequenza degli episodi di diserzione e l’impiego che venne fatto in guerra delle divisioni dalle quali essi provenivano. Ciò ci permetterebbe di mettere in relazione le scelte di quanti disertarono con, ad esempio, alcuni dei risultati raggiunti da Carlo Gentile, il quale individuava in alcuni fattori, come la giovane età dei soldati, un elemento chiave negli episodi di violenza di cui si resero responsabili alcune formazioni, rivalutando al contrario l’incidenza dell’“Osterfahrung”. È possibile rintracciare un’incidenza di questi due aspetti anche per quanto riguarda i casi di diserzione? Appaiono comunque corrette le considerazioni espresse da Ziemann, già richiamate nell’introduzione e che emergono dall’analisi di diversi studi, secondo le quali le motivazioni politiche in senso stretto rappresentavano solo in un ridotto numero di casi l’elemento decisivo che spingeva alla diserzione i soldati <628. Ciò appare naturale per quanto emerge dai documenti dei tribunali militari, nei quali gli imputati intendevano dissimulare le loro reali intenzioni, adducendo scuse e presentando delle giustificazioni ai loro comportamenti, per poter in qualche modo rendere meno pesante la loro condanna. Altri elementi apparivano così più decisivi nella scelta della diserzione, come le
preoccupazioni per la propria famiglia, la volontà di avere del tempo libero, le relazioni sentimentali. In alcuni casi emerge anche dai casi presentati in questa tesi come diffusi fossero i casi di quanti intendevano sottrarsi alla giustizia militare, prendendo la decisione di fuggire. I dati riportati nelle tabelle a conclusione del III capitolo non permettono di distinguere tra quanti, dopo aver disertato, si consegnarono agli alleati e quanti invece ai partigiani. È però necessario ricordare come entrare in contatto con gli alleati rappresentasse senza dubbio una circostanza più favorevole rispetto al consegnarsi alle formazioni partigiane e che offriva maggiori garanzie, quali la possibilità di essere trattati come prigionieri, di non dover continuare a combattere e di tornare alle proprie famiglie.
Allo stesso modo Ziemann affermava che non erano conosciute le cifre e i motivi di quanti decisero di consegnarsi agli alleati in Italia <629. Circa le loro scelte emerge però dagli interrogatori alleati e da quelli fatti dai partigiani come, tra le motivazioni che venivano espresse, più frequenti fossero quelle di natura politica, legate all’opposizione al regime nazista. Anche in questo caso è però necessario interrogarsi sulla genuinità di tali confessioni, che non poterono non essere condizionate dalla situazione in cui vennero rilasciate.
Ad influenzare il fenomeno della diserzione furono anche alcune valutazioni di carattere “militare” come il fattore della ritirata continua, spesso in condizione di caos, che favorì così la fuga dei soldati, la perdita di fiducia nella vittoria, la supremazia aerea degli alleati. A rendere possibile, o perlomeno più semplice da realizzare e con maggiori possibilità di successo, l’abbandono della propria formazione, potevano però anche essere le favorevoli condizioni meteorologiche o il trovarsi in un ambiente adatto a nascondersi o a ricevere aiuto da attori esterni (popolazione, formazioni alleate, strutture religiose); al contrario, questi elementi potevano anche trasformarsi in fattori di dissuasione. Ciò trova conferma anche nei dati che vedono per l’Italia nell’estate-autunno del 1944 e negli ultimi mesi di guerra nella primavera del 1945 i periodi in cui si verificarono la maggiore parte dei casi di diserzione. Per l’estate del ’44 questi dati si possono spiegare sia in riferimento alla ritirata disordinata delle armate tedesche che ebbe luogo tra la fine di maggio e l’inizio di giugno, conseguente allo sfondamento della linea Gustav e alla presa di Roma da parte degli alleati, sia con la crescita di attività delle formazioni partigiane, che causò il dilagare tra i soldati tedeschi di una sorta di “psicosi delle bande” <630.
Per quanto riguarda la primavera del 1945 un fattore decisivo fu invece rappresentato dalla consapevolezza sempre crescente che la guerra stava per terminare. Di conseguenza la presenza di disertori fu più alta nelle formazioni partigiane che operavano nelle regioni dove il fronte di guerra si fermò più a lungo e dove la presenza di militari della Wehrmacht fu maggiore (Emilia Romagna, Toscana, ma anche Piemonte e Veneto).
Un’analisi del fenomeno della diserzione nei vari fronti sui quali l’esercito tedesco fu impegnato deve necessariamente tenere conto di questi diversi fattori (temporali, ambientali, politici). Nei primi anni di guerra i successi tedeschi, la fiducia nella vittoria, ma anche la minaccia rappresentata dal movimento partigiano rappresentarono un motivo di coesione per le forze armate tedesche, sul fronte orientale così come in Africa. Soprattutto a partire dalla metà del 1944 però, con il crollo del gruppo d’armate Mitte, l’avanzata sovietica verso la Germania e lo sbarco alleato in Francia, divenne chiaro che la guerra sarebbe terminata con una sconfitta, che l’esercito alleato e quello sovietico erano militarmente superiori e che la fuga rappresentava una buona possibilità, per i soldati, di poter sfuggire ai combattimenti e tornare a casa, nonostante questo significasse sfidare la giustizia militare o un periodo di prigionia <631.

[NOTE]619 Carlo Gentile, I tedeschi e la guerra ai civili in Italia, in Gianluca Fulvetti, Paolo Pezzino (a cura di), Zone di guerra, cit., p. 131.
620 Carlo Gentile, I crimini di guerra, cit., pp. 391-392.
621 Headquarters Fifth Army, Psychological Warfare Branch I.N.C., Subject: Weekly Reports on P/W’s, 14/10/1943, US NARA, Record Group 407, Entry 427, Box 2216.
622 Carlo Gentile, I crimini di guerra, cit., p. 138.
623 BA-MA, RH 19-X/47. Si veda anche Andreas Kunz, Wehrmacht und Niederlage, p. 285.
624 Der Oberbefehlshaber Südwest (Oberkommando Heeresgruppe C), Betr: Behandlung deutscher Überläufer in anglo-amerikanischer Kriegsgefangenschaft, 03/04/1945, BA-MA, RH 19X/47.
625 Rimane comunque ancora da valutare, come anche Ziemann osservava, quale fosse l’effettiva capacità deterrente, all’interno delle truppe, rappresentata dalle condanne a morte e da altri tipi di punizioni, Benjamin Ziemann, Fluchten aus dem Konsens zum Durchalten, cit., pp. 599-600.
626 Thomas Kühne, Gruppenkohäsion und Kameradschaftsmythos, cit.
627 Headquarters Fifth Army, Psychological Warfare Branch, Subject: Morale interrogations of German prisoners. Weekly report, 23/10/1943, US NARA, Record Group 407, Entry 427, Box 2216.
628 In tal senso anche Andreas Kunz, Wehrmacht und Niederlage, cit., p. 268.
629 Benjamin Ziemann, Fluchten aus dem Konsens zum Durchalten, cit., p. 597.
630 Carlo Gentile, I crimini di guerra, cit., pp. 136-146.
631 Cfr. Manfred Messerschmidt, Die Wehrmachtjustiz, cit., p. 161 e ssg. Qui è offerta anche un’analisi comparativa del numero dei reati documentati per quanto riguarda l’esercito tedesco, quello giapponese, americano, inglese, francese e sovietico. Per la partecipazione di soldati tedeschi ai movimenti di resistenza europei anche Gerhard Paul, Die verschwanden einfach nachts, cit.
Francesco Corniani, “Sarete accolti con il massimo rispetto”: disertori dell’esercito tedesco in Italia (1943-1945), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2016-2017

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Vario fu l’atteggiamento del movimento partigiano nei confronti dei disertori tedeschi collasgarba.wordpress.com/2025…


Vario fu l’atteggiamento del movimento partigiano nei confronti dei disertori tedeschi


Il contributo che i disertori [tedeschi] diedero alla lotta di Liberazione è di difficile valutazione dal punto di vista strettamente militare, perché per molti di loro non si hanno sufficienti informazioni, mentre in molti altri casi le informazioni disponibili provengono da un’unica fonte (ovvero partigiana) e furono prodotte spesso in momenti particolari che ci costringono per lo meno ad interrogarci sulla loro attendibilità (vale a dire in previsione cioè del rimpatrio nei paesi d’origine o in vista del lavoro delle commissioni per il riconoscimento delle qualifiche partigiane).
Si deve comunque considerare come molto spesso ad unirsi alle forze ribelli furono soldati che avevano già in passato combattuto su diversi fronti; la loro esperienza poté quindi rappresentare un valido aiuto, per un esercito come quello partigiano che era in buona parte costituito da civili con scarsi precedenti di guerra.
Deve essere valutato anche il contributo offerto da quanti, pur non lasciando le fila del proprio esercito, collaborarono in modi differenti fornendo, ad esempio, armi e materiale o informazioni di carattere militare (spostamenti delle truppe, loro armamento, nominativi circa le persone con ruoli di comando, morale all’interno delle formazioni). Degni di ulteriori ricerche sono anche gli episodi che videro il supporto della popolazione civile e degli enti religiosi a questi soldati in fuga in Italia, sia durante che al termine del conflitto.
Vario fu l’atteggiamento del movimento partigiano nei confronti di quanti si consegnarono alle formazioni ribelli. La diserzione venne sicuramente considerata un fattore importante, sia da parte dei partigiani che degli alleati per lo svolgimento della guerra, come dimostrano i vari appelli lanciati in tal senso tramite volantini o altro materiale. Non mancarono però atteggiamenti di diffidenza, in particolare verso i disertori di origine germanica, motivati dal timore che tra di esse si potessero nascondere spie e infiltrati. Fondamentali per il giudizio dei partigiani erano anche le condizioni nelle quali questi soldati disertavano (ad esempio portando o meno con sé le armi) o venivano fatti prigionieri (opponendo o meno resistenza).
In alcuni casi, soprattutto negli ultimi mesi di guerra, si provvide a far loro “passare il fronte”, consegnandoli cioè agli alleati, sia perché essi stessi non intendevano continuare a combattere a fianco dei partigiani, sia perché il loro numero era aumentato in modo eccessivo e ciò poteva rappresentare un ostacolo a livello organizzativo, trattandosi spesso di persone che avevano disertato principalmente perché avevano riconosciuto come ormai persa la guerra.
Sicuramente le scelte dei disertori della Wehrmacht contribuirono anche al fatto che si iniziasse a valutare il nemico non più come un blocco omogeneo, ma a riconoscerne le specificità e le differenze (provenienza geografica, carriera militare, ruolo nell’esercito). Tali dettagli vennero a volte utilizzati come elemento discriminante nel decidere riguardo la prigionia, l’ingresso nelle formazioni o ancora l’uccisione di quanti venivano catturati, ma vennero anche sfruttati proprio per indebolire il fronte avversario, come nel caso degli specifici appelli alla diserzione lanciati da partigiani e alleati.
Questa differenziazione su base etnica ebbe però anche la conseguenza di relegare ai margini il riconoscimento nei confronti di quei soldati provenienti dalla Germania che decisero di ribellarsi al nazifascismo in Italia e di continuare la guerra all’interno delle formazioni partigiane. Ad essere riconosciuto, al contrario, fu il contributo soprattutto di sovietici e jugoslavi, sia perché rappresentavano una maggioranza all’interno di queste formazioni, sia perché facenti parti di nazioni che uscirono come vincitrici dalla guerra, sia infine per le affinità ideologiche di molti di questi con le bande partigiane di ispirazione comunista. Ricordare il contributo dei soldati provenienti dal blocco sovietico significava (anche) contrapporsi alla forza politica e militare americana, che nei nuovi equilibri creatisi in seguito alla guerra aveva nella Germania federale uno dei suoi primi alleati strategici in Europa. Come già riportato al termine del V capitolo, furono poi gli stessi soldati provenienti da questi paesi ad aver maggior interesse a veder riconosciuto, anche tramite i certificati prodotti nel dopoguerra, il ruolo che essi avevano svolto all’interno delle formazioni partigiane italiane, attestati che avrebbero anche dovuto avere una funzione riabilitativa rispetto alla loro passata militanza nell’esercito nazista.
Anche questo aspetto, come gli altri messi in luce nel VI capitolo, fece sì che molte delle esperienze di lotta dei soldati tedeschi andarono perse nel dopoguerra; circostanza questa che contribuì così al consolidarsi nella storiografia italiana di un’immagine che identificava il nemico nel “cattivo tedesco” <632 e che non contemplava la possibilità che ci potesse essere, anche tra questi soldati, chi si fosse ribellato alla guerra nazista.
Ricostruire la storia di quanti decisero di abbandonare le fila dell’esercito nazista, pur con la molteplicità di motivazioni che fu alla base di tali scelte, ci permette viceversa di porre in discussione questa costruzione e di ribadire il ruolo di internazionalità della lotta al nazifascismo.
Ci aiuta però anche a ricordare come, anche nelle condizioni più difficili, ci furono persone capaci di interrogarsi e riflettere sulla giustezza o meno del proprio comportamento e di quanto veniva loro ordinato di fare, insegnamento questo in grado di superare ogni limite temporale e geografico.
Forse le loro storie ci aiutano anche a rispondere a quanto affermò alcuni anni fa Nuto Revelli, che aveva prima combattuto in Russia ed era poi stato partigiano in Italia, il quale ripensando alla sua esperienza in guerra scrisse: “Non provo alcuna pietà nei confronti dei tedeschi. Ma se è esistito anche un solo tedesco diverso dall’immagine che io mi ero fatto di loro, vorrei proprio conoscerne la storia” <633.

[NOTE]632 Filippo Focardi, Il cattivo tedesco e il bravo italiano, cit. Su questo tema anche Massimo Castoldi (a cura di), 1943-1945: i «bravi» e i «cattivi». Italiani e tedeschi tra memoria, responsabilità e stereotipi, Donzelli Editore, Roma, 2016.
633 Nuto Revelli, Il disperso di Marburg, Einaudi, Torino, 1994, p. 35.
Francesco Corniani, “Sarete accolti con il massimo rispetto”: disertori dell’esercito tedesco in Italia (1943-1945), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2016-2017

#1943 #1944 #1945 #alleati #disertori #Esercito #fascisti #FrancescoCorniani #guerra #jugoslavi #nazista #partigiani #Resistenza #sovietici #tedeschi







Söder beim Döner: Genial oder würdelos? reitschuster.de/post/soeder-be… Mein Kollege Klaus Kelle feiert Söders Ess-Videos als PR-Coup. Ich halte sie für eine Selbstverzwergung der Politik. Ein Experiment: Erst sein Kommentar, dann mein Gegenkommentar – und Sie haben das letzte Wort.
Der Beitrag Söder beim Döner: Genial oder würdelos? erschien zuerst auf reitschuster.de. #news #press


La bande de Gaza anéantie par les monstres sionistes.
Des psychopathes dangereux..... pour en arriver à un tel niveau de destruction. Acharnement à détruire et éradiquer les palestiniens et leur culture.

Les sionistes paieront ils un jour pour tous ces crimes ?
#gaza
#FreePalestine
#stopTheDestructions
#stopTheGenocide
#stopTheWar

@palestine



Quella che osservate in questo vetrino da microscopio è la sabbia raccolta sul bagnasciuga della spiaggia di Capo Passero (Siracusa).

In questa zona la sabbia non è formata solo granuletti di quarzo e altri minerali ma anche da resti di microrganismi marini (foraminiferi, in rosa) e resti di piccoli molluschi, spugne, ricci di mare e spugne.



Ah, bedtime, when my dreams turn my fears into strange little plays

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Wordle 1,533 3/6

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Ermittlungen im Nord-Stream-Fall: Belastungsprobe für die Ukraine-Verhandlungen? de.rt.com/meinung/254642-einfl… Die Ermittlungen zum Anschlag auf Nord Stream entwickeln sich zu einem geopolitischen Faktor. Sie berühren nicht nur die Zukunft der Ukraine, sondern auch die Sicherheitsarchitektur Europas – und könnten Teil eines möglichen Deals zwischen Washington und Moskau werden. #news #press


Moin! ☕️☕️☕️😊
Man ist seines eigenen Glückes Schmied. Allerdings haben die meisten von uns keine Ausbildung zum Schmied gemacht.
Daran wird’s sicher liegen.

#moin #gutenmorgen #fun #humor #humour #fotografie #photography #photo #quote #myphoto



‘No Other Choice’, cattivissimo (e magnifico) Park Chan-wook | 'No Other Choice', la recensione del film di Park Chan-wook da Venezia 82Rolling Stone Italia
https://www.rollingstone.it/cinema-tv/film/no-other-choice-cattivissimo-e-magnifico-park-chan-wook/1003056/?utm_source=flipboard&utm_medium=activitypub

Pubblicato su Rolling Stone Italia @rolling-stone-italia-RollingStoneIta



Ahja, der Troll-Heini, der laufend Spam-Accounts erstellt, scheint wohl ausgeschlafen zu haben... ich vermute mal, er war also bis vor kurzem im Urlaub. Jeder braucht halt mal Urlaub, nicht wahr?! 😉

Nachdem das gestern wieder los ging mit diesen angeblichen Mastodon-Support-Accounts ist gerade wieder ein neuer bei mir aufgetaucht:


mas.to/@SupportTeam3


Also melden, blockieren und weiter.

#Fediverse, #Spam, #Phishing

in reply to Jools

@Jools Dafuer sind Hashtags wie #FediBlock doch bestends geeignet und nicht um jemanden politisch unerwuenschten zu diffamieren.
Questa voce è stata modificata (4 settimane fa)
in reply to Jools

@Jools Ja, da gibt es viele, die z.B. gueltige westliche Narrative widersprechen. Duese sind im Grunde genommen politisch Unerwuenschte, da deren politische Meinung nicht gewuenscht ist. Es geht los mit Trans, geht ueber Ukraine bis zum Gaza-Streifen weiter.
in reply to Roland Häder🇩🇪

@Roland Häder🇩🇪 Das wäre echt schön, wenn du es bleiben lassen könntest, meine Post, die über Spam informieren, mit solchen politischen Äußerungen zu stören.
in reply to Jools

@Jools Ich hatte es nur angedeutet, dass der Hashtag #FediBlock fuer solch derartige Meldungen geeignet ist, da somit die Weiterverbreitung und somit schneller Sperre erreicht werden kann. Beitraege verbreiten sich im Fediversum besser ueber geeignete Hashtags, z.B. #Kultur , #Wetter usw. wenn dann Konten diesen Hashtags folgen, kommen diese Beitraege schneller dort an. Im Fediversum wird mehr per Hashtag - also indirekt - gefolgt, als einem direkten Konto. Alternativen wie Gruppen/Foren gibt es natuerlich auch.
in reply to Jools

@Jools Und ein kleiner Tipp mit Umgang mit Scam/Spam-Konten: Bitte NICHT verlinken! Das bringt noch mehr Traffic dort direkt hin. Also mit anderen Worten, verpacke die Profil-URL oder den @-Handle in einen code-Block, z.B.: https://mas.to/@SupportTeam3. Jeder kann dann diese URL selber manuell kopieren und dann aufrufen. Verlinkung ist nicht erforderlich.
Questa voce è stata modificata (4 settimane fa)


@classicalmusic
Sa 30.08.|20:03 - 23:00
Musikfest Berlin
Live - zeitversetzte Übertragung aus der Philharmonie Berlin

Luciano Berio/Franz Schubert: "Rendering";
Béla Bartók: Konzert für Orchester

Concertgebouw-Orchester Amsterdam
Leitung: Klaus Mäkelä

br.de/radio/live/br-klassik/pr…

#music #classic #concert #live



Incontri....dopo la pioggia .....

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#politiek #eu

Er is een informele top van buitenlandse zaken geweest voor de EU in Denemarken.

Besproken zijn in elk geval: Oekraïne, Iran, Israël

De Franse minister zegt over Israël dat het niet voldoet aan EU eisen en dat de ministers zaken meegeven voor de raad van regeringshoofden en dat ook nationale maatregelen getroffen kunnen worden. (Vanaf 5:20)

Hij zegt ook dat Duitsland en Frankrijk schrijven aan gezamenlijke routes van beleid voor een sterk Europa.

newsroom.consilium.europa.eu/e…



Ponte sul Serchio, per Fantozzi e Buchignani (FdI): “Strumento elettorale”
"Un approccio serio dovrebbe mettere in evidenza i meriti del centrodestra dell’epoca"

luccaindiretta.it/politica/202…



Ottimo!! 😁
Windows 11, il mistero dei guasti agli SSD si infittisce: Microsoft non trova bug - HDblog.it share.google/4IljYhjMmXqaaqnk6

Alfonso reshared this.



Google is enhancing security with their new developer verification for sideloaded Android apps! This game-changer ensures better accountability for users everywhere. Stay protected and enjoy a safer online experience. 🛡️📲 #Google #AndroidSecurity #DeveloperVerification #TechNews
squaredtech.co/google-verifica…


Community Organizers Conf — a half-day mini-conference for PostgreSQL event and meetup organizers, at PGConf.EU 2025, Oct 21 from 13:30–17:00 in Room Gamma.

Bring your stories—what succeeded, what didn’t, and what’s next. 2025.pgconf.eu/community-event…
#postgresql #pgconfeu



oh hey NEW PIVOT TO AI T-SHIRT DESIGN UP

also on mugs, etc

looks faaantastic

redbubble.com/shop/ap/17330478…

coming soon:
* black text
* no text

the redbubble shop has an interface from 2013 that sucked then too, so those will be tomorrow




in reply to 𐌐𐌀Ꝋ𐌋Ꝋ

@steek_hutzee se decido di non indossare più una felpa, la metto nei cassonetti dove recuperano al meglio i tessuti/abbigliamento. I cani -vivi- dove andrebbero smaltiti ? Nei canili?
in reply to Cesare

Il buon senso vorrebbe così. Non vuoi/puoi più tenere il tuo cane, lo affidi ad una struttura che se ne possa occupare e che magari riesca a trovargli una nuova famiglia.
Purtroppo, lo vediamo tutti i giorni, non è quello che accade e l'abbandono degli animali avviene sempre indiscriminatamente in ogni dove mettendo anche a rischio la vita, non solo dell'animale, ma anche degli automobilisti che rischiano di investirli per strada.


Milky Way, Gordana Lesic, Watercolour, 2025

Pixel art done by durian_soup at r/Art.
#pixelart #pixel #art #indiedev




#idw #Klima Möglicher Zusammenbruch der atlantischen Umwälzzirkulation nach 2100 bei hohem Emissionspfad.

In Szenarien mit hohen Treibhausgasemissionen könnte die Atlantische Meridionale Umwälzströmung (#AMOC) – ein zentrales System von Meeresströmungen, zu dem auch der #Golfstrom gehört – nach dem Jahr 2100 zusammenbrechen. Das zeigt eine neue Studie mit Beteiligung des Potsdam-Instituts für Klimafolgenforschung (#PIK). idw-online.de/de/news857094

in reply to Speckdäne

Rahmsdorf hat gestern geschrieben, dass selbst bei 1,5° die meisten Modelle nach 2100 einen Zusammenbruch vorhersagen. Oder hab ich mich da verlesen?
Questa voce è stata modificata (4 settimane fa)
in reply to schrotie

@schrotie Ich weiß nicht was Rahmsdorf gestern geschrieben hat, und es sind alles Modelle, also mit Unsicherheiten in Details behaftet, aber es sieht generell nicht schön aus.


Would one expect anything else from an administration run by a convicted felon who admires Al Capone and whose mentor was the disbarred crook lawyer Roy Cohn?

Son-pardoner #Biden also supported the #Nazi inspired #genocide of #Palestinians led by #warCriminal #Israeli #Netanyahu, but to his credit (#sarcasm), he was a "decent" man compared to the "alternative" (per his request). A faithful Catholic, above all, who welcomed the #fascist to the #WhiteHouse.

theguardian.com/world/2025/aug…

#Gaza #USpol






Sensitive content




not news to anybody at this point, but I had to do the obligatory ⤴️

Maddow Blog | Iowa’s Joni Ernst to retire from Congress, despite pressure from Republican leaders


msn.com/en-us/news/politics/ma…

in reply to Lisa Stranger

"In 2013, she voted for a fetal personhood amendment in the Iowa Senate and has said that she would support a federal personhood bill." (source wikipedia). Conflating a fetus with a fully developed baby is huge concern. From a biology standpoint there is little difference between the cow fetus and a human fetus. But there is a huge difference between a human fetus and fully alive cow eating in pasture. It is fully conscious being with awareness of its environment and ability to feel pain. It may have some ability to form friendship with humans and other cows. Yet we routinely kill and eat such animals. So concerned we can become about losing votes to gun advocates that serious conversations on the role easy access to guns plays in the death of other humans that the conversation cannot even get started. Look Ms. Ernst -- I don't know anyone who advocates for abortion. Most agree it is a difficult choice often made under duress. But it doesn't help anyone to make up nonsense claims about fetuses being "persons", like you know, real live people, including children who must now fear for their safety at churches and schools!