Riconoscere
Il libro, scritto a due mani, presenta il tema del riconoscimento sotto il profilo psicologico, filosofico e biblico. Ma non manca di dare la parola ad altri saperi, come la mitologia e la letteratura, che aprono rispettivamente la prima e la seconda parte del testo. Nell’incontro-scontro tra Diomede e Glauco, narrato nel libro VI dell’Iliade, il dialogo e la descrizione della discendenza portano la relazione su un piano differente, riconoscendo nell’altro non più un nemico da abbattere, ma la comune appartenenza umana, che sfocia in amicizia: «Da questo riconoscimento reciproco i due vivono come una conversione: dalla violenza della guerra all’accoglienza dell’altro come scambio di doni […]. Mentre si realizza il riconoscimento dei due, l’uno a partire dall’altro, avviene il riconoscimento di sé, di atteggiamenti e valori che fanno umano il vivere» (p. 15). Questo brano indica la linea di lettura del tema: ci si conosce nella relazione con l’altro, che ci riconosce come persona, portatrice di un valore e una dignità presenti per il fatto stesso di esserci.
Le pagine successive del libro riprendono gli elementi della narrazione mitologica e li esplicitano, presentando un percorso di riconoscimento. La psicologia dello sviluppo nota giustamente che la prima parola del bambino non è «io», ma «mamma»: lo sguardo della madre diviene una sorta di specchio in cui il bambino vede sé stesso e, se lo sguardo è di accoglienza e affetto, il bambino riconosce ed esprime le proprie capacità, senza timore.
Anche la filosofia si è occupata del tema, in particolare il filosofo francese Paul Ricoeur, che vi ha dedicato la sua ultima opera Percorsi del riconoscimento. Egli presenta tre aspetti che favoriscono tale atteggiamento: anzitutto, la fiducia di aprirsi al dialogo e alla comunicazione, pur trovandosi su posizioni differenti, anche conflittuali (come nel caso di Diomede e Glauco); un passaggio ulteriore viene dalla considerazione dell’altro in termini di rispetto, cioè in quanto portatore di diritti e doveri, il che consente di vivere in maniera costruttiva gli aspetti problematici dell’incontro; vi è infine la stima, cioè il riconoscimento del valore inestimabile che abita l’altro. Si tratta di una gradualità di presenze che rendono possibile il riconoscimento: «presenza di ciascuno a sé stesso, presenza di ciascuno all’altro, presenza di entrambi all’incontro» (p. 36). In questo senso, la relazione non è semplicemente qualcosa di aggiunto, ma una vera e propria entità che rende possibile l’accesso alla verità di sé stessi.
Il riconoscimento può anche non avvenire (la vicenda di Diomede e Glauco è in molti casi un’eccezione), oppure degenerare in forme tiranniche (come avviene a chi è riconosciuto capo di un’associazione a delinquere). La maniera con la quale ci si relaziona è affidata alla libertà di ciascuno e soprattutto alla presenza dei valori che vi conferiscono la qualità. Un valore fondamentale che fa la differenza tra questi differenti esiti è la gratitudine, il «riconoscimento» vissuto come «riconoscenza»: significati entrambi compresi nella parola francese reconnaissance e che a loro volta rimandano alla «gratuità» (dal latino gratia), al vedere le cose e gli altri sotto il segno della bontà, perché vi si intravede la presenza del divino. È sempre la mitologia greca a suggerire questo ulteriore significato.
La seconda parte del libro si apre con un passo dell’Elena di Euripide: «È un dio che ci fa riconoscere quelli che amiamo» (p. 61). Il riconoscimento come possibile accesso all’esperienza di Dio viene mostrato da alcuni brani biblici, in particolare dal dialogo tra Gesù e la samaritana (cfr Gv 4,1-42). In esso si possono ritrovare quei salti di qualità nella relazione che erano indicati nella prima parte: anzitutto, il sospetto, motivato dalla differente e conflittuale appartenenza (giudeo/samaritana); a esso segue un atteggiamento differente, quando Gesù rimanda al vissuto della donna (i cinque mariti), presentato in una maniera che non espone al giudizio, ma, appunto, al riconoscimento. Lo si nota dalla risposta della donna, che a sua volta riconosce in Gesù un profeta e successivamente il Messia, aprendosi così al mistero di Dio.
Non mancano neppure esempi di incontri mancati, come nell’episodio del giovane ricco (cfr Mt 19,16-22): è una conferma che il riconoscimento è sempre frutto della libera apertura di sé all’altro, e la tristezza del giovane sta a indicare la valutazione di tale esito. Quando invece ci si apre alla possibilità di essere interpellati da Gesù – come nel caso dei discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35) –, la tristezza si tramuta in gioia. Una gioia che è anticipo del riconoscimento definitivo, proprio della vita eterna.
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