L’Etiopia alla ricerca del suo mare
Avviso contenuto: Nel mondo ci sono 44 Paesi senza accesso al mare: poco più di un quinto dei 193 riconosciuti dalle Nazioni Unite. Per questi Stati, il mancato sfruttamento di acque territoriali, zone costiere e, soprattutto, le maggiori difficoltà nel partecipare ai traf
Nel mondo ci sono 44 Paesi senza accesso al mare: poco più di un quinto dei 193 riconosciuti dalle Nazioni Unite. Per questi Stati, il mancato sfruttamento di acque territoriali, zone costiere e, soprattutto, le maggiori difficoltà nel partecipare ai traffici marittimi rappresentano un notevole svantaggio economico e spesso li pongono in una relazione di dipendenza rispetto ai propri vicini costieri.
L’Africa subsahariana ospita la più alta concentrazione di questi Stati “chiusi”, detti landlocked countries. Sotto il Sahara ne troviamo sedici, tra cui il Paese senza accesso al mare più popoloso al mondo, che sulla ricerca di uno sbocco marittimo ha improntato gran parte della propria politica estera tra Ottocento e Novecento. Parliamo dell’Etiopia e del suo recente tentativo di garantirsi il tanto agognato accesso al Mar Rosso mediante un accordo con il governo autonomo del Somaliland, regione secessionista della Somalia settentrionale che, a oggi, non gode del riconoscimento di alcuno Stato.
Il Regno di Axum e la perdita del mare
La ricerca di una porta d’ingresso sul Mar Rosso affonda radici lontane nella storia etiope e richiama il passato del Regno di Axum (IV-I secolo a.C.-X d.C.), che nel periodo di massima estensione arrivò a controllare Etiopia, parte del Sudan e dell’Egitto meridionale, le coste dello Yemen e dell’Arabia Saudita, oltre all’Eritrea e alla Somalia occidentale. Dopo il declino del regno, iniziato nel X secolo, la sua eredità politica fu raccolta dalla dinastia Zagué, quando nel 1137 il suo capostipite Mara Teclè Haimanòt sposò la figlia dell’ultimo re di Axum, Dil Na’od.
Con il rovesciamento degli Zaguè a opera del principe Yekuno Amlak, nel 1270, si identifica tradizionalmente la nascita dell’Impero etiope, che dominò sull’altopiano abissino per i sette secoli successivi. In epoca medievale, i suoi monarchi coltivarono l’ambizione di tornare a controllare i punti di accesso al Mar Rosso. A far tramontare definitivamente questo sogno fu però l’insediamento dei turchi ottomani che, nel 1557, presero il porto di Massaua, nell’odierna Eritrea.
Fino a quel momento l’Impero etiope aveva continuato a esercitare una propria influenza sulla costa sud-occidentale del Mar Rosso e, in particolare, sul porto di Adulis, nei pressi dell’attuale città eritrea di Zula. Perso l’accesso al mare, l’Impero abissino vide ridursi in modo irreparabile la sua capacità di commercio e scambio diplomatico e culturale con le altre culture della costa africana e della penisola araba.
Dopo un lungo periodo di frammentazione del potere che prese il nome di “Era dei Principi” (1750 circa-1855), l’Impero etiope venne parzialmente riunificato da Teodoro II (1855-1868) e i suoi confini si allargarono verso est e sud-ovest con le campagne militari dell’imperatore Menelik II (1889-1913).
Ma l’ambizione per un ritorno alle coste, con il progressivo ritiro dei turchi, venne frenata dai piani coloniali degli europei. All’alba della Prima guerra mondiale, l’Etiopia si trovava ancora stretta nell’entroterra a causa della presenza degli italiani in Eritrea e Somalia, dei francesi a Gibuti e degli inglesi in quello che attualmente è il Somaliland. La stessa Etiopia sarebbe caduta sotto il giogo del colonialismo italiano di lì a breve, venendo occupata dal regime fascista nel 1936, con Addis Abeba scelta come capitale della nuova Africa orientale italiana (AOI).
L’annessione dell’Eritrea nel 1952
Quando, nel 1941, l’avanzata dei britannici nel Corno d’Africa provocò il crollo dell’AOI e permise il ritorno in patria del negus Hailé Selassié (1931-1974) dopo cinque anni di esilio, si pose il problema di cosa fare con i vecchi possedimenti italiani. La sovranità di Selassié sull’Etiopia venne riconosciuta dai britannici nel 1942, ma rimaneva da stabilire il destino di Eritrea e Somalia. Se, nel caso di quest’ultima, le Nazioni Unite optarono per un mandato decennale di amministrazione fiduciaria italiana, con l’Eritrea Selassié intendeva far valere le proprie pretese politiche, sostenute da motivazioni storiche e culturali.
Conclusa la guerra, la questione eritrea passò all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che nel 1949 istituì una commissione di inchiesta. Nel suo mandato, questa si impegnava a prendere in considerazione «i diritti e le richieste dell’Etiopia, sulla base di ragioni geografiche, storiche, etniche o economiche, incluso, in particolare, il diritto legittimo dell’Etiopia a un adeguato accesso al mare».
Sul tavolo della commissione le opzioni erano quindi inizialmente due: il riconoscimento dell’indipendenza dell’Eritrea o l’annessione all’Etiopia. Eppure, dopo due anni di lavori, la commissione scelse un’ardita soluzione di compromesso: una federazione tra l’Etiopia, monarchica, e l’Eritrea, repubblicana.
La nuova Federazione, proclamata nel 1952, ebbe vita breve. In pochi anni, i suoi organi istituzionali, sulla cui integrità si erano fatte garanti le Nazioni Unite, vennero svuotati di ogni prerogativa e gradualmente inglobati nella macchina di governo imperiale, fino a che, nel 1962, l’Eritrea fu ufficialmente annessa all’Impero etiope.
Con l’annessione, Selassié realizzò ciò che non era riuscito a Menelik II, ovvero guadagnare un accesso al Mar Rosso attraverso i porti eritrei: Assab e Massaua. Durante la visita ufficiale del 23 gennaio 1963, l’Imperatore si rivolse così a cadetti della scuola navale di Massaua: «Fino a qualche tempo fa, noi etiopi giustificavamo il ritardato progresso del Paese con il fatto che i nostri porti marittimi e le nostre acque territoriali erano in mani straniere. Ma oggi, finalmente, siamo tornati in possesso delle nostre coste e dei nostri porti».
L’indipendenza dell’Eritrea e la guerra del 1998
Per trent’anni Addis Abeba si avvalse della sua provincia eritrea per aprirsi al commercio via mare con il resto del mondo. Già dagli anni Sessanta, però, l’insorgere dei primi movimenti indipendentisti armati eritrei aveva di nuovo messo in discussione il controllo etiope su queste coste strategiche. Per ottenere con le armi l’indipendenza del Paese, le forze del Fronte popolare di liberazione eritreo (Eplf) si scontrarono dapprima con gli eserciti dell’Impero di Selassié e poi contro il regime militare del Derg, che gli succedette nel 1974 con un colpo di stato.
Nel maggio 1991, mentre il movimento alleato dell’Eplf, il Fronte popolare di liberazione tigrino (Tplf), dava l’assalto alla capitale Addis Abeba per far capitolare il Derg, i ribelli eritrei avevano ormai esteso il loro controllo su tutto il Paese. Con l’indipendenza di Asmara, formalizzata tramite referendum nel maggio 1993, la nuova Etiopia federata si trovava, ancora una volta, priva di sbocchi sul mare.
Come se non bastasse, i due movimenti alleati, ora al governo dei rispettivi Stati (il Tplf in Etiopia e l’Eplf in Eritrea), vennero presto ai ferri corti per la difficoltà di armonizzare le rispettive agende economiche e la mancata definizione dei confini interstatali. Proprio a causa di un incidente di frontiera scoppiò, nel 1998, una guerra tra Etiopia ed Eritrea, durata due anni. Addis Abeba, che fino a quel momento aveva continuato a utilizzare i porti eritrei, fu costretta a cercare un’alternativa per far arrivare le proprie merci al Mar Rosso. Alternativa che fu trovata nell’ex-colonia francese di Gibuti.
Per quasi vent’anni, oltre il 90% dei beni di esportazione etiopi è transitato per i porti di questo piccolo Paese del Corno d’Africa, con l’effetto che l’economia di Addis Abeba si è trovata a dipendere fortemente da un singolo Stato confinante. A questa vulnerabilità strategica, si aggiunge il fatto che proprio a Gibuti, su una superficie poco più estesa della Toscana, sono concentrate le forze militari di otto potenze straniere.
La corsa di Abiy Ahmed verso le coste
Secondo le stime demografiche, la popolazione etiope, che oggi si aggira attorno ai 120 milioni di persone, potrebbe raggiungere i 150 milioni entro il 2030 e superare il tetto dei 200 milioni nel 2050.
Per gestire e agevolare la crescita vorticosa del mercato etiope occorre un piano organico di sviluppo dei sistemi di trasporto regionali e delle infrastrutture portuali. In quest’ottica, il Primo ministro Alì Abiy Ahmed, al potere dal 2018, ha assunto a fondamento della sua politica estera la volontà di porre fine alla chiusura geografica dell’Etiopia e la necessità di moltiplicare le vie di accesso al mare.
Sul piano diplomatico, Addis Abeba si è mossa per appianare le relazioni con i vicini costieri (Somalia, Sudan, Eritrea e Gibuti), anche con l’obiettivo di garantirsi migliori condizioni di accesso ai porti del Mar Rosso. Di qui, l’attivismo del governo etiope in progetti come la modernizzazione di Port Sudan, il potenziamento di quattro porti somali e l’aumento della capacità infrastrutturale del porto di Gibuti.
L’accordo con il Somaliland
Il primo gennaio 2024, il Somaliland e l’Etiopia hanno siglato un memorandum d’intesa per la concessione, della durata di cinquant’anni, di un’area che si estende per 20 chilometri nei pressi del porto di Berbera, antistante il Golfo di Aden. Attraverso questo lembo di costa, l’Etiopia mira al dispiegamento di una forza marina, militare e commerciale, nel Mar Rosso. In cambio, secondo il ministro degli Esteri del Somaliland Essa Kayd, Addis Abeba si impegnerebbe a riconoscere in futuro il governo autonomo.
Il Somaliland ha investito molto negli ultimi anni nel potenziamento delle proprie infrastratutture commerciali, anche nell’ottica di utilizzarle per accreditarsi internazionalmente. Il memorandum con l’Etiopia è in questo senso parte di una strategia volta a ottenere il tanto agognato riconoscimento dell’indipendenza mediante la sottoscrizione di accordi commerciali ed economici e lo sfruttamento della propria posizione geografica.
In risposta, Mogadiscio ha richiamato il suo ambasciatore in Etiopia e denunciato l’accordo come illegittimo, poiché sottoscritto da un’autorità non riconosciuta, nonché un’inaccettabile violazione della sovranità nazionale. Il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud ha inoltre avvertito l’Etiopia riguardo le conseguenze dell’implementazione dell’accordo, anche se per il momento si è esclusa l’opzione militare.
L’Egitto, che con l’Etiopia già versa in cattivi rapporti a causa della disputa sulle acque del Nilo, si è allineato a Mogadiscio. Nel corso di una conferenza stampa durante la visita del presidente somalo a Il Cairo, il capo di stato egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha affermato che «l’Egitto non permetterà a nessuno di minacciare la Somalia o di comprometterne la sicurezza», con chiaro riferimento all’Etiopia e alle sue iniziative in Somaliland.
Il memorandum di intesa con il Somaliland è l’ultimo tassello di una lunga storia che lega Addis Abeba alle coste eritree e somale, nella ricerca di uno sbocco sul Mar Rosso che possa dare sfogo all’espansione commerciale (nonché politica) di questo colosso demografico. La volontà etiope di ottenere un accesso diretto al mare si è spinta ora al punto da incrinare i rapporti con la Somalia, dopo il riavvicinamento degli ultimi anni. Se la firma dell’accordo col Somaliland ha già aggravato l’instabilità nella regione, la sua implementazione potrebbe innescare drammatiche conseguenze per la sicurezza del Corno d’Africa.
Fonti e approfondimenti
Al Jazeera, “‘Don’t do it’: Somali president warns Ethiopia over Somaliland port deal”, 23/01/2024.
Del Boca, Angelo. 1995. Il Negus: vita e morte dell’ultimo re dei re. Laterza. Roma.
Wrong, Michela. 2005. I didn’t do it for you: How the world used and abused a small African nation. Harper Perennial. Londra.
Gulaid Yusuf Idaan, “Undying ambition Ethiopia’s enduring quest for access to the sea – historical foundations, geopolitical strastegies, and regional implication”, Somaliland Standard, 27/11/2023.
Kalkidan, Yibeltal, Ethiopia signs agreement with Somaliland paving way to sea access, BBC, 02/01/2024.
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