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L’Egitto e i Fratelli Musulmani


Manifestazione di protesta contro la visita di al-Sisi a Londra nel 2018.
Tra l’Egitto e il movimento fondamentalista dei Fratelli Musulmani esiste un rapporto molto stretto, per almeno due ragioni: il movimento è nato subito dopo la Prima guerra mondiale sulle rive del Nilo, per poi espandersi in tutto il Medio Oriente; inoltre, la storia moderna dell’Egitto è stata interamente attraversata, fino ai nostri giorni, dal confronto con la Fratellanza.

Il generale Abdel-Fattah al-Sisi, al governo del Paese già dal 2013, in seguito a un’insurrezione popolare, al tempo capeggiata dalle forze laiche ostili al governo islamista della Fratellanza, era riuscito a deporre l’esecutivo in carica dalla guida del Paese e aveva subito iniziato una dura repressione nei confronti dei Fratelli Musulmani: molti capi furono incarcerati, altri lasciarono il Paese.

Nell’ottobre del 2021, il regime egiziano ha rimosso lo stato di emergenza istituito contro gli islamisti dopo il colpo di Stato del 2013, ma le principali misure repressive – limitazione del diritto di associazione, compressione di molte libertà civili – sono rimaste in vigore. Nel luglio 2022 le forze di opposizione hanno accolto con freddezza il lancio, da parte del governo in carica, di una proposta di dialogo nazionale tra le fazioni politiche. Questo avveniva in un momento in cui la crisi economica rischiava di far implodere il Paese e quando molti egiziani migravano verso l’Europa per sfuggire alla povertà: ad esempio, in Italia, in questi anni sono approdati più di 200.000 cittadini egiziani.

Negli ultimi tempi l’Egitto ha normalizzato le sue relazioni con numerosi Paesi e, in particolare, ha intensificato i rapporti con quelli geograficamente più vicini: i Paesi del Golfo, l’Arabia Saudita e il Qatar. Quest’ultimo, fino a poco tempo prima, era stato giustamente accusato dal Cairo di sponsorizzare e finanziare i Fratelli Musulmani e altre frange dell’islamismo radicale. Sono ripresi anche i rapporti con la Turchia, che erano diventati molto freddi a causa della vicinanza politico-ideologica di Erdoğan con la Fratellanza.

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Nel dicembre del 2023, il presidente al-Sisi ha vinto la sua terza competizione elettorale, con l’89,6% dei voti[1]. Aveva dovuto sfidare altri tre candidati, in realtà poco conosciuti e politicamente poco influenti[2]. L’affluenza alle urne è stata del 67% degli aventi diritto, decisamente più alta che nel passato. Molti tra gli osservatori e gli oppositori politici hanno parlato di «elezioni truccate» e di «elezioni farsa»[3]. Nei mesi successivi, soprattutto dopo l’inizio della guerra tra Israele e Hamas e l’invasione israeliana di Gaza, la crisi economica è peggiorata: l’inflazione ha superato il 40%, aggravata, inoltre, dalla parziale chiusura del Canale di Suez in seguito agli attacchi degli Houthi alle navi commerciali, e dal crollo del turismo, che rappresenta il 5% del Pil nazionale. Le decisioni di al-Sisi in materia economica non hanno fatto migliorare la situazione: egli si è rifiutato di ridurre l’impero economico dell’esercito, che «spiazza» il settore privato, e di bloccare la spesa statale per megaprogetti faraonici – come quello di costruire una nuova capitale per l’Egitto – e per l’acquisto di armi[4].

Negli ultimi tempi, con la guerra di Gaza, che ha provocato l’ammassarsi di centinaia di migliaia di profughi al confine egiziano[5], l’Egitto è divenuto un attore centrale in ordine alla risoluzione della crisi. Al Cairo, nel febbraio 2024, si sono tenuti importanti incontri tra i dirigenti della Cia e del Mossad, nei quali, con la mediazione dell’Egitto e del Qatar, si è discussa la possibilità di una tregua temporanea sulla Striscia di Gaza. A causa dell’indisponibilità degli attori principali (Hamas e Israele) a raggiungere un accordo, il negoziato si è arenato. Le parti hanno poi continuato a vedersi e a trattare a Parigi, a Doha e altrove, anche se spesso i risultati che sembravano raggiunti – cioè, un possibile cessate il fuoco fra le parti e il rilascio degli ostaggi – venivano smentiti dalla controparte. Il Qatar, che precedentemente si era ritirato nelle trattative tra Israele e Hamas e aveva invitato gli attivisti di questa organizzazione, che ha protetto per anni, a lasciare il Paese, l’8 dicembre ha ritrattato tale decisione[6].

Alcuni mesi fa sono aumentate le tensioni tra Israele e l’Egitto. Quest’ultimo, infatti, era preoccupato che centinaia di migliaia di profughi palestinesi potessero riversarsi nel proprio territorio. Finora il Cairo, nonostante le pressioni internazionali, ha preso la ferma decisione di tenere chiusi i confini, eccetto per gli aiuti umanitari concordati. Per evitare un attacco israeliano a Rafah, il governo egiziano ha anche minacciato di sospendere il trattato tra Egitto e Israele del 1979 – che costituisce la maggiore garanzia di stabilità della regione –, nel caso ci sia un illegale attraversamento di confini da parte dei palestinesi in fuga[7]. Il che, in realtà, «farebbe il gioco di Israele, che sarebbe così libero di ripopolare la Striscia»[8], come in più occasioni hanno dichiarato alcuni esponenti della destra governativa.

L’Egitto, dal canto suo, si è adoperato per rafforzare la frontiera con la Striscia di Gaza, costruendo anche un muro di cemento armato, nonché inviando truppe. Inoltre, ha creato nel deserto una zona cuscinetto per evitare di essere invaso dai profughi palestinesi. Alcuni palestinesi, però, riescono ad abbandonare la Striscia servendosi di visti turistici rilasciati da agenzie di viaggio egiziane[9].

Il Cairo teme che i rifugiati palestinesi si uniscano ai ribelli islamisti locali, e in particolare alle cellule ancora in vita dei Fratelli Musulmani, facendo così precipitare il Paese nel caos. Non dimentica, infatti, che il movimento di Hamas è una costola della Fratellanza, e che ogni occasione è buona per ricompattarlo. Pertanto i Fratelli Musulmani, a 10 anni di distanza, continuano a rappresentare per l’Egitto di al-Sisi un problema aperto, una ferita che non si riesce a rimarginare.

Il 17 marzo 2024 la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha firmato in Egitto, insieme ai capi di governo dell’Italia, della Grecia e dell’Austria, un partenariato strategico che prevede aiuti all’Egitto di 7,4 miliardi di euro, di cui 200 milioni per la gestione delle migrazioni[10]. Gli europei sono preoccupati per l’aumento dell’immigrazione irregolare provocata dalla guerra di Gaza, nonché per gli attacchi degli Houthi alle navi mercantili occidentali che attraversano il Mar Rosso. Questo accordo, sottoscritto al Cairo, è simile a quelli già firmati dall’Ue con altri leader – ad esempio, quelli del Niger –, allo scopo di frenare o limitare le migrazioni in Europa.

Tali patti possono essere comprensibili, dato lo stato di necessità; il problema, però, è se siano utili. Di solito di questi generosi stanziamenti beneficiano le éliteal potere, che così si rafforzano, e non la popolazione, spesso indigente. In ogni caso, i confini dell’Egitto sono e resteranno aperti, e i migranti potranno entrare e uscire liberamente, per cui, secondo alcuni osservatori, «milioni di euro sono stati gettati nella sabbia»[11].

Infine, alcuni critici del regime di al-Sisi da qualche anno denunciano la mania di grandezza dell’ex «maresciallo». Il suo antico progetto era di fare dell’Egitto un Paese all’avanguardia, aperto alla modernità e alle innovazioni tecnologiche, sul modello delle monarchie del Golfo. Per questo egli ha fatto costruire un nuovo Canale di Suez, parallelo al precedente, e una dozzina di nuove città. Inoltre, alla periferia del Cairo si sta lavorando alla costruzione di una nuova capitale, che verrebbe a costare 58 miliardi di dollari, e dell’edificio più alto dell’Africa. Con questi interventi costosi al-Sisi ha portato l’economia egiziana quasi al collasso: il debito assorbe oltre la metà del bilancio dello Stato, e l’inflazione alimentare è del 60%[12].

Certo, i progetti di modernizzazione in diversi settori – infrastrutture, informatica ecc. – hanno recato notevoli vantaggi al Paese. Anche alcune riforme in ambito giuridico, come quelle sull’abolizione delle norme che limitavano le riparazioni delle chiese cristiane (soprattutto copte) e quelle sull’emancipazione delle donne, sia nel diritto ereditario sia nel costume, sono certamente da apprezzare. I costi di tale «modernizzazione accelerata» stanno creando però difficoltà non solo di ordine economico, ma anche di ordine politico, e in alcune regioni dell’Egitto molti attivisti islamici rimpiangono i tempi in cui la Fratellanza faceva da argine a simili innovazioni. Inoltre, alcuni contestano lo spirito totalitario del regime e le ambizioni del suo capo. Pare che nelle prigioni egiziane siano ancora detenuti molti oppositori politici. Secondo alcuni osservatori, l’impopolarità di al-Sisi sta crescendo, e questo non depone bene per il futuro di un grande Paese che oggi ha più di 106 milioni di abitanti[13] e che non ha dimenticato l’esperienza, sia pure fallimentare, dei Fratelli Musulmani.

Nascita dei Fratelli Musulmani


La nascita dei Fratelli Musulmani avvenne verso la fine degli anni Venti del secolo scorso, quando l’Egitto iniziava ad affacciarsi alla modernità, secolarizzando le sue istituzioni e sperimentando un nuovo modo di vita e nuove forme di attività politica. Nel 1922, la Gran Bretagna, che da tempo dominava il Paese, concesse unilateralmente l’indipendenza e portò sul trono una sua creatura, il re Fu’ad. Negli anni successivi si tennero elezioni politiche con partiti formati secondo modelli occidentali. In quel periodo l’islam, che fino ad allora era stato al centro della società egiziana, fu estromesso dalla vita pubblica e dalla politica.

L’ascesa dei Fratelli Musulmani avvenne in tale contesto storico, segnato dalla crisi della cultura islamica e della sua spiritualità, e da qui prese lo slancio necessario per riconquistare la società egiziana, indirizzandola verso la «retta via». Il primo nucleo dei Fratelli fu fondato nel 1928 a Ismailia, nei pressi del Canale di Suez, dal maestro di scuola elementare Hasan al-Banna, affiliato a una confraternita mistica del luogo[14]. Il suo programma si basava su due idee centrali: lotta contro i dominatori stranieri corruttori della società egiziana e della sua antica cultura e, soprattutto, ritorno all’islam delle origini, denunciando le nuove eresie messe in circolazione dagli azharisti e dagli imam secolarizzati, assoldati dalla monarchia al potere.

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Secondo al-Banna, la ricostituzione della comunità dei fedeli, la Umma, doveva basarsi su una reale riforma della coscienza religiosa dei singoli credenti. Rieducare sé stessi, secondo il Corano, è fare il primo passo verso la creazione della società islamica. Il credente, compiuta la cosiddetta «riforma di sé», deve poi trasmettere questi valori alla sua famiglia, e infine impegnarsi perché l’intera società venga plasmata dall’autentica fede islamica[15]. Per questo i Fratelli Musulmani, a differenza di altri movimenti di rinnovamento spirituale sorti in quel periodo, attribuivano un’importanza decisiva all’insegnamento. Ciò rappresentò l’anello di congiunzione tra la riscoperta dei valori islamici tradizionali e l’innovativa propensione alla prassi, che caratterizzerà tutta l’attività della Fratellanza.

Il movimento «neoconservatore» dei Fratelli Musulmani ebbe una rapida espansione all’interno della società egiziana e si strutturò come un’organizzazione efficiente e molto attiva nel territorio. Subito dopo la Seconda guerra mondiale, contava già circa 1.500 «filiali», alle quali facevano capo più di 500.000 aderenti, fino a raggiungere nei decenni successivi il numero di un milione. Secondo al-Banna, la reislamizzazione dell’Egitto e del mondo arabo, che era il compito primario del movimento, non doveva essere frutto di un’imposizione dall’alto, ma di una crescita e di una presa di coscienza dal basso; in tal modo veniva rifiutato il ricorso alla violenza come strumento di penetrazione religiosa o di lotta ideologico-politica. La Fratellanza, soprattutto negli anni del dopoguerra, si espanse oltre i confini dell’Egitto: nuove filiali vennero infatti aperte nei Paesi del Vicino Oriente e dell’Africa, in particolare in Siria, Giordania, Tunisia, Marocco, Sudan ecc. Attraverso il moderno fenomeno dell’immigrazione araba in varie parti del mondo, i Fratelli Musulmani oggi sono presenti in molti Paesi occidentali, come gli Stati Uniti, la Francia, la Germania, e anche l’Italia[16].

L’immediato successo dei Fratelli Musulmani fu favorito, da un lato, dalla loro rigida ed efficiente organizzazione gerarchica e, dall’altro, dal loro radicamento sociale sia nelle classi povere sia nella media borghesia. La Fratellanza fu il primo movimento islamico in Egitto a combattere per l’alfabetizzazione, persino con programmi concordati con l’autorità pubblica. Significativa è stata la sua attività nella realizzazione di opere di assistenza sanitaria, come dispensari e ospedali, nonché nell’istituire borse di studio a favore di studenti non abbienti.

Negli anni successivi, la persecuzione e, in diverse occasioni, la soppressione del movimento islamista – accusato di favorire il fanatismo religioso e di complottare contro lo Stato – per motivi di ordine politico da parte dei nuovi rais dell’Egitto, sia socialisti (Nasser, 1956-1970) sia modernizzatori (Mubarak, 1981-2011), non hanno certamente favorito la pacificazione della nazione. Soltanto il presidente Sadat (1970-1981), anche per motivi di propaganda politica, liberò dal carcere migliaia di Fratelli Musulmani, i quali ricostituirono il movimento. Così esso ridivenne uno dei maggiori protagonisti della vita politica egiziana, anche se non approvò le ultime scelte politiche di Sadat, in particolare il trattato di pace con Israele.

Ascesa e declino della Fratellanza


A partire dal 2000 il Movimento, che era rappresentato in Parlamento da 17 membri, si rese protagonista, insieme ad altri partiti, di diverse iniziative volte a chiedere al regime di Mubarak più democrazia nella gestione dello Stato e l’adozione di un sistema di riforme sociali e morali capaci di ridurre le sacche di povertà esistenti nel Paese e di rimettere in moto la società egiziana, paralizzata dalla corruzione e dall’immobilismo economico e politico. Questo atteggiamento legalista si inquadra bene nella storia della Fratellanza e anche nella migliore tradizione islamica, attenta agli aspetti sociali e comunitari e alle questioni di carattere giuridico. Ciò ha permesso alla Fratellanza di avvicinarsi a un più laico trend di opposizione al regime, che dai primi anni del nuovo secolo ha rivendicato maggiore democratizzazione nel Paese e maggiore rispetto dei diritti umani, secondo lo spirito delle carte internazionali sui diritti dell’uomo.

Le rivolte che hanno infiammato il mondo arabo nella primavera del 2011 costituiscono uno degli eventi storici più importanti degli ultimi tempi. Esse coinvolsero, dal punto di vista politico, economico e diplomatico, non soltanto l’area direttamente interessata, ma l’intero sistema geopolitico internazionale. Il cosiddetto «Partito per la libertà e la giustizia», capeggiato da Mohamed Morsi, assunse la guida del Paese. L’accentramento del potere nelle mani delle nuove élite politico-religiose e la crisi economica molto forte, che scontentava i ceti popolari, spinsero nel 2013 gli egiziani – in particolare i partiti laici – a tornare in piazza, inducendo l’esercito a intervenire contro il governo in carica[17].

Precedentemente, in Egitto tali insurrezioni, che avevano come punto di aggregazione Piazza Tahrir al Cairo, dopo giorni di lotta erano riuscite a «detronizzare» Mubarak e a indurlo ad andare in esilio. I Fratelli Musulmani che, come è stato sottolineato da molti osservatori politici, non sono stati all’origine del movimento insurrezionale di piazza, ne hanno presto assunto la guida politica attraverso l’attivista Morsi, il quale aveva promesso nuove elezioni politiche democratiche e una nuova Costituzione. A prescindere dalle idealità e dagli scopi che il movimento della Fratellanza si proponeva, è indubbio che il nuovo governo Morsi, che nel giugno 2012 fu votato dal 51% degli elettori, ha avuto un ruolo molto importante nel processo di democratizzazione e modernizzazione del Paese.

La reazione delle monarchie del Golfo – ad eccezione del Qatar – all’ascesa della Fratellanza al potere in Egitto fu sin dall’inizio di aperta ostilità. Ciò portò all’immediata decisione di Riyad di fornire un sostegno finanziario e politico al generale al-Sisi, ministro della Difesa sotto il governo Morsi. Questi nel 2013 organizzò un colpo di Stato, riportando al potere in Egitto i militari e lanciando una durissima campagna di repressione contro i Fratelli Musulmani.

Di fatto la Fratellanza costituisce ancora, dopo tanti anni, un problema politico per al-Sisi. La repressione da lui posta in essere non è sufficiente per cancellare la forza delle idee, soprattutto quando esse hanno una forte matrice religiosa. La sua preoccupazione di un eventuale legame tra le frange ancora in vita della Fratellanza egiziana e i militanti di Hamas in fuga dalla Striscia non è del tutto infondata, perché esso potrebbe nel tempo incendiare il fragile assetto politico dell’Egitto e dell’intera regione.

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[1]. Cfr «Al Sisi wins another stage-managed election in Egypt», in The Economist, 18 dicembre 2023.

[2]. Secondo molti egiziani, non esisterebbe oggi in Egitto una vera alternativa politica ad al-Sisi. Molti lo hanno votato per evitare il caos politico: cfr «Egyptians are disgruntled president al Sisi», in The Economist, 15 gennaio 2023.

[3]. Cfr «Al Sisi wins another stage-managed election in Egypt», cit.

[4]. Cfr ivi.

[5]. Cfr N. Doukhi, «Senza via di fuga», in Internazionale, 16 febbraio 2024, 18.

[6]. Cfr «Quitting Qatar is the least of Hamas’s problems», in The Economist, 14 novembre 2024.

[7]. Cfr «I timori del Cairo», in Internazionale, 16 febbraio 2024, 19.

[8]. S. al Ajrami, «L’Egitto è la nostra speranza per arrivare a un accordo di pace o per fuggire in Europa», in Corriere della Sera, 22 febbraio 2024.

[9]. Cfr ivi.

[10]. Cfr «Tutto al faraone», in Internazionale, 22 marzo 2024, 28.

[11]. B. Dorries, «Accordo insensato con l’Egitto», in Internazionale, 22 marzo 2024, 17.

[12]. Cfr «Egyptians are disgruntled with President al-Sisi», in The Economist, 15 giugno 2023.

[13]. Cfr ivi.

[14]. Sulla nascita e sullo sviluppo dei Fratelli Musulmani, cfr R. P. Mitchell, The Society of the Muslim Brothers, London, Oxford University Press, 1969; O. Carré – G. Michaud, Les Frères Musulman (1928-1982),Paris, Gallimard, 1983; M. Campanini, Storia dell’Egitto contemporaneo. Dalla rinascita ottocentesca a Mubarak, Roma, Edizioni Lavoro, 2005.

[15]. Sul pensiero religioso e politico di al-Banna, cfr M. Campanini, L’alternativa islamica. Aperture e chiusure del radicalismo, Milano, Mondadori, 2012, 94 s.

[16]. Cfr B. Lia, The Society of the Muslim Brothers in Egypt: The Rise of an Islamic Mass Movement, 1928-1942, Reading, Ithaca, 1998, 282.

[17]. Cfr M. Campanini – S. M. Torelli, Lo scisma della mezzaluna, Milano, Mondadori, 2017, 122.

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