Influencer: come influenzano?
La maggior parte degli studenti che iniziano gli studi di comunicazione di massa conosce il film Accadde una notte (Frank Capra, 1934), con Clark Gable e Claudette Colbert. A un certo punto dell’intreccio, il personaggio interpretato da Gable, cambiandosi, si toglie la maglietta e rivela di non indossare una canottiera. Gli studenti si sentono dire che le vendite delle canottiere maschili sono crollate drasticamente e che se ne ricava un’indicazione sull’influenza che una stella del cinema può esercitare nei confronti della cultura. Sebbene la storia abbia il suo fascino, probabilmente tale indicazione è infondata, perché quella credenza popolare non trova riscontro nelle cifre delle vendite. E tuttavia illustra il fatto che le persone famose o comunque note sembrano esercitare un’influenza spropositata sulla gente comune. Sulla base di prove aneddotiche, vogliamo crederci.
Il primo studio scientifico che esaminò sistematicamente il tema dell’influenza connessa ai media risale a qualche anno dopo, negli anni Quaranta del secolo scorso. Il sociologo Paul Felix Lazarsfeld indagò sia la pubblicità sia le convinzioni politiche. Sulla scorta di un sondaggio, lo studioso e la sua équipe di ricercatori stabilirono che non esiste un flusso diretto di informazioni dai mass media ai destinatari finali; piuttosto, l’influenza mediatica era veicolata secondo quello che essi chiamarono «un flusso a due fasi», in virtù del quale le persone più sensibili alle notizie riportate dai mass media influenzavano le convinzioni dei loro amici riguardo al comportamento di acquisto o di voto. Essi chiamarono quel processo «influenza personale», perché il legame interpersonale era essenziale; quelli che oggi chiamiamo «gli influencer» vennero allora definiti opinion leader.
Le questioni odierne attinenti agli influencer dei social media derivano direttamente da quella tradizione di credenze e di ricerche sull’influenza. Un influencer dei social media è «un nuovo tipo di “connettore” che fa da ponte tra qualcun altro e il pubblico, di cui plasma gli atteggiamenti attraverso blog, tweet e l’uso di altri social media»[1]. Questi individui, presenti su vari canali di social media, sembrano influenzare i loro follower sulle scelte di acquisto, di voto, sulle pratiche sanitarie o su altri tipi di comportamento. Alcuni di loro vengono pagati per farlo, e altri diventano portavoce non ufficiali di un prodotto o di un’azienda.
Spiegare gli influencer
I ricercatori della comunicazione hanno studiato il fenomeno in vari modi. Innanzitutto, essi prestano attenzione a ciò che affermano gli influencer stessi, attraverso l’analisi dei contenuti di siti e video. In secondo luogo, intervistano i follower online sulle loro reazioni; in particolare, chiedono loro perché seguano determinati influencer e se basino su di loro decisioni che riguardano, per esempio, gli acquisti o il voto. Alcune persone seguono gli influencer per mero intrattenimento e non agiscono necessariamente in base ai loro consigli. In terzo luogo, in una prospettiva che riceve una certa attenzione, i ricercatori tentano di spiegare perché gli influencer siano influenti. Quali specifiche caratteristiche ne spiegano l’influenza? Alcune di queste ricerche seguono la direzione indicata a suo tempo dal sociologo Paul F. Lazarsfeld, considerando i leader d’opinione come l’origine di un flusso a due fasi, in base al quale i follower si fidano del leader per raccogliere le informazioni e farsi guidare nelle loro scelte. Ma che cos’è che fa di qualcuno un opinion leader? Il termine si limita a descrivere un ruolo, ossia afferma che l’opinion leader possiede contatti, svolge attività, ottiene un ritorno e provoca imitazione[2]. Questa leadership può avvenire tramite il contatto faccia a faccia o tramite il «passaparola». Gli opinion leader odierni operano tramite diversi media, ma ciò accadeva in qualche modo anche negli anni passati, in cui venivano impiegati ed emergevano vari portavoce relativi ai brand, in particolare personaggi celebri e stelle del cinema come testimonial pubblicitari.
Questa connessione attraverso la rappresentazione mediatica rientra in quella che i ricercatori chiamano «interazione parasociale». Una relazione parasociale è quella in cui un individuo immagina una relazione con qualcuno che non conosce, in genere una persona famosa o persino il personaggio di un film o di una trasmissione televisiva: si comporta come se quell’individuo fosse suo amico. La ricerca ha dimostrato che più un influencer riesce a coltivare una relazione parasociale, più è probabile che influenzi il comportamento dei follower. I dati evidenziano che fattori come la somiglianza avvertita, la frequenza dell’interazione, l’autenticità, la pubblicazione di storie su eventi familiari e la credibilità percepita contribuiscono a spiegare perché le persone sviluppino relazioni parasociali. Tuttavia l’interazione parasociale di per sé non chiarisce completamente il successo di un influencer.
La disamina di 68 articoli scientifici pubblicati tra il 2007 e il 2020 ha rilevato che in questo ambito opera una costellazione di almeno otto fattori: credibilità, affidabilità, attrattiva, competenza, popolarità, interazione parasociale, sensazione di amicizia e concordanza personale con l’influencer. Più in dettaglio, le spiegazioni teoriche dell’influenza esercitata con successo enumeravano le caratteristiche della fonte (credibilità, attrattiva fisica, familiarità, competenza, affidabilità, popolarità, prestigio), i fattori psicologici (congruenza individuale con l’influencer, empatia, piacevolezza, senso di amicizia, somiglianza, identificazione desiderata, adattamento al marchio) e attributi del contenuto (difformità del prodotto, congruenza visiva, attrattiva visiva, contenuto informativo, contenuto interattivo, originalità ecc.)[3]. Le interazioni parasociali, inoltre, non avvengono in un mondo a parte, ma costituiscono un fattore tra gli altri.
Altri tre modelli teorici – generalmente accettati – che i ricercatori della comunicazione applicano per spiegare l’impatto degli influencer si concentrano sui follower e sui media. La nota teoria degli «usi e gratificazioni» descrive le ragioni per cui le persone si rivolgono ai media della comunicazione. In altre parole, indagano quali bisogni la gente soddisfi attraverso l’utilizzo dei media. Per esempio, le persone possono guardare la televisione per vari motivi: per acquisire notizie o informazioni, per intrattenimento, per passare il tempo, per sentire qualche voce umana nelle loro case e così via. La teoria sostiene che le persone seguono gli influencer perché da questa attività ottengono qualcosa. Oltre a cercare informazioni su prodotti o eventi, i follower soddisfano anche bisogni di realismo, freschezza, novità, presenza, potenziamento dell’autonomia, creazione di comunità e bandwagon effect («effetto carrozzone»)[4].
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La teoria dell’agenda setting, spesso utilizzata negli studi sui nuovi media, dimostra che i temi trattati dalle notizie possono influenzare ciò di cui le persone parlano, se non le loro convinzioni effettive. Qualcosa di simile accade con gli influencer: i problemi e i prodotti di cui discutono rendono quegli argomenti più significativi per una popolazione più ampia. Questa teoria non spiega in alcun modo il successo della persuasione da parte degli influencer, ma solo la loro capacità di amplificare l’importanza di alcune cose, di creare attorno a loro una sensazione di importanza. Una teoria correlata, quella del priming («innesco»), descrive come i contenuti presentati attraverso i media possano fornire un contesto che guiderà l’interpretazione o la valutazione di un follower in base al messaggio di un influencer. Se un influencer, per esempio, dice che una marca di scarpe è più comoda di un’altra, con ciò predispone il pubblico a giudicare le scarpe in base alla comodità.
Alcune qualità specifiche fanno sì che un individuo abbia più successo come influencer? Concentrandosi innanzitutto su ciò che fa di un opinion leader un leader, i ricercatori hanno identificato alcune caratteristiche, tra cui la visibilità, la personificazione di determinati valori, la competenza, la posizione sociale, la credibilità, l’attrattiva, la perizia, il contenuto informativo, il potere (inteso come capacità di coinvolgere il pubblico) e il contagio sociale (ovvero, ciò che pensano gli amici)[5]. Più una persona possiede tali qualità, più è probabile che altre persone la seguano.
Altri ricercatori esaminano le caratteristiche psicologiche che preludono alla popolarità. Fra esse, diversi livelli di estroversione, affidabilità, competenza, similarità, attrattiva, nevroticismo, gradevolezza, coscienziosità, apertura alle esperienze, impegno intellettuale, popolarità, prestigio, autoefficacia e coinvolgimento non verbale (come lo sguardo o il sorriso)[6].
Infine, l’aspettativa di influenza può di per sé far prevedere una maggiore influenza. Una combinazione di tre elementi forma una sorta di circolo autorinforzante: l’esposizione presunta (le persone presumono che altri abbiano osservato l’influencer); l’influenza presunta (le persone presumono che un individuo possa influenzare gli altri); e l’influenza dell’influenza presunta (le persone presumono che l’influenza funzioni, proprio come quei critici del film Accadde una notte presupponevano, nonostante le evidenze, che le scelte di costume avrebbero influenzato gli altri)[7].
Alcuni spiegano il presunto successo degli influencer facendo riferimento alle caratteristiche dei mezzi di comunicazione che essi usano. Parte dell’equazione dell’influenza include il «canale sociale», ossia l’insieme delle conoscenze comuni in una società. La gente presume che le credenze in linea con quelle conoscenze siano ampiamente condivise e debbano avere un’origine; più un influencer le condivide, maggiore sarà la presunta influenza. I diversi canali dei social media, con la loro promozione dell’interazione parasociale, del senso di appartenenza e l’incoraggiamento all’autoespressione, offrono agli utenti un’aspettativa di attaccamento emotivo e, di conseguenza, una predisposizione a credere alle personalità online.
Le varie analisi teoriche mostrano tutte un percorso plausibile per le personalità online nell’influenzare gli altri; riconoscono anche la difficoltà di prevedere direttamente l’influenza, date le molte variabili che contribuiscono al fenomeno, fra cui «simbolismo del mezzo, ambiguità del messaggio, distanza tra i partner del messaggio, ricchezza mediatica percepita, numero di destinatari del messaggio e atteggiamenti percepiti dei destinatari del messaggio»[8], nonché elementi esterni, quali la pubblicità e le promozioni (per influenzare le vendite) e le campagne politiche (per influenzare la politica).
Infine, diversi teorici aderiscono a una più generale teoria delle molteplici influenze e alla convinzione che l’«effetto della terza persona» – una teoria ampiamente testata, che propone che gli individui ritengano che i contenuti mediatici influenzino gli altri (la «terza persona») più di quanto influenzino loro stessi, portandoli così a sopravvalutare l’influenza dei contenuti mediatici – amplifichi la disponibilità delle persone a credere nel potere degli influencer.
Che cosa indagano gli studi sugli influencer
Quasi ovunque ci siano social media, ci sono anche influencer. Essi raccomandano idee di moda, prodotti di bellezza, cura degli animali domestici, attività per la famiglia, libri e film, opinioni politiche, pratiche sanitarie, idee sulla preghiera, musica: praticamente qualsiasi cosa su cui si possa avere un’opinione. Di recente gli studiosi si sono concentrati sugli influencer nel marketing, nella politica, nella salute, nelle notizie e negli stili di vita.
L’attività forse più ampiamente studiata degli influencer nei social media è quella che riguarda il marketing e le vendite. Le aziende assumono influencer per raccomandare i loro prodotti e, ovviamente, vogliono sapere quali individui possano servire meglio i loro interessi. Di solito le aziende utilizzano influencer o opinion leader per una serie di motivi: per «accrescere la visibilità delle loro aziende sui media, migliorare la reputazione dell’azienda, aumentare la conversazione nelle comunità virtuali, informare gli stakeholder e far conoscere i loro nuovi prodotti»[9]. Le aziende integrano l’uso degli influencer nelle loro strategie di marketing e pubblicità, e in ciò lasciano ben poco al caso, tenendo conto del fatto che gli influencer creano contenuti, li distribuiscono, agiscono come portavoce e raccomandano sia i prodotti sia i loro usi.
Quando si tratta di scegliere un influencer, si calcolano vari fattori: l’adeguatezza rispetto al marchio, il numero di follower, la probabilità che le persone agiscano in base alle loro raccomandazioni e così via. D’altro canto, le aziende cercano di limitare l’influenza delle critiche negative. A differenza di altre aree di espressione online, l’influenza del marketing deve fare i conti con la regolamentazione governativa in termini di sponsorizzazioni a pagamento, pubblicità veritiera e divulgazione delle relazioni con gruppi aziendali. I livelli di regolamentazione variano a seconda delle giurisdizioni legali, con requisiti più severi negli Stati Uniti e in Canada, e più variabili in Europa e Asia. Le norme e le pratiche degli influencer riflettono anche le differenze culturali nelle aspettative che le persone ripongono in loro e nelle loro attività, come registrato da studiosi in Vietnam, Indonesia, India, Iran, Cina, Spagna e Stati Uniti ecc.
Come influencer di prodotti, i follower e i clienti sembrano preferire persone comuni piuttosto che star dello sport o celebrità mediatiche, perché sentono i primi più simili a loro – cioè, possono identificarsi con loro – e meno suscettibili di apparire come rappresentanti delle aziende. Analogamente, i ricercatori hanno notato una relazione a U invertita tra numero di follower e coinvolgimento; in altre parole, all’inizio il coinvolgimento con un influencer aumenta con l’aumento della fama o del numero dei follower, ma a un certo punto un numero maggiore di follower porta a un minore coinvolgimento, ancora una volta probabilmente perché le persone molto famose sembrano troppo diverse dall’individuo comune. Altri riferiscono che i follower apprezzano l’originalità dell’espressione e la rilevanza del prodotto.
Anche gli influencer politici ricevono molta attenzione da parte dei ricercatori. Questo interesse prosegue nella linea del processo iniziato settant’anni fa con i primi studi sull’influenza e sul concetto di leader di opinione che plasma le opinioni politiche delle persone. Sebbene solo pochi studi empirici abbiano misurato l’influenza effettiva di questo gruppo, essi sono importanti nella ricerca sulla comunicazione politica, perché esplorano ciò che può accadere sulle nuove piattaforme digitali quando si coinvolgono gli altri in modi innovativi[10]. L’influenza avviene in forma mediata piuttosto che in una situazione faccia a faccia. Ciò porta a una nuova comprensione della leadership di opinione: oltre ad avere le due parti previste dal modello originale – il leader e la persona che cerca consigli –, il mondo digitale mostra che alcuni individui assumono entrambi i ruoli, dando e cercando informazioni. Questi individui con duplice ruolo tendono a consumare più notizie e a utilizzare più media informativi e sono più attivi politicamente rispetto ad altri[11]. Spesso cercano consapevolmente di influenzare gli altri e di diffondere ampiamente le loro opinioni.
Gli influencer politici digitali si suddividono in due gruppi: coloro che sostengono direttamente candidati o cause politiche, e coloro che commentano questioni sugli stili di vita che possono avere implicazioni politiche, come la scuola, la criminalità, la salute o l’abitazione. Quest’ultimo tipo di influenza può avvenire su qualsiasi piattaforma e da parte di qualsiasi tipo di influencer: per esempio, potrebbe avvenire quando un influencer che si occupa di genitorialità commenta le politiche scolastiche dello Stato o della comunità. Per questo gruppo, che spesso comprende personaggi dello spettacolo e atleti, i commenti politici appaiono effimeri e spesso sono incorporati in altri contenuti. D’altro canto, il primo gruppo – quello composto da coloro che commentano specificamente candidati o questioni politiche – può essere costituito da attivisti elettorali o da persone reclutate da operatori politici, che cercano di coordinare i loro post con gli eventi della campagna elettorale. In entrambi i casi, il miglior predittore dell’influenza effettiva è una somiglianza percepita tra il follower e l’influencer[12].
I ricercatori hanno scoperto che la disinformazione o la cattiva informazione si verificano più di frequente tra gli influencer nella comunicazione politica che tra quelli nel marketing, molto probabilmente perché gli sponsor aziendali richiedono solo informazioni accurate sui prodotti e perché i requisiti legali in molte giurisdizioni impongono la «verità nella pubblicità». Inoltre, le garanzie sulla libertà di espressione impediscono a molti Paesi di porre limiti al discorso politico. La disinformazione politica – ciò che le ricerche di un tempo spesso classificavano come «propaganda» – avviene su tutte le piattaforme di social media e si concentra soprattutto su argomenti come la politica internazionale, quella nazionale, l’economia, le questioni ambientali e sociali. Le agenzie di intelligence governative in diversi Paesi occidentali hanno affermato che alcune forme di disinformazione politica hanno origine da governi ostili ai loro interessi. I ricercatori hanno anche misurato i livelli di inciviltà nel discorso degli influencer politici, collegandoli all’identità sociale e all’estensione dell’attività politica personale.
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Un terzo settore di studio sugli influencer si concentra sulla comunicazione sanitaria. Queste ricerche differiscono da molti degli studi sugli influencer nel marketing e nella politica in quanto in genere utilizzano un metodo di ricerca analitico dei contenuti, con il quale i ricercatori tentano di specificare e quantificare ciò che gli influencer comunicano, in particolare riguardo a questioni di salute pubblica, come le vaccinazioni contro il Covid-19 o le misure profilattiche per prevenire le malattie. La pandemia ha consentito un esperimento naturale con cui le autorità sanitarie pubbliche sono state in grado di testare diversi contenuti di messaggi con gli influencer che hanno reclutato; hanno raffrontato «influencer esperti» – medici, per esempio – con influencer emozionali. Altri gruppi hanno identificato tre funzioni delle reti di influenza: fornire informazioni; convalidare le informazioni; offrire supporto emotivo per la gestione delle emozioni[13]. Negli Stati Uniti, un comitato di salute pubblica ha sperimentato la tecnica di reclutamento di influencer per messaggi antifumo, scoprendo che diffondere il messaggio con un numero maggiore di piccoli influencer (quelli con meno di 100.000 follower) funzionava meglio che divulgare messaggi con pochi influencer molto popolari, notando che le persone si fidavano più facilmente delle celebrità locali. Altri hanno scoperto che le avvertenze sanitarie sulle sigarette elettroniche mitigavano gli effetti persuasivi dei messaggi incoraggianti riguardo a tali sigarette che provenivano da personalità famose.
Un altro settore di studi sulla comunicazione sanitaria degli influencer esamina le pratiche di fitness e salute. In questo caso, alcuni influencer, come quelli nel marketing, possono essere sponsorizzati da aziende di attrezzature sportive o collaborare con palestre. Gli influencer nella fitness tendono ad avere un certo successo nel motivare gli altri a seguire buone pratiche di salute. Infine, come si è notato negli studi sulla pandemia, un’area importante del lavoro degli influencer riguarda la fornitura di informazioni sulla salute, in particolare a gruppi tradizionalmente poco serviti.
Molte delle teorie originali sull’influenza si sono sviluppate a partire da indagini su come i leader di opinione comunicano le notizie (politiche) a un pubblico più ampio, non direttamente influenzato dai media. Diverse ricerche più recenti hanno confermato questa teoria: le persone seguono effettivamente l’esempio di coloro che sono considerati più informati sulle notizie. Questi studi dimostrano anche che i leader di opinione odierni tendono ad avere più fonti di notizie e aggregano queste informazioni per i loro follower.
Anche la religione ha la sua parte di influencer. Alcune chiese inseriscono la pratica dell’influenza nella loro strategia di pubbliche relazioni o di sensibilizzazione, perché vedono l’uso di «influencer spirituali» come parte della loro missione di evangelizzazione. L’ufficio di comunicazione di una chiesa può, per esempio, rielaborare prediche e preghiere di un noto leader religioso per i social media con l’intento di guidare verso Dio i propri fedeli e chi è alla ricerca. Altri influencer religiosi operano indipendentemente da qualsiasi denominazione o chiesa, caratterizzando il loro lavoro come risposta a una chiamata divina; pubblicano materiali sull’illuminazione spirituale, sulla dottrina, sull’evangelizzazione e sull’intrattenimento, quest’ultimo per aumentare la relazione parasociale con i loro follower. Molti cercano di costruire una comunità religiosa di interesse, caratterizzata da un’attenzione alla fede più personale che confessionale[14].
L’immagine popolare degli influencer spesso li identifica con gli influencer culturali, ossia con quelli che si occupano di moda o di media. Alcuni studiosi della comunicazione hanno indagato su queste persone, in particolare in termini di leadership di opinione e di impatto. L’interazione parasociale – i follower li vedono come amici o persone amichevoli che li intrattengono – li rende popolari. Essi possono influenzare gli altri attraverso l’innovazione nella moda, per esempio, ma i ricercatori hanno avuto difficoltà a identificare in concreto le decisioni di acquisto tra i loro follower. L’identità del marchio, i prezzi e il consumo di altri media hanno tutti un ruolo importante nelle decisioni di acquisto.
Altri studi hanno esaminato il ruolo degli influencer nelle decisioni di assistere a proiezioni cinematografiche, anche in questo caso con risultati contrastanti. Le persone hanno segnalato una complessa serie di relazioni tra l’uso dei social media, le opinioni, la visione di film al cinema e il capitale sociale, espresso come «paura di perdersi»[15]. In quasi tutti i casi studiati, gli influencer sui social media hanno svolto il ruolo di una fra le tante spiegazioni per le azioni delle persone.
Preoccupazioni sugli influencer
Il crescente mondo degli influencer ha sollevato una serie di questioni, per lo più legate all’etica dell’influenza, in particolare di quella sponsorizzata o a pagamento. Il modello originale dell’influenza – proposto nella teoria del flusso in due fasi – prevedeva un’influenza faccia a faccia, esercitata da amici o conoscenti, solitamente in contesti domestici o sociali. Mentre il mondo della pubblicità si è basato su questo modello per conferire ai personaggi popolari la rappresentazione dei propri prodotti, l’influenza sui social media odierni avviene principalmente attraverso estranei, la cui celebrità può esistere solo online; in genere i follower hanno con gli influencer dei social media solo una relazione parasociale. Sia la distanza sociale sia l’anonimato del processo sollevano interrogativi sui fondamenti della fiducia e sulla capacità di rilevare gli inganni.
Una revisione della legislazione dell’Ue del 2024 ha indicato che solo Francia e Spagna possedevano linee guida che richiedevano trasparenza per gli influencer e una netta separazione tra fatti e opinioni, in genere in situazioni di pubblicità di prodotti. La Repubblica ceca sta sviluppando un «Codice etico per influencer corretti», elogiato da associazioni di consumatori. Mentre gli Stati Uniti hanno leggi sulla tutela dei consumatori riguardo alla pubblicità, esse non sono ben comprese relativamente agli influencer, il che ha spinto studiosi a richiedere un codice etico anche per gli Stati Uniti.
Studiando la disinformazione nel riportare eventi di cronaca (una sparatoria in una scuola negli Stati Uniti), alcuni ricercatori hanno scoperto che le persone del luogo apparivano più credibili e che i follower riconoscevano rapidamente le narrazioni false diffuse da opinion leader più noti, ma distanti. Questo tipo di risultati ha portato alla richiesta di un programma di educazione mediatica per gli utenti dei social media, in modo che possano individuare più facilmente le mistificazioni e l’influenza a pagamento. Questo vale in particolare per il pubblico dei bambini e degli adolescenti, nonché per gli influencer bambini e adolescenti, che potrebbero non comprendere appieno le forze in gioco nel mondo degli influencer.
Altri studiosi hanno sollevato interrogativi sull’uso di «influencer virtuali», ovvero personaggi animati o addirittura creati dall’intelligenza artificiale per rappresentare aziende, marchi o partiti politici. Anche se essi possono offrire un maggiore controllo sull’influencer da parte dei loro sponsor, rimangono falsi e oscuri, e pertanto rendono difficile l’attribuzione di qualsiasi responsabilità morale o giuridica.
Conclusioni
Il proprietario di un grande magazzino di Philadelphia del XIX secolo, John Wanamaker, avrebbe detto: «So che metà della mia pubblicità è efficace, ma non so quale metà». Sembra un rilievo pertinente per lo studio degli influencer. Sebbene esista una grande quantità di informazioni aneddotiche sull’impatto degli influencer, ci sono molte meno prove empiriche a supporto della loro efficacia. Come il pubblico cinematografico degli anni Trenta, le persone vogliono credere che le celebrità – anche le micro-celebrità – persuadano gli altri. Ma un’analisi più approfondita sembra indicare che gli influencer costituiscono un fattore tra i tanti per spiegare i comportamenti delle persone. Gran parte dei dati raccolti tra i follower valuta l’intenzione di acquistare, votare o credere, ma non se le persone portino a termine tali intenzioni. La ricerca sulla comunicazione ha appreso molto su ciò che rende una persona un influencer, su ciò che attrae i follower e persino sul processo di una influenza, ma fatica a misurare l’influenza effettiva.
L’indagine ha illustrato un aspetto importante del processo di ricerca sulla comunicazione. Molti degli studi sugli influencer prendono in considerazione i fattori culturali: il processo di influenza differisce in Vietnam, Iran, Francia, Spagna, Repubblica Ceca, Corea, Stati Uniti ecc. Almeno in questa area di studio i ricercatori si sono astenuti dall’offrire un’unica teoria generale.
La disamina degli studi sugli influencer, anche su un breve lasso di tempo, mostra chiaramente la difficoltà di stare al passo con le tecnologie dei social media in rapida evoluzione. Solo negli ultimi 10 anni gli influencer sono apparsi su – e talvolta hanno proseguito oltre – YouTube, Facebook, X, Telegram, Instagram e TikTok. Questo cambiamento delle preferenze degli utenti dei social media e la rapida evoluzione dell’età degli utenti rendono difficile, sia per le aziende sia per i ricercatori, tenere il passo. Le strutture dei social media modificano anche le strutture di influenza originarie, che presupponevano un’influenza personale faccia a faccia. La facilità online nel commentare, condividere e seguire significa che l’influenza si manifesta attraverso molti media e in modi non sempre previsti dalle teorie dell’influenza.
Infine, i diversi canali dei social media e le svariate modalità del loro utilizzo sollevano la questione se il termine «influencer» si riferisca allo stesso fenomeno in tutte le piattaforme. Sebbene i ricercatori abbiano applicato molte teorie e modelli tradizionali al suo studio e sebbene si possa discernere una generica somiglianza, si può comunque notare che nei diversi ambiti in cui operano gli influencer (marketing, politica, salute pubblica, intrattenimento, religione e così via), ognuno va in cerca di un risultato diverso. Ciò che rende un individuo un influencer di successo in un ambito non può essere trasferito facilmente a un altro. Come amano dire gli studiosi, «sono necessarie ulteriori ricerche».
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[1]. K. Freberg – K. Graham – K. McGaughey – L. A. Freberg, «Who are the social media influencers? A study of public perceptions of personality», in Public Relations Review 37 (2011/1) 90.
[2]. Cfr K. Jungnickel, «New methods of measuring opinion leadership: A systematic, interdisciplinary literature analysis», in International Journal of Communication 12 (2018) 2702.
[3]. Cfr D. Vrontis – A. Makrides – M. Christofi – A. Thrassou, «Social media influencer marketing: A systematic review, integrative framework and future research agenda», in International Journal of Consumer Studies 45 (2021/2) 628 s.
[4]. Cfr C. Lou – C. R. Taylor – X. Zhou, «Influencer marketing on social media: How different social media platforms afford influencer-follower relation and drive advertising effectiveness», in Journal of Current Issues & Research in Advertising (Routledge) 44 (2023/1) 60.
[5]. Cfr G. Weimann, «The influentials: Back to the concept of opinion leaders?», in Public Opinion Quarterly 55 (1991/2) 267-279; S. Aral, «Identifying social influence: A comment on opinion leadership and social contagion in new product diffusion», in Marketing Science 30 (2011/2) 217-223; T. Gnambs – B. Batinic, «A personality-competence model of opinion leadership», in Psychology & Marketing 29 (2012) 606-621; D. Bakker, «Conceptualizing influencer marketing», in Journal of Emerging Trends in Marketing and Management 1 (2018/1) 79-87; C. Ki – Y. Kim, «The mechanism by which social media influencers persuade consumers: The role of consumers’ desire to mimic», in Psychology & Marketing 36 (2019) 905-922; N. Jung – S. Im, «The mechanism of social media marketing: Influencer characteristics, consumer empathy, immersion, and sponsorship disclosure», in International Journal of Advertising 40 (2021) 1265-1293.
[6]. Cfr T. Gnambs – B. Batinic, «A personality-competence model of opinion leadership», cit., 611.
[7]. Cfr H. Cho – L. Shen – L. Peng, «Examining and extending the influence of presumed influence hypothesis in social media», in Media Psychology 24 (2021/3) 413-435.
[8]. L. K. Treviño – J. Webster – E. W. Stein, «Making connections: Complementary influences on communication media choices, attitudes, and use», in Organization Science 11 (2000/2) 163-182.
[9]. B. Bahar, «La collaboration des entreprises avec des leaders d’opinion: une étude qualitative. Companies Collaboration with Opinion Leaders: A Qualitative Study», in Ileti-s-Im 30 (2019) 1.
[10]. Cfr M. J. Riedl – J. Lukito – S. C. Woolley, «Political influencers on social media: An introduction», in Social Media + Society 9 (2023/2) 1-9.
[11]. Cfr J.-Y. Jung – Y.-C. Kim, «Are you an opinion giver, seeker, or both? Re-examining political opinion leadership in the new communication environment», in International Journal of Communication 10 (2016) 4439-4459.
[12]. Cfr B. Naderer, «Influencers as political agents? The potential of an unlikely source to motivate political action», in Communications: The European Journal of Communication Research 48(2023/1) 93-111.
[13]. Cfr A. Wagner – D. Reifegerste, «“The part played by people” in times of Covid-19: Interpersonal communication about media coverage in a pandemic crisis», in Health Communication 38 (2023) 1014-1021.
[14]. Cfr B. G. Smith – D. Hallows – M. Vail – A. Burnett – C. Porter, «Social media conversion: Lessons from faith-based social media influencers for public relations», in Journal of Public Relations Research 33 (2021/4) 231-249.
[15]. A. C. Tefertiller – L. C. Maxwell – D. L. Morris II, «Social media goes to the movies: Fear of missing out, social capital, and social motivations of cinema attendance», in Mass Communication & Society 23 (2020/3) 378-399.
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