Il confine
Ma è proprio vero che digitale fa rima con facile? È giusto non fare fatica? Una veloce riflessione sull'equilibrio tra facilità d'uso e capacità ad acquisire competenze e conoscenze.
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Il confine
Ma è proprio vero che digitale fa rima con facile? È giusto non fare fatica? Una veloce riflessione sull'equilibrio tra facilità d'uso e capacità ad acquisire competenze e conoscenze.
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Maurizio Carnago
in reply to maupao • •@maupao Tutto giustissimo e lo condivido. Chi deve usare dei programmi e non prova nemmeno a comprenderli perché si trincera dietro al "ah, la tecnologia, siamo ai poli opposti" dimostra solo pigrizia.
Occorre però anche riconoscere l'utilizzo che si farà di quel servizio o software. Per chi deve creare contenuti come documentazione o materiale didattico che dovrà essere poi fruito da altri è fondamentale conoscerne il funzionamento, proprio perché diventa una casetta degli attrezzi. Poi sta anche nell'abilità di chi crea le logiche e l'interfaccia a renderlo comunque facile e veloce da usare anche per chi non abbia una preparazione informatica.
Poi ci sono quei servizi che nessuno chiede ma siamo obbligati a usare. L'identità digitale per accedere alla pubblica amministrazione, l'home banking, per dirne due. Lì deve essere davvero immediato e a prova di digitallergico. Per questo fare software richiede sempre prima una lunghissima sessione di progettazione e poi si mette in pista.
Justin Time
in reply to maupao • • •Maurizio Carnago likes this.
Alessandro
in reply to Justin Time • • •@justintime "Il rischio che vedo è che le persone si illudano di avere competenze che invece non hanno, e che pensino di essere in grado di realizzare contenuti digitali quando, in alcun in casi, il 90% di ciò che realizzano è merito degli strumenti che usano, o dei template presenti nelle diverse piattaforme."
Quanto è vero, ignorando un sacco di cose essenziali peraltro. 👏👏👏
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Shamar
in reply to maupao • • •in realtà, imparare a programmare fluentemente è condizione necessaria (ma non sufficiente) per una piena cittadinanza cibernetica, per partecipare attivamente al governo di una società costituita per il 99.99% da agenti cibernetici automatici (software) controllati da coloro che sanno programmare.
piaccia o no, non saper programmare e debuggare il software significa subire passivamente la volontà di chi sa farlo, riducendosi a ingranaggi alienati.
maupao
in reply to Shamar • • •Asticella posta un bel po' in alto direi. Si può e si deve trovare una via di mezzo.
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Shamar
in reply to maupao • • •Sarei felice se si potesse, ma concretamente non si può.
D'altro canto la programmazione non deve necessariamente essere difficile: siamo ai geroglifici (che non a caso, richiedevano decenni per essere dominati e proprio per questo diventavano uno strumento di potere) dobbiamo cercare un alfabeto in cui riscrivere tutto.
L'alternativa è uno stato di minorità inconsapevole per la stragrande maggioranza delle persone, uno stato di libertà simulata (oltre che vigilata) in cui la maggioranza delle persone crede di agire nel proprio interesse individuale mentre viene manipolata costantemente tramite migliaia di automatismi con cui interagisce quotidianamente.
Hacker o robot, cittadini o schiavi.
http://video.linuxtrent.it/w/uGeLUW9uwuU7siCavjNnZm
rob
2022-05-25 12:28:52