Dal 23 ottobre, giorno in cui il generale Montgomery aveva lanciato l’offensiva britannica “Lightfoot”, le divisioni italiane e tedesche avevano resistito contro forze soverchianti. Tra loro, la 185ª Divisione Paracadutisti “Folgore”, schierata all’estremo sud del fronte, si trovava a difendere un tratto cruciale del deserto con mezzi ridotti e munizioni contate.
Il 4 novembre 1942, le divisioni corazzate italiane Ariete e Littorio vennero sopraffatte. Rommel ordinò la ritirata verso Fuka, ma l’ordine di Hitler di “resistere ad ogni costo” bloccò il ripiegamento. Le divisioni di fanteria italiane — Pavia, Brescia, Bologna — e i resti della Folgore rimasero isolate nel deserto.
All’alba del 6 novembre 1942, il sole sorse su un campo di battaglia ormai silenzioso. I superstiti della Folgore — poco più di trecento uomini su cinquemila — si erano attestati in una depressione sabbiosa, distrutti dalla fatica e dalla sete. I loro cannoni erano inutilizzabili, i fucili scarichi.
Quando le pattuglie della 44ª Divisione britannica giunsero sul posto, trovarono uomini in piedi, ancora in ordine, con le mostrine impolverate e la divisa logora. Nessuna bandiera bianca, nessuna resa plateale: semplicemente la fine della forza materiale, non del coraggio.
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