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Prima evidenza di un inglobamento planetario



Se per molti anni i fenomeni di inglobamento planetario sono stati solamente teorizzati, nuove osservazioni del telescopio spaziale James Webb della Nasa pubblicate su The Astrophysical Journal aprono la strada alla prima evidenza di una stella colta nell’atto di “inghiottire” un pianeta. Tali osservazioni rientrano nel programma Guaranteed Time Observation 1240, ideato per analizzare un insieme di enigmatici e improvvisi eventi di brillamenti infrarossi, la cui comprensione potrebbe portare a una migliore comprensione sul funzionamento dell’universo.


Le osservazioni del telescopio spaziale James Webb, relative a quello che si ritiene essere il primo evento di inglobamento planetario mai registrato, hanno rivelato la presenza di un disco di accrescimento caldo attorno alla stella, circondato da una nube in espansione di polvere più fredda. Webb ha inoltre mostrato che la stella non si è gonfiata per inghiottire il pianeta, ma che l’orbita del pianeta si è in realtà ristretta lentamente nel tempo, come illustrato in questa rappresentazione artistica. Crediti: Nasa, Esa, Csa, R. Crawford (StScI)

La stella al centro dell’attenzione si trova a circa 12mila anni luce dalla Terra, nella Via Lattea. L’evento di intensificazione della luminosità, chiamato Ztf Slrn-2020, è stato inizialmente rilevato come un lampo di luce ottica grazie allo Zwicky Transient Facility presso l’Osservatorio Palomar del Caltech a San Diego, in California. In realtà, le informazioni ottenute dal telescopio spaziale Neowise della Nasa avevano rivelato un aumento di luminosità della stella nell’infrarosso un anno prima del lampo di luce ottica, suggerendo la presenza di polvere. Tale studio del 2023 aveva convinto gli astronomi che la stella fosse abbastanza simile al Sole e stesse procedendo, con una lenta espansione, verso la fase di gigante rossa, inglobando i corpi celesti più vicini.

I dati raccolti dal Webb hanno modificato radicalmente il punto di vista degli studiosi. Le informazioni sono state ottenute tramite l’impiego dei due strumenti Mid-Infrared Instrument (Miri) e Near-Infrared Spectrograph (NirSpec). Analizzando le emissioni provenienti dalla regione di spazio in cui è localizzata la stella, i ricercatori hanno scoperto che l’astro non è così luminoso come ci si aspetterebbe da una gigante rossa e, dunque, non vi è alcun rigonfiamento in grado di inghiottire un corpo celeste circostante.

Si suppone che il pianeta di cui è stato registrato l’inglobamento avesse le dimensioni di Giove e fosse caratterizzato da un’orbita molto vicina alla stella. Col passare di milioni di anni, la traiettoria si dev’essere man mano ridotta, originando un percorso “a spirale” e portando, infine, alla completa incorporazione del pianeta da parte dell’astro. «Alla fine, l’oggetto celeste ha iniziato a sfiorare l’atmosfera della stella. Da quel momento in poi è partito un processo di caduta incontrollata e più rapida», spiega Morgan Macleod, membro del team di ricerca. «Il pianeta, durante la caduta, si è sfaldato attorno all’astro». Nelle fasi conclusive della sua esistenza, il corpo ha probabilmente espulso gas dagli strati esterni della stella, il quale, espandendosi e raffreddandosi, si è condensato in un’enorme nube di polvere fredda.


Evoluzione nel tempo dell’orbita di un pianeta, fino al suo inglobamento da parte di una stella distante 12.000 anni luce dalla Terra. Crediti: Nasa, Esa, Csa, R. Crawford (STScl)

Uno degli aspetti più intriganti delle osservazioni consiste nella presenza di un disco di gas caldo nelle immediate vicinanze della stella. La sua composizione non è certa, ma l’elevata risoluzione spettrale del telescopio Webb è risultata di grande aiuto nell’identificazione di alcune delle molecole nel disco, tra cui il monossido di carbonio. La capacità di caratterizzare il gas ha generato una lunga serie di interrogativi su cosa sia avvenuto in seguito all’inglobamento planetario. «Questo è un importante punto di arrivo nello studio di eventi simili. È l’unico inglobamento che abbiamo osservato in azione e, al tempo stesso, la migliore rilevazione delle conseguenze dopo che le cose si sono calmate», sottolinea Ryan M. Lau, autore principale dell’articolo e astronomo del NoirLab di Tucson, in Arizona.

Gli scienziati prevedono di ampliare il campione di studi, osservando altri fenomeni di inglobamento planetario, in particolare utilizzando il futuro osservatorio Vera C. Rubin e il telescopio spaziale Nancy Grace Roman, in fase di sviluppo. «Stiamo acquisendo preziose informazioni sul destino finale dei sistemi planetari, forse anche del nostro», conclude Lau.

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