Il ricordo di un testimone della fede: Mons. Eduard Profittlich S.I.
La prossima beatificazione del vescovo gesuita Eduard Profittlich è un evento di straordinaria importanza per la Chiesa estone. La sua beatificazione non solo commemora la sua persona, ma anche la storia della persecuzione e dell’oppressione della Chiesa durante il dominio comunista nel Paese.
Dopo il suo arresto, avvenuto il 27 giugno 1941, per mezzo secolo non se ne seppe più nulla. Nonostante i comunisti avessero «messo a tacere» la sua morte, il suo ricordo è sempre rimasto vivo tra i fedeli in Estonia, oltre che nella sua famiglia e nella sua parrocchia natale di Santo Stefano, a Leimersdorf.
Tutti gli sforzi della Chiesa per scoprire qualcosa sulle sue sorti dopo l’arresto sono stati vani. Il 24 febbraio 1942 l’ex ministro degli Esteri dell’Estonia comunicò alla Segreteria di Stato che il nome di Profittlich era tra quelli riportati in una lista di 57.000 persone deportate, ma non fu in grado di fornire ulteriori informazioni a riguardo. Una prima notizia ambigua sulla morte di Profittlich giunse alla Segreteria di Stato tramite una lettera del Segretario generale della Croce Rossa estone, datata 12 agosto 1948, nella quale però non si indicava una data di morte, ma c’era solo la comunicazione che era «morto in esilio». Nel 1957 ci fu un ulteriore tentativo, da parte del parente Alois Profittlich, di ottenere informazioni dalla Croce Rossa sulla sorte del vescovo, ma anche in questo caso non si ebbero notizie[1]. Solo nel 1990, dopo il crollo dell’impero sovietico, i governanti russi concessero l’accesso ai documenti riguardanti la sua deportazione.
Ma come sono andate concretamente le cose? In occasione dei 100 anni dalla sua nascita, il 30 marzo 1990 il parroco di Leimersdorf si rivolse alla Santa Sede chiedendo se, alla luce dei cambiamenti intervenuti nei rapporti con la Russia, non fosse possibile scoprire la data della sua morte[2]. Questa richiesta fu inoltrata il 14 maggio 1990 dalla parrocchia dei Santi Pietro e Paolo di Tallinn al Consiglio per gli affari religiosi dell’Unione Sovietica, il quale, otto giorni dopo, rispose che i documenti personali riguardanti Profittlich erano stati consegnati alla Corte suprema della Repubblica sovietica estone il 19 febbraio 1990: la Corte lo aveva completamente riabilitato, cosa che fu poi comunicata alla parrocchia dei Santi Pietro e Paolo il 12 giugno 1990[3].
Questa comunicazione scritta rese noto per la prima volta anche il giorno della sua morte, avvenuta il 22 febbraio 1942 nel carcere di Kirov, preceduta dalla condanna a morte per fucilazione emessa il 16 gennaio. Grazie alle copie consegnate alla Chiesa cattolica estone, relative al periodo che va dalla sua cattura alla sua morte, il martirio subìto dal vescovo Profittlich ha potuto essere finalmente chiarito e reso pubblico, tanto che la sua morte è stata immediatamente riconosciuta dai fedeli come quella di un martire.
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La vita
Eduard Profittlich nacque l’11 settembre 1890 a Birresdorf, vicino Ahrweiler, che dal 1974 fa parte del comune di Grafschaft, nel Land tedesco della Renania-Palatinato. Era l’ottavo dei 10 figli dei coniugi Profittlich Markus e Dorothea, nata Seiwert. Fu battezzato il giorno stesso della sua nascita nella chiesa parrocchiale di Santo Stefano a Leimersdorf, dove ricevette anche la Prima Comunione nel 1903 e il sacramento della Cresima l’anno successivo. Dopo aver terminato la scuola elementare a Leimersdorf, frequentò la scuola secondaria di primo grado ad Ahrweiler dal 1905 al 1909 e successivamente il liceo a Linz am Rhein, dove si diplomò nel 1912[4].
Eduard voleva entrare subito nella Compagnia di Gesù, ma, poiché i genitori non erano d’accordo, trascorse inizialmente due semestri nel seminario di Treviri. Probabilmente influenzato dal fratello maggiore Peter, gesuita (1878-1915), un anno dopo decise di entrare in Compagnia, e così l’11 aprile 1913 iniziò il noviziato a ’s-Heerenberg, nei Paesi Bassi. Gli studi di filosofia presso lo studentato Vaan de Genl Valkenburg furono interrotti nel 1916-1917, per prestare servizio sanitario nell’ospedale da campo tedesco di Verviers (Belgio). Dopo la fine della guerra, Eduard poté riprendere gli studi a Valkenburg, dove il 26 marzo 1922 ricevette l’ordinazione diaconale e il 27 agosto quella sacerdotale.
Avendo espresso il desiderio di andare in missione in Russia, p. Profittlich fu mandato a Cracovia per continuare i suoi studi di teologia per due anni. Dopo il Terz’anno[5], che fece nel 1924-1925 a Dziedzice, in Polonia, lavorò per tre anni (dal 1928 al 1930) come missionario popolare a Opole, e fu parroco della parrocchia polacca di Sant’Angar ad Amburgo, dove il 2 febbraio 1930 emise la professione solenne.
Il 10 dicembre 1930 p. Profittlich partì per la «Missione dell’Est» in Estonia e divenne parroco della chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Tallinn. Sei mesi dopo, l’11 maggio 1931, papa Pio XI lo nominò Amministratore apostolico dell’Estonia[6]. P. Profittlich imparò la lingua estone e contribuì a far conoscere la Chiesa cattolica alla popolazione estone. Per migliorare l’assistenza spirituale dei fedeli di diverse nazionalità e lingue sparsi in tutto il Paese, fondò nuove parrocchie e nel 1933 iniziò a pubblicare il settimanale Kiriku Elu («Vita della Chiesa»), invitando anche alcuni sacerdoti e suore provenienti dalla Polonia e dalla Cecoslovacchia a recarsi in Estonia per fornire il loro aiuto. Aveva a cuore soprattutto l’educazione religiosa dei giovani, e riuscì a far introdurre l’insegnamento della religione nelle scuole, anche in diverse lingue.
Poiché si identificava completamente con la sua missione pastorale e si sentiva profondamente legato alla popolazione locale, chiese la cittadinanza estone, che gli fu concessa il 10 aprile 1935. Il 27 novembre 1936 fu nominato arcivescovo titolare di Adrianopoli, e il 27 dicembre fu consacrato vescovo nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Tallinn, diventando così il primo vescovo cattolico attivo in Estonia dal XVII secolo.
Con il patto Molotov-Ribbentrop, nell’agosto del 1939, Hitler e Stalin non solo conclusero un accordo di non aggressione, ma si spartirono anche i Paesi e concordarono il trasferimento delle minoranze tedesche, ucraine e bielorusse nella loro sfera di influenza. Non fu solo l’invasione dell’Estonia da parte dell’esercito sovietico, iniziata il 17 giugno 1940, a seguire la logica di questo accordo, ma lo stesso accadde per la successiva richiesta a tutti i tedeschi di lasciare il Paese. Tale disposizione provocò un conflitto interiore nel vescovo Profittlich, come dimostrano le sue lettere alla Segreteria di Stato della Santa Sede dell’ottobre 1940[7]. La questione era se doveva tornare in Germania, come gli era stato ordinato, o rinunciare alla cittadinanza tedesca e accettare quella sovietica per poter rimanere in Estonia con la sua comunità.
«Restare qui è la volontà di Dio»
Come si risolse tale questione per il vescovo Profittlich dopo la presa del potere sovietico in Estonia, e che cosa fu per lui determinante, lo possiamo comprendere dalla lettera che egli scrisse ai suoi fratelli l’8 febbraio 1941. Egli ne spiega innanzitutto il motivo: «Vorrei scrivere a tutti, ancora una volta, ciò che ora riempie il mio cuore. Sarà una lettera d’addio, una lettera d’addio forse solo per mesi, o forse per anni, o forse per sempre»[8]. Poi parla della sua decisione: «Avrete sicuramente sentito e letto sui giornali che è in corso un nuovo trasferimento di tedeschi dagli Stati baltici di Lituania, Lettonia ed Estonia; è iniziato da poco e dovrebbe concludersi presto. Mi è stato vivamente consigliato di trasferirmi, in quanto tedesco, e non nego che diversi motivi mi abbiano spinto a pensare a questa soluzione, ma non posso raccontarveli qui nei dettagli. In ogni caso, tali motivi erano così forti che ho preso seriamente in considerazione l’idea del trasferimento e stavo già per contattare la Commissione. Ma poi diverse circostanze della mia vita si sono collegate in modo così strano che ho capito che era la volontà di Dio che rimanessi qui. Il fattore decisivo è stato poi un telegramma che ho ricevuto da Roma, dal quale ho capito che questa decisione corrispondeva anche al desiderio del Santo Padre»[9].
Poi il vescovo parla delle conseguenze della sua decisione. La prima è la fine della corrispondenza epistolare, perché, dopo la partenza della delegazione tedesca, una corrispondenza con la Germania lo avrebbe reso in qualche modo sospetto, e quindi sarebbe stato considerato e trattato dai bolscevichi come una spia tedesca. «Per questo – egli scrive – la lettera di oggi sarà la mia ultima. Non potrò più scrivervi finché le circostanze qui non saranno cambiate. E vi chiederei di fare anche voi lo stesso, per il momento». L’importanza di questa richiesta viene poi sottolineata da questa nota a margine, aggiunta alla seconda pagina: «Vi prego di non far arrivare questa lettera nelle mani di altri e, soprattutto, nulla di tutto questo deve finire sui giornali. I bolscevichi potrebbero considerare i dettagli della lettera come un tradimento, e questo potrebbe danneggiare non solo me, ma anche la Chiesa qui».
Questa scelta non solo lo portò a rinunciare alla protezione di cui godeva in quanto cittadino tedesco, ma lo fece anche diventare un cittadino sovietico a tutti gli effetti, sottomettendosi completamente al potere dello Stato sovietico. Il vescovo scriveva: «Conoscendo la posizione fondamentalmente ostile dello Stato sovietico nei confronti della religione, e in particolare la sua visione negativa della Chiesa cattolica, comprenderete come questa decisione possa avere conseguenze di vasta portata». Conseguenze che vengono descritte con alcuni esempi[10]: la nazionalizzazione di quasi tutti gli edifici ecclesiastici, ma anche di alcune chiese e cappelle; il timore che in futuro si sarebbero dovuti pagare affitti ingiustamente alti per l’uso delle chiese, come già avveniva per gli appartamenti dei sacerdoti («Per il clero verrà fissato un canone di affitto più alto»).
Tuttavia, poiché la gente stava facendo molti sacrifici, Profittlich non era ancora preoccupato del fatto che potessero mancare ad essa i beni di prima necessità. «L’unico pericolo che potrebbe minacciarmi è che si inizino a mandare via o arrestare i sacerdoti. […] È improbabile che ci sia un pericolo diretto per la vita, a meno che non si manifesti una malattia dovuta a uno sforzo maggiore, perché, come sapete, la mia salute non è proprio delle migliori e il mio corpo non è più così forte». Questo ci fa capire che in quel momento egli prevedeva che la sua vita sarebbe stata direttamente in pericolo solo in caso di guerra.
Dopo aver descritto la sua situazione fisica, come si sentiva interiormente e le conseguenze della sua decisione, Profittlich continua esprimendo la sua profonda gioia e gratitudine a Dio, che lo ha reso capace di prendere questa decisione: la decisione di intraprendere un cammino di martirio. Egli afferma: «Nonostante il futuro non sarà dei più rosei, umanamente parlando, ho comunque deciso di rimanere qui. È giusto che il pastore rimanga con la sua comunità, per condividere sia le gioie sia i dolori. Devo dire che la decisione mi è costata alcune settimane di riflessione, ma non l’ho presa in preda alla paura e all’ansia; anzi, mi sentivo pervaso dalla gioia. E quando finalmente mi è apparso chiaro che sarei rimasto, la mia felicità è stata così grande che ho recitato un Te Deum di gioia e di ringraziamento. In generale, ho sentito così forte l’azione della grazia di Dio sulla mia anima che raramente nella vita mi sono sentito così felice come giovedì sera, dopo aver preso la decisione, e non ho mai celebrato la Santa Messa con tanta devozione come l’ho celebrata il giorno dopo. Avrei voluto dire a tutti quanto Dio è buono con noi se ci affidiamo completamente a Lui; quanto si possa essere felici se si è disposti a dare tutto a Cristo, anche la libertà e la vita. Sono sicuro che in questo periodo molte persone hanno pregato per me, affinché Dio mi indicasse la via giusta e mi concedesse molte grazie. Non sono mai stato così riconoscente a Dio per la grazia del sacerdozio come in questi ultimi giorni».
La decisione di rimanere con la sua comunità e di condividere con essa gioie e dolori è stata il frutto di un processo di discernimento spirituale, e la gioia e la gratitudine provate sono state per Profittlich una conferma della sua giustezza. In questo ha sperimentato l’azione della grazia di Dio, e ha anche ringraziato Dio per le preghiere che molte persone avevano fatto per lui. Ciò che inizialmente lo opprimeva, alla fine lo porta a sperimentare un profondo senso di gratitudine. «E non solo perché Dio è stato così buono con me, ma anche perché ho trovato tanto amore e tanta gratitudine nelle persone quando hanno saputo che sarei rimasto qui». Questo ha cambiato anche il suo modo di vedere la realtà: «Certamente all’esterno negli ultimi anni è stato distrutto molto di tutto ciò che ho cercato di costruire con tanta fatica e preoccupazione. Ma molto di quello che ho potuto fare per tanti, invece, è rimasto. E proprio alcuni dei convertiti che ho accolto nella Chiesa negli ultimi anni mostrano adesso un amore e una gratitudine commoventi per tutto ciò che hanno ricevuto da Dio attraverso di me. Pertanto, nonostante tutto, non sarò mai abbastanza grato al buon Dio per tutto ciò che mi ha permesso di fare qui».
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Le incognite sul futuro di milioni di rifugiati, le città devastate da anni di guerra e una pace ancora fragile. A raccontarci da Damasco come sta vivendo questo momento di incertezza la popolazione siriana è p. Vincent de Beaucoudrey S.I., direttore del Jesuit Refugee Service in Siria.
Profittlich non guarda più tanto alle sue azioni e al suo operato, ma piuttosto a ciò che Dio gli ha permesso di fare e a ciò che ha compiuto attraverso di lui. In questo modo acquisisce una grande fiducia in Dio, con la quale è in grado di affrontare un futuro incerto senza paura, perché «Dio sarà sempre con lui».
Poi afferma: «Per quanto riguarda il futuro, ovviamente non so che cosa accadrà. Nessuno può prevedere con certezza l’evoluzione delle cose, ma di una cosa sono sicuro: è volontà di Dio che io rimanga qui, e questo non solo mi rende felice, ma mi dà anche la forza di affrontare il futuro con grande fiducia, perché so che qualunque cosa accada, Dio sarà con me. E allora tutto andrà bene. Così la mia vita e, se sarà, la mia morte saranno una vita e una morte per Cristo. E non c’è niente di più bello».
Alla fine della lettera, Profittlich ringrazia ancora una volta tutti per il loro amore e per le donazioni fatte alla missione in Estonia, e chiede anche di pregare per lui. È consapevole della sua debolezza in quanto essere umano, ma anche del dono della sua chiamata a offrire la vita per Cristo e a rimanere fedele a tale vocazione, ed è proprio questa richiesta che lo commuove profondamente: «Vi chiedo, dal profondo del cuore, di pregare per me. Se volete fare qualcosa di buono per me, allora fate celebrare una Messa. Forse il parroco di Leimersdorf può chiedere ai miei concittadini di pregare per me, affinché Dio non mi neghi la sua grazia neppure in futuro, affinché in tutto ciò che mi accadrà io possa rimanere fedele alla mia alta e santa vocazione e al mio compito, rendendomi sempre disponibile a spendere tutte le mie forze per Cristo e per il suo regno e, se sarà la sua volontà, anche la mia vita. Perché non potrei pensare a una fine più bella».
Con questo desiderio di offrire la propria vita Profittlich si congeda dai suoi fratelli e sorelle, chiedendo a Dio di mantenerli tutti «fedeli al suo santo servizio e alla sua santa fede» e di benedirli tutti. Con la benedizione episcopale «da lontano», li saluta un’ultima volta come «il loro Eduard».
Conforto e incoraggiamento per una Chiesa perseguitata
Profittlich era consapevole della sua grande responsabilità e del significato della sua decisione. Nel novembre 1939, di fronte a tutto il clero dell’Estonia e alla presenza del nunzio apostolico, ebbe l’opportunità di esortare con parole commoventi tutti i presenti a sopportare coraggiosamente la persecuzione e, eventualmente, anche il martirio, se ciò si fosse reso necessario per il bene delle anime e della Chiesa[11]. Era anche perfettamente consapevole del fatto che, se avesse seguito la richiesta di tornare in Germania, avrebbe dato indirettamente un cattivo esempio non solo ai cattolici, ma anche ai non cattolici dell’Estonia, perché, a causa delle sue origini tedesche, sarebbe stato visto da molti come un «servo pagato», e non come un «buon pastore».
Profittlich sperimentò gli effetti positivi della sua decisione non soltanto in prima persona, provando un senso di gioia interiore e profonda gratitudine, ma anche attraverso l’esperienza di «amore e gratitudine delle persone quando hanno saputo che sarebbe rimasto». La sua decisione fu un conforto per loro, in quanto le fece sentire apprezzate, ma allo stesso tempo egli diede loro nuovo coraggio e speranza in una situazione difficile, perché non si sentissero abbandonate, ma sapessero che egli avrebbe percorso il cammino insieme a loro.
La disponibilità a rimanere con le persone a lui affidate non significò soltanto conforto e incoraggiamento in quel momento, ma il ricordo del vescovo Profittlich fu anche fonte di consolazione per i credenti dell’Estonia durante i 50 anni di oppressione comunista e un importante esempio per la loro vita di fede. Sebbene non sapessero dove fosse, o se fosse ancora vivo, egli rimase vivo nella loro memoria come il «buon pastore» che non abbandona la sua comunità e continua a prendersene cura, come una persona pronta a condividere con loro la propria vita nella persecuzione e anche a dare la propria vita per loro. L’avvio del processo per la sua beatificazione è stato una rivisitazione di questa «memoria», con l’obiettivo di rafforzare la fede di altre persone e incoraggiarle nelle loro difficoltà con il ricordo del suo martirio.
Il processo di beatificazione e il suo significato
Nella sua lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente, Giovanni Paolo II parla della persecuzione dei credenti, affermando che alla fine del secondo millennio la Chiesa è «diventata la Chiesa dei martiri». Esorta le Chiese locali a fare tutto il possibile per «non perdere la memoria di coloro che hanno subìto il martirio»[12] .
In seguito a questo invito, dopo il ripristino delle strutture ecclesiastiche in Russia, il 31 maggio 2003 a San Pietroburgo è stato aperto il processo di beatificazione di 16 martiri, il primo dei quali era il vescovo Profittlich. Per vari motivi, nel corso degli anni alcuni «servi di Dio» erano stati staccati da questo gruppo, e per loro sono stati avviati processi distinti, come nel caso di Profittlich, nel 2014, su richiesta dell’amministratore apostolico dell’Estonia, mons. Philippe Jourdan. Il processo diocesano a Tallinn, iniziato nel 2017 con la nomina della postulatrice diocesana, la dottoressa Marge-Maria Paas, si è concluso due anni dopo, il 5 marzo 2019.
Sebbene la raccolta di tutte le informazioni e i documenti possibili riguardanti il «servo di Dio» Profittlich, nel processo diocesano sia servita innanzitutto a creare una base solida per la dichiarazione di santità o di martirio, ha contribuito anche a far conoscere sempre più a fondo la sua persona. I documenti raccolti per il processo di beatificazione di mons. Profittlich ci mostrano chiaramente che sia tutto ciò che egli ha dovuto affrontare fino alla sua morte in carcere a Kirov sia la sua morte stessa sono stati veramente quelli di un martire. Ma ci mostrano anche come egli stesso abbia dovuto lottare nella fede e come solo con l’aiuto di Dio abbia potuto prendere quella decisione che lo ha condotto sulla via del martirio. Per grazia di Dio, la sua vita e la sua morte sono diventate un esempio luminoso di sequela di Cristo e una testimonianza del suo grande amore per le persone che gli erano state affidate in Estonia.
La prossima beatificazione sarà la solenne proclamazione del significato dell’offerta della propria vita, che lo ha reso un «buon pastore», che non abbandona la sua comunità nemmeno nelle più grandi avversità e necessità. Sarà una celebrazione di ringraziamento per l’esempio di sequela del Signore crocifisso che Profittlich ha dato con la sua decisione di rimanere in Estonia anche sotto il dominio comunista e durante la persecuzione religiosa. Ma soprattutto sarà per noi un invito a guardare a lui e a ricordare la sua testimonianza di fede per trarre conforto e incoraggiamento dalla sua vita e dalle sue azioni per il nostro cammino di fede, sia nelle situazioni di persecuzione religiosa sia nelle difficoltà quotidiane.
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[1] La fonte sono le lettere contenute nella Positio, conservate nell’Archivio Storico della Segreteria di Stato – Sezione per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali (Affari Ecclesiastici Straordinari), Paesi Baltici.
[2] Ivi.
[3] Questi documenti, come pure i verbali degli interrogatori a Kirov e gli atti di condanna, si trovano nell’Archivio Storico Estone di Tartu, Fondo 130, 11503.
[4] Cfr Ch. Wrembek, «Estland: Deutscher Märtyrer auf dem Weg zur Seligsprechung», in wrembek.net/estland-deutscher-…
[5] Il Terz’anno è l’ultima tappa della formazione dei gesuiti, prima della professione solenne.
[6] Il decreto di nomina è conservato presso l’Archivio Apostolico Vaticano, Santa Sede, 1018 XI [7].
[7] Cfr le lettere del 25 e del 31 ottobre 1940, in Archivio Storico della Segreteria di Stato – Sezione per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali – Affari Ecclesiastici Straordinari, Paesi Baltici, fasc. 120, 10136/40 e 10138/40.
[8] L’originale della lettera si trova a Bad Breisig, nell’archivio della famiglia Profittlich.
[9] Il primo telegramma fu inviato a Profittlich il 23 novembre 1940; il secondo, in risposta alle sue considerazioni sui pro e contra, il 1° febbraio 1941, cioè una settimana prima della sua lettera ai fratelli.
[10] Profittlich descrisse in modo molto simile la situazione della Chiesa nella lettera inviata il 14 gennaio 1941 al cardinale Segretario di Stato, Luigi Maglione.
[11] Cfr il rapporto del nunzio del 30 gennaio 1941, conservato nell’Archivio Storico della Segreteria di Stato – Sezione per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali – Affari Ecclesiastici Straordinari, fasc. 120, 792/41.
[12] Cfr Giovanni Paolo II, s., Lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente, n. 37.
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