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«La guerra dei 12 giorni» tra Israele e Iran


Attacco israeliano a Teheran all'alba di venerdì 13 giugno 2025 (Mehr News Agency/Wikimedia)
Sono passati diversi mesi dalla cosiddetta «guerra dei 12 giorni» tra Israele e Iran, alla quale hanno partecipato alla fine anche gli Usa. Essa si è conclusa con un inaspettato cessate il fuoco, richiesto dal presidente Donald Trump. Si è trattato di una guerra molto pericolosa, che poteva andare avanti per anni e che rischiava di infiammare ulteriormente l’intero Medio Oriente. Ad ogni modo, essa potrebbe riattivarsi nel caso gli iraniani riprendessero il programma nucleare, che gli statunitensi e gli israeliani ritengono in buona parte distrutto, nonostante non siano state fatte ancora puntuali verifiche sulle perdite dell’Iran in ambito nucleare[1].

L’operazione «Rising Lion»


Secondo il governo israeliano, l’Iran è la più grande minaccia esterna per Israele, ma la minaccia più grave di tutte è certamente il suo progetto di dotarsi di una bomba nucleare. Israele è un piccolo Paese densamente popolato, situato nel raggio di azione missilistico della Repubblica islamica, per cui un Iran dotato di armi nucleari metterebbe a rischio la sua stessa esistenza[2]. Ciò spiega l’attacco all’Iran del 13 giugno scorso, preparato e studiato da lungo tempo, in ogni sua parte.

L’operazione, denominata Rising Lion, è stata attuata con l’intento specifico di impedire che gli ayatollah arrivino a costruire una bomba nucleare. Il premier Netanyahu a tale riguardo ha parlato «di azione preventiva per rimuovere una minaccia esistenziale»[3]. I ripetuti raid aerei non si sono limitati a colpire i laboratori del programma atomico, ma hanno preso di mira le più importanti risorse strategiche iraniane, uccidendo le persone al vertice delle forze armate e dei Guardiani della rivoluzione[4], nonché gli scienziati impegnati nel progetto. Hanno colpito, inoltre, le difese contraeree, gli arsenali missilistici e bombardato aeroporti e caserme in tutto il Paese. Insomma, il vero obiettivo era colpire il sistema di potere degli ayatollah e spingere a un change regime, come aveva espressamente detto Benjamin Netanyahu in un messaggio rivolto agli iraniani.

Il giorno precedente, i governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), un’agenzia collegata alle Nazioni Unite, avevano dichiarato l’Iran inadempiente in ordine al nucleare. Era la prima volta in 20 anni che l’Agenzia censurava la Repubblica islamica perché non rispettava i suoi obblighi sul programma nucleare, non collaborava pienamente con le ispezioni e continuava a non spiegare la presenza di tracce di uranio trovate in tre siti non dichiarati. Teheran possedeva quantità di uranio arricchito al 60%, che, se fosse portato al 90%, potrebbe bastare per costruire diverse testate nucleari. L’Iran ha sempre rivendicato la natura pacifica del suo programma, ma è l’unico Paese al mondo senza atomica ad arricchire l’uranio al 60%[5]. È significativo che l’attacco israeliano sia avvenuto un giorno dopo la censura del sistema nucleare iraniano da parte di un organismo internazionale.

Secondo Guido Olimpio, Israele «ha usato un tridente per attaccare l’Iran»[6]. La prima arma è stata rappresentata dall’aviazione e dai missili lanciati da lontano. La seconda era costituita dai droni-kamikaze portati in Iran precedentemente. La terza era costituita dalle azioni attuate in loco dai servizi segreti, il Mossad. «Lo Stato Maggiore ha scatenato alle tre di notte la prima ondata e ne ha promesse molte altre. Sono stati impiegati 200 aerei […] che hanno lanciato non meno di 300 “proiettili” contro 150 bersagli divisi per “categorie”»[7]. Sono stati colpiti alcuni siti nucleari, numerose basi, postazioni missilistiche e radar, e i massimi esponenti militari dell’Iran, a cominciare dai vertici dei pasdaran fino ad alcuni scienziati impiegati nel programma nucleare, sono stati raggiunti da missili o droni nelle loro abitazioni.

Gli israeliani hanno fatto sapere aimediacome sono riusciti a eliminare contemporaneamente un numero così alto di ufficiali. Pare che questi, dal comandante dei pasdaran Hossein Salami al responsabile della divisione aerospaziale Amir Ali Hajizadeh, siano stati indotti a riunirsi in un luogo preciso, che poi è stato centrato da missili[8]. Per quanto riguarda i droni, agenti dei servizi segreti sono stati in grado di trasportarli in Iran, li hanno nascosti in luoghi sicuri e li hanno tirati fuori per metterli in azione contro gli obiettivi stabiliti. Queste azioni del Mossad confermano «una realtà in cui gli israeliani dimostrano di avere sponde all’interno della Repubblica islamica»[9], forse individui senza ideologia che lavorano per soldi o membri dell’opposizione. Non dimentichiamo che molti di questi in passato sono stati arrestati, processati e giustiziati dal regime.

Il momento scelto per l’intervento non è stato casuale. Israele, nonostante sia impegnato nella guerra di Gaza non ancora portata a termine, aveva a disposizione una breve finestra temporale per poter agire. Infatti, l’Iran ora è più debole di quanto non lo sia stato nei decenni precedenti. Non solo il suo regime è impopolare, ma anche la sua influenza in Libano e in Siria è notevolmente diminuita. Hezbollah, la milizia libanese che un tempo era considerata la punta di diamante di qualsiasi rappresaglia iraniana, ha ridotto le capacità militari per i bombardamenti israeliani. Altri gruppi filo-iraniani come Hamas, sono stati decimati a Gaza. Soltanto gli Houthi rimangono per il momento pericolosamente attivi.

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Ma la vera motivazione che ha spinto Israele ad agire è che l’Iran non è stato mai così vicino come in questo tempo a ottenere l’arma nucleare e, avendo accelerato la produzione di uranio arricchito, avrebbe materiale fissile sufficiente per creare diverse bombe[10]. I suoi funzionari ritenevano che, nei colloqui con l’America su un accordo per bloccare il programma nucleare, l’Iran abbia creato una sorta di cortina di fumo, dietro la quale i suoi scienziati stavano in realtà procedendo rapidamente nel progetto. Trump stesso aveva accusato l’Iran di non essere disposto a raggiungere un accordo secondo le condizioni statunitensi. Israele ha colto così l’occasione per passare all’azione.

La reazione del regime degli ayatollah è partita poco dopo il primo attacco, quando centinaia di missili e droni sono stati lanciati verso Israele. Soltanto pochi, però, sono riusciti a oltrepassare lo scudo di difesa israeliano. Gli Stati Uniti hanno contribuito ad abbattere non pochi di questi missili, dimostrando di essere a fianco di Israele nella difesa del suo territorio. Successivamente Israele ha ripetuto i bombardamenti sui siti colpiti in precedenza, come quelli nucleari di Natanz e Isfahan, e altri ancora in tutto l’Iran. Teheran ha dichiarato che avrebbe abbattuto obiettivi di Paesi occidentali, qualora questi avessero aiutato Israele.

Nei giorni successivi, i bombardamenti sono continuati su entrambi i fronti, provocando vittime anche tra i civili. In Israele è stata colpita una raffineria di petrolio ad Haifa, e successivamente la cittadina di Bat Yam, dove sono stati danneggiati più di 60 edifici, uccidendo diverse persone. Questo vuol dire che, nonostante il sofisticato sistema israeliano di difesa aerea multilivello, alcuni missili balistici iraniani sono riusciti a superarlo[11]. Ancora più devastanti sono stati i bombardamenti israeliani sull’Iran: più di 300 raid al giorno. I missili hanno colpito anche i quartieri residenziali, soprattutto a Teheran nord, dove vivono funzionari e militari, ma anche semplici civili. Sono stati presi di mira giacimenti di gas e depositi di carburante che riforniscono la capitale, ma anche infrastrutture come aeroporti e autostrade e perfino la Tv di Stato. Israele con i suoi missili e aerei ha avuto, per tutto il periodo della guerra, il dominio dei cieli, in particolare ha tenuto sotto tiro Teheran.

In generale l’Iran, nonostante la sua propaganda, non è stato in grado di reagire efficacemente all’attacco israeliano; non ha abbattuto un solo jet del nemico. Dei 532 missili balistici lanciati contro Israele, solo 31 hanno colpito aree popolose; i restanti sono stati intercettati, hanno fallito il lancio o hanno colpito zone deserte del Paese. I missili non sono riusciti a colpire obiettivi strategici, come le basi aeree, che avrebbero potuto ostacolare l’azione bellica di Israele[12].

Gli Usa e la guerra tra Israele e Iran


All’inizio, gli Stati Uniti non hanno preso parte all’attacco, anche se sono stati informati dell’operazione, alla quale, secondo gli studiosi, hanno dato «semaforo giallo», autorizzando Israele ad agire, senza però esporsi in prima persona. Le motivazioni della strategia statunitense sono state esplicitate in un comunicato diffuso nella notte del 13 giugno dal Segretario di Stato, Marco Rubio: «Stasera Israele ha compiuto un’azione unilaterale, noi non siamo coinvolti negli attacchi contro l’Iran e la nostra principale priorità è di proteggere le forze americane nella regione. Israele ci ha informati che ritiene questa azione necessaria per la propria autodifesa»[13].

Il giorno dopo l’attacco, Trump non ha nascosto di essere impressionato da quanto avvenuto. Ha parlato di «un grande successo», notando che è stato usato qualche equipaggiamento americano e ha presentato l’attacco israeliano come qualcosa che può aumentare le chances di un accordo e contribuire a convincere l’Iran a rinunciare completamente all’arricchimento dell’uranio. Ha detto anche che i mercati avrebbero risposto positivamente, perché l’Iran non avrebbe avuto un’arma nucleare[14]. Il 15 giugno, Trump è intervenuto più volte: «Iran e Israele – ha detto – dovrebbero raggiungere un accordo, e lo faranno, proprio come hanno fatto India e Pakistan»[15], e ha indicato Putin come possibile mediatore. Poi ha dichiarato: «Al momento gli Usa non sono coinvolti. È possibile che lo siano». Quindi ha specificato il senso di tale affermazione: gli Usa non hanno partecipato agli attacchi israeliani, «ma se verremo colpiti, risponderemo con una forza mai vista prima»[16].

Dopo il G7, svoltosi in Canada a metà giugno, dal quale Trump è ripartito in anticipo, la sua posizione sulla guerra israeliana in Iran è cambiata. Da quel momento egli ha chiesto agli ayatollah non la semplice ripresa dei negoziati, ma la resa totale. Accreditandosi parte della vittoria israeliana, ha scritto nel suo sito: «Ora abbiamo il controllo completo e totale dei cieli sopra l’Iran». Poi ha lanciato l’ultimatum: «Sappiamo esattamente dove si nasconde il cosiddetto “Leader Supremo”. È un bersaglio facile, ma è al sicuro lì. Non abbiamo intenzione di eliminarlo (ucciderlo!), almeno non per ora»[17]. In un successivo post, ha aggiunto, a lettere cubitali: «Resa incondizionata»[18].

Anche se gli Usa in quel momento non erano in guerra con l’Iran, è significativo che il Presidente abbia utilizzato il «noi» per indicare alcuni importanti passaggi. Per Israele l’appoggio e, ancor più, l’entrata in guerra degli Usa a suo fianco avrebbero fatto la differenza. Trump ha deciso di intervenire in questa guerra, in parte per aiutare l’alleato israeliano, in parte per attribuirsi i meriti della vittoria, che vedeva a portata di mano. «Per lui non c’è niente di più frustante di una guerra combattuta con armi statunitensi, ma di cui non può prendersi il merito in caso di vittoria»[19].

Sotto il profilo della politica interna, va però sottolineato che Trump era stato eletto presidente dopo aver presentato un programma di disimpegno dai conflitti del mondo, criticando le guerre senza fine condotte in passato dai democratici in Medio Oriente. E questa poteva essere una di quelle. Tanto più che molti attivisti del movimento Maga, come pure molti repubblicani, erano contrari all’intervento[20]. Inoltre, secondo alcuni sondaggi, sembra che la maggior parte dell’opinione pubblica americana fosse ostile all’intervento, e che solo il 16% fosse a favore[21]. In un primo momento Trump ha affermato di voler attendere due settimane prima di decidere se intervenire a fianco di Israele e dare all’Iran la possibilità di abbandonare il programma nucleare, ma subito dopo ha deciso di intervenire.

Israele aveva bisogno dell’intervento americano per sferrare un colpo decisivo ai siti nucleari iraniani interrati nel sottosuolo[22]. A pochi giorni dall’inizio dell’attacco israeliano, solo due siti nucleari erano stati colpiti – quello di Natanz e quello di Isfahan –, e non si sapeva con quali risultati concreti. Gli analisti stimavano che le forze israeliane avessero al massimo colpito un terzo del programma nucleare iraniano, il che lo avrebbe fatto regredire di mesi e non di anni. Alcuni impianti sotterranei, come quello di Fordow, dove viene arricchito l’uranio, non erano stati per nulla toccati[23].

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Il 20 giugno, un incontro a Ginevra dei ministri degli esteri di Germania, Regno Unito, Francia e dell’Alta rappresentante Ue con il ministro iraniano Abbas Araghchi non ha sortito risultati concreti. L’obiettivo dell’incontro era convincere l’Iran ad «accettare un controllo più invasivo»[24] da parte dell’Aiea sul programma nucleare e sulle attività balistiche, in modo da scongiurare l’intervento armato degli Usa. Gli ayatollah hanno detto di essere pronti a discutere, ma non a bloccare il programma nucleare.

L’intervento americano


Nonostante le iniziali esitazioni e le due settimane di ripensamento, gli Usa, probabilmente spinti da Netanyahu, hanno deciso di intervenire bombardando tre siti nucleari. Ciò è avvenuto la mattina del 22 giugno. Un gruppo di sette bombardieri B-2 ha sganciato 14 bombe anti-bunker (GBU – 57) su Fordow e su Natanz. Il primo è il più importante impianto nucleare iraniano, che si trova interrato sotto il fianco di una montagna, a una profondità di circa 100 metri. Secondo molti analisti, le bombe utilizzate dagli Usa, anche se molto potenti, non sarebbero in grado di distruggere l’impianto in profondità. Tuttavia, anche se non riuscissero ad arrivare alla sala di arricchimento dell’uranio, potrebbero causare un’onda d’urto capace di distruggere in modo sensibile le apparecchiature contenute al suo interno. Gli Usa hanno anche colpito Isfahan, già bombardata da Israele, con 30 missili da crociera lanciati dai sottomarini. Subito dopo i bombardamenti, Trump ha dichiarato: «Posso annunciare al mondo che gli attacchi sono stati uno spettacolare successo militare. I principali impianti di arricchimento nucleare dell’Iran sono stati completamente e totalmente distrutti»[25]. Il capo di Stato Maggiore Razin Caine ha specificato: «I danni finali saranno quantificati nel tempo, ma le prime valutazioni indicano che tutti e tre i siti hanno subìto distruzioni estremamente gravi»[26].

Decisa è stata la reazione di Teheran. Il ministro degli Esteri Araghchi ha annunciato la fine di ogni trattativa e ha dichiarato: «Quanto accaduto è oltraggioso e avrà conseguenze eterne per questi attacchi illegali e criminali. […] l’Iran si riserva tutte le opzioni per difendere la propria sovranità, i propri interessi e il proprio popolo»[27]. La Cina e la Russia hanno condannato l’azione militare statunitense: è stato violato, hanno detto, il diritto internazionale. Il Segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha dichiarato che il bombardamento degli impianti nucleari iraniani «segna una svolta pericolosa in una regione già in preda al caos»[28].

Gli analisti si sono chiesti come avrebbe reagito il regime iraniano dopo il bombardamento statunitense. Oltre a continuare a bersagliare Israele, esso aveva una serie di possibilità, tutte pericolose per gli interessi americani[29]. Avrebbe potuto lanciare droni o missili contro le basi statunitensi in Medio Oriente o attaccare gli alleati americani, prendendo di mira i giacimenti petroliferi dell’Arabia Saudita o i grattacieli di Dubai. Oppure avrebbe potuto bloccare lo Stretto di Hormuz, il braccio di mare in cui passa un terzo del greggio trasportato via mare. Solo che ciò avrebbe danneggiato anche le esportazioni del petrolio iraniano diretto in Cina. Tutte queste soluzioni avrebbero provocato una reazione molto forte da parte degli Stati Uniti, spingendoli a un vero e proprio conflitto armato, come in passato era avvenuto in Afghanistan e in Iraq, cosa che gli Usa non volevano. Trump aveva più volte sottolineato che i soldati statunitensi non avrebbero calcato il suolo mediorientale. Inoltre, i proxy dell’Iran, gli Houthi o l’Hezbollah avrebbero potuto attaccare obiettivi statunitensi o israeliani. Ma tutto questo non è avvenuto.

Per gli Usa, la scelta migliore era che l’Iran optasse per una rappresaglia simbolica, come era avvenuto nel 2020, quando Trump aveva ordinato l’uccisione del generale Qassem Soleimani. Il Presidente statunitense in questo caso avrebbe potuto spingere Israele a porre fine alla sua guerra e sollecitare l’Iran a riprendere i negoziati per un nuovo accordo sul nucleare. «Il bullo del Medio Oriente – aveva detto Trump – ora deve fare la pace. Se non lo farà, i futuri attacchi saranno molto più gravi e molto più facili»[30]. Dal canto loro, i funzionari di Teheran hanno cercato di minimizzare i danni subiti dai siti nucleari[31].

La rappresaglia iraniana ai bombardamenti statunitensi non si è fatta attendere. L’indomani, una raffica di missili è stata lanciata contro la base americana di Al Udeid, in Qatar, provocando pochi danni materiali. In ogni caso, «per una decina di minuti tra i grattacieli di Doha la notte si è riempita di esplosioni, con il drammatico duello tra contraerea e incursori, mentre negli shopping center del lusso la folla fuggiva in preda al panico»[32]. Dal punto di vista strategico, l’azione non era di poco conto: questo fatto rischiava di incrinare la fiducia tra nazioni che erano state storicamente amiche. Quella iraniana è stata una rappresaglia-show, una sorta di ritorsione simbolica sul modello di quella del 2020, un modo per cercare di chiudere i conti con Washington e aprire canali di negoziato. Di fatto, prima di lanciare l’attacco, le autorità di Teheran avevano preavvisato gli emiri di Doha, permettendo così agli statunitensi di attivare in anticipo la contraerea Patriot, così da ridurre in modo sensibile i danni[33]. Secondo gli Usa, soltanto un missile sarebbe giunto a destinazione; per gli iraniani, invece, diversi.

Successivamente, il presidente Trump ha ringraziato Teheran per l’informazione, e la Casa Bianca ha negoziato, grazie alla mediazione del Qatar, un cessate il fuoco tra Iran e Israele, al fine di avviare una trattativa. L’iniziativa è stata ben accolta sia da Israele sia da Teheran. «Vorrei congratularmi – ha scritto il Presidente Usa nel suo sito – con entrambi i Paesi, Israele e Iran, per aver avuto la resistenza, il coraggio e l’intelligenza necessari per porre fine a quella che dovrebbe essere chiamata “la guerra dei 12 giorni”»[34].

La cosiddetta «guerra dei 12 giorni», ha provocato 387 vittime civili (su un totale di 974) tra gli iraniani, mentre quelle israeliane sono state 29[35].

Tutti coloro che sono stati coinvolti nel conflitto possono affermare di aver raggiunto il loro obiettivo principale: Israele ha arrecato danni concreti ai programmi nucleari e missilistici dell’Iran; il regime iraniano è sopravvissuto, indebolito, ma intatto[36]; Trump ha sganciato le sue superbombe senza farsi risucchiare in un conflitto lungo e impopolare; gli Stati del Golfo hanno evitato l’incubo di un attacco iraniano distruttivo sul loro territorio. In ogni caso, è nell’interesse di tutti aver posto fine a un conflitto che poteva far saltare in aria tutta la regione e che rischia di riaccendersi nel caso in cui l’Iran, per ritorsione, riprenda il suo programma nucleare.

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[1] Cfr P. Smolar, «La guerra dei dodici giorni», in Internazionale, 27 giugno 2025.

[2] Cfr «Israel has taken an audacious but terrifying gamble», in The Economist,13 giugno 2025.

[3] G. Di Feo, «L’Iran risponde a Israele: Medio Oriente in guerra», in la Repubblica, 14 giugno 2025.

[4] Uomini come Hossein Salami, comandante in capo delle Guardie della rivoluzione, il più alto ufficiale iraniano; Ali Bagheri, capo di Stato maggiore delle forze armate; Esmail Qaani, comandante della Forza Quds delle Guardie rivoluzionarie; e altri.

[5] Cfr G. Colarusso, «Teheran non passa l’esame Aiea sul nucleare. Israele prepara l’attacco», in la Repubblica, 13 giugno 2025.

[6] G. Olimpio, «I droni nascosti, le talpe e la trappola del Mossad. Il piano studiato per anni», in Corriere della Sera, 14 giugno 2025.

[7] Ivi.

[8] Cfr ivi.

[9] Ivi.

[10] Cfr «Israel’s war with Iran is over», in The Economist, 26 giugno 2025.

[11] Cfr A. Lombardi, «Israele. Le città martellate dal super-missile “Soleimani”. Netanyahu giura vendetta», in la Repubblica, 16 giugno 2025.

[12] Cfr «Israel’s war with Iran is over», in The Economist, 26 giugno 2025.

[13] V. Mazza, «Qui Trump. Il doppio gioco del tycoon. “Sapevamo, ma gli Usa non sono coinvolti”», in Corriere della Sera, 14 giugno 2025.

[14] Cfr ivi.

[15] P. Mastrolilli, «Gli Usa, Trump apre a Putin: “Può essere lui il mediatore. Se ci attaccano, reagiremo”», in la Repubblica, 16 giugno 2025.

[16] Ivi.

[17] P. Mastrolilli, «Trump all’Iran: “Resa totale o guerra”. Mosca: rischio atomico», in la Repubblica, 18 giugno 2025.

[18] Ivi.

[19] P. Haski, «Cosa può spingere Washington a entrare in guerra contro Teheran», in Internazionale, 19 giugno 2025.

[20] Cfr ivi.

[21] Cfr «Trump v Iran: a negotiation made in hell», in The Economist, 20 giugno 2025.

[22] Cfr «The Israel Iran war is now a brutal test of staying power», in The Economist, 15 giugno 2025.

[23] Cfr ivi.

[24] Cfr F. Basso, «L’Europa tratta con l’Iran. Tre ore, zero progressi», in Corriere della Sera, 21 giugno 2025.

[25] M. Persivale, «Trump lancia l’attacco Usa. L’Iran: conseguenze eterne», in Corriere della Sera, 23 giugno 2025.

[26] Ivi.

[27] Ivi.

[28] Ivi.

[29] Cfr «Trump smashes Iran – and gambles the regime will now capitulate», in The Economist, 22 giugno 2025.

[30] Ivi.

[31] Israele intanto aveva lanciato un attacco su Teheran, prendendo di mira i simboli del regime, cioè la prigione di Evin, dove sono detenuti i dissidenti e i prigionieri politici. È stato colpito anche il quartier generale dei Guardiani della rivoluzione, dove sarebbero rimasti uccisi numerosi pasdaran, e quello dei Basij, la milizia paramilitare creata da Khomeini nel 1979.

[32] G. Di Feo, «L’Iran avvisa gli Usa del lancio di missili sul Qatar, poi l’annuncio di una tregua», in la Repubblica, 24 giugno 2025.

[33] Cfr ivi.

[34] «Trump says the war is over. Haw 14 bombs may change the Middle East», in The Economist, 24 giugno 2025.

[35] Cfr Corriere della Sera, 25 giugno 2025, 3.

[36] Il regime iraniano ha affermato di aver costretto i nemici a rifugiarsi in un cessate il fuoco e di aver messo in salvo le scorte di uranio arricchito. Il che non è accertato, anche perché il regime non accetta più nessun intervento dell’Aiea nel Paese.

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