Postulo che i titolisti siano i primi responsabili della disinformazione.
Da quando, su Internet, la "trazione" generata da un titolo è precisamente misurabile in click la corsa all'intestazione più acchiappaclick è diventata talmente agguerrita da meritarsi un posto alle Olimpiadi. È lo stramaledetto clickbait.
Non importa più che il titolo rifletta in maniera succinta i contenuti dell'articolo, basta che incuriosisca il lettore abbastanza da cliccare. E allora daje de titoli scandalistici o palesemente falsi.
Questo non sarebbe un enorme problema se tutti andassero a leggere gli articoli così mal intitolati, anzi: sgamando subito l'opera di un titolista truffaldino, ce ne andremmo immediatamente dalla pagina (con conseguente crollo dei tempi di permanenza su di essa, altra metrica rilevante) e non torneremmo più su quella testata.
Ma questo non succede: nello scrollare quotidianamente la timeline di un social o il feed di un aggregatore RSS si leggono.... Al 90% solo i titoli? Ed ecco che la frittata è fatta.
Se leggo un titolo che dice "Studio dimostra l'inefficacia dei vaccini COVID" e non vado a leggere l'articolo, che magari, al contrario, parla di uno studio che dimostra l'efficacia al 95% e mi dettaglia in quali casi non lo è, ho assorbito un'informazione non solo errata, ma diametralmente opposta al senso della notizia.
Tutto per dei cazzi di click.
Google dice che la SEO ha rovinato l'Internet. Va bene che tralascia il fatto che se la SEO esiste è perché sono loro ad aver stabilito le regole del ranking, ma di per sé l'affermazione non è scorretta.
La verità, online, vale meno della visibilità.
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rag. Gustavino Bevilacqua
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