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La concezione cristiana dell’impresa


Un operaio della Copreci, della Corporación Mondragon
San Giovanni Paolo II, incontrando lavoratori e imprenditori durante la sua visita in Spagna nel 1982, affermò che il lavoro, pur essendo certamente un bene dell’uomo e per l’uomo, non può essere adeguatamente valorizzato se per prima cosa non si riconosce l’inviolabile dignità di ogni essere umano. Aggiunse che la disoccupazione involontaria va contro il diritto ad avere il lavoro, che è un diritto fondamentale, perché assolutamente necessario per poter soddisfare le necessità vitali. E dopo aver riconosciuto ed elogiato gli imprenditori per l’opera che svolgono, in quanto generatori di occupazione e di ricchezza, li invitò a riflettere sulla concezione cristiana dell’impresa. Ricordò loro che l’economia non ha senso se non è riferita all’uomo, al cui servizio deve porsi. Poiché il lavoro è per l’uomo, e non l’uomo per il lavoro, di conseguenza l’impresa è per l’uomo, e non l’uomo per l’impresa[1].

Karol Wojtyła, che solo un anno prima aveva pubblicato l’enciclica Laborem exercens (LE)[2], rinnovò la sua proposta centrale: la necessità di superare l’innaturale e illogica antinomia tra capitale e lavoro. Sottolineò che solo l’uomo – imprenditore o lavoratore – è il soggetto del lavoro, ed è persona; il capitale non è altro che un insieme di cose. Concluse sintetizzando il concetto di impresa proprio della Dottrina sociale della Chiesa: essa non è solo una struttura produttiva, bensì una comunità di vita, un luogo dove l’uomo convive e si pone in relazione con i suoi simili e in cui viene favorito lo sviluppo personale.

Ci proponiamo qui di chiarire se questa proposta rappresenti soltanto un ideale o se si tratti di un progetto realizzabile. Quali modelli di impresa può ispirare? E di fatto li ha ispirati?

I rapporti umani in azienda


Che cosa significa considerare l’impresa come una comunità umana? Siamo di fronte a una proposta sviluppata per gradi. La sua portata può essere compresa solo se si mettono in evidenza la retrostante concezione del lavoro, della retribuzione e del ruolo dei lavoratori nella gestione dell’impresa, e quale sia la concezione della funzione e dei doveri dell’imprenditore.

Il lavoro è la preoccupazione primaria della Dottrina sociale della Chiesa. Ne sta addirittura all’origine, dal momento che essa non nasce come una considerazione astratta, ma in reazione alle concrete, e in particolare disumane, condizioni del lavoro nelle fabbriche e nelle miniere che la Rivoluzione industriale aveva causato. Con espressioni molto vicine a quelle di Karl Marx, Leone XIII, nella Rerum novarum (RN), denuncia il fatto che un piccolo gruppo di ricchi abbia imposto poco meno che il giogo della schiavitù a una moltitudine di proletari. Quindi, la prima cosa da fare è liberare i poveri operai dalla crudeltà degli sfruttatori che abusano delle persone. Bisogna fare in modo che la giornata lavorativa non duri più ore di quelle consentite dalle forze, e sempre a condizione che il lavoro venga interrotto di tanto in tanto e ci sia spazio per il riposo[3].

La sua seconda preoccupazione e richiesta è che il salario sia giusto, e da lì si creano le basi per il necessario ruolo dei sindacati. Il salario, elemento fondamentale per giudicare la giustizia dei rapporti tra dipendenti e datori di lavoro, non può essere determinato semplicemente dal libero gioco della domanda e dell’offerta[4]: deve coprire i bisogni della famiglia che è a carico dal lavoratore e, allo stesso tempo, deve tener conto delle condizioni economiche dell’azienda e della società nazionale nel suo insieme. Queste affermazioni furono sottolineate da Pio XI nella Quadragesimo anno (QA).

A poco a poco, nel discorso dei Papi si faceva strada il diritto di partecipazione alla gestione come un requisito naturale del lavoro. Pio XI, raccogliendo la riflessione provocata in quarant’anni di esistenza del sistema capitalista e nella crisi del 1929, consigliava di introdurre nel contratto di lavoro alcuni elementi del contratto societario. Così i dipendenti venivano associati alla conduzione e all’amministrazione e partecipavano in una certa misura dei benefici. Giovanni XXIII ha proseguito questo discorso nella Mater et magistra (MM), e il Vaticano II lo ha ripreso nella Gaudium et spes (GS)[5].

La Laborem exercens (1981) di Giovanni Paolo II rappresenta il culmine della dottrina pontificia, in quanto considera il lavoro come la chiave più adeguata per comprendere e valorizzare eticamente tutti i problemi sociali. L’enciclica prende le mosse dalla constatazione del grande conflitto scatenato dalla Rivoluzione industriale tra il «mondo del capitale» e il «mondo del lavoro», perché i datori di lavoro cercano di fissare il salario più basso, togliendo sicurezza al lavoro e garanzie alla salute. Ricorda che il principio della Dottrina sociale della Chiesa è quello della priorità del lavoro sul capitale. Il lavoro è sempre una causa efficiente primaria, mentre il capitale, cioè l’insieme dei mezzi di produzione, è solo uno strumento o la causa strumentale. Il capitale non può essere separato dal lavoro, né il lavoro può essere contrapposto al capitale, o il capitale al lavoro, né agli uomini specifici che stanno dietro a questi concetti. L’enciclica stabilisce che può essere intrinsecamente vero e allo stesso tempo moralmente legittimo quel sistema di lavoro che supera alla radice l’antinomia tra lavoro e capitale, cercando di strutturarsi secondo il principio sopra esposto della priorità sostanziale ed effettiva del lavoro[6].

L’imprenditore nella Dottrina sociale della Chiesa


Certamente la Chiesa ha avuto cura di specificare il profilo dell’imprenditore che ritiene adatto per realizzare la sua proposta riguardante l’impresa, e non poteva essere altrimenti. Lo ha fatto in relazione alle varie circostanze prevalenti. Così Leone XIII, allo scoppio della Rivoluzione industriale, enunciò i rapporti tra datore di lavoro e lavoratore in termini di padrone-operaio. Stabilì che i padroni non dovevano trattare gli operai come schiavi, ma rispettarne la dignità, senza imporre un lavoro eccessivamente gravoso, e remunerare il lavoro tempestivamente. Gli operai dovevano rispettare il contratto, non danneggiare il capitale, non offendere i padroni e non fomentare rivolte.

Questo era il discorso pertinente in quel momento. L’evoluzione degli eventi economici ha fatto sì che nell’analisi entrassero nuovi elementi. Per questo Giovanni XXIII, che continuava e sviluppava la visione di Pio XI sul diritto dei lavoratori a partecipare alla vita attiva dell’impresa, ha attribuito all’imprenditore la missione di garantire l’unità necessaria per una gestione efficiente[7].

In questo contesto, Pio XII ha manifestato il suo caloroso apprezzamento del lavoro degli imprenditori per il ruolo essenziale che essi ricoprono nello sviluppo dell’economia: «Sarebbe sbagliato credere che quest’attività coincida sempre con il proprio interesse […]. Si potrebbe paragonarla piuttosto all’invenzione scientifica, all’opera artistica che nasce da un’ispirazione disinteressata e che si rivolge molto di più all’intera comunità umana che arricchisce»[8]. Paolo VI ha confermato e ampliato questo ritratto dell’imprenditore: «Qualunque sia il giudizio che si voglia dare di voi, si dovrà riconoscere la vostra bravura, la vostra potenza, la vostra indispensabilità. La vostra funzione è necessaria per una società, che trae dal dominio della natura la sua vitalità, la sua grandezza, la sua ambizione. Avete molti meriti e molte responsabilità»[9].

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Visione dell’imprenditore dopo il crollo del comunismo e la crisi del 2008


La Dottrina sociale della Chiesa è un intreccio di princìpi immutabili e applicazioni contingenti e mutevoli in risposta ai diversi problemi che si presentano. Questa dimensione storica, che le è così propria, ha fatto sì che essa reagisse a due eventi di grande importanza. Trentaquattro anni fa, nel 1991, scompariva l’Unione Sovietica. Nel 2008 abbiamo assistito a una nuova crisi finanziaria che ha scosso l’economia internazionale. Due encicliche hanno preso in considerazione gli insegnamenti di tali eventi: la Centesimus annus (CA) di Giovanni Paolo II e la Caritas in veritate (CV) di Benedetto XVI.

Secondo Giovanni Paolo II, il fattore decisivo che ha avviato il processo di caduta del comunismo è stato senza dubbio la violazione dei diritti dei lavoratori (cfr CA 23). A ciò si è aggiunta l’inefficienza del sistema economico a causa della violazione dei diritti umani all’iniziativa, alla proprietà e alla libertà nel settore economico. Ciò lo porta a riconoscere che il libero mercato è lo strumento più efficace per allocare le risorse e rispondere efficacemente ai bisogni; e che sono evidenti e decisivi il ruolo del lavoro umano, disciplinato e creativo, e quello delle capacità di iniziativa e di spirito imprenditoriale come parte essenziale del lavoro stesso[10]. In precedenza Giovanni Paolo II, nella già citata Laborem exercens, aveva distinto due tipologie di datori di lavoro. Quella diretta comprende la persona o l’ente con cui il lavoratore stipula il contratto di lavoro a determinate condizioni; in quella indiretta, invece, rientrano tutti coloro che in un modo o nell’altro influenzano il contratto e le condizioni del lavoro (partiti politici, sindacati, associazioni di categoria, associazioni dei consumatori e lo Stato stesso).

Benedetto XVI, in reazione alla crisi economica del 2008 – la più grave dal secondo dopoguerra, causata dalla speculazione finanziaria basata sui mutui senza garanzie sufficienti concessi negli Stati Uniti –, ha affermato che la grande sfida è quella di dimostrare che non si possono lasciare da parte i princìpi tradizionali dell’etica sociale e che il principio di gratuità e la logica del dono come espressione di fraternità possono e devono trovare posto all’interno della normale attività economica come esigenza della sua logica intrinseca, della carità e della verità[11].

Tutto questo ha dato origine a un documento del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, pubblicato nel 2012 con un titolo un po’ sorprendente: La vocazione del leader d’impresa[12].

La vocazione imprenditoriale


Questo documento è una guida destinata agli imprenditori e ai docenti di economia, che mette in luce l’importanza della vocazione dell’imprenditore nel contesto dell’economia globalizzata, nonché l’apporto dei princìpi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa per l’organizzazione delle moderne attività di impresa[13]. Le sue formulazioni principali possono essere riassunte nei seguenti punti.

  1. Quando le aziende e i mercati, adeguatamente regolati dai governi, funzionano bene, contribuiscono in modo insostituibile al benessere materiale e spirituale della società. La recente esperienza della crisi finanziaria ha dimostrato fino a che punto, quando ciò non avviene, possano arrivare i danni provocati.
  2. Gli imprenditori cristiani possono sempre contribuire al raggiungimento del bene comune.
  3. Le difficoltà a contribuire con il lavoro personale e a servire il bene comune derivano dalle carenze dello stato di diritto, dalla corruzione, dall’avidità e dalla cattiva amministrazione delle risorse; ma, sul piano personale, la difficoltà più grande si manifesta quando si accetta di condurre una vita dissociata e di tributare una deplorevole devozione al successo mondano. Una leadership ispirata al servizio e fondata sulla fede aiuta a bilanciare le esigenze del business con i presupposti dell’etica sociale. Questo richiede di vedere, giudicare e agire.
  4. Vedere i segni dei tempi implica considerare quattro fattori, anch’essi ambigui e intrecciati: la globalizzazione; lo sviluppo delle comunicazioni; lo sviluppo dell’economia finanziaria; l’ascesa dell’individualismo.
  5. Le buone decisioni imprenditoriali sono quelle basate sul rispetto della dignità umana e sulla ricerca del bene comune. Ciò porta a produrre beni che soddisfino necessità umane autentiche in modo responsabile, con un’organizzazione che riconosca la dignità dei lavoratori. In base al principio di sussidiarietà, i lavoratori acquisiscono esperienza, si assumono le proprie responsabilità e possono prendere decisioni. Usando la loro libertà e intelligenza, diventano coimprenditori. In questo modo si ottiene una ricchezza sostenibile, che può essere distribuita equamente, cioè attraverso prezzi, salari, benefici e tasse equi.
  6. I leader aziendali seguono la loro vocazione quando praticano virtù e princìpi etici nel loro lavoro quotidiano. In questo modo, chi ha ricevuto molto restituisce molto alla comunità. I leader creano così un mondo migliore. La loro saggezza pratica consente di rispondere alle sfide, vedendole e giudicandole secondo princìpi illuminati dal Vangelo, e di agire come credenti che servono Dio.


Valutazione del documento


Questo documento approfondisce le potenzialità del mercato nella sua versione migliore e il comportamento corretto da mantenere al suo interno. I contributi fondamentali che offre riguardano, come attesta il titolo, l’attività imprenditoriale, intesa in termini di vocazione cristiana, e la stretta relazione che questa ha con il perseguimento del bene comune, e quindi con una visione positiva di tale attività in quanto generatrice di ricchezza.

La riflessione che vi si dipana è rivolta a coloro che, lavorando nelle aziende, hanno una profonda convinzione di essere stati chiamati da Dio a tale attività, e di essere quindi collaboratori della sua creazione. Si comincia da qui. Questa convinzione, d’altronde, viene subito rafforzata, affermando che la vocazione all’esercizio dell’impresa è un’autentica vocazione dal punto di vista sia umano sia cristiano. Bisogna tener conto del fatto che questo documento nasce in un seminario sulla citata enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI, in cui è centrale la riflessione sullo sviluppo umano come vocazione[14].

L’importanza di tale formulazione è inestimabile. Come abbiamo detto, contrariamente all’opinione di chi tende a vedere i lavori rilevanti nel sistema di mercato come realtà difficilmente compatibili con una vita cristiana e con la pratica della spiritualità, si afferma che tale attività costituisce un’autentica vocazione cristiana, e per giunta di tale importanza da non avere nemmeno bisogno di essere ulteriormente fondata. Essa contribuisce al bene comune. Una buona gestione promuove la dignità dei dipendenti e lo sviluppo di virtù quali la solidarietà, la saggezza pratica, la disciplina e il sacrificio. I potenziali benefìci sono evidenti. Basta guardare alla storia recente per capire come l’innovazione nelle aziende abbia portato prosperità in innumerevoli modi, alcuni notevoli, come l’eliminazione di terribili malattie. Quando parliamo e riflettiamo sui benefìci che lo sviluppo economico ci ha apportato, spesso dimentichiamo di riconoscere coloro che vi hanno svolto un ruolo essenziale: gli imprenditori, creatori di ricchezza, che hanno reso le nostre società più prospere e più umane. A loro dobbiamo attribuire gran parte del merito del fatto che oggi viviamo, nelle aree sviluppate, molto meglio dei nostri genitori e nonni.

Qual è il limite fondamentale di questo documento? Forse il fatto di riflettere un contesto specifico: quello del mondo accademico e imprenditoriale cattolico negli Stati Uniti[15]. Il documento rispecchia i suoi risultati e convinzioni su come le aziende dovrebbero essere a tutti i livelli, ed esprime l’impresa ideale[16]. È consapevole che «costruire una impresa come una comunità di persone […] non è un compito facile. In particolare, le grandi multinazionali possono trovare difficile creare prassi e politiche atte a promuovere una comunità di uomini tra i propri associati»[17].

La realtà delle imprese tradizionali


Le organizzazioni imprenditoriali tradizionali sono caratterizzate dalla separazione dei lavoratori dai proprietari, dalla concentrazione del potere decisionale nella proprietà e dall’attribuzione a essa dei benefìci economici. Poiché mirano soprattutto a massimizzare la ricchezza degli azionisti, perseguono incessantemente la minimizzazione dei costi. Ciò significa che per loro i lavoratori sono un mero fattore di produzione, e pertanto, se c’è da alleviare una situazione economica o semplicemente da migliorare la redditività, esse ricorrono all’attuazione di politiche di licenziamento.

Podcast | SIRIA. «LA SITUAZIONE ECONOMICA È CATASTROFICA»


Le incognite sul futuro di milioni di rifugiati, le città devastate da anni di guerra e una pace ancora fragile. A raccontarci da Damasco come sta vivendo questo momento di incertezza la popolazione siriana è p. Vincent de Beaucoudrey S.I., direttore del Jesuit Refugee Service in Siria.

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La perdita dell’impiego ha conseguenze disastrose per i lavoratori colpiti, per le loro famiglie e per la comunità. Essi subiscono il venir meno del sostegno economico, la comprensibile demoralizzazione, la perdita di autostima, di dignità e l’emarginazione sociale.

È noto che la globalizzazione produttiva comporta la perdita di posti di lavoro, che emigrano verso le economie meno sviluppate, dove i salari sono più bassi[18]. Le acquisizioni implicano che coloro che hanno costruito l’azienda vengano spesso licenziati. L’automazione comporta che i robot svolgano lavori che prima venivano assegnati agli esseri umani. «Ristrutturazione» è un eufemismo che in realtà significa «licenziamento». Inoltre, l’eliminazione dei dipendenti stabili crea un gruppo contingente di lavoratori a tempo limitato e con uno stipendio inferiore. Così si avvantaggia la proprietà.

Spesso vengono offerte spiegazioni inverosimili del licenziamento dei lavoratori, e questo è un attentato alla dignità umana e alla dignità del lavoro umano. Quanti manager si assumono la responsabilità personale, chiedendo scusa per gli errori che hanno contribuito a causare quei problemi che ora essi vogliono risolvere con i licenziamenti? Quanti accettano una riduzione del salario e dei benefìci per condividere l’onere della ristrutturazione? C’è chi guadagna prestigio anche come manager inesorabile, capace di sbarazzarsi delle persone. Per gente simile si tratta solo di forza lavoro.

Questa pratica crea un ambiente di paura e di abuso sul posto di lavoro. Coloro che rimangono occupati spesso si ritrovano sovraccarichi e vulnerabili. Il capo che agisce con metodi coercitivi arreca disagio, provoca dolore. Lavorare in un ambiente intimorito priva le persone della loro dignità: «La paura permea tutto il nostro essere, trasformando il coraggio in codardia, la nostra passione in dolore, la nostra verità in menzogna, e la nostra mente creativa e fertile in una terra desolata. Può distruggere le nostre anime e le nostre idee»[19].

Giovanni Paolo II ha scritto: «Nel lavoro […] l’uomo stesso non subisca una diminuzione della propria dignità. È noto, ancora, che è possibile usare variamente il lavoro contro l’uomo […], che si può fare del lavoro un mezzo di oppressione dell’uomo, che infine si può in vari modi sfruttare il lavoro umano, cioè l’uomo del lavoro» (LE 21)[20]. Nello stesso tempo, Giovanni Paolo II ha condannato il pensiero economico che riduce il lavoro umano a una «merce» che il lavoratore «vende» all’imprenditore, proprietario del capitale, come mero fattore di produzione[21]. Secondo il Premio Nobel per l’economia Milton Friedmann, la responsabilità sociale delle imprese non va oltre l’aumentarne i profitti[22].

L’economicismo porta a escludere le persone


In un mondo sempre più competitivo e agguerrito, i diritti dei lavoratori ne risentono. L’irruzione della Cina nell’economia mondiale ha influito negativamente sui salari di molti lavoratori in Occidente, con conseguenze sociali e politiche[23]. Il fattore «lavoro», dopo la grande recessione del 2008, è stato caratterizzato da un’intensificazione della precarietà e della disuguaglianza, da una maggiore flessibilità e da cambiamenti strutturali derivati dalla polarizzazione dell’occupazione e del progresso tecnologico. Sebbene siano stati compiuti sforzi per mitigare gli effetti della crisi, i suoi impatti sono ancora visibili nelle condizioni lavorative e nelle disuguaglianze socioeconomiche a livello globale[24]. Il Fondo monetario internazionale e l’Organizzazione internazionale del lavoro hanno valutato la situazione in questi termini: «La disoccupazione colpisce con particolare durezza le economie avanzate e avrà ripercussioni sociali a lungo termine, per esempio sulla salute e sui figli dei lavoratori licenziati»[25]. Numerosi studi hanno evidenziato che la disoccupazione e la sottoccupazione sono cause di suicidio[26]. Non è forse proprio questo il contesto della denuncia di papa Francesco: «Oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”»[27]?

L’immagine che ricaviamo della moderna vita economico-imprenditoriale non è piacevole. Troppe volte chi viene considerato superfluo viene scartato, e chi è semplicemente utilizzato non viene rispettato. Con ciò si corre il rischio che troppi esseri umani non siano in grado di affrontare le sfide che si presentano e cadano nella depressione e nell’emarginazione[28].

Si tratta di mettere in pratica la vocazione che gli esseri umani hanno di essere costruttori di fraternità. La cultura dell’indifferenza e dello scarto va contrastata promuovendo la cultura della cura[29]. Ciò richiede che si affronti la questione centrale di come superare l’antinomia tra capitale e lavoro riconoscendo la priorità del lavoro (cfr LE 13).

Un nuovo modello d’impresa conforme alla dignità del lavoro


Il movimento cooperativo esiste da quasi 200 anni. È nato come reazione agli eccessi del capitalismo. I promotori si ispirarono alle idee dei socialisti utopisti, in particolare a quelle di Robert Owen.

Oggi, più di 720 milioni di persone nel mondo hanno qualche tipo di rapporto con una cooperativa. Il fatto che queste cooperative in nessun Paese rappresentino più del 10% del Pil dimostra che questa formula non è stata un’alternativa maggioritaria alle scelte aziendali tradizionali. Esiste però l’eccezione della Corporación Mondragón. Riferimento mondiale nel movimento cooperativista per sviluppo e coerenza, essa è il più grande gruppo imprenditoriale dei Paesi Baschi e il decimo in Spagna[30], un modello paradigmatico di creazione e mantenimento di posti di lavoro.

Queste imprese sono caratterizzate dal principio che tutte le persone hanno la stessa dignità e devono essere trattate di conseguenza, e che quindi è essenziale promuovere la partecipazione dei lavoratori alla gestione, ai benefìci e alla proprietà delle aziende. La solidarietà tra i componenti si manifesta in una ripartizione retributiva ragionevole. Ciò facilita la coesione sociale e un progetto condiviso. Lo scopo dell’organizzazione non è solo quello di ottenere benefìci, ma di produrre beni utili per le persone e la società, e l’azienda deve anche assumersi la responsabilità di collaborare alla risoluzione dei loro problemi. Queste aziende fanno parte di un gruppo in cui esiste intercooperazione, in modo che una cooperativa accetta le eccedenze di personale delle altre. Nessun socio viene eliminato, ma eventualmente viene trasferito. Padre José María Arizmendiarrieta, il suo ispiratore, aveva come obiettivo un progetto di trasformazione sociale a partire dalla trasformazione dell’impresa in base ai princìpi e ai valori dell’umanesimo cristiano. La sua visione, nelle sue stesse parole, è che «il socio nella cooperativa, oltre a essere un lavoratore, è anche un imprenditore»[31].

Verso un cambio di paradigma


Il nostro grande compito oggi è quello di cercare di evangelizzare l’economia, e questo implica concepire adeguatamente l’impresa, prima cellula economica sociale. Il compito è quello di realizzare un’economia sia etica sia efficace, che abbia a cuore anche la comunità.

Oggi si moltiplicano le alternative all’organizzazione tradizionale. Così nella Caritas in veritate si fa cenno all’Economia di Comunione. Questa, fondata da Chiara Lubich nel maggio 1991 a San Paolo, comprende imprenditori, lavoratori, manager, consumatori, risparmiatori, cittadini, ricercatori e operatori economici impegnati a diversi livelli nella promozione di una prassi e di una cultura economica caratterizzate dalla comunione, dalla gratuità e dalla reciprocità, proponendo e vivendo uno stile di vita alternativo a quello dominante nel sistema capitalista. Altre proposte imprenditoriali che vanno in questa linea sono i movimenti come l’autogestione, l’economia solidale, l’economia di cooperazione, l’economia civile di mercato, l’economia del bene comune e l’economia popolare e solidale.

Sappiamo che nella società i cambiamenti di paradigma non avvengono all’improvviso, né con la stessa celerità in tutte le sue componenti. Ma senza dubbio questo è stato uno degli sforzi di papa Francesco. A mo’ di conclusione, riportiamo qui due paragrafi della Dichiarazione finale di The Economy of Francesco: «Crediamo fermamente che attraverso il lavoro siamo in grado di partecipare alla creazione di Dio, rea­lizzando noi stessi all’interno delle nostre comunità. Chiediamo una nuova cultura del lavoro che dia priorità alla dignità delle persone, che riconosca il contributo di ogni lavoratore, che generi un valore economico condiviso, rompendo la povertà dei lavoratori. […] Crediamo nella gestione come l’arte di unire le persone per il bene comune attraverso la leadership comunitaria, non la supremazia»[32].

Senza credere negli ideali non si può vivere. Realizzarli permette di essere all’altezza della vocazione alla quale siamo stati chiamati (cfr Ef 4,1-13).

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[1]. Cfr Giovanni Paolo II, s., Incontro con i lavoratori e gli imprenditori, Barcellona, 7 novembre 1982 (vatican.va/content/john-paul-i…).

[2]. Con quel documento il Papa avviò il rilancio della Dottrina sociale della Chiesa, dandole una importanza maggiore di quanta ne avesse avuto prima e accentuando aspetti che le elaborazioni del Vaticano II e dello stesso Paolo VI avevano lasciato più in ombra. Giovanni Paolo II era un Papa diverso, veniva dal freddo e aveva conosciuto il vero socialismo in prima persona, e ora si trovava a fronteggiare il liberalismo.

[3]. Questa denuncia conserva tuttora la sua ragion d’essere. Per esempio, ai raccoglitori nei campi della Florida e del Texas (Usa) la legislazione lavorativa non riconosce il diritto alle pause programmate per evitare colpi di calore (cfr aljazeera.com/program/fault-li…).

[4]. Viene in mente il famoso passo di John Steinbeck: «Metti che tu hai lavoro per un operaio, e che per avere quel posto si presenta solo uno. Ti tocca dargli la paga che vuole. Ma metti che si presentano in cento. […] Metti che quel posto lo vogliono in cento. Metti che quei cento hanno dei bambini, e che quei bambini sono affamati. Metti che dieci centesimi bastano per comprare un po’ di farina di mais a quei bambini. […] Tu offrigli cinque centesimi, e vedi se non s’ammazzano tra loro per avere i tuoi cinque centesimi» (J. Steinbeck, Furore, Milano, Bompiani, edizione Kindle Amazon, 2024, 359).

[5]. Cfr QA 65; MM 82-83; GS 65.

[6]. Cfr LE 13.

[7]. Cfr MM 83-91.

[8]. Pio XII, Discorso ai Partecipanti al Congresso dell’Associazione Internazionale degli economisti, Roma, 9 settembre 1956, in Acta Apostolicae Sedis XLVIII, 673.

[9] . Paolo VI, s., Discorso al XI Congresso nazionale dell’Unione cristiana imprenditori e dirigenti, 8 giugno 1964 (vatican.va/content/paul-vi/it/…).

[10]. Cfr CA 23; 24; 32.

[11]. Cfr CV 36.

[12]. Il documento La vocazione del leader d’impresa. Una riflessione trae origine da un seminario, svoltosi nel febbraio 2011, su «Caritas in veritate: la logica del dono e il significato dell’impresa», organizzato dal Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, assieme al John A. Ryan Institute for Catholic Social Thought presso l’Università St. Thomas a Minneapolis, Minnesota, e alla Fondazione Ecophilos. Il documento, preparato da una équipe di colleghi provenienti da tutto il mondo, è stato coordinato da Michael Naughton, direttore del John A. Ryan Institute, e da Helen Alford, attuale presidente della Pontificia Accademia delle scienze sociali (tinyurl.com/yckcd2uj).

[13]. In inglese ne è apparsa, nel 2018, una quarta edizione, in cui vengono inseriti gli insegnamenti più recenti di papa Francesco riguardo alla vocazione dell’imprenditore, all’ecologia integrale, al paradigma tecnocratico e all’importanza di una più equa distribuzione della ricchezza (tinyurl.com/fe32ymfp).

[14]. Cfr CV 11; 16-19.

[15]. Cfr H. Alford – M. Naughton, Managing as if Faith Mattered: Christian Social Principles in the Modern Organization, Notre Dame, IN, University of Notre Dame Press, 2001.

[16]. Cfr S. Del Bove – F. de la Iglesia, «Annotazioni a margine del decennale della pubblicazione del documento “La vocazione del leader d’impresa”», in Gregorianum, n. 103, 2022, 877-900.

[17]. La vocazione del leader d’impresa, cit., 59.

[18]. Cfr M. Camdessus, «Globalization, Subjective Dimensions of Work and the World Social Order», in Pontifical Council for Justice and Peace, Work as Key to the Social Question, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2002, 291-300.

[19]. L. Wright – M. Smye, Corporate Abuse: How «Lean and Mean» Robs People and Profits, New York, MacMillan, 1996, 6.

[20]. Cfr H. Alford, «Job design in the perspective of “Laborem Exercens”, in Pontifical Council for Justice and Peace, Work as Key to the Social Question, cit., 215-233.

[21]. Cfr R. G. Lipsey – P. N. Courant – D. D. Purvis – P. O. Steiner, Economics: Tenth Edition, New York, Harper Collins College Publishers, 1992, 178; P. Drucker, Management: Tasks, Responsibilities, Practices, New York, Harper Colophon, 1985, 40.

[22]. Cfr M. Friedman, «A Friedman Doctrine – The Social Responsibility of Business Is to Increase Its Profits», in The New York Times (nytimes.com/1970/09/13/archive…), 13 settembre 1970.

[23]. Cfr R. B. Freeman, «Are Your Wages Set in Beijing?», in The Journal of Economic Perspectives, vol. 9, n. 3, 1995, 15-32 (aeaweb.org/articles?id=10.1257…).

[24]. F. Hoffer, «La Gran Recesión. ¿Un momento decisivo para el trabajo?», in Crisis financieras, deflación y respuestas de los sindicatos. ¿Cuáles son las enseñanzas?, Ginevra, Oficina internacional del trabajo, 2010 (tinyurl.com/3wxzzmbr).

[25]. «Fuerte aumento del desempleo debido a la recesión mundial», in Boletín del FMI, 2 settembre 2010 (imf.org/external/spanish/pubs/…).

[26]. Cfr A. Skinner et Al., «Unemployment and underemployment are causes of suicide», in Science Advances, vol. 9, n. 28, 12 luglio 2023 (science.org/doi/10.1126/sciadv…).

[27]. Francesco, Evangelii gaudium (EG), n. 53.

[28]. Cfr F. Chica Arellano, «Globalización y desperdicio: grandes desequilibrios y desafíos socioeconómicos y ambientales para la búsqueda de la paz», in Ecclesia 38 (2024) 301-327.

[29]. «Francesco: dobbiamo opporci alla cultura dello scarto con la cultura della tenerezza», in Vatican News (vaticannews.va/it/papa/news/20…), 20 febbraio 2023.

[30]. La Corporación Mondragón impiega più di 70.000 persone; ha una presenza globale e opera nei settori della finanza, dell’industria, della distribuzione e della conoscenza. Conta su una banca, una compagnia di assicurazioni e una propria università. Cfr F. de la Iglesia Viguiristi, «Don José María Arizmendiarrieta, creatore della “esperienza cooperativa di Mondragón”», in Civ. Catt. 2024 IV 373-389.

[31]. J. M. Arizmendiarrieta, Pensamientos. Selección de Joxe Azurmendi, Otalora, 2023, n. 492.

[32]. The Economy of Francisco, Dichiarazione finale di Assisi 2022, nn. 7 e 9 (francescoeconomy.org/it/final-…).

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