San Tommaso d’Aquino: un’eredità importante
Avviso contenuto: Beato Angelico, “San Tommaso d'Aquino con la Summa Theologiae Ricevere un’eredità Quando riceviamo un’eredità, possono accadere molte cose, e molto diverse: possiamo, al limite, anche ignorare di averla, e così altri la incamerano al posto nostro. Possiam
Ricevere un’eredità
Quando riceviamo un’eredità, possono accadere molte cose, e molto diverse: possiamo, al limite, anche ignorare di averla, e così altri la incamerano al posto nostro. Possiamo dividerla tra parenti e amici, e così ognuno ne prende un pezzettino; ma il valore era dato dalla totalità del lascito e, così lacerata, essa viene in qualche modo dispersa, perdendo la propria grandezza. Ancora, possiamo organizzare una grande festa con il capitale ricevuto, in memoria del facoltoso parente, o fare una bella crociera: in tal modo l’evento organizzato brucia le risorse ricevute, e tutto si spegne subito. Possiamo riceverla e, come il servo timoroso del Vangelo, seppellirla sotto terra: teniamo in banca quello che abbiamo ricevuto, ma così, non investito, esso non darà nemmeno frutto. Oppure possiamo riceverla, farla fruttare, ridistribuirla in nuovi acquisti, dilatandone l’efficacia a esperienze e dimensioni sconosciute allo stesso de cuius.
Così è anche per l’eredità di san Tommaso d’Aquino, in questo 800° anniversario della sua nascita[1]. Siamo di fronte a un gigante del pensiero, dal quale ci separano però secoli di storia, civile ed ecclesiale. La sua riflessione si è infatti spinta a ogni angolo dello scibile umano, perlomeno di quell’epoca, e innumerevoli sono gli autori che in ogni tempo e fino ai nostri giorni si sono riferiti a lui, mostrando la perenne vitalità del suo slancio intellettuale e prolungando la capacità espansiva delle sue intuizioni e del suo ragionamento. A volte il suo pensiero è stato rispettato e custodito, sviluppandolo rettamente, e altre volte invece è stato intorbidito, irrigidendolo in schemi piuttosto ideologici, con un tomismo come dottrina «ufficiale», dietro la quale però rimaneva poco dell’autentico pensiero tommasiano. La storia della recezione del pensiero di Tommaso, anche quando è stato distorto, è interessante tanto quanto la storia degli effetti del suo apporto autentico: si può davvero dire che egli rimane un autore assolutamente imprescindibile per chiunque voglia affrontare non soltanto il pensiero medievale, ma anche quello moderno e postmoderno, fornendo egli chiavi di lettura critica ancora oggi legittimamente proponibili.
Un modo di essere, prima che di pensare
Non possiamo mai fare paragoni tra personalità così eminenti, ma certamente la lettura di sant’Agostino è più entusiasmante di quella dell’Aquinate: nel vescovo d’Ippona vibra un’ansia, una sete, una ricerca, un percorso umano e spirituale che ha molto in comune con l’uomo moderno, e perciò alcune sue pagine sono, anche stilisticamente, intramontabili e appartengono, prima che alla teologia, alla letteratura mondiale. Tommaso è pacato, tranquillo, composto nei toni e nelle espressioni: si tratta infatti di lezioni universitarie, sia nella forma dell’esposizione di un testo, sacro o profano, sia di un commento, sia infine di una lezione vera e propria, o nella forma del dibattito e del confronto, quale è visibile nella Summa Theologiae, sicuramente la sua opera monumentale per eccellenza.
L’esposizione piana degli argomenti, a favore e contro, la soluzione delle difficoltà residuali, la determinatio magistralis, ossia la soluzione prospettata dal maestro, non fanno certo vibrare l’intimo dell’ascoltatore come il racconto dell’esperienza della Grazia che ha mosso Agostino, affascinante e commovente ancor oggi. Eppure sbaglieremmo se volessimo per questo relegare Tommaso nell’angolo triste e grigio di un’esperienza culturale sbrigativamente chiamata, appunto, «scolastica», quasi a sottolinearne una sorta di piccineria mentale eretta a sistema filosofico.
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Un esempio: «La verità non cambia a seconda della persona che la dice, per cui, se qualcuno afferma il vero, non potrà essere vinto da alcuno con cui disputi»[2]. Questa affermazione testimonia la libertà intellettuale di un uomo che non appartiene a nessuna scuola e a nessuna sudditanza psicologica o intellettuale, se non a quella, che dovrebbe accomunare tutti noi, della ricerca del vero, del giusto, del buono e, in ultima analisi, della ricerca di Dio, conosciuto nella fede e cercato e trovato nelle sue relazioni con ogni realtà creata[3]. Non è questa un’espressione retorica, o vibrante di emozione, ma essa racchiude, nel suo nucleo, uno sguardo limpido sulle cose, una così profonda pacificazione con gli altri e con il mondo che ci permette di cogliere qualcosa dell’animo del Santo, che pare aver vissuto così quel che l’apostolo Giacomo scrive a proposito della sapienza quale dovrebbe essere nella Chiesa, cioè tra uomini e donne che hanno incontrato Cristo, somma verità e principio di essa: «La sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera» (Gc 3,17)[4]. In fondo, è uno sguardo contemplativo sull’esistenza, simile più alla beatitudine che a un’emozione.
Questa è un’importante eredità che dovremmo saper riconoscere e accogliere. In tempi nei quali è così facile soggiacere a logiche contrappositive o esclusive, a toni sprezzanti e urlati, gli intellettuali cristiani possono imparare da Tommaso a non avere nemici, e a non esserlo tra di loro. Una testimonianza molto significativa può essere quella di Rudolf von Jhering, giurista protestante dell’Ottocento, il quale scriveva così a un recensore cattolico che gli segnalava l’esistenza della Summa Theologiae: «Continuo meravigliato a chiedermi come sia stato possibile che simili verità, dopo essere state apertamente proclamate, siano cadute in oblio così completamente nella nostra cultura scientifica di matrice protestante. Quanti errori essa avrebbe potuto risparmiarsi, se ne avesse tenuto il debito conto»[5].
La scuola del suo tempo
Può fare un po’ sorridere il breve Prologo della Summa,nel quale Tommaso afferma che si prefigge di trattare quel che riguarda la religione cristiana in modo adatto per l’istruzione di coloro che iniziano a studiare, per i «novizi», come li chiama: l’opera infatti è destinata non a intellettuali sperimentati o a dottori, ma a semplici studenti, e di quelli che stanno proprio all’inizio[6]. Essi infatti, a detta del Santo, possono essere ostacolati nello studio in molti modi: in parte dalla moltiplicazione delle domande inutili, degli articoli che le svolgono e delle molteplici argomentazioni; e poi, in parte, perché le cose necessarie per il sapere non sono presentate secondo quanto l’ordine della disciplina richiederebbe, ma così come capita, nell’esposizione dei libri oppure secondo l’occasione della disputa; e poi ancora perché la loro frequente ripetizione genera fastidio e confusione negli animi degli ascoltatori.
Chissà cosa san Tommaso direbbe oggi a noi, abitatori della selva oscura delle fake news, degli instant book che lasciano il tempo che trovano, di una cultura spesso abborracciata e asservita a tesi precostituite! Tutto questo viene compiuto, oggi come allora, oscurando alcune verità che pure si potrebbero affermare, ma non se ne ha il coraggio di farlo, e, al contrario, esagerandone altre, facendo così perdere di vista l’obiettività e l’equilibrio in quel quadro complessivo dell’informazione e della riflessione che chiamiamo «cultura». L’occupazione dei centri di produzione culturali è stata, ed è ancora, un dato di fatto imprescindibile: chi detiene il controllo delle case editrici, del teatro, della letteratura con i suoi premi, dell’informazione, dell’Università, di fatto detiene le chiavi del futuro di una comunità, determinandone il presente[7]. Il che vale – per estensione, e probabilmente molto di più – anche per la televisione e per i social.
In effetti, la cosa che può sembrare tramontata, e invece è proprio un’eredità da riacquistare, è il gusto delle domande: la Summa infatti è un libro di domande e non un insieme di risposte, come pure è stata presentata. Questa è una caratteristica precipua della scuola medievale, tipica invenzione della cristianità[8]. Tommaso è impensabile senza l’Università, e dunque la comprensione del metodo della Scuola di Parigi, da lui fatto proprio, è la chiave di volta della comprensione non solo del suo pensiero, che appartiene in quanto tale a lui e non a una scuola, ma anche del suo modo di procedere intellettuale[9], ed è anche un’eredità da ricevere.
Al centro, dunque, è la domanda, e non la risposta; il dibattito, e non l’autorità: la philosophia perennis non si riferisce infatti alla perennità delle risposte, ma delle domande. Uno dei luoghi comuni più ripetuto è appunto il fatto che nel Medioevo il principio di autorità fosse tutto e ricapitolasse ogni argomentazione. Ma lo stesso Tommaso afferma che l’autorità, nelle cose umane, non fa la verità di un’affermazione[10]. Sarebbe interessante invece riflettere sul volto cangiante dell’autorità che crea la verità, specie in un mondo dominato da una cultura massmediatica e condizionato da molte lobbies, le quali determinano anche il pensiero e la mentalità. Il bisogno di apparire di moda e il timore di sembrare arretrati, l’opportunismo e il peso della politica o dei «poteri forti», come vengono chiamati, esercitano di fatto un condizionamento significativo, molto più di quel che non si penserebbe; le logiche accademiche, o editoriali, e l’idolo dell’audience – non solo televisiva – fanno sì che uno impari qual è, per così dire, l’articolo che si vende. Di nuovo, la libertà intellettuale di Tommaso è un lascito anche per oggi, perlomeno se si concepisce il lavoro intellettuale come un vero servizio alla comunità, per aiutare le persone a liberarsi da riflessi condizionati o da una mentalità asservita a interessi altrui. Così un intellettuale onesto dovrebbe essere in grado di smascherare formule o analisi superficiali, che sopravvivono solo nel chiacchiericcio delle scuole o nella ripetizione di slogan tramandati.
Insomma, san Tommaso ci ricorda l’obbligo di pensare con la nostra testa e di non portare, come si suol dire, il cervello all’ammasso, neanche se ben pagati. Questo può essere paragonato al sapere aude («osa sapere») kantiano, anche se riflesso in chiave post-moderna: osa tirarti fuori, se necessario, da quello che vorrebbero farti pensare e cerca di pensare tu. E cerca di ben pensare, perché non basta pensare per pensare bene.
La quaestio riproduce una lezione, cioè un dibattito scolastico, medievale, e ne è un resoconto. Da qui possiamo estrapolare, per l’oggi, un metodo intellettuale rigoroso, che si specifica così: il richiamo alle autorità, alle opinioni autorevoli nelle quali tutti ci ritroviamo non può mai assumere il tono perentorio di un Roma locuta, causa finita, ma è l’inizio di uno svolgimento dialettico del problema, confrontando e analizzando i diversi punti di vista. Le differenze tra i vari autori vanno tematizzate, i loro percorsi logici esaminati con rigore, per giungere infine a una risposta. Questa non può mai essere una soluzione di compromesso, che è un assurdo logico: se sono affermate cose diverse, qualcuno avrà ragione, e un altro avrà torto; e tuttavia è necessario capire perché e in quale ambito si svolgono le diverse ragioni di ognuno. Questo è il senso della determinatio magistralis, dell’insegnamento del maestro, che «de-termina», pone fine alla domanda definendo appunto i termini, i confini, gli ambiti propri del valore delle diverse tesi contrapposte, degli argomenti addotti, per salvarle in quanto possibile, secondo quello sguardo pacifico proprio di un vero intellettuale cristiano. Impariamo a distinguere per salvare le ragioni dell’altro, anche se, proprio per salvarle, dobbiamo delimitarne l’applicazione a un ambito particolare.
Elaborare una cultura cristiana
Più importante di tutte queste eredità che Tommaso ci ha lasciate rimane tuttavia un altro aspetto della sua opera, la sfida che egli ha affrontato: l’elaborazione di una cultura cristiana, tanto necessaria anche per il nostro tempo. Naturalmente, egli qui si colloca sulla scia dei Padri della Chiesa e dei grandi dottori precedenti: in primis,di sant’Agostino, che tutti supera per il numero delle citazioni. E tuttavia la sua opera acquista un significato ben più peculiare della loro. I santi Padri infatti elaborarono una cultura cristiana sulle rovine del mondo antico, cioè pagano, e gettarono così le basi per quella cristianità, cioè l’Europa, che doveva nascere dal collasso del vecchio mondo, fondendo in unità l’eredità dei tre colli portanti del mondo antico: il Partenone, il Campidoglio e il Golgota. In questo senso la loro opera è stata autenticamente creatrice di cultura e determinante per l’identità stessa di noi europei di oggi.
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Tommaso invece scrive in un’epoca, il Duecento, nella quale, per la prima volta dopo secoli, vediamo irrompere nel continente una dottrina completa e sistematica, quella aristotelica, che fornisce una visione totale e perfetta del mondo, dell’uomo, della città, e che prescinde assolutamente da Dio, sufficiente a sé stessa[11]. Il pericolo di una completa laicizzazione del pensiero, come potremmo dire oggi, era reale. Non regnat Spiritus Christi ubi dominatur spiritus Aristotelis[12], affermava Assalonne di san Vittore, e in effetti nelle Università – questa creazione tardomedievale, così diversa dalla precedente scuola cattedrale e capitolare e dal sistema del trivio e del quadrivio, ereditato dalla scuola antica – si incominciava a respirare quello spirito così innovativo e pericoloso.
La Chiesa avrebbe potuto chiudersi, arroccandosi a difesa di un passato ormai irrecuperabile, lamentando, con Guglielmo di Sant’Amore, i pericoli di questi «ultimissimi tempi»[13]. San Tommaso raccolse questa sfida: egli non battezzò Aristotele, come si sente a volte affermare, e questo per noi significa che, in quanto intellettuali, non dobbiamo battezzare chi non vuole essere battezzato. Piuttosto, egli capì Aristotele per quel che diceva, ed espresse il proprio pensiero in termini aristotelici, non ripetendo quanto lo Stagirita asseriva, ma creando, attraverso l’interazione tra Vangelo e testi antichi, un pensiero nuovo. Così, ad esempio, egli oltrepassa la categoria della sostanza, criterio esplicativo del reale sufficiente per Aristotele, attraverso la mediazione del testo dell’Esodo: «Io sono Colui che sono» (Es 3,14), che diventerà la chiave per l’elaborazione della sua metafisica, l’actus essendi, l’«atto di essere» ulteriore e fondante le singole, episodiche esistenze create. San Tommaso elabora una nuova metafisica con la Bibbia: così, capovolge la metafisica aristotelica, passando attraverso di essa e infine superandola.
In questo senso, potremmo ricavare da lui un modo di procedere nell’elaborare una cultura cattolica: non un appiattirsi, mutuando concezioni altrui, né un irrigidirsi nella difesa di un sistema concepito come un cerchio chiuso, ma uno sviluppare la propria identità, tematizzando le differenze rispetto ad altre culture e riannodando la diversità cattolica al Vangelo stesso, che sempre oltrepassa ogni cultura e la apre a nuove possibilità di espansione. Per poter fare questo fruttuosamente, è necessario un duplice esercizio: nella cultura a noi contemporanea, in quello che essa è; e nel testo sacro, la sacra pagina, nella tradizione elaborata e vissuta dalla Chiesa. Così Tommaso, proprio perché possedeva una conoscenza di Aristotele non comune, che non avevano neppure i dotti del suo tempo, poté, con le sue categorie e il suo pensiero, esprimere la fede cristiana da lui vissuta e celebrata nel culto, caricando o arricchendo le parole antiche di significati nuovi, piegandone e trasformandone il significato e creando così cultura. In tal modo si possono mettere in evidenza al tempo stesso i germi del Vangelo – i semina Verbi –, presenti in ogni cultura, e l’autentica sete di Assoluto che essa esprime in chi tradizionalmente, e forse superficialmente, è visto come «lontano». Tuttavia si è anche in grado di capire perché costui non giunse, né poteva giungere, a esso.
Uno dei motivi dell’incredulità contemporanea è infatti la scarsa porosità, o reciproca comunicazione, dei vari ambiti della riflessione umana con la fede stessa e con il linguaggio della Chiesa, in un mondo che così è diventato ormai schermato gli uni agli altri[14]: per questo infatti a molti sembra che non si possa essere cristiani e uomini colti al tempo stesso, dovendo quasi scegliere tra essere abitatori del proprio tempo o nostalgici di una realtà che fu. Contribuire a ristabilire questa comunicazione, un vero dialogo tra culture, è invece fonte inesauribile di ricchezza per ogni comunità e sembra essere una priorità dei nostri tempi. Lo affermava già Paolo VI: «La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture. Esse devono essere rigenerate mediante l’incontro con la Buona Novella. Ma questo incontro non si produrrà se la Buona Novella non è proclamata»[15].
Nella continuità
Altra eredità importante del pensiero dell’Aquinate è la consapevolezza di essere figli di una ricerca che non è iniziata con noi: non siamo noi la vetta o la cima del pensiero, ma ci muoviamo all’interno di un percorso di molti, in uno sforzo comune che ci precede e ci accompagna, e che ci seguirà. Non esiste un «io penso» assoluto: esiste un «io penso insieme a te», in cui l’io e il tu si rinviano reciprocamente: la relazione fonda l’identità della persona, e dunque il pensiero.
Siamo portati da una tradizione – nel senso migliore del termine –, alla quale tutte le generazioni hanno dato un apporto. Così si esprime Tommaso: «Gli antichi filosofi lentamente, e quasi passo dopo passo, sono pervenuti alla conoscenza della verità»[16].
Al contrario, il mondo moderno trova la propria cifra in Cartesio, il quale, all’inizio del suo Discorso sul metodo, dopo aver narrato la confusione in cui si trovava dopo aver frequentato tante e così diverse scuole, un giorno prese la decisione di intraprendere una nuova strada[17]. Da qui inizierà un modo nuovo di rapportarsi all’esperienza, partendo dal soggetto. Il senso dell’unicità, dell’individualità e dell’irripetibilità della propria esperienza, già esaltato da Lutero con il libero esame delle Scritture e con la sottovalutazione della mediazione ecclesiale, trionferà successivamente, nella visione storicistica post-hegeliana, nella pretesa di ognuno di costituire in quel momento la vetta storica del pensiero, la manifestazione più matura dello spirito. Nel mito della storia come progresso si annida la presunzione che essa culmini nella propria interpretazione di essa o, nel linguaggio banale delle scuole, nello stato attuale della questione: la storia culmina nella propria storia.
Alla supponenza dell’«io penso» preferiamo la gratitudine per quanti hanno pensato prima di noi. Non per ripeterli, ma per capirli e rigenerare così le loro intuizioni in un mondo anche molto diverso dal loro. Un’eredità che continua senza fine.
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[1]. In realtà non conosciamo la data di nascita di Tommaso, che può essere collocata tra il 1224 e il 1226; egli invece morì certamente il 7 marzo del 1274, mentre si recava al II Concilio di Lione. Fu proclamato santo da papa Giovanni XXII nel 1323. Cfr J. A. Weisheipl, Tommaso d’Aquino. Vita, pensiero, opere, Milano, Jaca Book, 2016.
[2]. «Veritas ex diversitate personarum non variatur, unde, si aliquis veritatem loquitur, vinci non potest cum quocumque disputet» (Expositio in Iob, XIII, 19).
[3]. Nella Summa infatti tutto viene trattato a partire da Dio: o perché è Dio stesso, o perché dice ordine a lui come principio e fine.Cfr Summa Theologiae, q. 1, a. 7: «Omnia autem pertractantur in sacra doctrina sub ratione Dei vel quia sunt ipse Deus; vel quia habent ordinem ad Deum ut ad principium et finem». Ancora: «Omnia quae sunt a Deo ordinem habent ad invicem et ad ipsum Deum» (ivi, I, q. 47, a. 3). Com’è noto, Dante riprenderà in Paradiso, I, 103-105,questa affermazione, elevandola ad altissima poesia: «Le cose tutte quante hanno ordine tra loro, e questo è forma che l’universo a Dio fa simigliante». Per questo sant’Ignazio di Loyola, che studiò Tommaso a Parigi, poté fare del «cercare e trovare Dio in tutte le cose» il senso stesso e il fine della propria spiritualità.
[4]. «Pura», cioè non mescolata ad altre considerazioni di parte (politiche, intellettuali, di convenienza accademica); «pacifica», perché operatrice di pace, strumento di dialogo, volta a cercare il vero e il giusto nel pensiero di ciascuno, anche se lontano dalle proprie posizioni, e poi perché non gridata, non brandita come una spada. Da qui tutte le altre sue caratteristiche.
[5]. M. Villey, La formazione del pensiero giuridico moderno, Milano, Jaca Book, 1986, 121. Qui si tratta in particolare del diritto inteso come scienza pratica, basata sul fine, e non teoretica, cioè costruita a partire da princìpi.
[6]. Tommaso qui addirittura si richiama a san Paolo, il quale, scrivendo ai Corinzi, afferma che «vi ho dato da bere latte, non cibo solido, perché non ne eravate ancora capaci» (1 Cor 3,2). Cfr Prologus della Summa.
[7]. La tesi di Antonio Gramsci su questo punto è troppo nota per dover essere esplicitamente citata.
[8]. «Il vero fondatore dell’università di Parigi è Innocenzo III, e quelli che garantirono il suo ulteriore sviluppo, dirigendola e orientandola, sono i successori di Innocenzo III, prima di tutto Gregorio IX. L’università di Parigi si sarebbe costituita anche senza l’intervento dei papi, ma è impossibile capire ciò che le assicurò un posto tra tutte le università medievali, se non si tiene conto dell’intervento attivo e del disegno religioso chiaramente definito dal papato» (E. Gilson, La filosofia nel Medioevo, Firenze, la Nuova Italia, 1990, 473). L’autore prosegue: «È un elemento della Chiesa universale esattamente allo stesso titolo ed assolutamente con lo stesso significato del sacerdozio e dell’Impero» (ivi, 476).
[9]. «Non c’è una sola delle grandi opere di San Tommaso, ad eccezione forse della Summa contra gentiles, che non sia uscita direttamente dal suo insegnamento o che non sia stata concepita espressamente in vista dell’insegnamento» (E. Gilson, La filosofia nel Medioevo, cit., 481).
[10]. «Locus ab auctoritate infirmissimus» (Summa Theol., I, q. 1, a. 8, ad 2).
[11]. «Il sistema aristotelico mostra che è possibile proporre una visione complessiva e organica delle leggi fisiche e metafisiche del mondo prescindendo completamente dai contenuti della Rivelazione e dal tradizionale pensiero cristiano» (M. Fumagalli Beonio Brocchieri – M. Parodi, Storia della filosofia medievale. Da Boezio a Wyclif, Roma – Bari, Laterza, 1996, 262). E Chenu afferma: «Lo stesso universo aristotelico appariva inconciliabile con la concezione cristiana del mondo, dell’uomo, di Dio; niente creazione, un mondo eterno, abbandonato al determinismo, senza che un Dio provvido ne conosca le contingenze, un uomo legato alla materia, e come essa mortale, un uomo la cui perfezione morale rimane aliena dai valori religiosi. Filosofia volta verso la terra, poiché attraverso la negazione delle idee esemplari, essa ha tagliato ogni via verso Dio e rivolto su se stessa la luce della ragione» (M. D. Chenu, Introduzione allo studio di San Tommaso d’Aquino, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1953).
[12]. In PL 211, 34.
[13]. Come si intitola effettivamente il suo libretto, De periculis novissimorum temporum, nel quale egli stigmatizza la poca fede dei suoi tempi, nei quali si vedono queste nuove creature, francescani e domenicani, entrare nelle Università, come studenti e anche occupando cattedre, animati da un’insana curiositas intellettuale, vivendo un inusitato e scandaloso stile di vita religioso.
[14]. Cfr. Ch. Taylor, L’età secolare, Milano, Feltrinelli, 2009, 44. L’opera di questo autore cattolico è un esempio di attualizzazione del metodo e della prospettiva di san Tommaso, ed è ciò che generalmente si sente mancare nella contemporaneità. Ognuno tende a chiudersi nel suo ambito, nella propria università, nel proprio mondo, e questo determina un generale impoverimento del pensiero.
[15]. Paolo VI, s., Evangelii nuntiandi, n. 20.
[16]. Summa Theol., I, q. 44, a. 2: «Antiqui philosophi paulatim et quasi pedetentim intraverunt in cognitionem veritatis». In questo passo troviamo una vera e propria storia della filosofia: dai presocratici, fermi alla causa materiale, a Platone, che non considerava la materia, fino ad Aristotele, che individua la sostanza come categoria fondamentale. In un opuscolo di san Tommaso, il De substantiis separatis, sugli angeli, la sua storia della filosofia si arricchisce, considerandone gli sviluppi ulteriori, cioè la filosofia araba, mettendone in risalto le acquisizioni e le aporie. Tommaso si considera parte di una storia umana non limitata alla sola christianitas e tutta protesa alla ricerca della verità. In questa prospettiva, perfino gli errori sono parte benefica di uno sforzo generale.
[17]. Cfr S. Th. Bonino,«Être thomiste», in B.-D. de La Soujeole – S. Th. Bonino – H. Donneaud, Thomistes ou de l’actualité de Saint Thomas d’Aquin, Paris, Parole et Silence, 2003, 15.
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