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Chip di base, allarme USA: Troppo dipendenti dalla Cina entro il 2030


Il 2 ottobre il Financial Times ha pubblicato un’analisi di Mike Kuiken, ricercatore presso l’Hoover Institution e consulente senior per la sicurezza nazionale. L’esperto ha messo in guardia contro un rischio poco discusso ma rilevante: la crescente dipendenza degli Stati Uniti dalla Cina nella produzione dei cosiddetti “chip di base”.

Mentre l’attenzione politica e industriale americana è concentrata sui semiconduttori avanzati destinati all’intelligenza artificiale, Pechino starebbe consolidando una posizione dominante nel mercato dei chip maturi, ossia quelli con processo produttivo a 28 nanometri o superiore. Questi componenti, spesso considerati erroneamente obsoleti, sono invece indispensabili per il funzionamento di un’ampia gamma di tecnologie: automobili, dispositivi medici, sistemi di difesa e infrastrutture critiche come reti elettriche e di telecomunicazioni.

Kuiken ha ricordato che la Cina detiene già circa il 40% della capacità produttiva globale in questo settore e che la sua influenza è destinata a crescere entro il 2030. Secondo l’analista, questa dipendenza rappresenta una vulnerabilità strategica per Washington, poiché i chip di base costituiscono l’ossatura di molti sistemi militari, dai caccia F-16 ai missili Patriot e Javelin. Per il Pentagono, perdere il controllo della catena di fornitura significherebbe compromettere la sicurezza stessa dell’arsenale americano.

Nella sua analisi, Kuiken ha chiesto che il governo statunitense completi rapidamente l’indagine della Sezione 301 sui chip maturi cinesi con “azioni decisive”. Le misure suggerite includono politiche industriali più ampie dei semplici dazi, maggiore trasparenza da parte delle aziende statunitensi sulle catene di fornitura e nuovi investimenti federali nei chip di base.

Secondo Kuiken, ignorare questa minaccia avrebbe conseguenze potenzialmente gravi: ogni automobile, ogni missile e ogni apparecchiatura medica prodotta negli Stati Uniti rischierebbe di trasformarsi in uno strumento di pressione nelle mani di Pechino.

A suo avviso, questa situazione ridurrebbe anche la capacità americana di mantenere un equilibrio strategico nello Stretto di Taiwan.

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