SAPIENZA - Capitolo 18
La luce illumina il cammino degli Israeliti1Per i tuoi santi invece c'era una luce grandissima; quegli altri, sentendone le voci, senza vederne l'aspetto, li proclamavano beati, perché non avevano sofferto come loro2e li ringraziavano perché non nuocevano loro, pur avendo subìto un torto, e imploravano perdono delle passate inimicizie.3Invece desti loro una colonna di fuoco, come guida di un viaggio sconosciuto e sole inoffensivo per un glorioso migrare in terra straniera.4Meritavano di essere privati della luce e imprigionati nelle tenebre quelli che avevano tenuto chiusi in carcere i tuoi figli, per mezzo dei quali la luce incorruttibile della legge doveva essere concessa al mondo.
La morte dei nemici e la salvezza dei giusti5Poiché essi avevano deliberato di uccidere i neonati dei santi – e un solo bambino fu esposto e salvato –, tu per castigo hai tolto di mezzo la moltitudine dei loro figli, facendoli perire tutti insieme nell'acqua impetuosa.6Quella notte fu preannunciata ai nostri padri, perché avessero coraggio, sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà.7Il tuo popolo infatti era in attesa della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici.8Difatti come punisti gli avversari, così glorificasti noi, chiamandoci a te.9I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto e si imposero, concordi, questa legge divina: di condividere allo stesso modo successi e pericoli, intonando subito le sacre lodi dei padri.10Faceva eco il grido discorde dei nemici e si diffondeva il lamento di quanti piangevano i figli.11Con la stessa pena il servo era punito assieme al padrone, l'uomo comune soffriva le stesse pene del re.12Tutti insieme, nello stesso modo, ebbero innumerevoli morti, e i vivi non bastavano a seppellirli, perché in un istante fu sterminata la loro prole più nobile.13Quanti erano rimasti increduli a tutto per via delle loro magie, allo sterminio dei primogeniti confessarono che questo popolo era figlio di Dio.14Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo rapido corso,15la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio, portando, come spada affilata, il tuo decreto irrevocabile16e, fermatasi, riempì tutto di morte; toccava il cielo e aveva i piedi sulla terra.17Allora improvvisi fantasmi di sogni terribili li atterrivano e timori inattesi piombarono su di loro.18Cadendo mezzi morti qua e là, mostravano quale fosse la causa della loro morte.19Infatti i loro sogni terrificanti li avevano preavvisati, perché non morissero ignorando il motivo delle loro sofferenze.
Minaccia di sterminio per Israele e intercessione di Aronne_20L'esperienza della morte colpì anche i giusti e nel deserto ci fu il massacro di una moltitudine, ma l'ira non durò a lungo,21perché un uomo irreprensibile si affrettò a difenderli, avendo portato le armi del suo ministero, la preghiera e l'incenso espiatorio; si oppose alla collera e mise fine alla sciagura, mostrando di essere il tuo servitore.22Egli vinse la collera divina non con la forza del corpo né con la potenza delle armi, ma con la parola placò colui che castigava, ricordando i giuramenti e le alleanze dei padri.23Quando ormai i morti erano caduti a mucchi gli uni sugli altri, egli, ergendosi là in mezzo, arrestò l'ira e le tagliò la strada che conduceva verso i viventi.24Sulla sua veste lunga fino ai piedi portava tutto il mondo, le glorie dei padri scolpite su quattro file di pietre preziose e la tua maestà sopra il diadema della sua testa.25Di fronte a queste insegne lo sterminatore indietreggiò, ebbe paura, perché bastava questa sola prova dell'ira divina.
_________________Note
18,5-19 La strage dei primogeniti egiziani è narrata in Es 11-12. Ad essa viene contrapposta la salvezza dei figli dei giusti (vv. 7-8). La strage è il castigo inferto da Dio agli Egiziani, perché il loro re aveva ordinato di uccidere i figli maschi degli Ebrei (Es 1,16). La notte in cui questa strage avviene è presentata nella cornice della Pasqua: mentre gli Ebrei celebrano la festa di liberazione, gli Egiziani assistono impotenti alla morte dei primogeniti.
18,9 L’offerta dei sacrifici in segreto si riferisce all’immolazione dell’agnello pasquale. Le sacre lodi dei padri sono i salmi “pasquali”, quelli cioè che cantano le grandi opere di Dio in favore del suo popolo (Sal 113-118; 136).
18,20-25 Nel deserto ci fu anche un intervento punitivo da parte di Dio nei confronti del proprio popolo, che si era ribellato (ribellione di Core, Nm 16,1-3, e mormorazione di tutto Israele contro Mosè e Aronne, Nm 17,6-15). L’autore riflette su questo fatto e risponde all’obiezione di chi sostiene che non esisterebbe distinzione tra giusti e ingiusti. L’ira di Dio, egli dice, non durò a lungo (v. 20), ma venne placata dalla preghiera di Aronne (v. 21).
18,24 portava tutto il mondo: la veste sacerdotale con i suoi ricami era simbolo dell’universo; sulle pietre preziose del pettorale erano incisi i nomi dei capostipiti delle tribù d’Israele (dodici, disposti su quattro file); sul diadema era incisa la frase: “Consacrato al Signore” (Es 28,36; Sir 45,6-22).
18,25 lo sterminatore: personificazione del castigo o flagello di Dio (Nm 17,12-15).
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Approfondimenti
v. 1a. «santi»: il termine definisce spesso il popolo di Israele sottolineando sia l'azione misteriosa di JHWH (cfr. 10,15.17; 18,5), sia il dono della legge (cfr. 18,1.9). Nel nostro caso è proprio il dono di quest'ultima che permette a Israele, nonostante i suoi peccati, di usufruire dello statuto di santità. L'aggettivo possessivo che accompagna il titolo di «santi» aggiunge infine una nota d'affetto e di intimità, ben lontana da un mero rapporto giuridico e in stridente contrasto col freddo pronome «essi» con cui l'autore designa gli Egiziani.
vv. 1b-2. Il castigo divino che raggiunge gli empi comporta pure una loro presa di coscienza e un riconoscimento (che non significa tuttavia pentimento) del male commesso, come ad es. appare dalla confessione degli empi di Sap 5,4-13 e dal dittico seguente (cfr. 18,19).
v. 3. Dalla luce si passa alla colonna di fuoco, ripetutamente menzionata nei testi di Esodo (13,21-22; 14,19.24; cfr. Nm 14,14); l'autore opera così un allargamento d'orizzonte per sottolineare che, al di là dei tre giorni della piaga, Israele era sempre accompagnato dalla luce.
- Qui appare il significato ultimo della luce: essa rappresenta la legge stessa; si tratta di un'idea tradizionale biblica (cfr. Is 2,5; Pr 6,23; Sal 119,105), che l'autore riprende e approfondisce ulteriormente tramite l'aggettivo «incorruttibile». L'uomo è chiamato da Dio all'incorruttibilità (cfr. 2, 23; BC = «immortalità»), cioè a stare vicino a Dio (6,19); proprio per l'amore divino per la vita delle sue creature egli ha infuso in esse il suo spirito incorruttibile (12,1). Ma come potrà l'uomo concretamente rispondere a questa chiamata divina all'incorruttibilità? Precisamente osservando le leggi (6,19), cioè tramite questa torah donata da Dio a Israele! E proprio questa la luce incorruttibile che accompagna costantemente il popolo; esso la dovrà non solo accogliere e vivere, ma anche testimoniare e portare al mondo intero. Appare qui chiaro in quale senso lo Pseudo-Salomone concepisca l'identità di Israele e anche giustifichi la sua presenza in mezzo alle nazioni. In questo contesto il significato primitivo della piaga s'è enormemente dilatato: le tenebre egiziane rappresentano l'ignoranza della torah ed implicitamente la preclusione all'incorruttibilità.
vv. 5-25. La struttura del dittico è costituita fondamentalmente da due unità: vv. 6-19; 20-25. Il motivo principale della prima è dato dalla morte del primogeniti egiziani, fatto che comporta però anche la salvezza degli Israeliti tramite la celebrazione della Pasqua; la seconda unità ha invece come tema unico la salvezza del popolo eletto, ottenuta grazie all'intercessione di Aronne; il v. 5 introduce non solo il dittico in questione, ma anche il seguente del c. 19. Mentre i vv. 20-25 costituiscono un brano unitario e ben articolato, l'unità 6-19 è costruita su tre piccoli brani facilmente riconoscibili: la notte della salvezza (vv. 6-9), il grido degli Egiziani (vv. 10-13), l'azione del logos (vv. 14-19). Le due unità del sesto dittico sono letterariamente unite dal termine logos-parola (vv. 15.22); si tratta della corrispondenza più importante, sulla quale si basa la contrapposizione Ebrei-Egiziani: tramite la parola gli Egiziani sono colpiti a morte, tramite la parola intercessoria di Aronne gli Ebrei ottengono la liberazione dalla morte. All'epoca della Sapienza la Pasqua è diventata una chiave teologica per interpretare tutta la storia della salvezza, cosicché la rievocazione della Pasqua egiziana permette allo Pseudo-Salomone non solo di rimontare all'epoca dei patriarchi (cfr. 18, 6), ma soprattutto di sottolineare l'attualità di questa festa in quanto celebrazione d'alleanza e momento di forte attesa escatologica (cfr. 18,7-9). Nel contesto pasquale il giudizio sui primogeniti egiziani acquista una dimensione nuova, escatologica, a prima vista impensata, e anche l'intercessione di Aronne assume un forte carattere d'attualità.
v. 5. L'autore, giunto al termine di una storia di rifiuto, interpreta la decima piaga e l'annegamento degli Egiziani nel mare come segno della condanna di Dio. Si tratta di una condanna definitiva; infatti l'espressione «tutti insieme» con la sua sfumatura di totalità non lascia più spazio per ulteriori piaghe e soprattutto l'uso del verbo «far perire» richiama la perdizione che viene da Dio, al di là di una semplice catastrofe naturale (questo verbo compare sempre, direttamente o indirettamente, in contesti in cui si tratta della perdizione che proviene da Dio: 4,19; 12,6.12; 14,6; 18,19).
vv. 6-9. Quest'unità presenta una progressiva specificazione dei contenuti. Al preannuncio della Pasqua ai patriarchi (v. 6) segue l'attesa del popolo, qualificata dall'autore come duplice attesa: della salvezza per i giusti e della rovina per i nemici (v. 7). Il v. 8 riprende i due elementi, approfondendo però quello positivo; infatti la salvezza dei giusti viene specificata come chiamata e glorificazione di Israele (v. 8b). Infine la chiamata e la glorificazione di Israele sono ulteriormente precisate nella descrizione della celebrazione pasquale al v. 9.
v. 6. Lo Pseudo-Salomone interpreta la notte pasquale come il compimento di una parola già annunciata al patriarchi (cfr. G n 15, 13-14); i plurali «padri» e «promesse» invitano tuttavia a non limitare questo preannuncio pasquale a un momento storico, bensì a riferirlo al complesso delle promesse patriarcali, come fa ad es. il Targum Es 12,42. Caratteristica poi del nostro testo è l'evidenziazione della conseguenza di tale preannuncio: «cosicché... potessero rallegrarsene» (BC = «perché... stessero di buon animo»). In riferimento alle promesse sopra citate, si tratta verosimilmente non solo della gioia di Abramo per la futura liberazione dei suoi discendenti dalla schiavitù egiziana, ma anche della sua gioia per la nascita di Isacco e per la liberazione del medesimo al momento del sacrificio.
vv. 7-8. L'attesa dell'evento pasquale da parte del popolo di Dio presuppone non più l'epoca patriarcale, bensì l'ultimo tempo del soggiorno in Egitto. Al v. 8, tramite il pronome «ci», l'autore e la generazione del suo tempo entrano direttamente in scena come protagonisti di quella storia: attraverso il memoriale liturgico la storia passata diventa storia ed esperienza presente. Lo Pseudo-Salomone definisce gli Israeliti come «tuo popolo» e «giusti». Nel linguaggio biblico «popolo» è un appellativo quasi esclusivo di Israele, ma ciò che fonda questo stretto rapporto è piuttosto il genitivo che lo accompagna: «di Dio» o il pronome corrispondente. È in questa particolare relazione con Dio che Israele in quanto popolo nasce, è qualificato e trova la sua identità. L'appellativo «i giusti» a partire da Sap 10, 20 fino alla fine rappresenta sempre Israele; si tratta di un Israele ideale, sistematicamente contrapposto agli Egiziani e una volta ai Cananei (12,9), un Israele ideale perciò, che incarna storicamente la figura del giusto dei primi capitoli e che mostra come, nonostante la persecuzione, Dio lo conduce al successo. La chiamata di Dio del v. 8b è l'invito a celebrare il sacrificio pasquale (cfr. Es 3, 18; 5, 3), chiamata che continua ogni anno con la celebrazione della Pasqua fino all'epoca dell'autore (cfr. «ci»).
v. 9. «legge divina»: nel lungo capitolo di Es 12 il termine torah (legge) compare una volta sola al v. 49 a conclusione di una pericope dove, al di là delle singole prescrizioni rituali sulla Pasqua, il tema di fondo è costituito dalla circoncisione, condizione irrinunciabile per la partecipazione alla celebrazione pasquale; la circoncisione, infatti, è il segno dell'alleanza e dell'appartenenza al popolo eletto (Gn 17,1.14) e quindi anche la condizione per la partecipazione al culto. Alla luce di questo contesto la legge di Sap 18,9 designa più specificatamente il “patto”, temine nel quale converge il concetto di alleanza e, più velatamente, il concetto di circoncisione. Come già la tradizione biblica (cfr. 1Re 8,9.21; Ger 31,32) e specialmente quella targumica (cfr. ad es. il Targum Zc 9, 11), anche lo Pseudo-Salomone rilegge la Pasqua alla luce dell'alleanza, sicché questa festa diventa il momento dell'unità, dove attorno all'alleanza e alla circoncisione il popolo ritrova la sua vera identità. La partecipazione alla celebrazione pasquale si traduce in un impegno (cfr. «si imposero»), che però non è un semplice impegno di solidarietà fra uomini, bensì una fraternità profonda creata dall'accettazione del dono divino dell'alleanza; si tratta, infatti, della legge «della divinità» (BC = «divina»), dove la specificazione vuole precisamente sottolineare la dimensione soprannaturale e l'iniziativa gratuita di Dio in favore dell'uomo. «beni e pericoli»: l'impegno dei partecipanti alla celebrazione pasquale è caratterizzato, oltre che dall'umanità (cfr. «concordi»), soprattutto dalla disponibilità a condividere beni e pericoli; col termine «beni» l'autore allude certamente al dono della manna o delle quaglie o dell'acqua, ma soprattutto ai beni spirituali, cioè alle promesse divine, come apparirà chiaro nell'imminente episodio del deserto (vv. 20-25). «canti di lode dei padri»: si tratta del canto dell'Hallel; quella Pasqua preannunciata ai patriarchi (v. 6) è ora motivo di canto e di ringraziamento per la generazione dell'esodo, inizio di una lode che è giunta ininterrotta sino alla generazione dell'autore.
vv. 10-13. Questa breve unità descrive la reazione degli Egiziani alla strage dei loro primogeniti. L'unità si apre con il lamento degli Egiziani che piangono i figli e si chiude con il riconoscimento da parte dei medesimi Egiziani della figliolanza divina di Israele; il grido iniziale è discorde (v. 10a; BC = «confuso»), il riconoscimento finale invece è unanime (v. 13b).
v. 10. Lo Pseudo-Salomone parte dal dato tradizionale di Es 11,6 e 12,30, dove si accenna al grande grido che strazia l'Egitto dopo la morte dei primogeniti; la sua originalità consiste soprattutto nel confrontare questo grido disperato con il canto pasquale degli Ebrei.
vv. 11-12. «Schiavo-padrone» e «popolano-re»: indicano le due categorie sociologiche estreme, entro le quali si collocano tutte le altre categorie intermedie. Dunque tutti gli Egiziani, senza eccezione alcuna, sono colpiti dalla stessa piaga; a differenza degli Ebrei, dove l'alleanza fonda l'intima unità fra i membri (v. 9bcd), qui è il castigo a creare una solidarietà d'altronde negativa e forzata. La vastità e la gravità della piaga emergono in crescendo tramite la successione degli emistichi: dapprima la frase lapidaria di 12b, poi l'iperbole dell'emistichio seguente, ed infine, in tutta la sua gravità, l'affermazione di 12d.
v. 13. «figlio di Dio»: il riferimento è a Es 4,22-23 in cui, con lo sguardo già rivolto alla decima piaga, si afferma chiaramente la figliolanza divina di Israele e la sua conseguente incompatibilità col servizio a faraone. Come gli empi dei primi capitoli, dapprima in forma dubitativa e sarcastica (2,18), poi forzati dalla realtà del giudizio divino (5,5), sono costretti a vedere in Israele il figlio di Dio, così i padri egiziani, privati drammaticamente dei loro primogeniti sono costretti a riconoscere che Israele, illeso dalla strage, non appartiene a loro, bensì a Dio, ne è il figlio per eccellenza.
vv. 14-19. La breve unità presenta una struttura binaria: vv. 14-16; 17-19. Dapprima viene descritta l'azione punitiva del logos in una cornice prettamente cosmica (cfr. il ricco vocabolario di termini naturali e cosmici: «silenzio-notte-tutte le cose-cielo-terra»), poi la descrizione passa invece al piano personale e psicologico (cfr. il vocabolario psicologico: «fantasmi-sogni-atterrire-timori-terrificanti»). Il nesso fra le due parti è costituito letterariamente dai due avverbi «allora» e «improvvisamente» (BC = «improvvisi»); il primo fa riferimento al tempo (mezzanotte), il secondo alla repentinità dell'evento.
vv. 15-16. Emerge in primo piano la figura possente e grandiosa della parola (logos), alla cui azione è attribuito l'eccidio dei primogeniti egiziani. Essa viene qualificata come onnipotente. Quest'aggettivo in 7,23 è riferito allo spirito della sapienza e in 11,17 all'azione punitrice di Dio; il verbo corrispondente ha sempre come soggetto Dio (11,23; 12,18; 14,4) e una volta la sapienza (7,27); così il sostantivo è costantemente riferito a Dio (7,25; 11,20; 12,15.17); dunque siamo di fronte a una qualità tipicamente divina. Anche le altre due qualificazioni «dal cielo» e «dal tuo trono regale» fanno riferimento alla sede di Dio (cfr. 9,4.10.16; 16,20). La figura del logos rappresenta cosi una personificazione della volontà divina, al fine di sottolineare che la parola di Dio è davvero presente nella storia degli uomini, efficace e dinamica. La descrizione del logos continua con l'immagine del guerriero inflessibile, che piomba sull'Egitto e che con la sua spada acuta colpisce a morte. Il vocabolario rinvia costantemente a Sap 5,17-23, dove tramite l'immagine tradizionale del guerriero si descrive l'intervento risolutore e definitivo di Dio con un totale sconvolgimento cosmico e la sconfitta degli empi. Così la piaga egiziana diventa pure segno e anticipazione del giudizio finale. Quest'interpretazione dello Pseudo-Salomone trova dei paralleli interessanti specialmente nella tradizione targumica (cfr. Targum Es 11,4: 12,12-13.23.27.29), dove è proprio alla parola che si attribuisce l'uccisione dei primogeniti e la salvezza degli
vv. 17-19. A mezzanotte apparizioni di terribili sogni sconvolgono l'animo dei primogeniti egiziani, provocando in loro timori inaspettati; la conseguenza di tutto ciò è che i primogeniti escono dalle loro case e cadono mezzi morti, chi qua, chi là; non muoiono però repentinamente, ma lentamente, mostrando la causa della loro morte. A chi mostrino la causa della loro morte non è detto; probabilmente ai genitori e agli altri Egiziani non toccati dalla piaga. Questa rivelazione tramite sogni ha lo scopo di rendere i primogeniti coscienti e non semplicemente oggetto del castigo divino.
vv. 20-25. La precedente descrizione della decima piaga potrebbe far sorgere l'obiezione che non solo gli Egiziani, ma anche gli Israeliti vennero colpiti in seguito da una moria nel deserto; l'autore risponde rievocando l'episodio di Nm 17,6-15, dove, in contrapposizione alla punizione degli Egiziani tramite la parola, evidenzia la salvezza degli Ebrei grazie alla parola d'intercessione. Il brano è caratterizzato da un movimento di tipo concentrico: annuncio della piaga e del suo carattere limitato (v. 20), Aronne usa l'arma della liturgia (v. 21abc), ferma il flagello (v. 23), indossa le insegne liturgiche (v. 24), annuncio della fine della piaga e del suo carattere limitato (v. 25).
v. 20. Lo Pseudo-Salomone interpreta la strage di Nm 17 come un giudizio divino su Israele; si tratta però di un giudizio limitato nel tempo e con valore educativo, è cioè una prova di Dio.
v. 21. «un uomo»: si tratta di Aronne, la figura dominante di questa unità. Egli è incensurabile come Abramo (cfr. Gn 17,1; Sap 10,5), Giobbe (cfr. Gb 1, 1.8; 2,3) ed Ester (cfr Est 8,12n), e come Mosè (cfr. Sap 10,15) è servo di Dio; con ciò lo Pseudo-Salomone presenta assai positivamente la figura di Aronne e le attribuisce un'importanza maggiore rispetto alla tradizione anticotestamentaria. Il dato nuovo della rilettura di Sapienza è costituito non solo dal fatto che è Aronne a prendere l'iniziativa (cfr. «si affrettò»), ma soprattutto dalla sua preghiera di intercessione, di cui in Nm 17,6-15 manca infatti ogni accenno esplicito. L'evidenziazione della preghiera significa che lo Pseudo-Salomone interpreta l'intervento di Aronne come un atto di intercessione; il carattere di espiazione rimane, perché legato all'offerta dell'incenso e alla menzione successiva della veste sacerdotale (v. 24), tuttavia diventa preminente l'aspetto di intercessione, cioè della preghiera.
v. 22. «parola»: il significato immediato è quello di parola di preghiera, con riferimento al v. 21c; tuttavia dietro questo termine significativo si cela pure un significato più profondo. Nel contesto della memoria liturgica (cfr. v. 22d) la funzione fondamentale del ricordare consiste nell'attualizzazione della storia salvifica e questa è resa possibile grazie al ruolo determinante della parola, che prende il posto dell'evento passato e ne rende presente ed efficace il valore salvifico. Se Aronne vince la piaga, è dunque grazie a questa parola! Nella memoria liturgica di Aronne, sebbene il nostro testo lo dica indirettamente, è presente ed operante la parola, che, in quanto parola di salvezza donata da Dio a Israele tramite l'alleanza, sconfigge la piaga. L'autore continua così la riflessione di 18,15-16: qui il logos colpisce i primogeniti egiziani salvando in tal modo gli Ebrei; nell'episodio del deserto è il medesimo logos che, grazie ala memoria liturgica di Aronne, sconfigge la piaga salvando ancora una volta il popolo eletto; tuttavia questo viene detto non esplicitamente, ma per via d'allusione tramite l'uso del termine logos.
v. 23. Come il giusto sta di fronte ai suoi persecutori e incute loro un grande timore (5,1-2) e come il logos sta di fronte agli Egiziani e semina la morte (18,16), così Aronne sta (BC = «ergersi») in mezzo e ferma la moria. Egli non resiste a Dio, anche se inizialmente la piaga è stata da lui inviata, perché in Aronne è presente la parola; come Dio può suscitare una piaga, così può anche fermarla. Infine lo stare di Aronne ricorda l'intercessione di Mosè e di Finees (cfr. Sal 106,23.30).
v. 24. Tre sono gli elementi essenziali del vestito liturgico di Aronne: la lunga veste talare (v. 24a), il pettorale (v. 24b) e il diadema (v. 24d). La prima rappresenta il meglio del lavoro umano e del materiale terrestre (cfr. Es 28,3; Sir 45,10-11), sicché essa diventa un microcosmo offerto tramite la liturgia a Dio; la liturgia del sacerdozio di Aronne diventa così, accanto ai miracoli dell'esodo, segno e tappa della grande lotta del cosmo contro gli empi. I nomi dei patriarchi incisi sul pettorale di Aronne significano che egli nell'esercizio del suo sacerdozio entra in stretta comunione con loro, anzi li rappresenta grazie alla memoria liturgica; è così che la promessa e l'alleanza si attualizzano in Israele. Il diadema (BC = «corona») indica la lamina d'oro fissata in fronte alla tiara tramite cordicelle di color giacinto; ora, almeno a partire dal I sec. a.C., questa lamina portava l'iscrizione del tetragramma del nome divino a ad esso allude il temine «maestà». È grazie a questa presenza del nome ineffabile che Aronne è consacrato a Dio (cfr. Es 28,36; 39,30) e ne rappresenta in modo del tutto particolare la presenza e la maestà.
v. 25. «lo sterminatore»: l'autore, riprendendo il termine da Es 12,23, ricollega intenzionalmente la piaga di Nm 17 a quella dei primogeniti egiziani; in entrambi gli episodi lo sterminatore agisce alle dipendenze di Dio; contro i primogeniti però il castigo è assoluto e inarrestabile, contro il popolo eletto è invece limitato. Grazie alle insegne sacerdotali, che fanno di Aronne il rappresentante del cosmo, dei patriarchi e di Dio stesso, lo sterminatore si intimorisce e indietreggia; in altre parole, l'intercessione di Aronne è pienamente accolta da Dio.
(cf. MICHELANGELO PRIOTTO, Cantico dei Cantici – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)