Salta al contenuto principale


Nicer e Xmm-Newton prendono il polso ad Ansky




Immagine ottenuta dalla Sloan Digital Sky Survey che mostra, al centro, Sdss 1335+0728, la galassia che ospita il buco nero supermassiccio Ansky, le cui eruzioni quasi periodiche sono oggetto dello studio. Crediti: Sloan Digital Sky Survey

Gli addetti ai lavori le chiamano eruzioni quasi periodiche, quasi-periodic eruption (Qpe), in inglese. Sono potenti esplosioni di raggi X che si ripetono periodicamente su scale temporali che vanno da poche ore a settimane, generate da buchi neri supermassicci situati al centro di galassie di piccola massa.

Utilizzando i dati raccolti da diversi telescopi per raggi X, un team di ricercatori e ricercatrici guidati dal Massachusetts Institute of Technology ha ora studiato, per la prima volta, l’ambiente fisico in cui si verificano queste emissioni, migliorando la comprensione del meccanismo che ne è alla base. I risultati dello studio, pubblicati la settimana scorsa sulla rivista The Astrophysical Journal, confermano quanto precedentemente ipotizzato dagli scienziati: alcune Qpe sarebbero causate dalle collisioni periodiche di un corpo orbitante di massa stellare con il disco di accrescimento del buco nero.

Il punto di partenza della ricerca è stata l’osservazione del buco nero supermassiccio soprannominato Ansky, un gigante cosmico da un milione di masse solari situato a 300 milioni di anni luce di distanza dalla Terra, in direzione della costellazione della Vergine.

Posizionato al centro della galassia Sdss 1335+0728, l’oggetto compatto ha fatto parlare di sé nel 2019, quando, dopo decenni di quiescenza, è improvvisamente tornato attivo, emettendo radiazione a diverse lunghezze d’onda e trasformando la galassia ospite in un nucleo galattico attivo. Ma è nel febbraio del 2024 che gli astronomi hanno notato qualcosa di strano: un’emissione di raggi X a intervalli quasi regolari. Per gli scienziati non ci sono dubbi: si tratta di emissioni quasi periodiche, una classe di brillamenti di raggi X a bassa energia, di breve durata, la cui origine resta tuttora incerta, nonostante le diverse ipotesi formulate.

Il buco nero supermassiccio Ansky è una delle dieci sorgenti di eruzioni quasi periodiche identificata finora. Tra tutte, è la più interessante: le sue emissioni ricorrenti sono le più energetiche che si conoscano. Inoltre, mostrano la cadenza e la durata più lunghe mai osservate, pari a 4,5 e 1,5 giorni rispettivamente.

Proprio le straordinarie caratteristiche dei lampi ricorrenti di raggi X di Ansky hanno spinto Joheen Chakraborty, ricercatore al Massachusetts Institute of Technology, e i suoi colleghi, tra cui gli italiani Riccardo Arcodia, Margherita Giustini, Giovanni Miniutti e Claudio Ricci, a studiare in dettaglio il buco nero, ottenendo informazioni utili a comprendere meglio la natura di queste emissioni.


Fotogramma del video Nasa che mostra l’oggetto di massa stellare (il pallino bianco) in orbita attorno al buco nero supermassiccio Ansky (rappresentato dal pallino nero). Impattando ripetutamente sul disco di accrescimento che circonda il buco nero, l’oggetto celeste produrrebbe degli shock che sarebbero alla base delle eruzioni quasi periodiche osservate nello studio. Crediti: Nasa.

Il meccanismo che genera le Qpe è infatti non del tutto conosciuto. Una delle teorie più accreditate circa la loro origine coinvolge un oggetto di massa stellare la cui orbita incrocia quella del buco nero. Secondo questa ipotesi, i brillamenti di raggi X quasi periodici sarebbero il prodotto di shock collisionali provocati dal corpo celeste che attraversa ripetutamente il disco di accrescimento del buco nero. Il meccanismo proposto è questo: a ogni orbita, l’oggetto di massa stellare perturberebbe il disco di accrescimento dell’oggetto compatto. Le interazioni, due per ogni giro, genererebbero onde d’urto che riscaldano localmente il disco, provocando l’espulsione di materia che emette nei raggi X. Le successive interazioni tra l’oggetto e il disco darebbero origine a nuove espulsioni di gas caldo, visibili come emissioni quasi-periodiche nei raggi X. In questo scenario, le emissioni si ripeterebbero fino alla scomparsa del disco o alla disintegrazione dell’oggetto in orbita, un processo che potrebbe richiedere anche alcuni anni. Orbiter–disk collision model: è così che gli scienziati chiamano questo modello.

Grazie ai dati raccolti dai telescopi spaziali Nicer della Nasa e Xmm-Newton dell’Esa, il team di ricerca ha analizzato le variazioni nell’intensità dei raggi X emessi da Ansky e mappato la rapida evoluzione del materiale espulso, confermando, almeno per Ansky, la validità del modello proposto.

«Le Qpe sono fenomeni misteriosi e di grande interesse», sottolinea Joheen Chakraborty. «Uno degli aspetti più affascinanti è la loro natura quasi periodica. Stiamo ancora sviluppando le metodologie e i modelli necessari per comprenderne le cause, e le proprietà insolite di Ansky ci stanno aiutando a perfezionare questi strumenti». I ricercatori hanno scoperto che ad ogni collisione tra l’oggetto compagno e il disco del buco nero viene espulsa una massa pari a quella di Giove. Le analisi indicano anche che il plasma viene rapidamente accelerato dalla pressione di radiazione ed eiettato a velocità che i ricercatori calcolano sia pari a circa il 15 per cento della velocità della luce. Nel corso dell’eruzione, inoltre, la massa di materiale espulso viene dispersa radialmente, espandendosi con una geometria sferica.


Margherita Giustini, ricercatrice al Centro de Astrobiología di Madrid e co-autrice dello studio pubblicato la scorsa settimana su ApJ

«I modelli più accreditati per spiegare l’origine delle eruzioni quasi-periodiche di raggi X sono collegati all’attività del buco nero supermassiccio che si trova al centro delle galassie ospiti», spiega a Media Inaf la co-autrice dello studio Margherita Giustini, ricercatrice italiana oggi al Centro de Astrobiología di Madrid. «Una classe di modelli spiega le eruzioni con un corpo/oggetto di piccola massa (ad esempio una stella, o un piccolo buco nero) in orbita attorno al buco nero centrale; altri tipi di modelli invocano instabilità magnetiche del flusso di materia in accrescimento sul buco nero. Nel caso di Ansky, il modello più plausibile per spiegare le osservazioni è lo scenario in cui una stella impatta ripetutamente sul disco di accrescimento che circonda il buco nero supermassiccio centrale della galassia. Ad ogni impatto sono prodotti degli shock che provocano l’espansione di nubi di gas molto caldo, che osserviamo brillare in raggi X. L’orbita della stella non perfettamente circolare, e i forti effetti gravitazionali dovuti alla presenza del buco nero supermassiccio centrale, fanno sì che le eruzioni di raggi X non siano perfettamente periodiche, bensì quasi-periodiche».

L’auspicio dei ricercatori è che in futuro si riescano a perfezionare i modelli che descrivono questi sistemi, migliorando così la capacità di studiarne le emissioni. Secondo Giustini, per fare ciò «sarà fondamentale avere a disposizione telescopi spaziali con una grande capacità di raccolta di raggi X “soffici” (ovvero fotoni con energia compresa tra circa 200 e 2000 eV) e capaci di osservare sorgenti cosmiche per lunghi periodi di tempo: in questa maniera potremo studiare in dettaglio l’evoluzione dell’emissione delle sorgenti di eruzioni quasi-periodiche di raggi X, e forse svelare i misteri della dinamica dei nuclei delle galassie e dei loro buchi neri supermassicci. In questo senso», conclude la ricercatrice, «Ansky è una sorgente davvero spettacolare, che potrà aiutarci a comprendere meglio alcuni dei fenomeni più misteriosi che l’universo ci ha svelato negli ultimi anni».

Per saperne di più:

Guarda il video (in inglese) sul canale YouTube della Nasa:

youtube.com/embed/ZBzL97Dh4xA?…