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Corea del Sud: una democrazia resiliente


Lee Jae-Myung, Presidente della Repubblica di Corea.
Il 3 giugno 2025 il candidato del partito liberale Lee Jae-myung è stato eletto presidente della Corea del Sud in un’elezione lampo, scatenata dall’improvviso decreto di legge marziale del suo predecessore, il presidente conservatore Yoon Suk-yeol, dal suo impeachment e dalla sua rimozione dall’incarico. La vittoria di Lee è stata decisiva: egli ha ottenuto il 49,42% dei voti contro il 41,15% del suo rivale conservatore Kim Moon-soo[1].

La crisi era iniziata esattamente sei mesi prima, quando, alle 22,25 del 3 dicembre 2024, il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol aveva annunciato in diretta televisiva la dichiarazione della legge marziale, giustificandola con minacce alla sicurezza nazionale da parte della Corea del Nord. Tuttavia questa misura drastica, che sembrava appartenere a un passato superato dopo il ripristino della democrazia nel 1987, non è durata a lungo. La risposta della popolazione e delle istituzioni non si è fatta attendere: migliaia di cittadini si sono precipitati verso l’Assemblea nazionale, per impedire che le truppe, in seguito alla legge marziale, prendessero il controllo dell’edificio. Alcuni hanno persino aiutato i parlamentari a scavalcare i muri per aggirare i blocchi della polizia. In un colpo di scena, i deputati dell’opposizione, insieme ad alcuni membri del Partito del potere del popolo (Ppp), forza politica del presidente, hanno votato per annullare il decreto di legge marziale. Alle 4,30 del mattino successivo, Yoon non ha avuto altra scelta che conformarsi a questa decisione. Di seguito, sono state avviate le procedure di impeachment nei suoi confronti e, al secondo tentativo, il 14 dicembre, l’Assemblea ha approvato la messa in stato d’accusa del presidente con 204 voti favorevoli.

In seguito, il 4 aprile 2025, la Corte costituzionale ha ufficialmente rimosso Yoon dall’incarico[2]. Nella sentenza si legge: «L’imputato è venuto meno al suo dovere di proteggere la Costituzione e ha tradito gravemente la fiducia del popolo sudcoreano, sovrano della Repubblica di Corea. […] Il beneficio derivante dalla tutela della Costituzione mediante la rimozione dell’imputato è così grande da superare la perdita nazionale che deriva dalla destituzione del presidente. Per questo, la Corte decide all’unanimità che l’imputato presidente Yoon Suk-yeol sia rimosso dall’incarico»[3].

La legge marziale, una misura temporanea che consente alle autorità militari di assumere il controllo in situazioni di emergenza nazionale, non veniva dichiarata in Corea del Sud da 46 anni. Questo spiega perché, quando si è diffusa per la prima volta la notizia del decreto del 3 dicembre 2024, molti inizialmente hanno pensato che si trattasse di una fake news, sebbene tra le file dell’opposizione circolassero voci di qualcosa di inedito.

Questo articolo cerca di evidenziare come i coreani abbiano fatto progredire la democrazia attraverso l’azione collettiva, passando da una società a struttura confuciana a una moderna società democratica[4]. Per comprendere appieno il momento attuale, dobbiamo considerare gli ultimi 100 anni di storia coreana, che implicano molti casi in cui il popolo si è sollevato contro gli abusi di potere e ha lottato per ripristinare il governo democratico. Inizieremo dunque esaminando il contesto della dichiarazione della legge marziale, seguito dalla tempistica dell’impeachment, dalla rimozione del presidente e dall’elezione del suo successore.

La storia moderna della Corea del Sud


Dopo la Seconda guerra mondiale, la Corea – già sottoposta per 35 anni al dominio coloniale giapponese – fu divisa in due dalle potenze vincitrici (gli Stati Uniti d’America e l’Unione Sovietica). Sorsero così la Corea del Nord, comunista, e la Corea del Sud, capitalista. Nel 1950 scoppiò la guerra di Corea. La Corea del Sud, uscita dal conflitto come una delle nazioni più povere del mondo, si trasformò negli anni successivi in una potenza industriale, oggi nota per l’esportazione di semiconduttori, automobili e navi.

L’industrializzazione del Paese iniziò negli anni Sessanta, sotto la guida del generale Park Chung-hee, divenuto poi presidente. La sua strategia economica, basata sulle esportazioni, diede risultati notevoli. Tuttavia, per consolidare il proprio potere, egli dichiarò la legge marziale e riscrisse la Costituzione, giustificando questo operato come necessario per la crescita economica e per la difesa dalla Corea del Nord comunista. I suoi sostenitori, per lo più conservatori, tra cui i grandi gruppi economici che avevano beneficiato della rapida crescita industriale, vennero definiti «forze dell’industrializzazione». Al contrario, coloro che sostenevano riforme democratiche e una maggiore uguaglianza sociale, opponendosi all’autoritarismo di Park, vennero definiti «forze della democratizzazione».

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Nel corso della storia, queste due forze hanno interagito in modo molto complesso[5]. Guardando al passato, da quando, alla fine del XIX secolo, intraprese la via della modernizzazione, la Corea spesso diede priorità allo sviluppo industriale, sottovalutando, o ignorando totalmente, le istanze democratiche. Tuttavia, nonostante questo disinteresse o violazione, la ricerca della democratizzazione continuò e, dopo la cosiddetta «democratizzazione del 1987», divenne un’importante agenda sociale[6]. La storia della Corea del Sud è stata caratterizzata dalla competizione e dalla riconciliazione finale tra queste due correnti.

Il 1° marzo 1919 sorse in Corea un movimento spontaneo a favore dell’indipendenza contro la colonizzazione giapponese (1910-1945). Anche se fallì, lasciò un segno duraturo, portando all’istituzione del Governo provvisorio della Repubblica di Corea a Shanghai, in Cina. Questo gruppo continuò a lottare per l’indipendenza del Paese. Tuttavia, dopo la Seconda guerra mondiale, il governo militare statunitense si affidò in larga misura, per la gestione provvisoria della Corea del Sud, a molti degli ex collaboratori del Giappone; il Governo provvisorio e gli attivisti per l’indipendenza furono messi da parte, provocando risentimenti e divisioni; e questo fu uno dei fattori che portarono allo scoppio della guerra di Corea. Molti di quegli ex collaboratori o i loro discendenti formarono l’élite che sostenne i primi regimi autoritari della Corea del Sud, compreso quello del presidente Syngman Rhee (1948-1960).

Nonostante i suoi fallimenti dopo la guerra di Corea, Rhee cercò di estendere il suo potere con elezioni considerate fraudolente, scatenando l’indignazione dell’opinione pubblica. Tutto questo culminò nelle proteste studentesche dell’aprile del 1960, durante le quali morirono 186 manifestanti favorevoli alla democrazia. In seguito alla rivolta, il movimento democratico riuscì temporaneamente a insediarsi al governo, ponendo le basi per le riforme politiche ed economiche. Ma questo fu di breve durata: il 16 maggio 1961, il generale Park Chung-hee prese il potere con un colpo di Stato militare. Sebbene a lui si riconoscesse il merito di una rapida crescita economica della Corea del Sud, il suo governo intransigente represse l’opposizione politica. In particolare, i futuri presidenti Kim Dae-jung e Kim Young-sam, entrambi protagonisti della restaurazione della democrazia nel 1987, subirono gravi persecuzioni sotto il suo regime.

Il governo autoritario di Park si concluse nel 1979, quando egli fu assassinato da Kim Jae-gyu, capo della Korean Intelligence Agency (Kcia) e suo dipendente. Dopo il suo assassinio, fu dichiarata la legge marziale e le forze militari a lui fedeli ripresero il controllo, rafforzando il regime autoritario. Questo nel maggio 1980 portò alla rivolta di Gwangju in favore della democrazia, durante la quale furono uccise 165 persone, e altre 65 risultarono scomparse. L’evento fu successivamente immortalato nel romanzo Atti umani, di Han Kang, vincitrice del premio Nobel per la letteratura nel 2024[7].

Il generale Chun Doo-hwan, che prese il potere dopo la morte di Park, nel 1987 cercò di far succedere al proprio governo autoritario il suo amico ed ex generale Roh Tae-woo; ma, di fronte a massicce proteste, fu costretto a capitolare e a ripristinare la democrazia. Fu emendata la Costituzione, riducendo il mandato del presidente a un solo quinquennio e limitando il suo potere di sciogliere l’Assemblea nazionale. Fu così che nacque la Costituzione democratica, che è tuttora in vigore.

Kim Young-sam, figura di spicco delle forze democratiche, divenne presidente nel 1993. Sebbene le sue radici politiche fossero nella corrente democratica, si alleò con i sostenitori dei tre ex generali diventati presidenti – Park Chung-hee, Chun Doo-hwan e Roh Tae-woo – per conquistare il potere. Durante la sua presidenza (1993-1998), stabilì il principio del controllo civile sull’esercito, smantellando le fazioni segrete che sostenevano l’estensione del governo militare sul Paese. Questa riforma sarebbe stata determinante nel fallimento della legge marziale dichiarata da Yoon nel 2024. Nel 1997, verso la fine del mandato di Kim, la Corea del Sud dovette affrontare una grave crisi finanziaria, che mise a dura prova la resistenza economica del Paese.

A succedere a Kim Young-sam fu Kim Dae-jung, presidente dal 1998 al 2003, sostenitore del duplice programma di sviluppo economico e di democratizzazione. Egli riformò il welfare sociale, promosse la cultura e la tecnologia, e avviò un dialogo intercoreano, che gli valse nel 2000 il premio Nobel per la pace. Il suo successore, Roh Moo-hyun (2003-2008), proseguì le riforme a favore della democrazia, consolidando l’impegno del Paese per l’innovazione economica e la governance democratica.

Dopo un decennio di governo liberale, la Corea del Sud ha visto il ritorno di due presidenti di area conservatrice: l’ex magnate dell’industria Lee Myung-bak (2008-2013) e Park Geun-hye (2013-2017), figlia del presidente assassinato Park Chung-hee. Lee si è fatto apprezzare per la gestione della crisi finanziaria globale del 2008, mentre la presidenza di Park è stata travolta da un grosso scandalo di corruzione e abuso di potere, che ha portato al suo storico impeachment nel dicembre 2016 e alla successiva rimozione dall’incarico nel marzo 2017: era la prima volta che un presidente sudcoreano veniva rimosso dalla Corte costituzionale.

Tra i protagonisti dell’inchiesta che la destituì vi era Yoon Suk-yeol, all’epoca capo della Procura del Distretto centrale di Seul, il quale si è guadagnato fama nazionale per aver condotto le indagini che hanno segnato la fine del mandato di Park. Quando, nel 2017, Moon Jae-in, avvocato per i diritti umani e membro del Partito democratico, è subentrato a Park, ha nominato procuratore generale Yoon, che cinque anni dopo sarebbe diventato presidente.

Il presidente Moon non avrebbe mai immaginato che Yoon Suk-yeol gli avrebbe voltato le spalle. Ma lo stile di quest’ultimo lo ha portato presto a scontrarsi con l’amministrazione Moon. Così, con una svolta imprevista, Yoon si è unito al partito conservatore Ppp e si è candidato alla presidenza, vincendo le elezioni del 2022. Per arrivare a tale vittoria, aveva il sostegno dell’elettorato conservatore più radicale, dopo aver condotto indagini aggressive sul fidato ministro della Giustizia di Moon, Cho Kuk, considerato all’epoca un forte candidato alla presidenza.

Tra i suoi sostenitori conservatori, Yoon veniva elogiato per l’avvicinamento della Corea del Sud agli Stati Uniti e al Giappone. Altri invece lo criticavano per aver concesso eccessiva indulgenza al Giappone in questioni storiche, per aver gestito male, nel 2022, il disastro della calca di Halloween a Seul (in cui morirono 158 persone) e per aver provocato uno sciopero nazionale dei medici con la sua decisione di aumentare drasticamente le ammissioni alle facoltà di Medicina. Inoltre, i suoi oppositori sostenevano che la democrazia sudcoreana sotto la sua guida aveva subìto un indebolimento, facendo riferimento alle repressioni contro i giornalisti e gli organi di stampa.

La dichiarazione della legge marziale e l’«impeachment»


Yoon ha attribuito la responsabilità del fallimento delle sue «quattro riforme» – del lavoro, delle pensioni nazionali, dell’istruzione e dell’assistenza sanitaria – all’Assemblea nazionale, controllata dall’opposizione. D’altra parte, i media a lui favorevoli hanno continuato a pubblicare notizie sulle indagini riguardanti i suoi principali avversari politici, in particolare il leader dell’opposizione, Lee Jae-myung, il quale, nelle elezioni presidenziali del 2022, per poco non lo aveva sconfitto[8].

In questo contesto, nelle elezioni generali dell’aprile 2024, il partito di Yoon ha avuto una pesante sconfitta, perdendo 192 dei 300 seggi dell’Assemblea nazionale a favore dell’opposizione. Nonostante ciò, Yoon non ha modificato il suo stile di leadership. Il suo rapporto con l’opposizione è rimasto difficile, esercitando il potere di veto sulle decisioni dell’Assemblea e rifiutando il dialogo. Secondo i critici, egli aveva iniziato a considerare la possibilità di dichiarare la legge marziale in risposta alla sconfitta elettorale del suo partito. In effetti, dichiarando la legge marziale il 3 dicembre 2024, ha presentato come giustificazione le minacce da parte delle forze comuniste della Corea del Nord e la necessità di «sradicare» una non ben definita «fazione pro-Nord e anti-Stato».

Nei mesi precedenti, autorevoli esponenti dell’opposizione avevano messo in guardia da una simile mossa, invitando i colleghi a recarsi immediatamente all’Assemblea nazionale in tale caso. Quando le truppe sono state inviate per bloccare l’ingresso dei deputati all’Assemblea nazionale, il loro arrivo è stato ritardato dal maltempo e dalla necessità di ottenere l’autorizzazione dell’aviazione. Così, quando i soldati sono giunti in elicottero, hanno trovato i parlamentari già all’interno del palazzo, sostenuti da cittadini comuni. Colti di sorpresa e incerti sul da farsi, essi hanno esitato. Nel giro di due ore e mezza, 192 parlamentari si sono riuniti e hanno votato all’unanimità per il ritiro della legge marziale. Di conseguenza, tre ore dopo, Yoon ha revocato il decreto.

L’opposizione ha immediatamente denunciato la mossa del presidente come un atto illegale di tradimento e ha lanciato una campagna nazionale per l’impeachment[9]. In Corea del Sud, per la messa in stato d’accusa del presidente è necessaria la maggioranza dei due terzi dell’Assemblea nazionale. Il primo tentativo, il 7 dicembre, è fallito per mancanza del quorum. Ma il 14 dicembre, con l’aiuto di alcuni legislatori conservatori, è stato raggiunto il numero necessario per votare l’impeachment. Il presidente è stato quindi perseguito penalmente, in quanto la dichiarazione della legge marziale è stata considerata un atto di tradimento. Egli ha opposto resistenza per un mese, ma alla fine è stato arrestato.

Il 4 aprile 2025, la Corte costituzionale ha ufficialmente rimosso Yoon Suk-yeol dalla presidenza. Così egli è diventato il secondo presidente sudcoreano a essere destituito, dopo Park Geun-hye (destituita il 10 marzo 2017). Ironia della storia, era stato proprio Yoon a condurre, nel ruolo di principale procuratore, le indagini che avevano portato all’impeachment di Park. Dopo l’arresto, Yoon ha difeso il suo operato, sostenendo che la legge marziale era necessaria per mettere in guardia la popolazione da quella che egli definiva la «dittatura legislativa» dell’opposizione. Perciò ha accusato l’opposizione di abusare della propria maggioranza per bloccare i suoi progetti e per mettere sotto accusa i suoi funzionari. Ma la sentenza della Corte ha dichiarato che, «anche se l’imputato riteneva che l’esercizio del potere da parte dell’Assemblea nazionale fosse una forma di tirannia della maggioranza, comunque avrebbe dovuto garantire che i pesi e i contrappesi fossero realizzati attraverso misure previste dalla Costituzione»[10].

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Yoon e il suo avvocato hanno poi affermato che i sospetti di brogli elettorali avevano indotto il presidente a trattare la situazione come un’emergenza nazionale e a dichiarare la legge marziale, ma non sono riusciti a fornire prove concrete a sostegno delle loro affermazioni[11]. Yoon ha anche addotto minacce da parte della Corea del Nord e della Cina, ma non è riuscito a fornire alcun riscontro concreto. Invece, un appunto sequestrato a Noh Sang-won, ex comandante del Defense Intelligence Command, arrestato dalla polizia perché sospettato di essere coinvolto nella dichiarazione della legge marziale, faceva riferimento proprio a un piano per provocare l’esercito nordcoreano.

Possiamo affermare che il processo di impeachment ha posto in evidenza una questione centrale: quella di obbedienza versus coscienza da parte dei comandanti militari. Alcuni importanti comandanti coinvolti nell’attuazione della legge marziale e funzionari governativi chiamati a testimoniare si sono rifiutati di sostenere Yoon, condannando le sue azioni. Questo episodio è diventato un momento drammatico e determinante nella storia democratica della Corea del Sud, offrendo una lezione preziosa per le generazioni future.

Le ragioni del fallimento della legge marziale


Yoon Suk-yeol ora è chiamato a rispondere a varie accuse, tra cui quella di tradimento. La sua ascesa alla presidenza era stata alimentata dall’insoddisfazione pubblica per il fallimento del governo liberale nell’affrontare l’aumento dei prezzi immobiliari nella zona metropolitana di Seul. Ma il suo rapido passaggio da procuratore generale a presidente lo ha trovato impreparato ad affrontare le sfide del governo. Privo di una visione chiara, egli ha fatto ricorso alle politiche del defunto presidente Park Chung-hee a favore delle grandi imprese, ignorando le lotte delle piccole imprese, dei lavoratori e dei cittadini a basso reddito. I tagli alle imposte per le grandi aziende hanno aggravato il deficit del bilancio statale, comportando riduzioni al welfare sociale e aumentando il debito nazionale. Con l’aggravarsi della situazione economica nazionale, il sostegno politico a Yoon è venuto meno. Secondo gli analisti, è stato questo il motivo che lo ha spinto a dichiarare la legge marziale, nel disperato tentativo di conservare il potere.

Il fallimento di tale tentativo può essere spiegato in definitiva da una serie di fattori. Innanzitutto, una matura coscienza civica: infatti, nonostante i militari bloccassero l’accesso all’Assemblea nazionale, i parlamentari sono riusciti a riunirsi e hanno approvato una mozione per revocare il decreto presidenziale. Anche i cittadini si sono mobilitati, alcuni arrivando persino a bloccare fisicamente i veicoli militari. Questo coraggio collettivo affonda le sue radici nella lunga storia di resistenza della Corea del Sud: dalle rivolte antigiapponesi alle lotte per la democrazia degli anni 1960, 1980, 1987 e 2017. Si deve anche considerare il cambiamento nella cultura militare sudcoreana. L’esercito, che un tempo aveva sostenuto il regime autoritario, ha avuto significative riforme a partire dagli anni Ottanta. In particolare, dopo lo smantellamento della potente fazione «Hanahoe» da parte del presidente Kim Young-sam nel 1993, i militari sono diventati più trasparenti e più consapevoli dei crimini commessi in passato, cosicché oggi l’esercito sudcoreano si mostra custode della democrazia.

Un ruolo essenziale nel contrastare la legge marziale lo hanno avuto anche i media. Le dirette televisive delle azioni dei militari presso l’Assemblea nazionale, assieme ad analisi approfondite sulla legittimità della legge, hanno garantito trasparenza e informazione continua dell’opinione pubblica. Questa trasparenza è in netto contrasto con la segretezza e la censura che avevano caratterizzato episodi simili in passato. Tuttavia, rimangono ancora delle sfide, come le fake news e la polarizzazione dell’opinione pubblica, che riflettono questioni sociali più profonde.

Le ultime settimane prima dell’impeachment e della destituzione sono state segnate da scontri violenti tra i sostenitori di Yoon e gli attivisti dell’estrema destra, da una parte, e le forze liberali favorevoli alla democrazia, dall’altra. Ma, per i primi, difendere un presidente impopolare le cui qualifiche venivano messe in questione non è stato facile, soprattutto quando anche i principali media del Paese gli hanno voltato le spalle.

La scelta di un nuovo leader


Per molti aspetti, Lee Jae-myung era in netto contrasto con Yoon Suk-yeol. Figlio di un contadino, egli ha iniziato la sua carriera come avvocato per i diritti umani, difendendo i poveri e i lavoratori. Poi, disilluso dai limiti del lavoro legale, è passato alla pubblica amministrazione. Le sue prestazioni come sindaco di città e governatore di provincia gli sono valse il riconoscimento nazionale, portando infine il popolo sudcoreano a eleggerlo come 21° presidente. Il suo percorso verso la presidenza è stato irto di avversità. Senza un background familiare influente o legami con l’élite, è arrivato alla presidenza solo grazie alla tenacia personale e al sostegno pubblico. Yoon, ex presidente ed ex procuratore generale, ha mobilitato la procura per perseguirlo, ma Lee si è difeso grazie alla sua integrità e al suo carattere inflessibile.

Nel maggio di quest’anno ha dovuto affrontare una sfida particolarmente aspra. Secondo la legge elettorale della Corea del Sud per i funzionari pubblici, una condanna penale comporta l’esclusione dalla candidatura. Inizialmente dichiarato colpevole nel processo di primo grado, Lee è stato assolto in appello il 26 marzo 2025[12]. L’accusa immediatamente ha fatto ricorso alla Corte Suprema, che ha insolitamente accelerato il processo: il 1° maggio essa ha annullato l’assoluzione e ha rinviato il caso alla Corte d’appello, chiedendo un verdetto di colpevolezza. La Corte d’appello ha quindi fissato l’apertura di una nuova udienza per il 15 maggio. La difesa di Lee ha sostenuto che la magistratura stava interferendo nelle elezioni presidenziali e ha chiesto che l’udienza fosse rinviata a dopo le elezioni del 3 giugno. Di fronte alla crescente rabbia dell’opinione pubblica, espressa online e nelle strade contro quella che veniva percepita come un’interferenza della magistratura nelle elezioni, la Corte d’appello ha rinviato l’udienza, riprogrammandola per il 18 giugno, dopo le elezioni.

Dopo queste vicende tempestose, Lee Jae-myung, 61 anni, si è assicurato la presidenza con un forte sostegno pubblico. Il fatto che un outsider politico abbia potuto ascendere alla massima carica è una testimonianza della mobilità verso l’alto ancora presente nella giovane democrazia sudcoreana.

Durante il suo mandato quinquennale Lee dovrà affrontare sfide enormi: ricostruire la reputazione internazionale del Paese; fronteggiare la crisi economica e sanare le fratture interne causate dal tentato colpo di mano. Dovrà anche affrontare un contesto geopolitico sempre più instabile, fra la crescente rivalità tra Stati Uniti e Cina e l’imprevedibilità delle politiche estere del presidente statunitense Donald Trump, in un momento in cui le tensioni nella penisola coreana continuano a salire.

Conclusioni


Nonostante il colpo inferto alla democrazia sudcoreana dal tentativo di instaurazione della legge marziale, la crisi ha rivelato, ancora una volta, la straordinaria resilienza del Paese. I cittadini sono scesi in strada a migliaia durante le settimane successive, sfidando le temperature gelide e partecipando ogni sera a manifestazioni a lume di candela, riaffermando così il loro impegno per la democrazia. La storia della Corea del Sud insegna che, quando la democrazia è minacciata da leader autoritari, il popolo si oppone fermamente per ristabilirla: così è accaduto nel 1987, con la fine della dittatura militare, e questo si è ripetuto nel 2017 con la destituzione di Park Geun-hye[13].

La Costituzione democratica del 1987 imponeva limiti rigorosi ai poteri presidenziali, compreso quello di dichiarare la legge marziale. In base a tale Costituzione, Yoon è stato obbligato a conformarsi alla decisione dell’Assemblea nazionale di revocare il decreto da lui emesso. Anche la Corte costituzionale fu istituita in base alla stessa Costituzione del 1987. Questo episodio conferma che il patrimonio democratico della Corea del Sud costruito nel tempo è in grado di proteggere il Paese nei momenti di crisi.

Ci si potrebbe chiedere: dove la democrazia funziona meglio: nell’eleggere leader competenti e affidabili, oppure nella possibilità di rimuoverli quando tradiscono la fiducia popolare? La democrazia sudcoreana ha dimostrato una notevole efficacia nel correggere le scelte sbagliate. La democrazia non è un sistema perfetto, ma è come un organismo vivente: si evolve costantemente, adattandosi alla volontà del popolo.

La sovranità popolare, la separazione dei poteri, il sistema dei pesi e contrappesi sono essenziali per prevenire la corruzione e l’abuso di potere, garantendo il corretto funzionamento del sistema e delle istituzioni. La democrazia è un sistema aperto, il cui successo dipende dalla consapevolezza delle persone e dallo sviluppo complessivo del Paese in tutti i settori. La democrazia sudcoreana può ancora migliorare, ma ha già dimostrato di saper reagire e rinnovarsi di fronte alle crisi.

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[1] Cfr L. Hui Jie – A. Bao, «South Korea’s opposition leader Lee Jae-myung wins presidential election», in CNBC (tinyurl.com/2v2cmwd2), 2 giugno 2025.

[2] Cfr J. Mackenzie, «The unravelling of Yoon Suk Yeol: South Korea’s “stubborn and hot-tempered” martial law president», in BBC (bbc.com/news/articles/c86py30q…), 4 aprile 2025.

[3] S. Seung-hyun – C. Jae-hee, «The verdict that removed South Korean President Yoon Suk Yeol from power», in The Korea Herald (koreaherald.com/article/104583…), 6 aprile 2025.

[4] «The Republic of Korea shall be a democratic republic. The sovereignty of the Republic of Korea shall reside in the people, and all state authority shall emanate from the people» (Costituzione della Repubblica della Corea del Sud, art. 1).

[5] Un’analisi ben strutturata, che affronta in profondità la complessità di questo tema si trova in A. S. List-Jensen, «Economic Development and Authoritarianism: A Case Study on the Korean Developmental State», Aalborg University (Denmark), 2008.

[6] Per le discussioni correlate in Corea, cfr K. Sang Joon, «Characteristic Features of Korean Democratization», in Asian Perspective 18 (1994/2) 181-196; C. Jang-Jip, Democracy After Democratization: The Korea Experience, Stanford, Walter H. Shorenstein Asia-Pacific Research Center, 2012.

[7] Su Han Kang, cfr D. Mattei, «Han Kang, premio Nobel per la letteratura 2024», in Civ. Catt. 2025 I 90-104.

[8] Cfr S. Bok-gyu, «Lee Jae-myung proclaims victory over political prosecutors after acquittal», in Biz Chosun (tinyurl.com/mr2mbu7w), 26 marzo 2025. Cfr J. Chong Che-chon, «Le elezioni presidenziali coreane e le loro conseguenze», in Civ. Catt. 2022 II 254-266.

[9] Cfr J. Kim – J. Ha Park, «Timeline: The swift rise and fall of martial law in South Korea», in Korea Pro (tinyurl.com/yhup8vau), 5 dicembre 2024.

[10] S. Seung-hyun – C. Jae-hee, «The verdict that removed South Korean President Yoon Suk Yeol from power», cit.

[11] Cfr «Yoon’s Legal Team: Yoon Declared Martial Law due to Suspicions of Election Fraud», in KBS World (world.kbs.co.kr/service/news_v…), 17 gennaio 2025.

[12] Tra i cinque capi d’accusa che gli sono stati contestati c’è la diffusione di notizie false ai sensi della legge sulle elezioni dei funzionari pubblici. Le accuse derivavano da due fatti. In primo luogo, rispondendo a un’intervista dei media, egli aveva testimoniato di non conoscere nessuno dei suoi dipendenti con cui aveva giocato a golf all’estero molti anni prima. C’erano foto di circa 10 di loro assieme a lui. L’accusa ha ingrandito solo parzialmente quattro di esse e le ha presentate alla Corte come prova. Egli ha definito le foto «falsificate», ma l’accusa lo ha incolpato di aver mentito sul fatto di non aver giocato a golf con il dipendente. In secondo luogo, un altro dipendente ha detto di aver subìto pressioni dai livelli superiori del governo, ma l’accusa gli ha rinfacciato di aver esagerato quella che era solo una raccomandazione di routine.

[13] Cfr «S Koreans protest against President Park on New Year’s Eve», in BBC News (bbc.com/news/world-asia-384791…), 31 dicembre 2016.

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