Nuove rivelazioni sull’abitabilità di Marte
Immagine del sito di perforazione di Ubajara, nel cratere Gale, scattata dal rover Curiosity il 30 aprile 2023. In primo piano, sono visibili le tracce del rover. Crediti: Nasa Jet Propulsion Laboratory-Caltech/Malin Space Science Systems
L’antico Marte era caratterizzato da un’atmosfera densa e ricca di anidride carbonica, capace di sostenere un vero e proprio ciclo del carbonio. Il pianeta, inoltre, avrebbe avuto un sistema di vulcani attivi, in grado di generare condizioni ambientali favorevoli alla vita. È quanto emerge da due studi indipendenti, pubblicati di recente su Science e Science Advances, basati sull’analisi di campioni di roccia marziana raccolti rispettivamente dai rover Curiosity e Perseverance. I risultati delle ricerche rappresentano un significativo passo avanti nella comprensione dell’abitabilità passata e dell’evoluzione geologica di Marte.
A suggerire che l’atmosfera di Marte contenesse un tempo abbondanti quantità di anidride carbonica è la scoperta di vasti depositi di siderite, un minerale composto da carbonato di ferro, all’interno del cratere Gale. A individuarli è stato Curiosity, il rover della Nasa atterrato su Marte nel 2012. Tra il 2022 e il 2023, il veicolo spaziale ha esplorato un’area ricca di solfati, già mappata in precedenza dall’orbita. All’interno di questa unità geologica, Curiosity ha effettuato perforazioni in quattro distinti punti, prelevando altrettanti campioni che i ricercatori hanno denominato Canaima, Tapo caparo, Ubajara e Sequoia.
Utilizzando i dati dello strumento Chemistry and Mineralogy (CheMin) del rover, che sfrutta la diffrazione dei raggi X per determinare la composizione mineralogica, gli scienziati hanno analizzato le carote di roccia, scoprendo che tre dei quattro campioni – Tapo caparo, Ubajara e Sequoia – contenevano cristalli di siderite in concentrazioni elevate: dal 5 a oltre il 10 per cento in peso. Il Sample Analysis at Mars (Sam), una suite di strumenti che analizza i gas prodotti dalla combustione dei campioni, ha confermato la purezza del composto e la mineralogia associata.
Ma che c’entra la siderite nel suolo di Marte con la presenza di anidride carbonica atmosferica, vi starete chiedendo? Secondo gli scienziati, la presenza del minerale testimonierebbe il verificarsi di interazioni tra atmosfera, acqua e roccia, seguite da processi di evaporazione che avrebbero alimentato un ciclo attivo del carbonio, rendendo Marte potenzialmente abitabile.
«La scoperta di grandi depositi di carbonio nel Cratere Gale rappresenta una svolta nella nostra comprensione dell’evoluzione geologica e atmosferica di Marte», spiega Benjamin Tutolo, geochimico alla Università di Calgary, in Canada, e autore principale dello studio. «L’abbondanza di sali altamente solubili in queste rocce e in depositi simili mappati su gran parte di Marte è stata utilizzata come prova della sua ‘grande essicazione’, la fase durante la quale il pianeta è passato dall’essere un corpo celeste caldo e umido al mondo freddo e secco che vediamo oggi».
L’ipotesi degli autori per spiegare la presenza dei carbonati è che l’antica atmosfera marziana contenesse abbondanti quantità di CO2, tali da permettere la presenza di acqua liquida in superficie. Con il passare del tempo, questa CO2 sarebbe stata via via sequestrata chimicamente nelle rocce, attraverso processi come la dissoluzione e altri meccanismi che hanno portato alla nucleazione e alla crescita dei minerali. Successivamente, processi di diagenesi ne avrebbero causato la scissione in idrossidi di ferro e CO2, rilasciando quest’ultima nell’atmosfera e contribuendo così alla genesi di un ciclo del carbonio capace di mantenere il pianeta caldo e in grado di sostenere la presenza di acqua liquida.
Illustrazione schematica dell’ipotetico ciclo del carbonio nell’antico Marte. Crediti: Benjamin M. Tutolo et al., Science, 2025
Tuttavia, spiegano i ricercatori, in una fase successiva della storia geologica del pianeta, è possibile che sia stato sequestrato più carbonio di quanto ne sia stato rilasciato nell’atmosfera, provocando uno squilibrio che avrebbe portato Marte a trasformarsi in un mondo secco e arido. A differenza del ciclo del carbonio terrestre, che è rimasto in equilibrio nel tempo, quello di Marte si sarebbe dunque alterato, segnando un punto di svolta irreversibile per l’evoluzione del pianeta.
La rilevazione di depositi di carbonato sul pianeta ha importanti implicazioni circa la possibilità che il pianeta sia stato in grado di ospitare la vita. La scoperta di questo minerale, osserva Tutolo, «ci dice che il pianeta era abitabile e che i modelli di abitabilità sono corretti». Questo, però, finché c’era abbastanza CO2 nell’atmosfera. «Quando l’anidride carbonica che riscaldava il pianeta ha iniziato a precipitare sotto forma di siderite, ciò ha probabilmente compromesso la capacità di Marte di rimanere caldo», aggiunge il ricercatore.
Un mosaico di due immagini mostra il braccio del rover Perseverance dopo aver scansionato e campionato una delle rocce oggetto dello studio. La roccia in questione, soprannominata informalmente “Rochette”, si trova in basso a destra, e mostra chiaramente il foro da cui è stato prelevato il campione. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/Asu
Come dicevamo in apertura, Marte è protagonista anche di un altro recente studio in cui un team di ricercatori guidati dalla Texas A&M University ha ottenuto ulteriori informazioni sulla storia geologica del pianeta. Pubblicato su Science Advances, l’articolo riporta la scoperta, fatta grazie ai dati raccolti dal rover Perseverance, di due distinti tipi di rocce vulcaniche all’interno del cratere Jezero.
Il primo tipo di roccia, scura e ricca di ferro e magnesio, conterrebbe inclusioni di pirosseno e feldspato plagioclasio, con tracce di olivina alterata. Trachibasalto, è così che gli addetti ai lavori chiamano queste rocce ignee. Il secondo tipo di roccia, più chiara rispetto alla prima, è stata classificata come trachiandesite e include cristalli di plagioclasio inglobati in una matrice ricca di potassio. Secondo gli autori dello studio, queste rocce indicherebbero una complessa storia vulcanica di Marte, caratterizzata dalla presenza di fenomeni eruttivi e flussi di lava a composizione variabile.
Per capire come si siano formate queste rocce, i ricercatori hanno simulato le condizioni in cui i minerali si sono solidificati. I risultati delle modellizzazioni suggeriscono che le composizioni uniche delle rocce derivino essenzialmente da due tipi di processi: la cristallizzazione frazionata, in cui i minerali si separano dal magma mentre si raffredda, e l’assimilazione crostale, che si verifica quando la roccia fusa interagisce con materiali ricchi di ferro della crosta, sciogliendoli parzialmente o incorporandoli, modificando ulteriormente la composizione delle rocce.
«I processi che osserviamo qui – cristallizzazione frazionata e assimilazione crostale – sulla Terra sono tipici dei sistemi vulcanici attivi», sottolinea il geologo della Texas A&M University e primo autore della pubblicazione, Michael Tice. «Ciò suggerisce che questa parte di Marte potrebbe essere stata interessata da una prolungata attività vulcanica , il che a sua volta potrebbe aver fornito una fonte continua di composti utilizzabili dalla vita».
«Abbiamo selezionato con cura queste rocce perché contengono indizi sugli ambienti passati di Marte», aggiunge il ricercatore. «Quando, una volta riportate a Terra, potremo analizzare queste rocce con strumenti di laboratorio, saremo in grado di porre domande molto più dettagliate sulla loro storia e sull’eventuale presenza di firme biologiche».
Le scoperte fatte in questi studi sono cruciali per comprendere la potenziale abitabilità passata di Marte. La presenza di una densa atmosfera di CO2 in grado di alimentare un ciclo del carbonio, insieme a un sistema di vulcani attivi, potrebbero aver contribuito a mantenere condizioni favorevoli alla vita sul pianeta per un lungo periodo della sua storia geologica.
Per saperne di più:
- Leggi su Science l’articolo “Carbonates identified by the Curiosity rover indicate a carbon cycle operated on ancient Mars” di Benjamin M. Tutolo, Elisabeth M. Hausrath, Edwin S.Kite, Elizabeth B. Rampe,Thomas F.Bristow, Robert T. Downs, AllanTreiman, Tanya S.Peretyazhko, Michael T. Thorpe, John P. Grotzinger, Amelie L. Roberts, P. Douglas Archer, David J. Des Marais, David F. Blake, David T.Vaniman, Shaunna M. Morrison, Steve Chipera, .Hazen, Richard V. Morris, Valerie M. Tu, Sarah L. Simpson, Aditi Pandey, Albert Yen, Stephen R. Larter, Patricia Craig, Nicholas Castle, Douglas W. Ming4, Johannes M. Meusburger5, Abigail A. Fraeman, David G. Burtt, Heather B. Franz, Brad Sutter,JoannaV.Clark, William Rapin, JohnC.Bridges, Matteo Loche, PatrickGasda, Jens Frydenvang e Ashwin R.Vasavada
- Leggi su Science Advances l’articolo “Diverse and highly differentiated lava suite in Jezero crater, Mars: Constraints on intracrustal magmatism revealed by Mars 2020 PIXL” di Mariek E. Schmidt, Tanya V. Kizovski, Yang Liu, Juan D. Hernandez-Montenegro, Michael M. Tice , Allan H. Treiman, Joel A. Hurowitz, David A. Klevang, Abigail L. Knight, Joshua Labrie, Nicholas J. Tosca, Scott J. VanBommel, Sophie Benaroya, Larry S. Crumpler, Briony H. N. Horgan, Richard V. Morris, Justin I. Simon, Arya Udry, Anastasia Yanchilina, Abigail C. Allwood, Morgan L. Cable, John R. Christian, Benton C. Clark, David T. Flannery, Christopher M. Heirwegh , Thomas L. J. Henley , Jesper Henneke , Michael W. M. Jones, Brendan J. Orenstein, Christopher D. K. Herd, Nicholas Randazzo, David Shuster e Meenakshi Wadhwa