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La stretta della Nigeria sul cyber-crimine straniero


Dark webb

La Nigeria stringe le maglie sulle operazioni di cyber-crimine all’interno del suo territorio e sta procedendo a un’ampia operazione di espulsione dei residenti stranieri sospettati di attività illecite.

L’Organized Crime and Corruption Reporting Project (Occrp) ha segnalato l’espulsione avvenuta a ottobre di 192 sospetti con cittadinanza di Cina, Filippine, Tunisia, Malesia, Pakistan, Kirghizistan e Timor Est arrestati e condannati per cyberterrorismo, frode informatica e reati correlati.

I soggetti in questione erano accusati di contribuire a uno schema di riciclaggio internazionale connesso alla conversione di denaro “sporco” in criptovalute e alla costruzione di schemi Ponzi. La presenza tra gli espulsi di esponenti dei Paesi dell’Asia orientale e del Kirghizistan, hub centroasiatico dell’aggiramento delle sanzioni da parte della Russia tramite gli exchange di criptovalute, alimenta la solidità di questa tesi. E non finisce qui. Ad agosto 50 cittadini cinesi e 102 soggetti in totale erano stati espulsi per un’analoga violazione della legge anti-cybercrimine nel Paese più popolato dell’Africa.

Come ha ricordato la Bbc:

La Nigeria è nota per le frodi online e le truffe sentimentali sono all’ordine del giorno. Secondo la Commissione per i reati economici e finanziari (EFCC), i casi di criminalità informatica sono stati tra i reati più diffusi in Nigeria lo scorso anno.

La Nigeria sta da tempo prendendo consapevolezza di essere un epicentro di catene del valore criminali transnazionali che seguono un principio di filiera e divisione del lavoro paragonabile a quello delle attività lecite sfruttando i meccanismi, soprattutto digitali e tecnologici, della globalizzazione.

Il Nigeria Cybercrimes Act del 2024 sostenuto dal presidente Bola Tinbu offre alla polizia e alle agenzie di sicurezza nazionali la possibilità di intercettare comunicazioni riservate di molti sospetti anche prima dell’emissione di un mandato dei tribunali in casi di percepito rischio securitario. Si è chiesto alle compagnie di telecomunicazioni di estendere i tempi di conservazione dei dati, alle banche di segnalare i bonifici sospetti tempestivamente, agli operatori fintech di prevenire le transazioni non autorizzate o illegali con le cripto.

Il “Guardian” di Lagos, una delle maggiori testate del Paese, ha scritto che “la Nigeria ha promosso attivamente delle partnership, tra cui un recente accordo di cooperazione in materia di sicurezza informatica con il Regno Unito nell’aprile 2025 e un accordo con l’FBI e il governo cambogiano, per intensificare gli sforzi contro la criminalità informatica internazionale” e avviato con l’appoggio di Londra e del Commonwealth un Joint Case Team on Cybercrime che riunisce “le principali agenzie di giustizia e sicurezza per migliorare l’individuazione, l’indagine e il perseguimento dei reati informatici”.

Da un lato, dunque, Abuja sta pensando a promuovere una serie di scenari operativi finalizzati a una maggiore sicurezza internazionale e alla prevenzione del cybercrime. Dall’altro, le normative introdotte internamente appaiono assai complesse e articolate e potenzialmente sospettabili di aprire la strada a repressioni della libertà d’espressione e a una sorveglianza estesa. In parallelo, l’assenza di un ragionamento politico sul ruolo delle mafie, specie quella nazionale, nel processo e lo scaricabarile su singoli soggetti – per quanto problematici – di nazionalità straniera potrebbe ridurre la percezione di un fenomeno che, a conti fatti, è di rango globale.

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