Restaurato il telescopio che vide i “marziani”
Dettaglio del rifrattore Merz dell’Inaf di Brera, prima e dopo il restauro. Crediti: Laura Barbalini/Inaf Brera
“Non solo Dio non esiste, ma provate a cercare un idraulico nel week end”, recita una celebre battuta di Woody Allen. Ma se trovare il modo di riparare un tubo condotto è così difficile, figuriamoci se si tratta del tubo di un telescopio.
È questo il dilemma di fronte al quale si è trovato Roberto Della Ceca, direttore dell’Inaf – Osservatorio astronomico di Brera, quando Mario Carpino, ricercatore e conservatore della collezione di strumenti antichi del Museo astronomico di Brera, gli ha riferito che si doveva intervenire al più presto, perché la finitura in gommalacca che ricopre il rivestimento in piuma di mogano del tubo del telescopio si era ormai definitivamente rovinata.
Il tubo in questione è quello dello storico telescopio di Giovanni Schiaparelli: il rifrattore Merz da otto pollici acquistato nel 1862 dal Regno d’Italia appena costituito e usato a partire dal 1875. Quello, per capirsi, di cui Schiaparelli si servì per le sue prime dirompenti osservazioni del pianeta Marte e che mise la basi per l’invenzione dei marziani negli anni successivi, grazie alla fantasia di Flammarion, Wells e tanti altri, che dalle ricerche dell’astronomo italiano presero spunto.
«Ma io ero in una situazione migliore di Woody Allen», sorride Della Ceca. «Tra i coinquilini di Palazzo Brera, possiamo contare su l’Accademia di belle arti di Brera e, per questo caso particolare, sul corso di restauro di manufatti e strutture lignee tenuto dal professo Luca Quartana».
Dall’alto, Francesco Carraffa e Francesco Fedeli durante il restauro. Crediti: Laura Barbalini/Inaf Brera
È proprio presso l’Accademia di belle arti di Brera, infatti, che si sono formati Francesco Carraffa e Francesco Fedeli, i due esperti a cui Della Ceca si è affidato. «La maggiore delle difficoltà è stata di fare il lavoro con lo strumento in posizione. Niente è stato smontato, né i meccanismi di regolazione micrometrici né la parte metallica in ottone», raccontano Francesco & Francesco – uno inizia una frase, l’altro la prosegue. «Per prima cosa, naturalmente, abbiamo identificato i solventi più idonei per rimuovere la vernice protettiva ammalorata, così da identificare lo strato ottimale di pulitura».
Nella parte terminale del telescopio, l’impiallacciatura si era distaccata dal supporto e rigonfiata, ma nella parte centrale si era addirittura staccata una porzione di impiallaccio. «Nel primo caso», spiegano, «si è provveduto a eseguire piccoli incollaggi con adesivo alifatico tramite iniezioni mirate. Mentre per colmare la lacuna, abbiamo sagomato ad hoc un nuovo elemento ligneo, realizzato in essenza differente rispetto all’originale, per rendere l’intervento riconoscibile in futuro. L’innesto è stato poi ritoccato (aniline) per garantire l’armonia visiva d’insieme, mantenendo però la leggibilità dell’intervento da vicino».
I due giovani restauratori sono però andati oltre, realizzando non solo un intervento mirato al ripristino del telescopio ma anche alla corretta conservazione. «La finitura in gommalacca è molto sensibile all’umidità. Abbiamo invece utilizzato una finitura diversa: un olio, applicato a tampone in più mani, che ci ha permesso di ottenere una resa estetica come prima del danno, ma che ha una grande resistenza agli sbalzi termoigrometrici. È una tecnica che abbiamo già testato e rodato in diverse occasioni, sia in musei che per un intervento allo Scurolo di San Carlo, all’interno del Duomo di Milano».
Il rifrattore Merz dell’Inaf di Brera, prima, durante e dopo il restauro. Crediti: Laura Barbalini/Inaf Brera
Fine della storia? Neanche per sogno.
«Ora sarà necessario intervenire con urgenza sulla cupola: gli infissi non si chiudono più in maniera adeguata e questo rischia di compromette la conservazione del telescopio stesso», dice Della Ceca. «È già in corso uno studio sullo stato di conservazione dei materiali della cupola come argomento di una tesi di laurea, sotto la supervisione di Giuliana Cardani, docente di restauro dell’architettura al Politecnico di Milano. E, soprattutto, stiamo per affidare l’incarico del progetto di fattibilità tecnico esecutivo del restauro. Insomma, siamo pronti per attivare una campagna di richiesta fondi per questa impresa: conservare un bene storico, architettonico e culturale. Chi altri al mondo possiede la cupola e il telescopio che hanno inaugurato la stagione dello studio di Marte e dei suoi presunti marziani?».
Guarda su MediaInaf Tv l’intervista di Laura Barbalini ai due restauratori: