Caspar David Friedrich: un’arte per una nuova era
Avviso contenuto: Caspar D. Friedrich, “Viandante sul mare di nebbia”. Caspar David Friedrich (Greifswald, 1774 – Dresda, 1840) rappresenta come pochi altri pittori l’arte romantica. In occasione dei 250 anni dalla sua nascita, la Hamburger Kunsthalle ha presentato oltre 6
Caspar David Friedrich (Greifswald, 1774 – Dresda, 1840) rappresenta come pochi altri pittori l’arte romantica. In occasione dei 250 anni dalla sua nascita, la Hamburger Kunsthalle ha presentato oltre 60 dipinti, tra cui numerose opere chiave e circa 100 disegni. La mostra ha offerto così il panorama più completo della sua arte da molti anni a questa parte. Al centro della sua opera c’è il nuovo genere di rapporto tra uomo e natura.
All’inizio del XIX secolo Friedrich diede un impulso essenziale, rendendo il genere paesaggistico una Kunst für eine neue Zeit, un’«arte per una nuova era». Non da ultimo il visitatore viene a contatto con il fatidico legame tra uomo e natura espresso dalle sue opere, soprattutto perché, ai nostri giorni, il cambiamento climatico e la distruzione ambientale toccano l’esistenza di tutti noi.
Tra il 2023 e il 2025 sono state organizzate e sono previste in tutto sei grandi mostre, che restituiscono una pittura assolutamente nuova dal romanticismo a oggi:
- Il Kunstmuseum diWinterthur, come prima di una grande serie di mostre, ha esposto Die Vorboten der Romantik («I presagi del Romanticismo»), dal 26 agosto al 19 novembre 2023; per la prima volta in Svizzera la mostra era dedicata alle origini storiche della nuova pittura paesaggistica, con sensazionali invenzioni pittoriche di genere totalmente nuovo.
- La Hamburger Kunsthalle, come detto, ha presentato, dal 15 dicembre 2023 fino al 1° aprile 2024, Kunst für eine neue Zeit («Arte per una nuova era»).
- La Alte Nationalgalerie di Berlino offre, dal 19 aprile al 24 agosto 2024, in collaborazione con il Kupferstichkabinett, Die Wiederentdeckung («La riscoperta»), una grande mostra del principale pittore innovativo del Romanticismo.
- Il Pommersche Landesmuseum della nativa Greifswald espone Lebenslinien und Sehnsuchtsorte – Heimatstadt («Linee di vita e Luoghi della nostalgia»), dal 28 aprile 2024 al 5 gennaio 2025.
- Le Staatlichen Kunstsammlungen di Dresda espongono Wo alles begann («Dove tutto ebbe inizio»), dal 24 agosto 2024 al 5 gennaio 2025.
- Il Metropolitan Museum di New York sorprende, come primo museo statunitense, con la mostra Die Seele der Natur («L’anima della natura»), dal 7 febbraio all’11 maggio 2025. È un’ampia retrospettiva sul pittore romantico tedesco, che ha creato un incontro fra la pittura paesaggistica europea e un profondo legame spirituale ed emotivo con la natura americana che egli ammirava.
La vita e la formazione artistica
Caspar David Friedrich era uno dei figli di Adolf Gottlieb Friedrich – un fabbricante di sapone e di candele – e di sua moglie, Sophie Dorothea. Sesto di 10 figli, i suoi genitori lo vedevano già come loro successore nella bottega. Ma Friedrich aveva in mente altre cose. Nel suo ambiente, risultarono subito evidenti le sue straordinarie doti artistiche. Per questo egli voleva diventare un pittore. Amava la sua patria, i prati e i campi, il porto e il mare. Amava il disegno, i colori, la luce e le nuvole. Ma era anche un tipo singolare, silenzioso e riflessivo, aveva momenti di depressione, e la sua creatività artistica era venata di malinconia. La sua vita ebbe sempre drammatiche prove. Nel 1781, quando aveva sette anni, improvvisamente gli morì la madre. Anche diversi fratelli morirono in giovane età. Nel 1787, al fossato di Wallgraben, avvenne quella disgrazia che avrebbe segnato per sempre la vita e l’opera di questo talentuoso pittore: suo fratello Johann Christoffer, di un anno più giovane, annegò mentre cercava di salvare la vita di Caspar David, a cui si era rotta sotto i piedi una lastra di ghiaccio su cui stava pattinando[1]. A 16 anni, Friedrich iniziò a prendere lezioni dall’insegnante di disegno Johann Gottfried Quistorp, all’università di Greifswald. A 20 anni, proseguì i suoi studi e la sua formazione artistica presso le Accademie d’Arte di Copenaghen e di Dresda.
Al centro della sua ispirazione pittorica si trovava la natura libera. Soprattutto egli voleva plasmare il paesaggio a modo suo, con pensieri e associazioni. Per lui era importante muovere un’immagine avanti e indietro, e alla fine creare qualcosa di nuovo, ma sempre con l’intenzione di lasciarlo aperto a qualcosa di più. Lo accompagnava sempre una delle sue massime: «Un’immagine non deve essere creata, ma sentita. Il pittore non deve dipingere solo quello che vede davanti a sé, ma anche quello che vede dentro di sé. Ma se in sé non vede nulla, si astenga dal fare il dipinto».
Quando in seguito, a Dresda, Friedrich si dedica alla pittura a olio, non sceglie di ritrarre né paesaggi realistici né paesaggi ideali classici. Si caratterizza per un altro importante tema conduttore, il vedere: il vedere nel pensiero e il vedere contemplativo nella pittura. Non si occupa solo della natura, ma delle diverse variazioni del rapporto tra l’uomo e la natura che egli vuole rappresentare.
Ovviamente, nel confronto di Friedrich con un paesaggio rientrano anche cose, oggetti e architetture. Possono essere alberi, ma anche edifici. Lo impressionano in modo particolare le rovine, quando contraddistinguono un paesaggio. A tale riguardo, Friedrich ha sempre in mente le rovine del monastero di Oybin, vicino ai Monti di Zittau. L’architettura dello spazio dell’altare in rovina, ma aperto, prende vita. Sulla parete sinistra c’è una croce, a destra una statua della Madonna, e piante selvatiche che circondano le sculture. Più tardi è stato aggiunto anche un altare. Un tale complesso fa nascere una riflessione stupita sulle questioni della fede.
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In Friedrich, queste interpretazioni religiose si intuiscono meglio nei dipinti di paesaggi con croci. Non è raro che una croce si trovi al centro di un quadro, talvolta esattamente sull’asse centrale. Ad essa si uniscono di preferenza le abituali croci che si trovano sul ciglio delle strade o sulle vette dei monti. Sono simboli che vanno al di là della natura, e spingono a pensare al Creatore. Dio stesso appare allora nella figura di un crocifisso, un’immagine nell’immagine e nella natura.
Per tutta la vita Friedrich aderì alle convinzioni luterane fondamentali. Cristo era al centro della sua fede, caratterizzata dalla teologia della croce. Come la sua arte, anche la sua fede era incentrata sulla morte e sulla speranza della redenzione, che però i cristiani non potevano raggiungere sulla Terra. Per questo la croce era sempre presente nei simboli di fede di Friedrich; costituiva la pietra angolare del suo credo.
A un certo momento, intorno al 1800, Friedrich conobbe di persona – a Berlino o forse a Dresda – Friedrich Schleiermacher. L’artista e il teologo avevano molti punti in comune. Lo storico dell’arte berlinese Werner Busch ha poi sottolineato come questi due cristiani fossero entrambi convinti dell’importanza del concetto di umiltà. Solo una paziente e umile attesa della manifestazione della grazia di Dio rendeva possibile una salvezza come opera di Dio. Se si tiene conto di ciò, scrisse Busch, si può capire adeguatamente la forma particolarmente chiara delle rappresentazioni e delle recezioni della natura in Friedrich[2].
Questo tipo di affinità si constatava anche nei concetti di intuizione(Anschauung) e sentimento(Gefühl). Secondo Schleiermacher, questi due concetti erano in grado di aprire la strada non solo all’arte, ma anche alla religione. Riguardo ad essi, Werner Busch ha scritto: «Intuire non è un afferrare attivamente ciò che si vede, ma al contrario un lasciarsi afferrare passivamente. Colui che vede rimane nell’intuizione e attende l’effetto delle cose su di sé, ed è proprio questo che lo riempie di sentimento religioso. […] È proprio questa l’esperienza che ci offre la tecnica della Rückenfigur, ossia della figura ritratta di spalle, utilizzata da Friedrich. Per Schleiermacher, nelle questioni religiose non si tratta di metafisica e di morale, dove la prima si basa sul pensiero, la seconda sul volere. Egli constata piuttosto una “decisa contrapposizione” […] e conclude che l’essenza della religione non è né il pensiero né l’azione, ma piuttosto l’intuizione e il sentimento»[3].
Nel corso del tempo, Friedrich sviluppa una nuova forma di pittura che certamente è molto precisa nei dettagli, ma che con la sua composizione e con meno soggetti pittorici significativi invita alla riflessione. Nei suoi dipinti compaiono non solo uomini o donne a rappresentare un gruppo più grande, come contadini o pastori, ma egli caratterizza individualmente anche persone particolari, la cui identità però rimane poco chiara. Tuttavia, essi si rivolgono al paesaggio, concentrando su di esso lo sguardo.
Nasce così un motivo portante autonomo dell’opera successiva di Friedrich: la rappresentazione di persone che osservano, e che così invitano a una riflessione che vada al di là del semplice atto del vedere in sé. Negli anni intorno al 1810 nei suoi quadri si moltiplicano queste persone che riflettono, che cercano di scoprire non solo la natura oggettiva, ma anche le tensioni interiori tra la propria esperienza e la natura misteriosa e travolgente. Esse si trasformano spesso in figure ritratte di spalle, che di solito sono immerse in una contemplazione silenziosa. Rimane imprecisato da dove vengano e che cosa le abbia condotte a quella profonda contemplazione del paesaggio. Si evidenzia ancora più fortemente che cosa queste figure di spalle stanno facendo nel momento rappresentato: contemplano la natura, ma anche sé stesse.
Con le sue figure ritratte di spalle, Friedrich permette anche a noi di immergerci totalmente nella natura rappresentata. Per lui, non si tratta soltanto della natura, ma al centro c’è anche il rapporto tra uomo e natura. L’uomo è parte della natura, e tuttavia mantiene un atteggiamento di distanza da essa.
Intorno al 1830, in un testo intitolato «Commenti sull’osservazione di una collezione di dipinti di artisti in gran parte ancora viventi o morti di recente»[4], Friedrich utilizzò un termine che solo poco prima era stato coniato nella teoria dell’arte: il concetto di Stimmung («stato d’animo»). Un testo illustrativo della mostra di Amburgo afferma a questo proposito: «Il suo testo mostra che ha riflettuto su come le immagini possano suscitare stati d’animo, ma egli era anche consapevole del fatto che l’osservazione stessa dipende dagli stati d’animo. Con il concetto di stato d’animo si apre un ulteriore aspetto del rapporto tra uomo e natura. Infatti, gli stati d’animo non sono limitati solo al soggetto e neppure a una proprietà concreta di un oggetto».
Nelle sue opere, Friedrich aveva il dono particolare di suscitare gli stati d’animo. I suoi disegni, alcuni studi a olio e molti dei suoi dipinti mostrano in modo evidente la sua grande capacità di cogliere, in modo preciso e ricco di sfumature, fenomeni che possono suscitare stati d’animo: luci e ombre, giochi di colori nel cielo, nuvole, nebbia e altri fenomeni atmosferici. Sembra che l’artista abbia fatto un’ampia riflessione su come tali stati d’animo si lascino collegare a temi pittorici evocativi, vedute di città, come pure alberi, cespugli o dolmen. Nei suoi «Commenti», Friedrich ha affermato che «un grande merito, forse il maggiore, di un artista è quello di stimolare la mente e di risvegliare nell’osservatore pensieri, sentimenti e sensazioni, anche se non sono i suoi».
«La pala d’altare di Tetschen» o «La croce in montagna» (1808)
Era la fine dell’Avvento del 1808. Friedrich stava lavorando da tempo a un dipinto. Il tema era un insolito paesaggio boemo su un alto picco roccioso. Sulla sua vetta si ergeva, innalzata su un tronco gigantesco, un’alta croce, provvista di un corpo che dà le spalle all’osservatore. Inoltre la croce era circondata da 12 alti abeti e dall’atmosfera crepuscolare.
Il sole non era più visibile, era sprofondato dietro la roccia; ma tre suoi raggi si riflettevano ancora sulle nubi, creando strisce orizzontali di un rosso pallido, come potenti fari luminosi sotto le nuvole. Tra queste strisce di colore della sera si facevano strada tuttavia già delle ombre, che caratterizzavano sempre più il cielo. Una brillante atmosfera antagonistica.
Il dipinto fu dotato di una grossa cornice dorata. Da una predella d’altare si innalzavano due esili colonne a fascio, che in alto si curvavano a formare un arco dominante molto ampio, su cui si stagliavano cinque teste di angeli dorate. Esse guardavano in basso, verso il paesaggio del quadro e i simboli sulla predella. Sulla base dorata, al centro del blocco dell’altare, appariva poi l’occhio di Dio, all’interno di un triangolo, che veniva sostenuto e illuminato da un denso fascio di raggi e circondato devotamente sui due lati da segni eucaristici: spighe di grano e tralci di vite.
La vigilia di Natale del 1808, Friedrich allestì questo altare nel suo studio. Il grande quadro si trovava su un ampio tavolo con drappi neri pendenti, come su una mensa. Lì sembrava che fosse esposto come in una cappella, circondato da luci solenni. L’artista se ne andò, lasciando volutamente il dipinto a sé stesso, circondato da molti visitatori, che per lo più si mostravano scettici.
«Il viandante sul mare di nebbia» (1818)
Questo dipinto è il risultato di una lunga camminata in montagna nella Svizzera sassone, al mattino o sul far della sera. Ma una volta emerso dalla nebbia, il viandante sembra aver dimenticato tutta la fatica. Stanco, raggiunge la vetta. A questo fa seguito un riaccendersi ostentato di sensazioni: la gioia, l’orgoglio, lo stupore. Tali forti stati d’animo conducono psicologicamente il viandante a unirsi con sé stesso e con il fattore «solitudine». Egli si ferma in silenzio per essere afferrato dal panorama e per goderselo. Ed ecco: davanti ai suoi occhi si apre un paesaggio montano, ritmato dalle vette e accentuato dalla foschia che sta salendo. Anche qui, per Friedrich, il vedere diventa il tema vero e proprio del quadro.
«Le bianche scogliere di Rügen» (1818)
Il dipinto Le bianche scogliere di Rügen è uno dei capolavori di Friedrich. È stato scritto molto su questo quadro impressionante, ma solo poche cose si possono affermare con certezza. Tre persone sull’orlo della scogliera scoscesa rappresentano ciascuna una prospettiva diversa: a sinistra, una giovane donna seduta, con un abito marrone rossiccio; al centro, un uomo anziano, che si muove carponi sull’orlo del precipizio; e a destra, un giovane uomo in piedi. La donna si aggrappa con la mano sinistra al cespuglio sul ciglio del pendio e, con la destra sollevata delicatamente, guarda in basso verso il frastagliato abisso bianco che scende fino all’acqua. L’uomo anziano si avvicina con prudenza al ciglio dell’abisso e con inquietudine interiore percepisce le potenti rocce in basso. Il giovane sta in piedi, con atteggiamento sicuro, in un cespuglio e appoggia le spalle al tronco di un albero. Sta a braccia conserte, i suoi occhi spaziano lontano sul mare. Così vede il rosso tenue del sole che si riflette sull’acqua e medita, quasi immobile, su questa grandiosa visione della natura. Tre persone, tre sguardi, tre stupori: se ne può dare un’interpretazione?
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Werner Busch cerca di chiarire l’enigma: «Molti elementi fanno pensare che la donna rappresentata alluda a Caroline (la moglie di Caspar David) e che il dipinto sia anche un ricordo del loro primo viaggio a Rügen e dell’esperienza di quelle bianche scogliere. Si può ipotizzare che Friedrich si sia raffigurato al centro e che l’uomo in piedi a destra rappresenti suo fratello minore. Secondo altri, invece, Friedrich avrebbe rappresentato sé stesso due volte, per dimostrare le diverse forme di appropriazione e di visione. Ma questo sarebbe un caso unico tra i dipinti dell’artista. Sembra allora più logico vedere l’origine del quadro in un ricordo personale del pittore, ma poi tener conto del suo procedimento abituale con cui mira a una trascendenza in prospettiva religiosa o politica». Si potrà quindi affermare che «le due figure a sinistra si preccupano delle cose terrene e nella terza figura si allude al superamento di tale preoccupazione. […] In questo dipinto, per mezzo della sua configurazione estetica, torna a nascere la speranza»[5].
«Due uomini che contemplano la luna» (1819)
In questo quadro si incontrano due artisti amici. Sono forse Johan Christian Claussen Dahl e Caspar David Friedrich? Essi stanno in piedi su un pendio, nella penombra. La luna, relativamente luminosa, è davanti alle nubi, ma è oscurata da un colore opaco. Il suo bordo si staglia più luminoso, e l’ambiente circostante ne irradia il bagliore. Questo enfatizza il suo effetto. Così viene caratterizzata l’origine della diffusione della luce del quadro. Friedrich aveva una grande capacità di orientare l’espressione generale dell’immagine con velature più o meno forti, come ha fatto in questo caso. Ecco perché il quadro nel complesso è così scuro. Ma spesso, nella vita e nella pittura di questo artista, molte immagini vengono offuscate dal suo stato d’animo per alcuni periodi e in misura sempre maggiore.
Nel suo animo, Friedrich spesso collega tra loro metafore religiose e politiche. Il suo percorso di vita conduce al dipinto passando per un albero spoglio a destra e uno sempreverde a sinistra. I teologi vi scorgono un simbolo della morte e della promessa della vita eterna. Per questo, la luna crescente al centro viene spesso interpretata come simbolo di Cristo. «È l’estetica che, nel senso di Schleiermacher, è la mediazione verso Dio, a cui però non si può accedere direttamente. Un’estetica religiosa invece di un’ortodossia religiosa. In altri termini, la religione naturale dell’Illuminismo viene sostituita da una religiosità estetica. E questo è l’elemento propriamente romantico dell’arte di Caspar David Friedrich»[6].
«Il monaco in riva al mare» (1810)
Nel 1810 Friedrich dipinge un quadro, forse il più ardito tra i suoi dipinti: Il monaco in riva al mare. Per mesi, questa opera fu per lui causa di tormento. Nelle descrizioni dei visitatori del suo studio, il quadro appare continuamente diverso. Prima è notte, poi giorno. Prima ci sono molte barche sul mare, poi Friedrich le cancella e le dipinge di nuovo. Il quadro di grande formato rimane per mesi sul cavalletto, e settimana dopo settimana sembra diventare sempre più radicale. Alla fine rimane solo il monaco, con 19 gabbiani che lo sovrastano e lo circondano. Un po’ di sabbia, molta acqua, e poi il cielo infinito, che sembra inghiottire tutto come una voragine.
Quando Goethe vede questo quadro[7], ne avverte l’«apertura», ma la percepisce solo come un pericolo, e non come l’espressione più ardita e moderna dello smarrimento nel tempo presente. Nel 1975, Robert Rosenblum riprenderà l’immagine del quadro come copertina del suo classico Modern Painting and the Northern Romantic Tradition, e darà al libro il sottotitolo Friedrich to Rothko. L’opera, nata nell’estate del 1810, era diventata l’inizio della pittura astratta.
Il monaco in riva al mare è un quadro che rappresenta un uomo disperato. Il cielo cupo pesa impietosamente sulle spalle del monaco solitario sulla riva dell’acqua scura: egli si trova sperduto su una piccola duna di sabbia ai margini della riva oscura. «Mai in precedenza il dubbio su Dio, la nullità dell’individuo e il suo smarrimento di fronte alle forze primordiali della natura erano stati rappresentati in un modo più intransigente»[8].
Ma come viene espressa, in questo dipinto, la vanità dello sforzo umano? Heinrich von Kleist, redattore del quotidiano Berliner Abendblätter, innanzitutto rielaborò radicalmente l’articolo sul quadro di Friedrich che gli era stato presentato da Clemens Brentano e Achim von Arnim, critici nei confronti dell’opera, e, nell’articolo del 13 ottobre 1810, coniò una metafora diventata famosa: «quando lo si guarda, è come se le palpebre fossero state tagliate via». Questa metafora è chiaramente una reazione al motivo insolito della mancanza di cornici laterali nel dipinto del monaco. Il quadro non costituisce quindi un cosmo chiuso in sé stesso, ma ne forza i limiti.
«Sia le affermazioni di Brentano sia il testo di von Kleist sono tra le riflessioni più impressionanti e profonde che siano mai state fatte sui dipinti di Friedrich e sulla sua concezione moderna del paesaggio. Mentre Brentano ha affrontato il tema della nostalgia come aspirazione perenne all’irraggiungibile e il rapporto dell’essere umano con l’infinito, von Kleist, da parte sua, ne ha articolato la visione apocalittica del mondo e il senso di solitudine»[9].
Brentano si avvicina molto di più alle dimensioni paesaggistiche del quadro, in quanto riconosce una certa discrepanza tra forma e contenuto. Von Kleist, rielaborando il testo di Brentano, afferma: «È magnifico gettare uno sguardo su una solitudine infinita sulla riva del mare, sotto un cielo nuvoloso, su uno sconfinato deserto di acqua. Di questo fa parte il fatto che si è andati là, che si deve tornare, che si può andare oltre, che non si può. Di questo fanno parte una pretesa che il cuore ha e una rottura, per esprimermi così, che la natura provoca in una persona. Ma questo è impossibile prima del quadro, e quello che avrei dovuto trovare nel quadro stesso l’ho trovato solo tra me e il quadro, ossia una pretesa che il mio cuore avanzava nei confronti del quadro, e una rottura che il quadro mi ha provocato; e così sono diventato io stesso il cappuccino; il quadro è diventato la duna, ma ciò a cui avrei dovuto guardare con nostalgia, il mare, mancava del tutto»[10].
Gli ultimi anni di Friedrich
Gli ultimi anni della vita di Friedrich furono segnati da un improvviso malore da cui egli fu colpito il 26 giugno 1835. Da quel momento in poi, l’artista fu costretto a rinunciare sempre più spesso alla pittura. In compenso, si dedicò maggiormente alle tecniche del disegno, con cui, per così dire, ritornò alle sue origini artistiche. Numerosi disegni a seppia di grande formato illustrano le sue ambizioni in questo campo.
Il tema della morte e della caducità delle cose attraversa continuamente, come filo conduttore, tutta la sua opera; così si manifesta, nella sua ultima fase creativa, con una concentrazione impressionante. Più volte Friedrich affronta il tema di una tomba aperta in un cimitero, attribuendogli una carica simbolica. Le rappresentazioni di montagne sono un altro tema fondamentale.
Anche la riva del mare rimase per lui un importante punto di riferimento. Così egli realizzò diversi disegni a seppia, in cui rinunciò a raffigurare persone e navi, a favore di vedute notturne suggestive, silenziose, sulla vastità del mare. Che Friedrich fosse in grado di affrontare singole opere di grande formato, lo testimonia il suo grande dipinto Meeresufer im Mondschein («Porto al chiaro di luna»), uno degli ultimi, se non addirittura l’ultimo, tra i suoi quadri.
Friedrich morì il 7 maggio 1840, in conseguenza di un altro ictus. È sepolto nel cimitero della Trinità di Dresda-Johannstadt. La sua opera però è sopravvissuta a lui: anche se dapprima dimenticata, poi, attraverso una lenta riscoperta all’inizio del XX secolo, e in seguito, attraverso una visione e una riflessione sempre più approfondita su di essa, è arrivata a essere una Kunst für eine neue Zeit («arte per una nuova era»), che si estenderà ben oltre le città di Winterthur, Amburgo, Berlino, Greifswald, Dresda e New York.
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[1]. Cfr W. Busch, Caspar David Friedrich, München, C. H. Beck, 2021, 11.
[2]. Cfr ivi, 63.
[3]. Ivi, 64 s.
[4]. Cfr G. Eimer (ed.), Kritische Edition der Schriften des Künstlers und seiner Zeitzeugen I, Frankfurt am M., Kunstgeschichtliches Institut der Johann Wolfgang Goethe – Universität, 1999.
[5]. W. Busch, Caspar David Friedrich, cit., 110 s.
[6]. H. Biklrkholz, Caspar David Friedrich. Katalog «Kunst für eine neue Zeit», Hamburger Kunsthalle, 2023, 202; W. Busch, Caspar David Friedrich, cit., 118 s.
[7]. Cfr J. W. Goethe, Tagebücher 1810-1832, München, Deutscher Taschenbuch Verlag Bd. 44, 1963, 10; 20.
[8]. F. Illies, Zauber der Stille. Caspar David Friedrichs Reise durch die Zeiten, Frankfurt am Main, S. Fischer Verlag, 107 s.
[9]. B. Verwiebe, Katalog Hamburg 2023, 132.
[10]. W. Busch, Caspar David Friedrich, cit., 57 s. Cfr il catalogo Empfindungen vor Friedrichs Seelandschaft, betrachtet von Clemens Brentano, Achim v. Arnim und Heinrich v. Kleist, in Kleist – Museum, Frankfurt/Oder, 2004, 40 s.
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