Paolo, l’ultimo Apostolo
Ci separano 2000 anni da Paolo di Tarso, il discepolo di Gesù di cui abbiamo innumerevoli biografie e commenti che ne tratteggiano in vario modo l’eccezionale ricchezza e complessità. Gli scritti che La Civiltà Cattolica nell’ultimo decennio ha dedicato all’Apostolo ne presentano la missione di evangelizzatore della Chiesa nascente e insieme l’indiscussa attualità per la Chiesa dei nostri giorni. Personalità ricchissima e straordinaria, Paolo ha dato un’impronta che continua nel tempo a dare i suoi frutti.
Paolo è stato definito «il primo dopo l’Unico», cioè dopo il Signore Gesù: così lo definisce Daniel Rops. Non si vuole in tal modo sottovalutare il valore di Pietro, il principe degli apostoli, ma dopo Gesù, Paolo è la persona di cui conosciamo la singolare vicenda biografica dalle sue stesse Lettere, una documentazione di prima mano. È l’ultimo apostolo, il «tredicesimo», ma nella storia ha il ruolo di primo testimone della risurrezione di Cristo. Ed è anche colui che per primo si accinge all’impresa di formulare all’interno degli schemi della cultura greca una teologia quando ancora non ne esiste un linguaggio appropriato.
Tale aspetto manifesta anche il taglio esistenziale in cui Paolo formula la sua ricerca teologica: egli vive la propria esperienza religiosa in tutta la sua drammaticità e nel parteciparla, polemicamente o sistematicamente, non evita di parlarne con quella passione che attraversa la storia personale. E non si può comprendere Gesù e il Vangelo, senza riferirsi all’Apostolo, la fonte autentica.
Paolo è il fondatore delle prime «chiese» (le ekklēsiai, «le assemblee» dei credenti) nelle regioni lontane da Israele, tanto da esser definito da un teologo protestante, forse non del tutto propriamente, «il vero fondatore del Cristianesimo» (W. Wrede, Paulus, Tubinga, 1905).
La copertina del volume «Paolo»
Nella raccolta, il primo saggio è uno studio di Marc Rastoin su «L’evangelizzazione secondo san Paolo»: vi appare la dimensione che qualifica il grande apostolo delle genti. Due articoli di p. Giancarlo Pani riguardano la vocazione di Paolo: in particolare se nell’evento di Damasco, che segna la svolta drammatica di una vita, sia più esatto parlare di «conversione» o di «vocazione». Lo studio di Marc Rastoin, «Perché ci sono delle Lettere nel Nuovo Testamento», mette in rilievo l’audacia di Paolo nello scrivere per primo, pur essendo stato un accanito persecutore. Il saggio di Norbert Baumert sottolinea che la libertà è intesa innanzitutto come liberazione dal peccato per opera dello Spirito di Dio.
L’articolo di Jean-Noël Aletti, «San Paolo oggi. Quale interesse e quale eredità?», evidenzia l’attualità delle sfide affrontate dall’Apostolo. Non manca un articolo su «Ecologia e destino umano. La creazione in san Paolo», di Marc Rastoin. Ferdinando Castelli, nel saggio «San Paolo nella letteratura», evidenzia le reazioni più contraddittorie nei suoi confronti, a partire da Nietzsche che nell’Anticristo. La maledizione del cristianesimo, del 1895, qualifica l’Apostolo «il falsificatore» del Vangelo, mentre altri lo ritengono il primo eretico nella Storia del cristianesimo. Infine, due testi svolgono temi utili per comprendere l’attuale Giubileo della speranza: la Bolla di indizione prende il titolo dalla Lettera ai Romani, Spes non confundit, «La Speranza non delude» (5,5). Nella raccolta vertono sulla speranza: «La parusia nell’epistolario paolino» di Jean Galot e «Atti 27: tempesta e salvezza per tutti» di Marc Rastoin.
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