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Il termine "Geopolitica", dopo decenni di oblio è tornato alla ribalta del linguaggio mediatico e della pubblicistica. Ciò è senz’altro dovuto all’esaurirsi delle grandi narrazioni novecentesche – comunismo, socialismo, socialdemocrazia, liberalismo, persino la dottrina sociale cristiana – e al ritorno sulla scena politiche dello Stato che i teorici della “fine della storia” avevano bollato come obsoleto.

La cifra di lettura del XXI secolo sembra essere quella del confronto tra stati in un’anarchia delle potenze, e non del confronto tra ideologie o tra classi – ad esempio delle ultime due ideologie a proprio modo universalistiche affacciatesi sulla scena strategica negli ultimi due decenni e cioè il liberalismo e liberismo occidentale contro l’islamismo radicale, esauritasi la prima nella grande crisi del 2008 e la seconda arretrata proprio sul piano geopolitico.

Il risveglio dalle illusioni universalistiche è stato brusco: il mondo intellettuale si è fatto trovare impreparato ed ha dovuto riattivare una linea di pensiero per troppo tempo trascurata. Il termine geopolitica è diventato così vittima di una vera e propria bulimia, sino ad essere utilizzato quale sinonimo di “Relazioni Internazionali”, “Politica Estera” e financo di “Strategia Militare”, discipline imprescindibili alla geopolitica, sicuramente non separabili da questa ma ad ogni modo ben distinte. Occorre ribadirlo: la geopolitica studia il rapporto tra statualità e spazio: chiaramente per farsi un quadro geopolitico della politica di uno stato non si può prescindere dal quadro economico, sociologico, demografico, militare, culturale, antropologico (come correttamente sottolinea il moderno filone della geopolitica critica).

(Continua)

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