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Narrare l’Italia


Cos’è l’Italia? Chi sono gli italiani? Quali sono le principali peculiarità del nostro territorio e di quanti lo abitano? Sono quesiti a proposito dei quali si sono interrogati parecchi autori, da Dante a Guicciardini, da Petrarca a Leopardi, fino a Giulio Bollati, che ha riflettuto a lungo sul carattere distintivo degli italiani.

A cimentarsi con questi temi è adesso lo psicanalista e saggista Luigi Zoja, che ha elaborato un progetto di ricerca assai originale: attingendo da storiografia, economia, arte e letteratura, nonché dalla psicanalisi, egli ha delineato una storia «lunga» del nostro Paese – dal Medioevo ai giorni nostri –, avvalendosi delle narrazioni redatte da chi in Italia ha trascorso la propria esistenza. Si tratta di un racconto collettivo che ha influenzato l’intera società e ne ha determinato il ruolo assunto nel mondo.

Va infatti osservato, al riguardo, come le nazioni siano in buona misura un prodotto dell’immaginazione. Se questo è vero in genere, tanto più lo è nel caso dell’Italia, dato che essa è stata l’oggetto di un enorme numero di fantasie: anche di quelle delle classi colte europee, che erano solite completare la propria formazione culturale nella Penisola, della quale hanno ammirato le vestigia del passato, mentre sono state pronte a criticare il Paese che avevano di fronte.

In questo saggio dalla prosa scorrevole e incisiva, in cui si fa riferimento a una vasta bibliografia in lingua tedesca, francese e inglese, Zoja traccia una parabola che dal Medioevo cresce fino a toccare il suo apice nel corso dell’Umanesimo e del Rinascimento: due epoche durante le quali sia la produzione artistica sia la ricchezza materiale dell’Italia hanno sopravanzato quelle di qualsiasi altro Paese dell’Occidente. La terra dei mille comuni, divisa e militarmente debole, era giunta al vertice del mondo quando la sua suddivisione regionale si trovava al culmine: le tante differenze si rivelarono dunque, probabilmente, un’autentica fonte di benessere.

Secondo lo studioso, i periodi in questione sono stati caratterizzati da un’ulteriore peculiarità: l’Umanesimo e il Rinascimento hanno conquistato l’Europa in quanto culture. Egli scrive al riguardo: «Se l’Italia non corrispondeva a una entità politica e il suo primato non era misurabile, c’era però accordo sulla sua eccellenza estetica. La conoscenza dell’Italia consisteva – allora come oggi – soprattutto in emozioni, anche presso individui, popoli, culture razionali e non inclini a sentimentalismi. Il primato posseduto dall’Italia aveva questa qualità non violenta, che lo rendeva diverso dalle supremazie degli altri paesi in ogni epoca» (pp. 49 s).

Successivamente, però, ci sono stati prima una stagnazione, poi un declino che è durato circa mezzo millennio. Dopo il Risorgimento, mentre il resto dell’Occidente entrava nella Modernità, i governi italiani imboccarono il sentiero degli sciovinismi e del complesso di superiorità: la narrazione del Paese venne così slegata da quella europea ed espressa in forme tanto premoderne quanto provinciali. Si è inoltre pian piano affermata l’idea dell’unità e della grandezza passata da riconquistare. Un’idea che è stata sostenuta da una narrazione sempre più bellicosa, retorica e vuota. Proseguendo su questa strada, il regime fascista è arrivato a rievocare il mito della rinascita dell’Impero.

Solo dopo il 1945, secondo Zoja, in Italia si è avuto il rilancio dello spirito di iniziativa individuale, che egli definisce un «ritorno sotterraneo ma forte alla mentalità dei liberi comuni» (p. 510). Ha così preso vita, nell’ambito di un contesto economico, connotato da una crescita impressionante e di lunga durata, un nuovo vertice creativo, grazie soprattutto alla produzione cinematografica, a film che hanno messo al centro della scena gli antieroi, gli umili o in qualche modo gli invisibili. Occorre tuttavia sottolineare come la narrazione nostalgica, relativa a un grandioso passato imperiale, non ci abbia mai abbandonato del tutto e continui a risuonare nel nostro inconscio collettivo.

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