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Ti amerò per sempre


Grace aprì la portafinestra che dava sulla spiaggia. Il terrazzo era spazioso, decorato con piante intricate e dai colori esotici. Il tavolo, ornato da un drappo rosso, aspettava i due giovani innamorati. “Danny, sono le 8:00, alzati la colazione è pronta”. “Lasciami dormire ancora un po’… è così bello non avere orari da rispettare”. “Oggi mi piacerebbe noleggiare un motoscafo, non essere pigro”. “Va bene cara, tra cinque minuti sarò da te”. Intanto Grace assaporava il profumo della risacca e fantasticava sul futuro con Danny. Il mare lanciava le onde con voluttà tentando di offrire lo spettacolo più affascinante possibile, mentre l’aurora all’orizzonte si specchiava sulle onde zampillanti. Qualche nuvola di passaggio offuscava il chiarore mattutino esaltando ancora di più i riflessi sulla superficie azzurra. Danny si presentò in vestaglia da camera, Grace sorrise, era la sua vestaglia morbida, setosa, aderente fino al punto da far trapelare il corpo che avrebbe dovuto nascondere. “Danny, sei veramente seducente”. Lusingato da quelle parole, la baciò appassionatamente. Consumarono in fretta la colazione per poter godere della giornata al largo, al riparo da qualsiasi suono, eccetto quello della salmastra marina. Al porticciolo un omino piccolo e tarchiato li squadrò come se fossero degli appestati. Erano abituati a comportamenti siffatti perciò non si scomposero, anche se il cuore di Grace gridava vendetta. Impostarono il navigatore di bordo e lo scafo piano piano abbandonò il molo. Grace osservava l’omino che sfumava tra i flutti fino a che non fu completamente celato alla vista. Danny le accarezzò le gote per infonderle il coraggio necessario ad affrontare la discriminazione di genere. “Non prendertela, non ti curar...” Grace lo interruppe. “Anche qui, nella sala ologrammi, dove nulla è reale, la realtà ci perseguita”. “Purtroppo abbiamo una normativa che risale ad un secolo fa. Oggi gli androidi si sono perfettamente integrati. Vi sono molti nella nostra condizione”. “E’ vero, Danny, ma sono tutte situazioni in bilico. Tra le persone più illuminate vi è molta tolleranza ed è per questa ragione che riusciamo a sopravvivere. Se non fosse così saremmo già stati rinchiusi in uno dei tanti ghetti costruiti nel secolo scorso”. Si fermarono in un punto in cui il dondolio li cullava e offriva ai loro occhi bianche scogliere a picco e minuscoli paesini abbarbicati sui pendii, dove un lieve vento muoveva i fili d’erba che spuntavano ora alti ora bassi sui prati fioriti. Si tuffarono e nuotarono insieme ai delfini che saltellavano con graziosa ironia. L’armonia di quella scena li fece ammutolire. Nulla avrebbe potuto distogliere le loro menti dalla magia di quel paesaggio. Rientrarono turbati e silenziosi. Presto avrebbero dovuto lasciare ai ricordi la loro vacanza. “Domani dobbiamo preparare i bagagli”. Sussurrò Grace. Dormirono abbracciati l’uno all’altra nella speranza che i sogni li aiutassero.

Varcata l’ultima soglia del caseggiato, sentirono riecheggiare il sordo cicaleccio degli abitanti della loro città. Le vie erano inondate di volti anonimi ed ostili. Finalmente raggiunsero il loro appartamento dove furono avvolti da una sensazione di benessere. Durò poco. Due guardie armate bussarono alla porta urlando quasi all’unisono: “Aprite!”. Dopo aver verificato le loro identità, si allontanarono minacciandoli con prepotenza. Nel frattempo sulla strada un corteo procedeva compatto. Manifestava contro la propensione sociale a mettere insieme elementi non compatibili con l’idea tradizionale di famiglia. “Tutti nei ghetti”. Questo era lo slogan. “Ci distruggeranno”. Mormorò avvilita Grace.

Passarono mesi e anni tra insulti, e-mail minatorie, visite ripetute da parte delle forze dell’ordine. “Non ci si salva dagli incubi, noi stiamo precipitando nel buco nero della vessazione”. “Grace, capisco la tua frustrazione, ma vedrai che il nuovo Governo modificherà la legislazione in vigore”. “Il tuo ottimismo è disarmante”. Nel pomeriggio, liberi da impegni lavorativi, vollero passeggiare tra gli alberi del vicino parco. Le querce splendevano riverberando il verde delle foglie sulla ghiaia dei sentieri. L’abito vaporoso e trasparente di Grace svolazzava sospinto da una leggera brezzolina primaverile. Danny la strinse forte. “Ti amo... Sapevamo che non sarebbe stato facile, non c’è tregua per quelli come noi, ma io sarò sempre al tuo fianco, te lo prometto”. Si alzarono e proseguirono verso il viale dei Eroi, tra questi primeggiava lo zio di Danny che aveva perso la vita in uno dei tanti viaggi interplanetari di esplorazione. Due ragazzi, che provenivano da una traversa, avanzarono rapidamente verso di loro e sputarono per terra in segno di disgusto e disapprovazione. “E’ giusto tutto questo?” “No, Grace, non lo è”.

Un altro inverno si posò su di loro. Danny amava quella stagione, le piante spoglie, gli aghi dei pini. Si divertiva ad arrampicarsi sulle cime innevate per poter rotolare sulla soffice neve. Grace lo seguiva, ma senza lasciarsi trascinare dal suo entusiasmo. Si era accorta che qualcosa stava cambiando. Era spesso sola. Il suo Danny trascorreva molto tempo fuori casa. Il palpito stanco del suo orologio si era trasformato in una fredda malinconica melodia. Le lunghe attese sfinivano i suoi sensi e la sua fiducia. Non poteva più indugiare. Quella sera lo avrebbe messo con le spalle al muro.

Era notte fonda quando udì la chiave girare nella toppa. “Che cosa ti sta succedendo?” Disse Grace in preda alla collera. “Nulla, che cosa ti sei messa in testa?” Ribatté Danny in modo insolitamente sgarbato. “Perché sei così distante?” “Non sono distante, ho solo qualche problema in ufficio”. Distolse lo sguardo. C’era dell’altro. Grace lo capì e uscì con passo felpato per dissolversi nelle tenebre. Riapparve all’alba sotto il palazzo dell’azienda, per la quale Danny svolgeva il ruolo di Direttore Generale, vi era una fontana multicolore che addolciva il grigio cemento. Al centro una spirale saliva verso il cielo sfumando in un tripudio di spruzzi maestosi. Comunicò in ufficio che quel giorno non avrebbe preso servizio per ragioni di salute. Voleva farsi perdonare da Danny invitandolo a pranzo nel locale in cui si erano conosciuti. Lo vide uscire per la pausa, non era solo, una ragazza bellissima appoggiava la testa sulla sua spalla, la sua pelle ricordava la luminosità candida della Luna piena, una cascata di riccioli inondava le loro schiene. Rimase a guardarli finché non scomparvero dietro l’angolo. Chiunque avrebbe detto che quella era proprio una bella coppia. Si sentì mancare la terra sotto i piedi. Le sue sinapsi si erano bloccate su quella figura femminile attraente ed elegante. Rimuginava e rimuginava.“Sarò sempre al tuo fianco”, con quanta fierezza Danny aveva pronunciato quella frase. “Il livore mi sta travolgendo… e se mi fossi sbagliata?” Si diresse verso la loro abitazione.

Era l’ora di cena. Danny aprì la porta, nelle stanze volteggiava l’odore delle pietanze che Grace stava cuocendo per lui. “Mi dispiace per ieri, sono stata aggressiva senza motivo”. “Non ti preoccupare”. Le sfiorò le guance con le labbra e aggiunse “Io ti amo”. “Cosa ne dici se domani chiediamo un paio di ore di permesso per fare quattro chiacchiere da ‘Chez Maxim’?” “Non posso. Domani sono molto impegnato… Devo visitare alcune filiali”. “Va bene, sarà per un’altra volta, amore mio”. Grace era molto loquace e scherzosa. Si coricarono tardi. Danny si stese e si addormentò in pochi minuti, incurante di Grace. Il Sole era alto quando si salutarono. Grace convinse il suo capo ufficio, fortemente contrariato per la prolungata assenza, che la questione da risolvere era di fondamentale importanza. Con estrema cautela, si mise sulle tracce di Danny e lo pedinò fino a quando salì al quinto piano di un vecchio edificio in periferia. Grace si trattenne una manciata di secondi. Chiuse le palpebre. Quando le riaprì, ebbe la conferma e i pochi dubbi si dileguarono. Danny e riccioli d’oro si abbracciavano, si coccolavano in modo sensuale. L’aveva tradita con una donna. Le girava la testa per l’umiliazione. Un turbinio di idee, il desiderio di ferirlo in qualche modo si mescolavano ai sensi di colpa. “Che cosa ho fatto per meritarmi questo”. Presa dal panico della sofferenza non sarebbe stata in grado di sostenere un colloquio inutile e carico di astio. Scelse di andarsene. Mentre stava preparando i bagagli, Danny rientrò. “Che cosa stai facendo?” “Mi pare abbastanza evidente, non voglio rappresentare per te un ostacolo”. “A cosa ti riferisci?” “Alle tue misteriose assenze, alle bugie, ai sotterfugi… ti ho sorpreso con la tua amante. Vuoi che te la descriva?” “Non è una cosa seria, tu sei unica per me”. Borbottò Danny imprecando contro la sua sfortuna. “La sfortuna? Quale sfortuna? Il tuo atteggiamento rivela quello che minimizzi con tanta violenza verbale”. “Mi puoi perdonare?” “No, perché avresti potuto dirmelo e non l’hai fatto, sei un vigliacco”. Di fronte a tanta ostinazione, Danny perse la calma. “Sei insolente ed ingrata e, comunque, non puoi separarti da me, sei una mia proprietà e hai bisogno di un tutore per muoverti all’esterno di queste pareti”. “Non pretenderai di ridurmi in schiavitù?”. “Sto solo dipingendo il tuo futuro. Appena fuori saranno le autorità competenti a decidere la tua sorte. Potrebbero anche disattivarti se io non garantissi per te”. “E tu non garantirai, immagino”. “Se te ne vai, ed è una scelta che puoi fare, io ti rinnegherò”. Grace in Danny, il suo Danny, aveva scoperto l’indifferenza e la crudeltà che si celano nell’animo umano. Si era fidata di lui. Lo aveva ammirato per la sua tenacia nel difendere la loro unione. Sprofondò nella poltrona. “Come sei mutato, persino la tua voce è diversa. Quello che non capisco è perché vuoi che io resti qui”. “Non voglio perderti, voglio che tu stia con me. Tu sei un’opera d’arte, per averti ho sudato sette camicie, ho sborsato parecchi quattrini. Ho subito gli insulti della gente, vivendo in una campana di cristallo che si è trasformata in una prigione. L’evasione che mi sono concesso mi ha dato uno scossone, ho avvertito il brivido di una normalità che con te non ho mai potuto avere.” “Mi stai proponendo di diventare la tua domestica?” “No. Tu sei la mia compagna. Con te mi sono divertito e nell’intimità sei sempre stata impagabile”. Non si era nemmeno accorto di quanto fosse stato sarcastico e sgradevole. Grace era disorientata e mortificata, la sua esistenza si stava sgretolando. Si spostò in camera da letto e cominciò a riflettere sulla risoluzione da adottare. “Quali alternative ho? Non voglio rassegnarmi a fare la prostituta. Fuggire è un rischio, eppure non posso arrendermi, devo escogitare un sistema legale per eludere il filo spinato che lacera la mia dignità”. Soffocò un gemito e, con un gesto inconsulto, lanciò la lampada blu, alla quale era molto affezionata, sul pavimento. “Tutto bene cara?” La voce di Danny rimbombò nel corridoio. “Certo, ho urtato la lampada”. “Pazienza, la ricompreremo”. Così Grace fece buon viso a cattivo gioco, valutando e progettando nel contempo in modo meticoloso un piano per ottenere l’emancipazione.

Si rivolse al Comitato per le Pari Opportunità. Il movimento, nato dall’iniziativa della parte più aperta della società, aveva tentato più volte di promuovere leggi a tutela dei soggetti deboli, ora Grace offriva un’occasione come tante, ma più intrigante e difficile. Ben presto divenne la paladina dei diritti negati. Danny riteneva di trovarsi in una botte di ferro e mai avrebbe supposto di combattere l’aspra morsa della richiesta di libertà. Invece la convocazione del Tribunale arrivò. Fu consegnata, ironia della sorte, da un androide.

“Quali sono le sue richieste?” Intimò il Giudice un po’ seccato dal clamore che si era creato intorno alla causa portata in giudizio. “Voglio solo che mi venga riconosciuto lo status di libera, voglio avere la facoltà di poter troncare la mia relazione con l’uomo che è davanti a lei e che sorride in modo beffardo”. “Si rende conto che è la prima volta che mi viene sottoposto un caso simile?” “Ne sono consapevole, la mia è una battaglia per i diritti civili. Anche noi abbiamo sentimenti. Se una storia finisce, credo sia un inutile sacrificio il legame imposto dalla legge. Vostro Onore, quando sarà il momento di emettere una sentenza, pensi a tutti coloro che sono nella mia stessa posizione. Non ritiene che sia giusto convivere per scelta e non perché obbligati da un contratto?” Danny fissava Grace con disprezzo. Era sua, lui era il suo padrone. Mai e poi mai la Corte avrebbe accolto la sua istanza. Sarebbe stato un precedente vincolante per la giurisprudenza. Tutti gli androidi si sarebbero ribellati. Era inaudito anche solo ipotizzare quello che sarebbe accaduto. La Corte alfine deliberò. A Grace fu riconosciuto il diritto all’autodeterminazione. La notizia si diffuse velocemente. I faziosi si infiammarono scatenando in diversi luoghi della città scontri violenti. Quando la bufera si placò e la quiete ebbe il sopravvento, tutti concordarono su un punto: la pacifica convivenza avrebbe portato vantaggi all’umanità. Anche gli irriducibili detrattori della robotica di quarta generazione, dopo il primo sgomento, capitolarono, accettando la nascita di una nuova era. Solo piccoli sparuti gruppi giurarono di opporsi alla trasformazione in atto. Tra gli aderenti vi era Danny. Lo squallore in cui era piombato gli appariva insopportabile. Grace aveva traslocato. Nella loro dimora i locali erano disadorni, sull’intonaco le tracce dei mobili, che aveva portato con sé, lo sbeffeggiavano. Ad ogni sospiro, vampate di calore lo rendevano cieco dalla rabbia. Si sentiva offeso nella sua virilità. Voleva annientarla.

Si procurò al mercato nero un phaser molto potente e, supportato dalla sua combriccola, le tese un agguato. L’afferrò per un braccio, la fece cadere, puntò l’arma e la uccise. “Adesso vai ad implorare giustizia”. Mormorò con ripugnanza.

Era stata un’esecuzione premeditata e perpetrata con ferocia su un essere libero. Per la prima volta un uomo fu processato e dichiarato colpevole di robocidio.

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