il problema non è neppure se le la prima o poi saranno in grado di sostituirci in funzioni anche sensibili, ma se noi vogliamo continuare a essere utili e lavorare. perché almeno in italia, l'impressione è quello di un tessuto professionale che ha tirato i remi in barca e sta andando avanti per inerzia. si cerca di fare solo cose ovvie e scontate e manca la volontà di cercare di capire cosa vuole la persona o di essere creativi, complice una disillusione generale. ma la cosa si applica anche a medici che ad esempio nona scontano i pazienti, che smettono di ascoltare al primo sintomo secondo loro fuori posti (pessimi indagatori) e manca la voglia di fare diagnosi e scoprire i problemi. ci si limita a valutare le opzioni ovvie, si evita di indagare su patologie rare e alla fine si manda via il paziente con un cerotto e senza l'interesse per una vera soluzione. un commercialista la cui funzione è quella di fare da intermediario con un'amministrazione finanziaria storicamente assurda, incostante, capricciosa, che fa sgambetti, sono stanchi dei continui cambi di strategia (ma quando è stato diverso da cosaì?). insomma... se neppure noi vogliamo fare le cose che senso ha lamentarsi che inevitabilmente saremo sostituiti? alla fine qualcuno dovrà pur cominciare svolgere davvero questi compiti.
Intelligenza artificiale e potere: faremo la fine dei cavalli selvaggi? Siamomine
Una riflessione tra McCarthy, Moctezuma e algoritmi: cosa ci distingue davvero dalle macchine? Forse solo la capacità di protestare.Diego Viarengo (Siamomine Mag)