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«Una Chiesa fedele al cuore di Dio»



Il 9 ottobre 2025 è stata pubblicata l’Esortazione apostolica Dilexi te di papa Leone XIV sull’amore verso i poveri. Il documento, firmato il 4 ottobre precedente, festa di san Francesco d’Assisi, è il primo del nuovo Pontefice e raccoglie e sviluppa un progetto che papa Francesco stava preparando nei suoi ultimi mesi di vita. Leone XIV lo spiega, proprio all’inizio del documento, con queste parole: «Avendo ricevuto come in eredità questo progetto, sono felice di farlo mio – aggiungendo alcune riflessioni – e di proporlo ancora all’inizio del mio pontificato, condividendo il desiderio dell’amato Predecessore che tutti i cristiani possano percepire il forte nesso che esiste tra l’amore di Cristo e la sua chiamata a farci vicini ai poveri» (n. 3). Ovvero, in altre parole, declinate e sviluppate in diversi modi nel documento, l’amore ai poveri è garanzia di fedeltà al cuore di Dio[1].

Dilexi te si colloca in ovvia continuità con l’ultima enciclica di papa Francesco Dilexit nos, che egli ha voluto dedicare all’amore umano e divino del cuore di Gesù Cristo. Proprio da questo amore salvifico che si rivolge a tutti scaturisce l’amore preferenziale e personalizzato ai più poveri che la Chiesa è chiamata a concretizzare. Essa lo ha fatto lungo la sua storia bimillenare e continua a farlo oggi, rendendo visibili le parole «Ti ho amato» (Ap 3,9). Se il titolo stesso del documento evoca il legame con Dilexit nos, le numerose citazioni di Evangelii gaudium, Laudato si’, Gaudete et exsultate e Fratelli tutti contribuiscono a fare di questo documento un chiaro tributo agli insegnamenti di papa Francesco.

L’Esortazione apostolica è strutturata in cinque capitoli con i seguenti titoli: 1. Alcune parole indispensabili (nn. 4-15); 2. Dio sceglie i poveri (nn. 16-34); 3. Una Chiesa per i poveri (nn. 35-81); 4. Una storia che continua (nn. 82-102); 5. Una sfida permanente (nn. 103-121). Si parte, quindi, da una contestualizzazione e definizione di concetti (cap. 1); si prosegue con una riflessione biblica e teologica sull’opzione preferenziale di Dio per i poveri (cap. 2); si mostra come, nella storia della Chiesa, sia stato vissuto concretamente l’amore per i più deboli (cap. 3); si ricordano la formulazione della Dottrina sociale della Chiesa e le sue conseguenze anche sociopolitiche (cap. 4); e infine si conclude con la constatazione che l’amore per i poveri rimane una sfida ineludibile e urgente per la Chiesa di oggi (cap. 5).

«Alcune parole indispensabili»


Il capitolo introduttivo dell’Esortazione, dal titolo Alcune parole indispensabili, ricorda le parole di Gesù, che si identifica con i più piccoli: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Più concretamente, «nessun gesto di affetto, neanche il più piccolo, sarà dimenticato, specialmente se rivolto a chi è nel dolore, nella solitudine, nel bisogno» (n. 4).

Dall’identificazione del Signore con i più piccoli scaturiscono conseguenze chiare. «Non siamo nell’orizzonte della beneficenza, ma della Rivelazione: il contatto con chi non ha potere e grandezza è un modo fondamentale di incontro con il Signore della storia. Nei poveri Egli ha ancora qualcosa da dirci» (n. 5). Leone XIV evoca di seguito l’esempio di san Francesco d’Assisi, per ribadire: «Sono convinto che la scelta prioritaria per i poveri genera un rinnovamento straordinario sia nella Chiesa che nella società, quando siamo capaci di liberarci dall’autoreferenzialità e riusciamo ad ascoltare il loro grido» (n. 7). Così ha fatto Dio stesso, ascoltando le grida del popolo ebreo in Egitto. Di conseguenza, anche noi, «ascoltando il grido del povero, siamo chiamati a immedesimarci col cuore di Dio, che è premuroso verso le necessità dei suoi figli e specialmente dei più bisognosi» (n. 8).

La condizione dei poveri – scrive il Papa – ci interpella personalmente, come interpella la società, i sistemi politici ed economici e la Chiesa stessa. E lo fa nella diversità di forme in cui la povertà si manifesta: «quella di chi non ha mezzi di sostentamento materiale, la povertà di chi è emarginato socialmente e non ha strumenti per dare voce alla propria dignità e alle proprie capacità, la povertà morale e spirituale, la povertà culturale, quella di chi si trova in una condizione di debolezza o fragilità personale o sociale, la povertà di chi non ha diritti, non ha spazio, non ha libertà» (n. 9). Va anche detto che non basta l’impegno concreto per i poveri: ad esso «occorre anche associare una trasformazione di mentalità che possa incidere a livello culturale» (n. 11). Specialmente per quanto riguarda lo stile di vita in cui si cercano la felicità, tante volte basata sull’accumulo della ricchezza, e il successo, anche approfittando di sistemi sociali che favoriscono i più forti e scartano i più deboli (cfr n. 11).

Papa Leone XIV ribadisce che «sulla povertà non possiamo abbassare la guardia» (n. 12), nemmeno nei Paesi ricchi, nei quali sono preoccupanti le cifre sul numero dei poveri e «si nota che sono aumentate le diverse manifestazioni di povertà», che «si declina in molteplici forme di depauperamento economico e sociale, riflettendo il fenomeno delle crescenti disuguaglianze anche in contesti generalmente benestanti» (n. 12). In questo contesto, alla fine del primo capitolo, Dilexi te ricorda i pregiudizi ideologici o le strumentalizzazioni che si verificano, a cominciare dall’interpretazione dei dati «in modo tale da convincere che la situazione dei poveri non sia così grave» (n. 13). Citando Fratelli tutti, il Pontefice ribadisce che la realtà è chiara: «Ci sono regole economiche che sono risultate efficaci per la crescita, ma non altrettanto per lo sviluppo umano integrale» (n. 13). «I poveri non ci sono per caso o per un cieco e amaro destino. Tanto meno la povertà, per la maggior parte di costoro, è una scelta. Eppure – dice il Papa – c’è ancora qualcuno che osa affermarlo, mostrando cecità e crudeltà» (n. 14).

L’avvertimento finale del primo capitolo è quindi molto chiaro: «Anche i cristiani, in tante occasioni, si lasciano contagiare da atteggiamenti segnati da ideologie mondane o da orientamenti politici ed economici che portano a ingiuste generalizzazioni e a conclusioni fuorvianti. Il fatto che l’esercizio della carità risulti disprezzato o ridicolizzato, come se si trattasse della fissazione di alcuni e non del nucleo incandescente della missione ecclesiale, mi fa pensare – scrive il Papa – che bisogna sempre nuovamente leggere il Vangelo, per non rischiare di sostituirlo con la mentalità mondana» (n. 15).

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«Dio sceglie i poveri»

Il secondo capitolo dell’Esortazione – Dio sceglie i poveri – ci fa vedere come Dio abbia scelto e continui a scegliere i poveri. Si è fatto povero egli stesso ed è venuto in mezzo a noi «per liberarci dalla schiavitù, dalle paure, dal peccato e dal potere della morte» (n. 16). Perciò, anche teologicamente, possiamo parlare di «un’opzione preferenziale da parte di Dio per i poveri», come ha riconosciuto l’Assemblea di Puebla ed è stato ricordato nel successivo magistero della Chiesa. Questa «preferenza», aggiunge Leone XIV, non vuol dire esclusivismo o discriminazione verso altri gruppi: «essa intende sottolineare l’agire di Dio che si muove a compassione verso la povertà e la debolezza dell’umanità intera e che, volendo inaugurare un Regno di giustizia, di fraternità e di solidarietà, ha particolarmente a cuore coloro che sono discriminati e oppressi, chiedendo anche a noi, alla sua Chiesa, una decisa e radicale scelta di campo a favore dei più deboli» (n. 16).

Gesù si presenta come un Messia povero, «dei poveri e per i poveri» (n. 19). Nella sua vita pubblica, vive come un maestro itinerante, in una povertà che egli chiede anche ai suoi discepoli, in quanto «è segno del legame con il Padre […], proprio perché la rinuncia ai beni, alle ricchezze e alle sicurezze di questo mondo diventi segno visibile dell’affidarsi a Dio e alla sua provvidenza» (n. 20).

La Scrittura è ricca di esempi che illustrano la misericordia di Dio verso i poveri, richiedendo un simile atteggiamento da parte dei credenti, come viene espresso nella parabola del giudizio finale (cfr Mt 25,31-46). Di fronte a tanta chiarezza, il Papa si interroga: «Tante volte mi domando perché, pur essendoci tale chiarezza nelle Sacre Scritture a proposito dei poveri, molti continuano a pensare di poter escludere i poveri dalle loro attenzioni» (n. 23). E citando Evangelii gaudium, conclude che la Scrittura «è un messaggio così chiaro, così diretto, così semplice ed eloquente, che nessuna ermeneutica ecclesiale ha il diritto di relativizzarlo. La riflessione della Chiesa su questi testi non dovrebbe oscurare o indebolire il loro significato esortativo, ma piuttosto aiutare a farli propri con coraggio e fervore» (n. 31). Così ha fatto la prima comunità cristiana, esempio di «condivisione dei beni e di attenzione alla povertà» (n. 32).

«Una Chiesa per i poveri»


Il terzo capitolo dell’Esortazione, dal titolo Una Chiesa per i poveri, è il più lungo, comprendendo i numeri 35-81. In esso, papa Leone XIV ci offre una sintesi dell’impegno per i poveri e i più deboli lungo tutta la storia della Chiesa. Si comincia dai tempi apostolici, quando già le prime comunità cristiane davano esempio «della necessità di prendersi cura di coloro che erano soggetti a maggiori privazioni» (n. 37) e, come mostra l’atteggiamento di san Lorenzo, li consideravano i veri «tesori della Chiesa» (n. 38). Si passa poi ai Padri della Chiesa, che «riconoscevano nei poveri una via privilegiata di accesso a Dio, un modo speciale per incontrarlo» (n. 39). Nei Padri, «la carità verso i bisognosi non era intesa come una semplice virtù morale, ma come espressione concreta della fede nel Verbo incarnato» (n. 39). Perciò la comunità dei fedeli non considerava i poveri «un’appendice, ma una parte essenziale del suo Corpo vivo» (n. 39) e «la Chiesa nascente non separava il credere dall’azione sociale» (n. 40).

Il Pontefice cita sant’Ignazio di Antiochia, san Policarpo e san Giustino, per poi soffermarsi in particolare su san Giovanni Crisostomo e sant’Agostino. Dagli scritti e omelie di Giovanni Crisostomo si rileva che «egli esortava i fedeli a riconoscere Cristo nei bisognosi», perché «se non incontrano Cristo nei poveri che stanno alla porta, non potranno adorarlo nemmeno sull’Altare» (n. 41). Di conseguenza, il vescovo «denunciava con veemenza il lusso eccessivo, che coesisteva con l’indifferenza verso i poveri» (n. 42). Per quanto riguarda sant’Agostino, egli si era formato alla scuola di sant’Ambrogio, il quale sosteneva che «l’elemosina è giustizia ristabilita, non un gesto di paternalismo» (n. 43). Seguendo il suo maestro, il vescovo di Ippona ha insegnato l’amore preferenziale per i poveri, riconoscendo in essi la presenza sacramentale del Signore (cfr n. 44) e vedendo nella cura dei più bisognosi «una prova concreta della sincerità della fede» (n. 45). Perciò – conclude papa Leone XIV – «in una Chiesa che riconosce nei poveri il volto di Cristo e nei beni lo strumento della carità, il pensiero agostiniano rimane una luce sicura» (n. 47).

Il terzo capitolo prosegue con una sintesi particolarmente suggestiva sull’impegno della Chiesa per i poveri lungo i secoli e in diversi ambiti di attuazione. Si comincia con la cura dei malati e sofferenti, ricordando i molti Istituti religiosi fondati con questa specifica finalità e ribadendo che oggi «questa eredità continua negli ospedali cattolici, nei luoghi di cura aperti in regioni remote, nelle missioni sanitarie operanti nelle foreste, nei centri di accoglienza per tossicodipendenti e negli ospedali da campo in zone di guerra» (n. 52). «Nell’atto di curare una ferita – ribadisce il Pontefice – la Chiesa annuncia che il Regno di Dio inizia tra i più vulnerabili» (n. 52).

L’Esortazione ricorda poi la cura dei poveri nella vita monastica, perché i monasteri, oltre all’assistenza materiale, «svolgevano un ruolo fondamentale nella formazione culturale dei più umili» (n. 57), così che, «dove i monaci hanno aperto le loro porte ai poveri, la Chiesa ha rivelato con umiltà e fermezza che la contemplazione non esclude la misericordia, ma la esige come suo frutto più puro» (n. 58).

Viene anche evocata l’opera di liberazione dei prigionieri, in particolare attraverso l’azione dei Trinitari e Mercedari in favore dei cristiani «catturati nel Mediterraneo o ridotti in schiavitù nelle guerre» (n. 60). Non si rimane però nel passato, perché i bisogni di liberazione sono quanto mai attuali: «Ancora oggi – scrive il Papa – quando “milioni di persone – bambini, uomini e donne di ogni età – vengono private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù”, tale eredità viene portata avanti da questi Ordini e da altre istituzioni e congregazioni che lavorano nelle periferie urbane, nelle zone di conflitto e nei corridoi migratori. Quando la Chiesa si inchina per spezzare le nuove catene che legano i poveri, diventa un segno pasquale» (n. 61).

Un capitolo specifico viene dedicato alla storia della vita religiosa: quello della nascita degli Ordini mendicanti, come i francescani, i domenicani, gli agostiniani e i carmelitani. Non si dimentica nemmeno, in questo contesto, la fondazione, a opera di santa Chiara d’Assisi, dell’Ordine delle Povere Dame, poi chiamate «clarisse». A proposito di san Francesco d’Assisi – figura emblematica del movimento mendicante –, il Papa scrive: «Non ha fondato una realtà di servizio sociale, ma una fraternità evangelica. Nei poveri ha visto fratelli e vive immagini del Signore. […] La sua povertà era relazionale: lo portava a farsi prossimo, uguale, anzi, minore. La sua santità germogliava dalla convinzione che si può ricevere veramente Cristo solo donandosi generosamente ai fratelli» (n. 64). E di san Domenico il Papa sottolinea che «voleva proclamare il Vangelo con l’autorevolezza che deriva da una vita povera, convinto che la Verità abbia bisogno di testimoni coerenti» (n. 66). In sintesi, «i mendicanti – afferma il Pontefice – sono diventati il simbolo di una Chiesa pellegrina, umile e fraterna, che vive tra i poveri non per proselitismo, ma per identità. Insegnano che la Chiesa è luce solo quando si spoglia di tutto, e che la santità passa attraverso un cuore umile e dedito ai più piccoli» (n. 67).

In questa carrellata storica, non viene nemmeno tralasciato l’impegno della Chiesa nell’educazione dei poveri, che ha preso forma negli Istituti religiosi maschili e femminili dedicati alla formazione popolare. Si ricordano a questo proposito gli esempi dei santi Giuseppe Calasanzio, Giovanni Battista de La Salle, Marcellino Champagnat e Giovanni Bosco, e del beato Antonio Rosmini. Nelle parole dell’Esortazione, «l’educazione dei poveri, per la fede cristiana, non è un favore, ma un dovere», con lo scopo non solo di formare professionisti, «ma persone aperte al bene, al bello e alla verità. La scuola cattolica, di conseguenza, quando è fedele al suo nome, si configura come uno spazio di inclusione, formazione integrale e promozione umana, coniugando fede e cultura, semina futuro, onora l’immagine di Dio e costruisce una società migliore» (n. 72).

Podcast | IL PREZZO DELLA DISUGUAGLIANZA


Papa Leone XIV ha lanciato un monito sulla crescente disuguaglianza economica globale. Ma quali sono le ragioni di questo fenomeno e quali i rischi? Lo abbiamo chiesto a due economisti che hanno curato la voce “disuguaglianza” nel Dizionario della Dottrina sociale della Chiesa: Andrea Boitani e Lorenzo Cappellari.

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Dopo l’educazione, Leone XIV ricorda l’importanza dell’accompagnamento dei migranti, nei quali la Chiesa, facendo memoria dell’esperienza del Popolo di Dio, ha sempre riconosciuto «una presenza viva del Signore che, nel giorno del giudizio, dirà a quelli che sono alla sua destra: “Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,35)» (n. 73). Nel secolo XIX, milioni di europei sono emigrati in cerca di migliori condizioni di vita e la Chiesa li ha accompagnati, «offrendo loro assistenza spirituale, legale e materiale» (n. 74). Di questo impegno sono esempio san Giovanni Battista Scalabrini e santa Francesca Saverio Cabrini. Si tratta di un’attività che continua oggi con i migranti e i rifugiati, sottolineando quattro verbi che papa Francesco amava ripetere: accogliere, proteggere, promuovere e integrare (cfr n. 75) e che papa Leone XIV riassume con queste parole quanto mai attuali: «La Chiesa, come una madre, cammina con coloro che camminano. Dove il mondo vede minacce, lei vede figli; dove si costruiscono muri, lei costruisce ponti. Sa che il suo annuncio del Vangelo è credibile solo quando si traduce in gesti di vicinanza e accoglienza. E sa che in ogni migrante respinto è Cristo stesso che bussa alle porte della comunità» (n. 75).

Arrivando ai nostri tempi, il Papa vuole ancora evocare chi ha lavorato o lavora accanto agli ultimi, «nei luoghi più dimenticati e feriti dell’umanità. I più poveri tra i poveri […] occupano un posto speciale nel cuore di Dio»; in essi «la Chiesa ritrova la chiamata a mostrare la sua realtà più autentica» (n. 76). Il più conosciuto degli esempi evocati è quello di santa Teresa di Calcutta, che «non si considerava una filantropa o un’attivista, ma una sposa di Cristo crocifisso, che serviva con amore totale nei fratelli sofferenti» (n. 77). Il suo esempio, come quello di tanti altri, ci insegna «che servire i poveri non è un gesto da fare “dall’alto verso il basso”, ma un incontro tra pari, dove Cristo viene rivelato e adorato» (n. 79). Per cui, come insegnava san Giovanni Paolo II, «c’è una presenza speciale di Cristo nella persona dei poveri, che obbliga la Chiesa a fare un’opzione preferenziale per loro» (n. 79). In questo modo – conclude papa Leone XIV – la Chiesa, «quando si china a prendersi cura dei poveri, assume la sua postura più elevata» (n. 79).

L’ultimo riferimento del capitolo terzo è dedicato ai movimenti popolari per i quali la solidarietà implica combattere le cause strutturali della povertà e promuovere politiche sociali non solo verso i poveri, ma concepite con i poveri e dei poveri.

«Una storia che continua»


La carrellata storica del capitolo terzo di Dilexi te ci aveva già fatto vedere che l’impegno della Chiesa per i poveri continua in tempi più recenti e nei nostri giorni. Il capitolo quarto lo sottolinea in modo particolare, facendo riferimento alla formazione e al contributo della Dottrina sociale della Chiesa e al ruolo di tutti i membri della comunità ecclesiale. Infatti, «il cambiamento d’epoca che stiamo affrontando rende oggi ancora più necessaria la continua interazione tra battezzati e Magistero, tra cittadini ed esperti, tra popolo e istituzioni. In particolare, va nuovamente riconosciuto che la realtà si vede meglio dai margini e che i poveri sono soggetti di una specifica intelligenza, indispensabile alla Chiesa e all’umanità» (n. 82).

Viene ribadito che il Magistero degli ultimi centocinquant’anni è ricco di insegnamenti che riguardano i poveri. Lo si vede negli insegnamenti dei singoli pontefici, da Leone XIII in poi, e nell’insegnamento del Concilio Vaticano II, voluto e convocato da san Giovanni XXIII. Il Concilio «rappresenta una tappa fondamentale nel discernimento ecclesiale riguardo ai poveri, alla luce della Rivelazione» (n. 84), prospettando «la necessità di una nuova forma ecclesiale, più semplice e sobria, coinvolgente l’intero popolo di Dio e la sua figura storica. Una Chiesa più simile al suo Signore che alle potenze mondane, tesa a stimolare in tutta l’umanità un impegno concreto per la soluzione del grande problema della povertà nel mondo» (n. 84).

Nell’insegnamento conciliare e in quello dei Papi si sottolinea come ogni proprietà privata abbia una funzione sociale fondata sulla comune destinazione dei beni. «Questa convinzione è rilanciata da san Paolo VI nell’Enciclica Populorum progressio, dove leggiamo che nessuno può ritenersi “autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario”» (n. 86). A sua volta, san Giovanni Paolo II approfondisce concettualmente «il rapporto preferenziale della Chiesa con i poveri», riconoscendo che «l’opzione per i poveri è una “forma speciale di primazia nell’esercizio della carità cristiana, della quale dà testimonianza tutta la tradizione della Chiesa”» (n. 87). Inoltre, papa Wojtyła colloca il lavoro umano al centro di tutta la questione sociale.

Del contributo di papa Benedetto XVI l’Esortazione ricorda l’identificazione tra il conseguimento del bene comune e l’amore al prossimo: identificazione che egli colloca alla base dell’impegno sociopolitico. Quindi si giunge al pontificato di Francesco. A questo punto, si fa riferimento all’importanza, anche per la Chiesa intera, delle Conferenze dell’Episcopato latinoamericano a Medellín, a Puebla, a Santo Domingo e ad Aparecida, a proposito delle quali papa Leone XIV scrive una nota autobiografica: «Io stesso, per lunghi anni missionario in Perù, devo molto a questo cammino di discernimento ecclesiale che Papa Francesco ha saputo sapientemente legare a quello delle altre Chiese particolari, specie del Sud globale» (n. 89).

Collegando l’insegnamento di papa Francesco con quello dell’Episcopato latinoamericano, Dilexi te si sofferma, alla fine del capitolo quarto, su due tematiche: le «strutture di peccato che creano povertà e disuguaglianze estreme» e i «poveri come soggetti». È l’occasione per ribadire che i deboli o meno dotati sono persone umane, hanno la stessa dignità degli altri e non devono solo limitarsi a sopravvivere. Poi, citando il Documento di Aparecida del 2007, il Pontefice «insiste sulla necessità di considerare le comunità emarginate quali soggetti capaci di creare una propria cultura, più che come oggetti di beneficenza. Ciò implica che tali comunità hanno il diritto di vivere il Vangelo e celebrare e comunicare la fede secondo i valori presenti nelle loro culture. L’esperienza della povertà dà loro la capacità di riconoscere aspetti della realtà che altri non riescono a vedere, e per questo la società ha bisogno di ascoltarli. Lo stesso vale per la Chiesa, che deve valutare positivamente il loro modo “popolare” di vivere la fede» (n. 100).

Le ultime parole del capitolo quarto includono un ringraziamento e un appello. Il ringraziamento è indirizzato a chi ha scelto di stare tra i poveri, vivendo con loro e come loro, «un’opzione che deve trovare posto tra le forme più alte di vita evangelica» (n. 101). L’appello è di lasciarsi evangelizzare dai poveri, riconoscendo «la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro» (n. 102) e accettando di essere sfidati dalla loro esperienza: «Solo mettendo in relazione le nostre lamentele con le loro sofferenze e privazioni è possibile ricevere un rimprovero che ci invita a semplificare la nostra vita» (n. 102).

«Una sfida permanente»


Il quinto e ultimo capitolo dell’Esortazione apostolica, dal titolo Una sfida permanente, inizia ricordando il percorso fatto e spiegando di nuovo i suoi fondamenti. Scrive il Papa: «Ho scelto di ricordare questa bimillenaria storia di attenzione ecclesiale verso i poveri e con i poveri per mostrare che essa è parte essenziale dell’ininterrotto cammino della Chiesa. […] L’amore per i poveri è un elemento essenziale della storia di Dio con noi e, dal cuore stesso della Chiesa, prorompe come un continuo appello ai cuori dei credenti, sia delle comunità che dei singoli fedeli» (n. 103). «Per questo l’amore a coloro che sono poveri […] è la garanzia evangelica di una Chiesa fedele al cuore di Dio» (ivi). I poveri – continua il Papa – non sono da considerare solo come un problema sociale: «essi sono una “questione familiare”. Sono “dei nostri”. Il rapporto con loro non può essere ridotto a un’attività o a un ufficio della Chiesa» (n. 104). Perciò Leone XIV cita la parabola del buon samaritano, riprendendo le parole finali di Gesù come un monito quotidiano a ogni cristiano: «Va’ e anche tu fa’ così» (Lc 10,37).

L’Esortazione ribadisce poi che il rapporto con i poveri arreca benefìci reciproci. I poveri sono aiutati da chi possiede mezzi economici, ma in contraccambio evangelizzano chi li avvicina: «Essi rivelano la nostra precarietà e la vacuità di una vita apparentemente protetta e sicura» (n. 109). I poveri ci riconducono – scrive il Papa – «all’essenziale della nostra fede» (n. 110), perché «non sono una categoria sociologica, ma la stessa carne di Cristo […], carne che ha fame, che ha sete, che è malata, carcerata» (n. 110). Infine, non si deve dimenticare – afferma Leone XIV, citando l’Evangelii gaudium di papa Francesco – che, senza sottovalutare l’importanza dell’impegno per la giustizia, la mancanza di attenzione spirituale è la peggiore discriminazione di cui soffrono i più deboli. Perciò, «l’opzione preferenziale per i poveri deve tradursi principalmente in un’attenzione religiosa privilegiata e prioritaria» (n. 114).

È significativo e per alcuni versi inaspettato che la conclusione di Dilexi te sia dedicata all’elemosina: «ancora oggi, dare», si scrive. Si ribadisce ovviamente che la cosa più importante è aiutare il povero ad avere un lavoro che gli permetta di guadagnarsi la vita in un modo degno; però, quando questo non è ancora possibile, «l’elemosina – afferma il Pontefice – rimane un momento necessario di contatto, di incontro e di immedesimazione nella condizione altrui» (n. 115). Essa non sostituisce l’impegno delle istituzioni né la lotta per la giustizia, «però invita almeno a fermarsi e a guardare in faccia la persona povera, a toccarla e a condividere con lei qualcosa del proprio. In ogni caso, l’elemosina, anche se piccola, infonde pietas in una vita sociale in cui tutti si preoccupano del proprio interesse personale» (n. 116).

L’appello finale di papa Leone XIV a ognuno di noi è molto chiaro e ricorda, ancora una volta, il rapporto, che possiamo chiamare «sacramentale», con i poveri: «Sia attraverso il vostro lavoro, sia attraverso il vostro impegno per cambiare le strutture sociali ingiuste, sia attraverso quel gesto di aiuto semplice, molto personale e ravvicinato, sarà possibile per quel povero sentire che le parole di Gesù sono per lui: “Io ti ho amato” (Ap 3,9)» (n. 121).

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[1] Il testo dell’Esortazione apostolica si può trovare in vatican.va/content/leo-xiv/it/…

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