L’illusione della flessibilità nelle organizzazioni
La flessibilità è un valore positivo, legato alla capacità di adattamento, alla libertà operativa e alla riduzione delle rigidità gerarchiche. Ma, come ha osservato Zygmunt Bauman, in una modernità dove tutto è instabile, una certa esaltazione della flessibilità rischia di mascherare una realtà di precarietà sistemica più che di reale emancipazione. Questa retorica, per quanto seducente, rischia infatti di rivelarsi ambigua e potenzialmente dannosa se non è sostenuta da una struttura ben delineata di ruoli, funzioni e responsabilità. È proprio questa intellegibilità dei ruoli a rendere possibile il cambiamento e, con esso, una flessibilità autentica.
Diverso è il caso in cui le risorse sono limitate e poche persone devono coprire molte funzioni: a volte basterebbe riconoscerlo apertamente, invece di rifugiarsi nella formula del “siamo flessibili”. Una semplice presa di coscienza può migliorare sensibilmente l’organizzazione — e, non da ultimo, anche i bilanci.
Perché alla base, ancora una volta, c’è la questione dell’intellegibilità: sapere chi fa cosa, e perché.
Una struttura priva di un impianto organizzativo definito non è flessibile: è semplicemente disorientata. Ed è proprio questa mancanza di chiarezza a renderla più rigida nelle risposte, con il risultato di perdere opportunità e disperdere risorse.
La flessibilità si fonda su un sistema di riferimento capace di garantire coordinamento nei momenti di cambiamento, attribuire significato ai ruoli e migliorare la qualità delle interazioni. Basti pensare a un equipaggio che deve cambiare rotta: ognuno sa cosa deve fare, conosce il ruolo dell’altro, e ogni variazione viene comunicata a tutto il team in modo tempestivo e trasparente.
In mancanza di questo ancoraggio, quella che viene definita flessibilità non è altro che disfunzionalità. L’assenza di un’organizzazione non può essere intesa in alcun modo come apertura né come segno di orizzontalità: è spesso il sintomo di una fragilità sistemica che incide sulla qualità delle relazioni professionali, ostacola i processi e mina la sostenibilità complessiva dell’agire collettivo.
In definitiva, senza un’ossatura chiara, la flessibilità smette di essere una risorsa e diventa una parola che giustifica il disordine.
Che fare, quindi? Dirsi le cose come stanno non è mai un vero problema.
Definire con chiarezza ruoli e funzioni — anche quando richiede fatica e può generare attriti — è, in realtà, un alleggerimento per tutti. Assumersi la responsabilità delle scelte e lavorare con lucidità significa prendersi cura, di sé e degli altri, e costruire le condizioni di un futuro più solido e sostenibile.