Il Pkk e la svolta storica di Öcalan
Dopo 40 anni di lotta armata, il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), il gruppo armato curdo che ha combattuto per l’indipendenza e l’autonomia della popolazione curda, ha annunciato ufficialmente di deporre le armi nella sua lotta contro lo Stato turco, che considera questa organizzazione il suo principale nemico. Ciò è avvenuto dietro iniziativa del suo leader supremo, Abdullah Öcalan, imprigionato nell’isola di Imrali, nel Mar di Marmara, e su decisione del Comitato esecutivo del Pkk, che ha la sua sede nel Nord dell’Iraq. Öcalan non guida più attivamente l’organizzazione dal 1999 (anno del suo arresto), ma la sua figura rimane centrale nella storia del movimento. Di fatto, egli continua a esercitare una grande influenza sull’organizzazione e sulla sua ideologia politica. La decisione avrà certamente conseguenze, oltre che in Turchia, anche in tutta la regione, soprattutto in Siria e in Iraq, dove sono attivi gruppi alleati o vicini al Pkk[1].
Ricordiamo che i curdi in Medio Oriente sono circa 40 milioni[2], distribuiti in diversi Paesi (Turchia, Siria, Iraq e Iran); 15 milioni sono presenti nella parte anatolica della Turchia[3], dove si è sviluppata l’organizzazione armata. Se alle parole e alle decisioni seguiranno i fatti, come si spera, si tratterebbe di una svolta storica per la Turchia e per l’intero Medio Oriente, che non va in nessun modo sottovalutata.
Il messaggio di Öcalan
Il messaggio di Öcalan è datato 25 febbraio 2025 ed è stato letto in una conferenza stampa da una rappresentanza del partito filo-curdo Dem (Partito democratico dei popoli), la terza forza politica rappresentata nel Parlamento turco e il maggior partito di opposizione. Si legge nel documento: «Non c’è alternativa alla democrazia per ottenere rispetto per le identità, libera espressione e autoorganizzazione democratica. Tutti i gruppi devono abbandonare le armi, il Pkk deve sciogliersi». Öcalan poi afferma: «La volontà di Bahçeli, insieme con la volontà de Presidente [Erdoğan] e le risposte positive degli altri partiti hanno creato le condizioni per chiedere di deporre le armi. Davanti alla Storia mi prendo la responsabilità di questo appello»[4].
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Era dal mese di ottobre 2024 che il governo turco trattava con i curdi, attraverso la mediazione di Devlet Bahçeli, per porre fine al lungo conflitto che, a partire dagli anni Ottanta, aveva causato la morte di circa 40.000 persone. Va ricordato che Bahçeli è un leader del Partito del movimento nazionalista (Mhp), che è al governo con Erdoğan, quindi tradizionalmente lontano dalla causa nazionale curda[5]. I colloqui si sono intensificati dopo la caduta, a dicembre, di Assad in Siria, che faceva intravedere ai turchi maggiori spazi di manovra e la possibilità di porre fine al terrorismo curdo. Il Pkk è considerato un’organizzazione terroristica non solo dalla Turchia, ma anche dagli Stati Uniti e dall’Unione europea. Da parte curda, la svolta per l’autoscioglimento è maturata in tre incontri in carcere tra Öcalan e alcuni deputati del Partito democratico dei popoli. L’appello ha avuto un’accoglienza positiva sia da Nechirvan Barzani, il leader curdo della regione autonoma irachena, dove il Pkk ha basi e depositi di armi, sia dalla comunità internazionale, come l’Onu, la Casa Bianca e le cancellerie occidentali[6].
Un’opportunità storica
Il presidente turco Erdoğan ha definito l’annuncio un’opportunità storica, ma non si sa ancora che cosa abbia concesso o concederà in cambio il governo di Ankara, anche se Öcalan, che è un fine politico, ha certamente ricevuto alcune promesse. I curdi, da parte loro, vogliono diritti, autonomia amministrativa e la liberazione di centinaia di prigionieri politici rinchiusi nelle carceri turche[7]. Tra essi, il leader del Dem Selahattin Demirtaş, condannato a 42 anni di prigione con una sentenza contestata dalla Corte di giustizia europea. Come minimo, il Dem si aspetta la fine della repressione che deve subire in quanto viene considerato dal governo in carica il braccio politico del Pkk: un’accusa che è stata sempre negata dal partito filo-curdo. Inoltre, si aspetta il riconoscimento della legittimità delle elezioni amministrative in molti comuni curdi: negli ultimi 10 anni oltre un centinaio di sindaci del partito Dem, democraticamente eletti, sono stati licenziati e sostituiti dal governo, e in alcuni casi arrestati. Decine di altri politici curdi hanno subìto la stessa sorte.
L’appello di Öcalan e l’autoscioglimento del Pkk dovrebbero normalizzare la situazione e avviare un processo di pacificazione, sebbene Erdoğan abbia detto che non intende scendere a patti con il Pkk. Ciò che la Turchia sta cercando, egli ha dichiarato, non è un processo di pace, ma la resa incondizionata del movimento armato. Nel primo sabato di Ramadan, il premier ha affermato di essere pronto a riprendere le operazioni militari contro il Pkk, fino all’eliminazione dell’ultimo terrorista, «se la promessa di lasciare le armi rimane in stallo e vedremo solo qualche mossa apparente e qualche cambio di nome»[8].
Non tutti nell’organizzazione hanno accolto favorevolmente l’appello di Öcalan; Cemil Bayik, uno dei fondatori del Pkk e membro del Consiglio esecutivo dell’Unione delle comunità curde, in un messaggio ha affermato: «Il popolo curdo combatte per difendersi ed evitare lo sterminio. Se ci siamo armati, è perché la Turchia persegue politiche di violenza, guerra e massacri per eliminare i curdi. Se il Pkk si disarma, si risolve il problema? No. Se lo “zio” Öcalan fa questo appello, il problema svanisce? No. Lo Stato turco sta ingannando sia la sua società sia la comunità internazionale»[9].
Cauta è stata la reazione di Mazloum Abdi, comandante delle Forze democratiche siriane (Fds), che sostengono i curdi al confine siriano nel Rojava. Egli ha detto di accogliere con favore la prospettiva di pace in Turchia, ma ha lasciato intendere che il suo gruppo non è vincolato alle dichiarazioni del Pkk: «Non vogliamo sciogliere le Fds; al contrario, crediamo che rafforzeranno il nuovo esercito siriano»[10].
Nonostante lo scetticismo di una parte dei miliziani curdi, la dirigenza del Pkk ha accolto l’appello di Öcalan e ha dichiarato unilateralmente il cessate il fuoco a partire dal 1° marzo 2025, per «aprire la strada alla pace – si legge nel comunicato – e a una società democratica», sottolineando che, se «non saremo attaccati, non attaccheremo»[11]. Secondo quanto dichiarato, il gruppo è pronto a convocare un congresso che sancirà formalmente l’autoscioglimento dell’organizzazione paramilitare, come stabilito dal suo fondatore. A tale riguardo, si chiede che Öcalan venga rilasciato dalla prigione e che possa presiedere il congresso. Cosa che non sembra per nulla facile.
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Le incognite sul futuro di milioni di rifugiati, le città devastate da anni di guerra e una pace ancora fragile. A raccontarci da Damasco come sta vivendo questo momento di incertezza la popolazione siriana è p. Vincent de Beaucoudrey S.I., direttore del Jesuit Refugee Service in Siria.
Insomma, siamo di fronte a un passaggio storico, che dovrebbe segnare la fine del lungo e sanguinoso conflitto tra Pkk e Stato turco. Secondo Gülistan Kiliç Koçyiğit, vicepresidente del partito Dem, «adesso si apre un’occasione grazie alla quale non solo i curdi, ma tutti i turchi possono vincere. Perché ciò che chiamiamo questione curda è in realtà una questione di libertà, un problema di uguaglianza, un problema del riconoscimento dell’identità, un problema di accettazione come popolo»[12].
Secondo alcuni osservatori, lo scioglimento del gruppo armato negli ultimi tempi era prevedibile, dal momento che esso aveva subìto numerose sconfitte da parte dell’esercito turco. «Da un punto di vista militare – si è detto –, l’organizzazione è molto indebolita. I suoi vertici hanno accettato l’accordo anche perché negli ultimi dieci anni la Turchia ha fatto notevoli sforzi, in termini di nuove tecnologie, droni e armi, per indebolirlo militarmente»[13].
Öcalan dalla lotta armata alla lunga prigionia
Ma chi è Abdullah Öcalan, denominato dai propri sostenitori e amici «Apo» (in curdo, «zio»)? Nato nel 1949 da una famiglia di contadini nel villaggio di Omerli, Öcalan si avvicinò all’estrema sinistra quando frequentava, ad Ankara, la Facoltà di Scienze politiche. Nel 1978, assieme a un gruppo di studenti universitari curdi, fondò il Pkk, ponendo l’ideologia marxista-leninista alla base della lotta di liberazione del Kurdistan. Ne 1980 fu mandato in esilio fuori dalla Turchia e iniziò il suo peregrinare tra Damasco e la Valle della Bekaa libanese (che a quel tempo apparteneva alla Siria). Lì i curdi del Pkk si addestravano per la lotta armata, sparando a manichini e imparando ad assemblare ordigni esplosivi[14]. Nel 1998 Damasco gli intimò di abbandonare il Paese, e così Öcalan continuò la sua peregrinazione alla ricerca di un asilo politico. Dopo aver cercato rifugio in Russia, in Italia (65 giorni) e in Grecia, nel 1999 venne catturato a Nairobi, in Kenya, dagli agenti dei servizi segreti turchi. Detenuto nell’isola-prigione di Imrali, fu condannato alla pena di morte per tradimento e attentato alla sovranità dello Stato. Questa pena nel 2002 gli fu commutata in ergastolo.
L’attività terroristica del movimento cominciò nell’estate del 1984, quando il Pkk prese di mira le postazioni e i blindati dell’esercito turco. Fu l’inizio di uno scontro che durò 40 anni ed ebbe il suo epicentro nel sud-est della Turchia, regione a maggioranza curda[15]. Lo scontro, negli anni, assunse i connotati di una vera e propria guerra civile combattuta da un’organizzazione paramilitare (composta da circa 10.000 guerriglieri) che sia Ankara sia i Paesi occidentali considerano terroristica. Öcalan è ritenuto il leader dell’organizzazione; la sua persona è quasi oggetto di culto da parte dei suoi sostenitori, e di fatto le sue decisioni influenzano i destini dei curdi turchi, siriani e iracheni. Del resto, è proprio in Iraq, sulle montagne di Qandil, al confine con l’Iran, che è situato il quartiere generale dell’organizzazione.
I 26 anni di prigionia in un carcere di massima sicurezza, e in regime di isolamento, per Öcalan non sono trascorsi invano. Per l’organizzazione da lui creata è stato come un nuovo inizio sotto il profilo ideologico-politico. In quegli anni, egli ha cambiato il paradigma della lotta curda, «passando dall’indipendenza e dai postulati marxisti-leninisti a una visione confederale per i popoli del Medio Oriente, basata sulla democrazia diretta, sul femminismo e sull’ambientalismo, che oggi è condiviso da gran parte delle organizzazioni curde»[16]. In effetti, anche se i curdi sono in gran parte musulmani sunniti, nelle loro comunità le donne hanno ruoli politici e amministrativi di rilievo e l’autonomia locale di solito è molto sviluppata. Va anche sottolineato che essi non sono, come gli sciiti o i drusi, una fazione del variegato molto islamico, ma semplicemente un popolo che vive sparso in diversi Paesi, senza patria, senza uno Stato che li rappresenti.
Tornando all’appello di Öcalan, va ricordato che esso non è l’unico da lui lanciato in tutti questi anni. Altri appelli per la pacificazione erano stati inviati dalla prigione di Imrali. In quello del 28 settembre 2006, Öcalan, attraverso il suo legale, chiedeva al Pkk di dichiarare un armistizio e di cercare di raggiungere la pace con la Turchia: «È molto importante – scriveva – costruire un’unione democratica tra i turchi e i curdi. Con questo processo la via al dialogo democratico verrà finalmente aperta»[17]. Il messaggio non ebbe però alcun risultato e la lotta continuò come prima. Un nuovo appello dello stesso tenore fu lanciato nel marzo del 2013, quando Erdoğan era primo ministro e considerava Öcalan, per la sua grande autorevolezza e popolarità tra i curdi, la persona giusta per porre fine ai combattimenti. In un messaggio letto davanti a un’immensa folla radunata in occasione del capodanno curdo, nel marzo del 2015, Öcalan scrisse: «Questa lotta del nostro movimento quarantenne, che è stata piena di dolore, non è andata sprecata, ma allo stesso tempo è diventata insostenibile»[18]. Allora si arrivò a un cessate il fuoco, che però dopo pochi mesi, il 25 luglio 2015, saltò, e il conflitto entrò nella sua fase più sanguinosa. In quella occasione alcune città a maggioranza curde, come Diyarbakir, furono distrutte dall’esercito turco.
La differenza tra gli appelli precedenti di Öcalan e l’ultimo è che, mentre i primi chiedevano una tregua nei combattimenti, ora il leader e il comitato esecutivo del Pkk chiedono all’organizzazione di deporre le armi, di sciogliersi e di accettare il percorso democratico nazionale. Il cammino verso la pacificazione appare non scontato. La decisione del Pkk ha rappresentato certamente un’apertura importante, ma è stata accolta con cautela da entrambi i fronti. Alcuni settori della società turca hanno denunciato l’operazione come un tradimento nei confronti delle famiglie delle vittime degli attentati del Pkk. Inoltre, tra le forze nazionaliste c’è un forte scettiscismo nei confronti della pacificazione; in particolare, c’è il timore che ai curdi vengano concessi diritti di autoregolamentazione troppo ampi[19].
Conclusione
L’appello di Öcalan avrà una grande ripercussione anche fuori della Turchia, in particolare al confine siriano del Rojava, roccaforte dei curdi, dove le Fds, sostenute militarmente dagli Stati Uniti (presenti nel territorio con circa 2.000 soldati[20]), subiscono le pressioni sia dal nuovo governo di Damasco sia dalla Turchia, che ne chiedono insistentemente la soppressione. In particolare, la nuova leadership siriana, guidata dal presidente ad interim Ahmed al-Sharaa, vuole che le Fds si disarmino e si sciolgano, proponendo di inserirne una parte nel nuovo esercito nazionale siriano e, inoltre, che il controllo delle numerose riserve di idrocarburi nelle regioni in mano alle forze curde venga trasferito a Damasco[21]. I curdi, da parte loro, sono disposti a integrarsi in Siria, ma come unità collettiva, non come individui[22].
La Turchia nel frattempo ha minacciato un’offensiva di terra contro le milizie curde presenti nel Fds[23], perché le considera un’estensione del Pkk. Da tempo Ankara stava pianificando un’operazione contro il Pkk nel nord della Siria. Questo non è stato possibile, perché all’inizio del 2025 c’è stato un cambio di potere a Damasco[24]. Recentemente, il governo di al-Sharaa ha raggiunto un accordo con il capo delle Fds per l’integrazione di tutte le istituzioni civili e militari curde del nord-est della Siria, all’interno dell’amministrazione statale. L’attuazione di questo piano è prevista entro la fine del 2025. Nell’accordo è specificato che «la comunità curda è una componente essenziale dello Stato siriano, che garantisce il suo diritto alla cittadinanza e tutti i suoi diritti costituzionali»[25].
Infine, l’appello di Öcalan alla pacificazione ha anche un’importante ricaduta sulla politica interna turca. Erdoğan, il cui mandato presidenziale scade nel 2028, non potrà ricandidarsi, a meno che non riuscirà a convincere il Parlamento a modificare la Costituzione o a indire elezioni anticipate. Poiché il suo Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp) e il suo partner di coalizione (ilPartito del Movimento Nazionalista) non hanno i numeri per portare avanti tale progetto, egli potrebbe aver bisogno dell’aiuto di un altro grande partito. Alcuni osservatori «ritengono che egli finirà per usare il nascente processo di pace e il possibile sostegno del Dem, partito filo-curdo, per ottenere ciò che vuole»[26]. In ogni caso, lo scioglimento del Pkk potrebbe dargli quella spinta di popolarità fondamentale per prolungare il suo governo. Erdoğan «potrebbe passare alla storia come colui che ha ridimensionato o addirittura pacificato e completamente disarmato il Pkk»[27]. E questo gli darà, anche in termini elettorali, molto credito.
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[1] Cfr F. Gnetti, «Come la decisione di Öcalan può cambiare le cose in Siria e in Iraq», in Internazionale, 6 marzo 2025.
[2] Cfr P. Haski, «Il futuro del popolo curdo dopo il discorso di Abdullah Öcalan», in Internazionale, 28 febbraio 2025.
[3] Cfr «One of the world’s longest conflicts may be ending», in The Economist, 27 febbraio 2025.
[4] F. Tonacci, «Turchia, storico appello di Öcalan: “Il Pkk si sciolga e deponga le armi”», in la Repubblica, 28 febbraio 2025.
[5] Cfr M. Ricci Sargentini, «La svolta storica di Öcalan: “Basta armi, il Pkk si sciolga”», in Corriere della Sera, 28 febbraio 2025, 14.
[6] Cfr ivi.
[7] Cfr P. Haski, «Il futuro del popolo curdo dopo il discorso di Abdullah Öcalan», cit.
[8] F. Tonacci, «Il Pkk depone le armi. Svolta storica in Turchia: “Ora liberate Öcalan”», in la Repubblica, 2 marzo 2025.
[9] Id., «Turchia, storico appello di Öcalan: “Il Pkk si sciolga e deponga le armi”», cit.
[10] T. Krotoff, «Cosa cambia dopo l’invito di Öcalan a deporre le armi», in Internazionale, 7 marzo 2025.
[11] F. Tonacci, «Il Pkk depone le armi…», cit.
[12] Ivi.
[13] T. Krotoff, «Cosa cambia dopo l’invito di Öcalan a deporre le armi», cit.
[14] Cfr F. Tonacci, «Lo zio che sognava una patria e ha mostrato al mondo la causa del popolo curdo», in la Repubblica, 28 febbraio 2025.
[15] I curdi in Turchia rappresentano il 20% della popolazione. Cfr P. Haski, «Il futuro del popolo curdo dopo il discorso di Abdullah Öcalan», cit.
[16] M. Ricci Sargentini, «La lotta, la fuga e l’infinita prigionia. L’odissea di “Apo” che coinvolse l’Italia», in Corriere della Sera, 28 febbraio 2025, 15.
[17] Ivi.
[18] Ivi.
[19] Cfr msn.com/it-it/notizie/mondo/tu…
[20] Erdoğan ha chiesto a Trump di ritirare le truppe e di lasciare che l’esercito turco si occupi della gestione dei campi di detenzione dove sono internati i guerriglieri dell’Is e le loro famiglie. Considerata la politica di disimpegno del nuovo Presidente, è possibile che gli Usa in futuro abbandonino il Paese.
[21] Cfr «One of the world’s longest conflicts may be ending», cit.
[22] Cfr F. Gnetti, «Come la decisione di Öcalan può cambiare le cose in Siria e in Iraq», cit.
[23] Le cosiddette «Unità di difesa popolare», che costituiscono la spina dorsale delle Fds.
[24] Cfr C. Hage, «L’ultimatum della Turchia alle forze curde», in Internazionale, 17 gennaio 2025.
[25] F. Tonacci, «Siria, caccia jihadista agli alawiti. Damasco fa l’accordo con i curdi», in la Repubblica, 11 marzo 2025.
[26] «One of the world’s longest conflicts may be ending», cit.
[27] T. Krotoff, «Cosa cambia dopo l’invito di Öcalan a deporre le armi», cit.
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