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Pensare la salvezza con Dostoevskij


Murale raffigurante Dostoevskij nella metro di Mosca.
«Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me,
che sono mite e umile di cuore,
e troverete ristoro per la vostra vita» (Mt 11,29).

Fëdor Michajlovič Dostoevskij (1821-81) è considerato uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi. Le sue opere tratteggiano il mistero insondabile dell’essere umano in bilico tra bene e male. Le grandi questioni etiche e religiose – come il libero arbitrio e l’esistenza di Dio – sono al centro dei suoi quattro «grandi» romanzi: Delitto e castigo (1866), L’idiota (1869), I demoni (1871) e I fratelli Karamazov (1880).

Il potere evocativo delle opere di Dostoevskij è straordinario: in forma narrativa, egli affronta le grandi domande teologiche dell’uomo. Il risultato è una prospettiva teologica sulla vita aperta a numerosi orizzonti di riflessione. Per questo le sue opere possono offrire lo spunto per alcune considerazioni su un concetto teologico fondamentale come quello di salvezza. Tema centrale per il cristianesimo, la salvezza non può essere definita dogmaticamente in tutta la sua complessità.

In queste pagine cercheremo dunque di tracciare alcune linee di riflessione su questo tema, a partire da alcune opere dello scrittore russo. In particolare, sono due le prospettive che affronteremo. In primo luogo, cercheremo di esplorare la dimensione salvifica della mitezza di Cristo, frutto di un suo sguardo misericordioso verso ogni uomo. Poi ci concentreremo su un aspetto più metanarrativo: possiamo parlare di un cammino di salvezza del lettore di Dostoevskij, di chi legge le sue pagine, in dialogo con la penna dello scrittore russo?

È un percorso in tre tappe: partiamo dalla figura di Gesù – così come emerge da alcuni testi di Dostoevskij –, per passare poi al protagonista de L’idiota, simbolo di Cristo, e infine alla relazione tra i due personaggi principali di Delitto e castigo: Sonja e Raskolnikov.

Il Cristo di Dostoevskij


Per comprendere il sentire religioso di Dostoevskij, è essenziale guardare al suo appassionato interesse per la figura di Cristo. A questo proposito, uno dei testi dello scrittore russo è altamente emblematico. In una commovente lettera scritta subito dopo la sua liberazione dalla Siberia, egli afferma: «Quante terribili sofferenze mi è costata e mi costa ora questa sete di fede, la quale è tanto più forte nell’anima mia, quanto più sogno gli argomenti contrari! E tuttavia Dio mi manda talvolta dei minuti nei quali io sono del tutto sereno; in questi minuti io amo e trovo di essere amato dagli altri, e in questi minuti io ho cercato in me stesso il simbolo della fede, nel quale tutto mi è caro e sacro. Questo simbolo è molto semplice, eccolo: credere che non c’è nulla di più bello, di più profondo, di più simpatico, di più ragionevole, di più virile e perfetto di Cristo […]. E non basta; se mi si dimostrasse che Cristo è fuori della verità ed effettivamente risultasse che la verità è fuori di Cristo, io preferirei restare con Cristo anziché con la verità»[1].
Questa frase testimonia la fede di Dostoevskij in Gesù, visto come presenza reale in cui si irradia lo splendore dell’essere umano, una bellezza fonte di «pace assoluta». È una presenza che tocca la testa e il cuore e attrae verso un amore salvifico.

Prima di affrontare i personaggi – il principe Myškin e Sonja, due figure simbolo di Cristo –, possiamo osservare brevemente come Gesù stesso viene raffigurato ne La leggenda del Grande Inquisitore, il racconto di Ivan al fratello Alëša ne I fratelli Karamazov. Emerge un ritratto personale del Salvatore, in cui affiorano le caratteristiche essenziali dei personaggi cristologici di Myškin e Sonja.

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Nel racconto, Gesù torna sulla Terra, a Siviglia, al tempo della Santa Inquisizione e viene imprigionato come eretico. Un cardinale – il Grande Inquisitore del titolo – lo visita durante la notte e lo interroga sul valore della libertà per l’uomo. Con brillanti argomentazioni, il cardinale denuncia una mancanza di amore nel dono di tale terribile libertà: un dono che gli uomini, nella loro debolezza, non sono in grado di gestire. Il cardinale parla a lungo e in modo convincente. Nelle sue efficaci argomentazioni non mancano argute osservazioni, valide per l’uomo di ieri e per quello di oggi: meriterebbero uno studio a sé. Tuttavia, in queste pagine a noi interessa la risposta di Gesù. Egli rimane in silenzio per tutto il lungo discorso e ascolta con mitezza le formidabili parole del suo avversario; infine, sempre in silenzio, si alza e lo bacia dolcemente.

Come sottolinea Ivan nella conclusione del suo racconto, il bacio di Gesù brucia nel cuore dell’Inquisitore. È questo il possibile inizio di un percorso di salvezza in cui la libertà dell’uomo – al centro del monologo dell’Inquisitore – e la sua capacità di scegliere a partire da una determinata visione dell’umanità e del mondo vengono messe in gioco da un atto che, più forte di qualsiasi argomento, può stravolgere un’intera vita? La bellezza inquietante di questo gesto di Gesù non può non interpellare il lettore, facendo «ardere» il suo stesso cuore e portandolo a riflettere sull’eterna possibilità di strade alternative a ogni gesto di vendetta o di violenza. Anche nelle situazioni più disperate, un disarmante gesto d’amore può aprire possibilità di salvezza, spianare la strada per un cammino d’amore, di pace o di riconciliazione che a prima vista sembra impossibile.

Vedremo come simili gesti di dolcezza, interpretabili come un’incarnazione dell’invito evangelico ad amare i propri nemici, trovino nuova luce nelle azioni del principe Myškin e di Sonja. In fondo, possiamo vedervi, riscritto dalla penna avvincente di Dostoevskij, l’atteggiamento pacifico di Cristo durante la sua passione.

A partire da questa prospettiva, l’intera opera dello scrittore russo abbozza possibili risposte al mistero del male. Tristemente presente in questo mondo, esso fa risplendere la bellezza di Cristo e il suo invito a stare al suo fianco nella lotta intrapresa contro di lui. La risposta di Gesù, che, attraverso la sua apparente passività, mostra una forza di apertura all’altro colma di fiducia, ci rivela un cammino di radicale bellezza, di opposizione vittoriosa al male. E la salvezza, per il lettore stesso, può arrivare lasciandosi toccare dallo splendore di questa meraviglia, che brucia nel cuore e lascia senza parole, primo momento di un possibile cammino di conversione verso il Cristo della vita.

Il principe Myškin, «figura Christi»


Nell’universo spirituale-letterario di Dostoevskij, L’idiota è un romanzo che comprende tutti i grandi temi della sua opera. Al centro c’è il dilemma dell’esistenza, il campo di un gioco sfuggente tra bene e male, tra bellezza e orrore, in cui la persona del principe Myškin – l’«idiota» del titolo – è un raggio di luce sconvolgente e affascinante. Tornato a San Pietroburgo da un sanatorio svizzero, il mite e compassionevole principe Myškin si trova coinvolto in un triangolo amoroso tra due donne agli antipodi: Aglaja, giovane aristocratica, e Nastasja, simbolo della donna perduta. Quest’ultima è stata la concubina dell’aristocratico Totskij, che ha abusato di lei sin da bambina. Rappresenta la donna perduta, irrimediabilmente macchiata da «una colpa» di cui non è responsabile.

Tra le due donne, Myškin, per compassione, sceglie Nastasja. Consapevole dell’assoluta bontà del principe, ella esita a lungo; alla fine, sentendosi indegna del suo amore, si concede a Rogožin (personaggio ambiguo, figlio squattrinato di un ricco mercante). Quest’ultimo intuisce la vera natura della sua scelta, impazzisce di gelosia e la uccide. Myškin, di fronte al corpo della donna uccisa, sprofonda in una disperata follia.

Ispirandosi a Cristo, Dostoevskij ha voluto rappresentare nel principe la grandezza assoluta di un’anima davvero bella, la cui luminosa bontà si scontra con un mondo dove le passioni umane più violente lottano con la sua fragile e luminosa purezza. Nel contesto del romanzo, Myškin appare al tempo stesso disarmante e disarmato. In effetti, la ricca dialettica suggerita dall’accostamento di questi due participi – disarmato e disarmante – può essere considerata centrale per sottolineare il potere salvifico della figura del principe. Ci sono due aspetti centrali in lui. Il primo è la sua capacità di vedere ovunque la bontà originaria dell’uomo. La sua illimitata fiducia in ogni persona gli permette di leggere e comprendere con una dolcezza priva di giudizio quanto di più profondo si trova in ogni cuore. Questo aspetto evoca l’amore di un Dio il cui sguardo misericordioso non cessa di accogliere e perdonare. In secondo luogo, nella sua apparente ingenuità, nella sua radicale bontà, gli altri comprendono meglio sé stessi, messi a nudo nella propria meschinità. I protagonisti del romanzo non sempre sopportano tale «riflesso cristico». A volte ne sono attratti, a volte ne sono respinti. L’autentica bontà di Cristo illumina e accompagna i personaggi a fare luce su sé stessi: è il primo passo per accogliere la verità di Dio nella propria vita. Si tratta di un atteggiamento profondamente cristico, come ricorda l’episodio della Samaritana al pozzo (cfr Gv 4,5-42).

Prima di esaminare più in dettaglio il ruolo salvifico del protagonista, è necessario fare una premessa: il principe Myškin non è un ritratto letterario di Cristo, come nell’episodio del Grande Inquisitore citato in precedenza. Nemmeno i suoi pensieri e le sue azioni si riferiscono in modo esplicito a Gesù, come nel caso di Sonja di Delitto e castigo. Ne L’idiota, Dostoevskij ci fa percepire qualcosa della persona di Cristo – il suo stile mite, capace di portare luce e verità alle persone che incontra –, senza riferirsi esplicitamente a lui. Questo è centrale per comprendere il valore «incompleto» del suo ruolo salvifico, in cui, a differenza di Delitto e castigo, l’epilogo è ben lontano da una gloriosa risurrezione dei protagonisti.

Per meglio cogliere il valore teologico di una riflessione sulla salvezza a partire da questo romanzo, ora vedremo brevemente il ruolo simbolico di «salvatore mite e umile di cuore» del principe Myškin in relazione a tre concetti chiave del mistero pasquale: sacrificio, espiazione e sostituzione.

Il sacrificio del principe Myškin


Possiamo iniziare a riflettere sul ruolo salvifico di questo personaggio de L’idiota presentando in termini teologici quello che può essere definito il suo «sacrificio». Per farlo, è essenziale tratteggiare brevemente, da una prospettiva biblica, il significato profondo di questo termine. Il sacrificio parla di un’esperienza che riguarda il senso più profondo dell’esistenza e la sua relazione con il divino.

Se guardiamo all’etimologia, «sacrificare», sacrum facere, significa «rendere sacro»: si rinuncia a un qualcosa per metterlo a disposizione della divinità. Rinunciando a qualcosa che gli appartiene, l’uomo si impegna in un atteggiamento in cui riconosce l’esistenza di una forza più grande della sua stessa vita e vi si «sottomette». Il sacrificio di Cristo può essere visto come l’offerta della propria vita a Dio Padre per l’umanità. Con il suo gesto gratuito, egli ha «reso sacra» l’esistenza, concepita come il riconoscimento di una situazione di dipendenza da un Dio di amore – origine e fine ultimo di ogni vita – e che trova pieno compimento nel servizio fraterno, vissuto fino al dono totale di sé[2].

Se ci riferiamo al principe Myškin, possiamo vedere la sua vita come un’esistenza ordinata agli altri, portatori di una dignità trascendente, il cui valore interpella il suo proprio essere. Il protagonista non esita a rinunciare alla possibilità di una vita familiare felice con Aglaja, che ama, per sposare Nastasja, verso cui prova compassione. È un sacrificio che esprime il sacro desiderio di donare il suo amore e la sua vita per dare nuova dignità a una donna la cui esistenza è stata irrimediabilmente corrotta.

L’espiazione del principe Myškin


L’espiazione può essere vista come l’atteggiamento morale del colpevole che accoglie la sua punizione per riparare alla sua colpa nei confronti di qualcuno: la presenza di una relazione è dunque centrale. In questa prospettiva, possiamo interpretare l’atteggiamento e le azioni di coloro che desiderano l’espiazione come una forma di preghiera, una fervente richiesta di perdono. Possiamo così comprendere meglio la richiesta da parte di Dio, nell’Antico Testamento, di compiere un rito di espiazione per i peccati degli israeliti (cfr Lv 16,16). Questo permette di considerare l’espiazione come un’opportunità data all’uomo da Dio di compiere un’azione per ristabilire la relazione con lui nella sua pienezza[3].

È possibile dunque leggere in questi termini il sacrificio del principe Myškin. Mosso dalla compassione per una donna ferita nella sua persona, possiamo riconoscere nel suo gesto d’amore il desiderio di darle una possibilità, il tentativo amorevole di restituire la dignità a una creatura destinata a essere perfetta e poi perduta. È in questo che vediamo l’eccezionalità umana del principe. Nella cerchia dei conoscenti della donna, egli sembra essere l’unico con uno «sguardo cristico», capace di un gesto di compassione smisurato per restituire a Nastasja la sua bontà originaria, per permetterle di ristabilire un rapporto armonioso con il mondo.

C’è però una particolarità nel caso di Nastasja: lei è stata violentata, è portatrice di una macchia di cui non è responsabile e di cui non rie­sce a liberarsi con le sue sole forze. Potremmo parlare di una sorta di «colpa originaria», una macchia che deve essere lavata a tutti i costi, per una contaminazione la cui cura va al di là di ogni possibilità. Questo conduce a parlare di un terzo concetto necessario, quando evochiamo il mistero pasquale: quello di sostituzione.

La sostituzione del principe Myškin


Il concetto di sostituzione aiuta a immaginare il ruolo di chi, mettendosi al posto di un altro, gli permette di realizzare una redenzione di cui lui non è capace con le sue sole forze. In questo senso, la sostituzione cerca di stabilire, attraverso lo scambio e la solidarietà, una nuova comunione tra Dio e l’uomo. In una prospettiva cristiana, vediamo come Cristo ci viene incontro lì dove siamo, per aiutarci, in nome della sua solidarietà con noi, a realizzare ciò che la nostra situazione di peccatori ci impedisce di fare. In questo modo, rendendoci collaboratori del Padre, ci restituisce la nostra libertà di figli di Dio, permettendoci di accogliere liberamente lui nella nostra vita, di entrare in una relazione di salvezza con lui, per accompagnarci a vivere in pienezza la nostra capacità di amare[4].

Ma torniamo a Myškin. Nastasja, a causa della sua «contaminazione originaria», non è in grado di affrontare da sola il suo stato di donna disperatamente ferita. Il principe, consapevole di ciò, cerca di espiare con lei, per eliminare il suo fardello. In altre parole, in piena solidarietà con lei, Myškin vuole mettersi al suo posto, esserle vicino dove si trova, attraverso la decisione di sposarla e di condividere così il suo destino. Se, da un lato, non siamo di fronte a una sostituzione completa – in fondo, come abbiamo detto, l’idiota evoca solo alcuni aspetti della figura di Cristo –, dall’altro lato, possiamo vedere nell’abbassamento della sua condizione, sposandola, il tentativo di portare con sé – e al suo posto – parte della colpa originaria, di cui il principe non è in alcun modo responsabile. Egli cerca di rimuovere l’ostacolo che impedisce a Nastasja di amare sé stessa, di vedersi come una creatura degna di essere amata e capace di amare, come avviene per ogni essere umano.

I podcast de “La Civiltà Cattolica” | LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE


Da parecchio tempo, le cronache italiane sono colme di delitti perpetrati contro le donne. Il fenomeno riguarda tutte le età e condizioni sociali, tanto da sembrare endemico nella nostra società. A questo tema è dedicato un episodio monografico di Ipertesti Focus, il podcast de «La Civiltà Cattolica».

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In sintesi, il principe, sacrificando la possibilità di una felicità familiare con Aglaja, grazie al suo amore compassionevole che si traduce nel gesto concreto di sposare Nastasja, si mette al suo posto – o meglio, al suo fianco – per offrirle la possibilità di uscire dalla sua condizione di creatura perduta. Espiando con lei «la sua colpa originaria», le dà la libertà di cui ha bisogno per entrare in comunione profonda con il mondo e intraprendere un cammino di salvezza, che l’aiuti a vivere nella sua pienezza di creatura amata.

Si può davvero parlare di salvezza?


Tuttavia, nel romanzo nessuno si salva. Nastasja rifiuta la possibilità di redenzione di Myškin e sposa Rogožin, che la uccide. Quando lo scopre, il principe impazzisce. Ad ogni modo, il sacrificio de L’idiota ha un intento salvifico. Grazie al dono della propria vita, il principe riconosce nella situazione di Nastasja una realtà universalmente sacra: una donna violentata e disprezzata diventa il tutto per il quale sacrificarsi.

Dopo aver osservato l’esempio di Myškin, possiamo tornare al Gesù dei Vangeli e guardare da una nuova prospettiva il sacrificio di Cristo e il suo modo di vivere la passione. Cristo, al culmine della sofferenza di cui è vittima innocente, con un atteggiamento mite accoglie e argina ogni forma di violenza. Questo è tanto più straordinario quando sulla croce egli trova ancora la forza di chiedere al Padre di perdonare i peccati dei suoi crocifissori. Possiamo leggere questo straordinario invito alla luce dell’impossibile esortazione ad amare i propri nemici: una disposizione capace di disarmare i più accaniti persecutori. L’amore di Cristo, un amore gratuito, immeritato e, secondo le categorie umane, ingiusto, è il primo artefice di un processo di redenzione. È un atteggiamento di «passività attiva», un potente contrasto alla violenza, come suggerisce la fine della storia delGrande Inquisitore.

Cristo, con la sua vita e il suo sacrificio – così come il principe Myškin –, testimonia lo sguardo misericordioso del Padre, pronto ad amare ogni persona, nonostante la sua condizione apparentemente indegna (Nastasja è una donna violata e disprezzata) o una situazione di inimicizia (il Grande Inquisitore è un avversario ostile). Con il suo stile ci mostra come entrare nel Regno da figli di Dio, come dice l’evangelista: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,44-45).

Tuttavia, tornando al romanzo di Dostoevskij, l’epilogo tragico del principe sembra spegnere ogni speranza: ne L’idiota non c’è risurrezione. Come parlare di salvezza in un libro in cui il protagonista è un simbolo del Salvatore, ma dove tutti gli altri personaggi sono «perduti»? Innanzitutto, in quanto figura evocativa di Cristo, non ci si può aspettare un’interpretazione teologica del Gesù dei Vangeli. Il personaggio de L’idiota evoca solo alcuni tratti della figura di Cristo. A questo riguardo, la figura del principe richiama alla mente la grandiosa bellezza di un Dio infinitamente misericordioso, che ama l’umanità fino a riconoscere – contro ogni speranza – la bontà originaria di ogni essere umano. È un Dio pronto a rendersi vulnerabile, fino al sacrificio di sé, per stare al fianco di ogni persona. È un Dio che crede nell’umanità, che fa percepire una promessa di vita per ogni uomo, persino per i propri nemici, anche nelle situazioni più disperate. Mentre l’epilogo felice di Delitto e castigo conferma il compimento di tale speranza, ne L’idiota – dove i riferimenti a Dio sono impliciti – la situazione è diversa. Se è vero che in questo romanzo la possibilità di una promessa rimane incompiuta nella tragica conclusione, il principe – un simbolo, piuttosto che una rappresentazione di Cristo – evoca in chiave narrativa la bellezza del volto misericordioso del Salvatore.

Ed è forse proprio questo il valore salvifico de L’idiota, ben oltre le pagine del romanzo. Il sacrificio del principe suggerisce al lettore la bellezza di una vita in cui risplende la bellezza della verità. Sorpreso, un lettore che non ha mai sentito parlare di Cristo, senza essere consapevolmente sulle sue tracce, può scoprire la possibilità di uno sguardo capace di dare un senso a tutto, anche alla propria vita. È questo il tema già accennato della «salvezza del lettore». Chi si lascia coinvolgere e toccare dalle pagine di Dostoevskij può scoprire la possibilità di un’esistenza di cui forse non è consapevole. È una scoperta possibile, fonte di sconvolgimento e di gioia. In entrambi i casi, con l’aiuto della grazia, egli può avviare un processo di ricerca e di conversione personale.

Per questo, pur ritraendo una persona che non è Gesù, L’idiota può aiutare tutti, credenti e non credenti, a rendersi consapevoli della presenza salvifica di Cristo nella propria esistenza e in quella degli altri. Può essere il punto di partenza di una ricerca per scoprire e accogliere, in tutta la sua pienezza, il Cristo risorto nella propria quotidianità. In conclusione, possiamo sottolineare come la mitezza di Gesù e il suo sguardo misericordioso che rifiuta ogni violenza possono essere letti alla luce della sacra dignità di ogni essere umano, immagine di Dio. In altre parole, restituire all’uomo la sua dignità grazie a uno sguardo che si traduce in un amore disarmante è il primo passo per accompagnare l’altro a poter accogliere liberamente il Dio di amore nella propria vita. Questa è una dimensione centrale della salvezza, è il passo che rende possibile entrare in una relazione salvifica con Cristo e con il mondo, per lasciarsi amare e amare in vera libertà.

Sonja e Raskolnikov


Sonja, personaggio chiave di Delitto e castigo, è una delle figure più luminose dell’opera di Dostoevskij. Il romanzo, pubblicato nel 1866, è il racconto psicologico-spirituale di un crimine. Il protagonista è Raskolnikov, uno studente di San Pietroburgo in una condizione di precarietà economica. Afflitto da una povertà opprimente, egli non esita a uccidere una vecchia usuraia e, per un tragico errore, la sua sorella. Il delitto ha un profondo valore simbolico: l’usuraia incarna l’iniquità del mondo, e il crimine del giovane studente attualizza la sua teoria della presunta possibilità per «l’uomo superiore» – al di sopra di ogni morale – di infrangere ogni legge, in virtù di un bene più grande. L’atto aberrante dà origine a una serie di tormenti psicologici che lacerano il cuore e la mente dell’assassino. In questo contesto, l’incontro con Sonja segna, per Raskolnikov, l’inizio di un percorso psicologico e spirituale verso una possibilità di «risurrezione».

Sonja è la figlia di un ubriacone, che Raskolnikov incontra in una taverna all’inizio del romanzo. Spinta a prostituirsi dalla deplorevole condizione del padre, dimostra una fede semplice e granitica in Dio. Ci sono in lei un’innocenza e una semplicità che le permettono di attingere alle profondità insondabili della vita e del mistero di Dio. La sua fede è una forza viva, lontana dalla saggezza erudita, frutto di studio e di argomentazioni razionali. Profondamente radicata nella vita di Sonja, questa fede è all’origine di uno sguardo sul mondo caratterizzato da una disarmante e lucida compassione, che traspare in ogni suo atteggiamento. La sua mistica semplicità attrae Raskolnikov e lo conduce lentamente su un cammino di verità.

Sonja, come Gesù, sembra avere una fiducia inesauribile negli esseri umani, nella bontà originaria di ogni persona. Arriva persino a giustificare e difendere la sua misera matrigna, colei che l’ha spinta a prostituirsi. Il suo sguardo mostra una disarmante benevolenza verso tutti: è davvero lo sguardo di Gesù, espressione di un amore capace di vedere l’uomo prima del peccatore. Si può dire che attraverso questo sguardo passa il desiderio di riaffermare il legame d’amore originario di Dio per ogni essere umano: un rapporto stretto, il cui punto di partenza è la creazione a immagine e somiglianza di Dio. È grazie alla riaffermazione di questo legame che è possibile ristabilire la giusta relazione del peccatore con Dio, con sé stesso e con la comunità umana.

In questa prospettiva, il ritorno a una situazione originaria del passato, compromessa o perduta, favorisce l’accoglienza salvifica di Cristo nella propria vita. Possiamo pensare all’atteggiamento di accoglienza di Gesù nell’episodio dell’adultera (cfr Gv 8,1-11), dove lo sguardo benevolo del Signore restituisce dignità alla donna: uscita dal suo isolamento, lei può essere reintegrata nella comunità. Il cammino spirituale di Raskolnikov è analogo. Dopo alcuni mesi di permanenza in Siberia, durante i quali Sonja gli dimostra costantemente la sua vicinanza attraverso un amore mite e paziente, Raskolnikov vive un meraviglioso momento di conversione al suo fianco. L’improvvisa e travolgente consapevolezza di amare Sonja è solo l’inizio di un nuovo modo di guardare sé stesso e gli altri.

C’è un momento fondamentale in Delitto e castigo che ci permette di comprendere meglio la portata della fede di Sonja in un Dio Salvatore e che, allo stesso tempo, svolge un ruolo centrale nel cammino di salvezza di Raskolnikov (e del lettore). Il giovane protagonista chiede a Sonja di leggere il testo della risurrezione di Lazzaro nel Vangelo di Giovanni (cfr Gv 11). L’episodio è raccontato in modo avvincente: la narrazione alterna le parole del Vangelo alla descrizione del forte coinvolgimento emotivo della giovane donna durante la lettura. Sonja dapprima riafferma interiormente la sua fede, sulle orme di Maria, sorella di Lazzaro e protagonista del racconto. In seguito, manifesta la speranza che questa fede salvifica in Cristo possa essere condivisa dallo stesso Raskolnikov.

La speranza incrollabile di Sonja nella risurrezione invita il lettore a pensare il cristianesimo come una religione dell’impossibile: la fede nel Cristo risorto spinge l’uomo a guardare alle situazioni più disperate con fiducia, a vivere una dimensione cristica fino al sacrificio, nella convinzione di una promessa di vita per ogni essere umano. Solo credendo nell’impossibile, ciò diventa possibile; questa è veramente una fede che salva. È la fede nella risurrezione, che rende possibile qualsiasi sacrificio a favore delle situazioni senza apparente via di uscita.

La dinamica del racconto prepara il lettore al seguito della narrazione. L’episodio della risurrezione di Lazzaro, evocato nella conclusione del libro, prende corpo nella vita di Sonja e Raskolnikov. Questo suggerisce il potere salvifico del Vangelo stesso. Quanto viene raccontato agisce nella vita dei lettori. Sonja diventa la Maria del testo, che intercede presso Gesù. Il miracolo, iniziato con la lettura del Vangelo, si compie alla fine del romanzo, quando si apprende della «risurrezione» di Raskolnikov.

È una riflessione, straordinaria dal punto di vista narrativo, della potenza performativa del Vangelo, che non è solo narrazione, ma azione, una forza capace di trasformare il mondo e la vita delle persone con cui entra in contatto. La lettura di un episodio evangelico può attualizzarsi e diventare oggi un’autentica storia di salvezza, con un impatto reale sulla vita.

Inoltre, grazie a un complesso gioco di rimandi, l’episodio apre la possibilità di un terzo livello di salvezza, quello del lettore stesso. Raccontandoci una storia, Dostoevskij ci presenta una possibilità, una nuova prospettiva che può influire sulle nostre vite. Ci fa intravedere, attraverso la forza di una narrazione profondamente toccante, una verità che può mettere in discussione il nostro modo di essere e di vedere le cose.

È lì, nel profondo del nostro essere, che il vigore vibrante della storia agisce come l’azione inaspettata della grazia, per scuotere oltre ogni spiegazione logica. La storia commovente dell’amore di Sonja e Raskolnikov potrebbe forse far intuire la bellezza di un sacrificio, il suo potere di dare nuovo slancio alla vita o far risvegliare nuove speranze? Proprio come Sonja – che trova nella storia della risurrezione di Lazzaro la possibilità di credere in qualcosa di impossibile –, anche il lettore, interpellato dalla «risurrezione» di Raskolnikov, di cui Sonja è in un certo senso «mediatrice», può intravedere la possibilità di una promessa per lui. Per un certo verso la lettura aiuta il lettore a immaginare possibilità inaspettate, preparandolo ad accogliere la grazia, a riconoscere la chiamata di un Dio che si rende presente nella sua vita. Una storia emozionante, nel toccare il proprio cuore, può risvegliare la capacità di ascoltare una chiamata e, una volta ascoltata questa, di rispondere, per iniziare un cammino di salvezza.

* * *


In conclusione, la misericordia, frutto di uno sguardo compassionevole, restio a ogni forma di violenza, è centrale in tutta la vita di Gesù – come in quella del principe e di Sonja – e trova una straordinaria manifestazione nel contesto della passione. È una salvezza che inizia con l’incontro con il volto di Cristo in questa vita, per trovare la sua piena fioritura – contro ogni speranza – dopo la morte.

Ritroviamo quest’ultimo concetto, in termini diversi, nell’ultimo libro di Dostoevskij I fratelli Karamazov. Il giovane protagonista Alëša è sconvolto dopo aver scoperto il cadavere in decomposizione dello starec Zosima, esempio di santità. Questa dissoluzione tragica e scoraggiante per una figura morta in «odore di santità» sembra smentire lo stato di grazia del defunto. Poi, Alëša, addormentato nell’ascolto della lettura dell’episodio delle nozze di Cana, riceve in sogno la visita dello starec. Ecco il bellissimo testo: «Rallegriamoci, beviamo il vino nuovo, il vino della nuova, grande gioia […]. Ecco il nostro signore, Lo vedi? […] Non avere paura di Lui. Egli è terribile ai nostri occhi per la sua maestà, ci sgomenta per la Sua grandezza, ma è infinitamente misericordioso, per amore si è fatto simile a noi e gioisce con noi, muta l’acqua in vino perché la gioia degli ospiti non venga interrotta, e aspetta nuovi ospiti, ne chiama continuamente di nuovi, e così sarà per tutti i secoli!»[5].

Alla fine, con il cuore pieno di gioia, Alëša si sveglia e, uscito dalla cella, si getta al suolo e abbraccia la terra, piangendo e giurando di amarla. Come nella storia di Alëša, si tratta proprio dell’incontro con il volto misericordioso del Salvatore, che ci trasforma, che ci salva donandoci il desiderio autentico di un amore vissuto in pienezza. E Dostoevskij, con i suoi straordinari romanzi, può aiutarci a cogliere questa magnifica dimensione della salvezza. In Delitto e castigo, dove Dio è nominato più volte, questa dimensione di un percorso di salvezza è in un certo senso esplicita. Ne L’idiota, l’assenza di riferimenti espliciti a Cristo e il tragico epilogo permettono di evocare solo indirettamente lo splendore del volto misericordioso di Gesù. Tuttavia, questa può essere vista come una premessa all’incontro salvifico con lui. È sempre il lettore il destinatario ultimo delle pagine di uno scrittore, il destinatario-attore di un possibile percorso di conversione.

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[1]. F. Dostoevskij, Epistolario, vol. I, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1951, 168 s.

[2]. Cfr B. Sesboüé, Jésus-Christ l’unique Médiateur, Paris, Desclée, 2003, 259-268 (in it. Gesù Cristo, l’unico mediatore, Cinisello Balsamo [Mi], San Paolo, 1991).

[3]. Cfr ivi, 293-297.

[4]. Cfr ivi, 357-360.

[5]. F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov. I taccuini per «I fratelli Karamazov», Firenze, Sansoni, 1958, 512 s.

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